Earth Day – Giornata della Terra 2022

Si celebra il 22 aprile la 52esima Giornata della Terra o Earth Day.

Concerto per la Terra del M°Giovanni Allevi

Il tradizionale Concerto per la Terra di Earth Day Italia sarà ospitato dalla Nuvola di Fuksas nel quartiere EUR di Roma. La prestigiosa sede – messa a disposizione da Roma Capitale per le celebrazioni della Giornata Mondiale della Terra delle Nazioni Unite – ospiterà uno spettacolo unico ideato da Tiziana Tuccillo – coordinatrice del comitato artistico e culturale di Earth Day – e affidato alla direzione artistica del compositore di fama internazionale Maestro Giovanni Allevi. Un concerto che il Maestro ha voluto ancora una volta dedicare alle nuove generazioni in vista della 27ma Conferenza sul Clima dell’ONU che quest’anno si terrà in Egitto dal 7 al 18 novembre nello splendido paradiso naturalistico di Sharm elSheikh. Il Maestro Allevi toccherà il cuore di migliaia di giovani con la sua splendida musica e chiamerà altri artisti da diverse parti del mondo ad offrire la propria testimonianza in difesa dei tanti territori messi oggi seriamente a rischio da una economia predatoria che minaccia di rubare ai giovani il loro futuro. Sarà dunque il “canto della terra” il vero protagonista di questo spettacolo unico. Il concerto sarà trasmesso in diretta streaming sugli schermi di Notorious Cinemas, Circuito cinematografico che vanta una forte sensibilità sulle tematiche ambientali, applicate anche nella realizzazione delle proprie infrastrutture e servizi. Presto partirà la prenotazione degli ingressi, che premierà anche gli spettatori con vantaggi decisamente sostenibili, sviluppati in stretta collaborazione con Earth Day Italia.

In occasione della presentazione, Giovanni Allevi ha rinnovato il suo nuovo impegno per sostenere i giovani nella lotta al Cambiamento Climatico.

Lo scorso novembre a Glasgow il maestro e filosofo amato in tutto il mondo aveva già dedicato ai giovani il videoclip “Our Future” lanciandolo in prima mondiale dal padiglione in allestito da Earth Day durante la 26ma Conferenza sul Clima delle Nazioni Unite. Un gesto forte a sostegno delle nuove generazioni, per la prima volta coinvolte nei negoziati sul clima con l’organizzazione Italo britannica della COP GIOVANI. Decine di organizzazioni giovanili sono state accompagnate a questo evento storico dagli organizzatori della maratona multimediale #OnePeopleOnePlanet che celebra l’Earth Day in Italia con il sostegno tra gli altri di Papa Francesco, il quale alla vigilia della COP GIOVANI, il 25 settembre scorso, volle riceverli nel palazzo apostolico. Memorabile il suo discorso ai giovani: “Ricordatevi che voi siete il presente e non il futuro dell’umanità, quindi fate chiasso per scuotere le coscienze di chi oggi governa il mondo”.

Call4Earth – Produci il cambiamento

Questa edizione dell’Earth Day si traduce per la prima volta anche in una vera e propria chiamata all’azione per le nuove generazioni. Earth Day Italia – in collaborazione con la Rete Impatta e i suoi numerosi partner della sostenibilità – intende sostenere le idee e i progetti dei giovani attraverso l’iniziativa “Call4Earth – Produci il cambiamento”. I giovani di tutta Italia saranno chiamati dal 22 aprile – in occasione della Maratona #3OnePeopleOnePlanet – a presentare progetti di Sviluppo Sostenibile che Earth Day Italia selezionerà attraverso una commissione di esperti con l’obiettivo di finanziare i più esemplari e significativi. Tutti i progetti presentati dai giovani informeranno una pubblicazione sulla sensibilità dei giovani italiani che Earth Day Italia consegnerà alle istituzioni in vista della COP27 di Egitto, in programma a novembre a Sharm el-Sheikh. I migliori progetti saranno inoltre oggetto di un sostegno economico per poterne approfondire la fattibilità e poterne eventualmente finanziare la realizzazione concreta nel corso dell’anno. Partner del progetto è ScuolaZoo, che attiverà i propri strumenti di comunicazione per raggiungere il target giovanile, sicuramente sensibile alle tematiche del progetto.

Looking For Earth

Il 22 aprile partirà anche l’iniziativa “Looking For Earth”.

Il progetto viene sviluppato in collaborazione con Looking For Art https://lookingforart.it/ , una factory milanese dedicata alla diffusione dell’arte contemporanea con un approccio etico e sostenibile, che rappresenta 120 artisti di arte contemporanea (pittura, scultura, fotografia) sotto i 35 anni.

Looking For Art ha selezionato all’interno del proprio ampio repertorio 3 opere rappresentative di ciascuno dei 17 Obiettivi dell’Agenda 2030. Queste opere verranno utilizzate da Earth Day per la comunicazione delle attività legate alla Giornata della Terra 2022 e verranno messe all’asta al termine di un percorso espositivo. Parte del ricavato verrà devoluto alla Onlus.

In occasione della presentazione Looking For Art ha donato al Maestro Allevi un’opera esclusiva, scelta appositamente per lui, realizzata dall’artista Angelica Cantù Rajnoldi.

Visita il sito dell’organizzatore

Fonte: https://www.rinnovabili.it/

È necessario cambiare e dipende solo da noi

Durante l’estate che sta ormai per terminare, gli eventi estremi che hanno lacerato molte parti del nostro pianeta, compresi quelli in paesi quali l’Europa, la Cina e l’area del Pacifico nord-occidentale, hanno lasciato i governi locali, in particolare le città, con un chiaro richiamo all’azione: agire adesso o soffrire domani.

Durante l’estate che sta ormai per terminare, gli eventi estremi che hanno lacerato molte parti del nostro pianeta, compresi quelli in paesi quali l’Europa, la Cina e l’area del Pacifico nord-occidentale, hanno lasciato i governi locali, in particolare le città, con un chiaro richiamo all’azione: agire adesso o soffrire domani. Anche se siamo ben consapevoli che a soffrire lo facciamo già adesso e non da poco tempo, anche se la poca attenzione ai temi ambientali ci ha sempre distratto e portato ad occuparci di cose in alcuni casi assolutamente inutili, se non dannose.

Le città costruite per resistere al caldo sempre più torrido e ai nubifragi del XX secolo hanno ricevuto un “bel” segnale, o meglio, un brusco monito per adattarsi rapidamente. Nonostante la continua esposizione, le città continuano a essere le principali responsabili delle emissioni sia di gas climalteranti che inquinanti, emettendo più del 60% dei gas serra a livello mondiale, sebbene occupino meno del 2% della superficie terrestre. Entro il 2030, sei persone su dieci vivranno in aree urbane e la richiesta di nuove abitazioni aumenterà ancor più velocemente rispetto ad oggi. Visto che gli edifici rappresentano almeno il 40% del consumo globale di energia, l’enorme potenziale di efficienza non sfruttato si presenta mettendo a prova di futuro le nostre città. Gli obiettivi di riduzione delle emissioni inquinanti, così come in generale quelli climatici, spesso si evidenziano e sviluppano a livello nazionale. La pianificazione delle azioni, e la loro attuazione, sembra essere più efficace e veloce quando guidata dalle città.  Sarebbe quindi opportuno dedicare spazio ed attenzione, oltre che risorse, per indirizzare misure urbane che trasferiscano le proprie esperienze attraverso i confini delle diverse città. Da qui è nata l’idea di una partnership globale ove i pianificatori, gli innovatori e i governi locali si confrontino partendo dalla condivisione delle conoscenze e mettendo a fattor comune obiettivi ed ambizioni: questo è l’obiettivo di Access Cities – l’alleanza globale per lo sviluppo urbano sostenibile. Attraverso questa rete, innovatori e pianificatori di città come Monaco, Singapore, New York, Aarhus e Copenaghen hanno collaborato per sviluppare risposte innovative e, soprattutto, fattibili e scalabili alle sempre maggiori esigenze di città che evolvono rapidamente. La fondazione che ne è nata (The Foundation),  sebbene sostenuta dall’industria, si pone l’obiettivo di spingere sui confini dell’eccellenza urbana. Dopo aver condiviso conoscenze in tre diversi continenti sin dal 2018, attualmente la collaborazione spazia su varie aree della sostenibilità ove l’efficienza degli edifici riveste un ruolo primario. Sebbene il programma sia entrato nella fase finale, l’impegno non diminuisce visto che sempre più innovatori risultano esposti alle diverse opportunità offerte dalle città che hanno capito l’importanza di un vivere sempre più sostenibile. Un esempio che seguiremo con attenzione (il green-washing è sempre dietro l’angolo) riguarda la collaborazione tra la Confederazione industriale danese (Danish Cleantech Hub, cleantech-hub.dk),  l’Ente di ricerca energetica dello Stato di New York e l’Autority per lo sviluppo che hanno lanciato un progetto con l’obiettivo, tra gli altri, di decarbonizzare i grattacieli della Grande Mela. Il fatto che ormai sia scontato, almeno nel nord Europa, che ci siano paesi che spingono più di altri sui temi della sostenibilità non ci deve illudere che tutto sarà sempre facile, soprattutto perché, non dimentichiamolo mai, sono sempre aziende che devono far profitto e se riescono a farlo senza peggiorare le cose sarebbe ideale. Il ruolo del cittadino, di noi tutti, è e rimarrà sempre fondamentale, sia come attori protagonisti del cambiamento che come stimolatori verso le altre diverse realtà della nostra società moderna.

Fonte: ilcambiamento.it

Cambiamo approccio e facciamo in modo che il contagio si diffonda!

La radice etimologica del termine contagio ci fa scoprire un’accezione di questo concetto che per noi è nuova e decisamente diversa da quella che, soprattutto in questi ultimi mesi, siamo abituati ad attribuirgli. Eppure essa è estremamente familiare alla maggior parte degli esseri viventi che popola il Pianeta insieme all’homo sapiens. Ancor prima che esseri viventi, siamo stati il sogno di un uomo e una donna che sono poi diventati padre e madre. Ancor prima di essere chioma, l’albero è stato solo fusto, seme e ancor prima del seme è stato l’albero da cui quel seme è caduto. Ancor prima che abbiano un significato, le parole nascono da suoni e radici che hanno altri significati e possono portare luce su ciò che creano nelle nostre vite. Iniziamo con queste sfumature poetiche poiché il linguaggio nasce da processi di creatività, musicalità e anche poesia, intesa come la capacità di celebrare il bello, cosa intangibile, in parole che possano rendercene una immagine osservabile. E lo facciamo per concentrarci sul tema attuale del Contagio. La parola Contagio nasce dall’unione di due termini latini che sono: con (insieme) + tangere (toccare). In questo periodo storico di contagio inteso come trasmissione di malattia, che cosa accade in ognuno di noi dall’incontro di “insieme” e “toccare”? “Insieme” ha a che fare con una dimensione sociale, di condivisione, di presenza, con la dimensione di esseri relazionali che ci appartiene. “Toccare” ha a che fare col tatto, stare a contatto, con la sensorialità, con la fisicità, con ciò che ha risonanza con le sensazioni e la materia fisica.

La riflessione viene dal fatto che quando siamo insieme a un essere vivente di specie diversa e lo tocchiamo, traiamo da questo gesto una sensazione di piacevolezza che è immediata. Accade altrettanto negli abbracci sentiti tra esseri umani: essere insieme e toccarsi, stare a contatto, col corpo. Allo stesso modo, quando siamo insieme a qualcuno e tocchiamo, stiamo a contatto con le sue informazioni, con le sue emozioni, in un processo che è altro da quello razionale, ne usciamo diversi. Arricchiti o depotenziati.

Il punto è: cosa ne facciamo, di tutto questo? Stare insieme con ciò che ci tocca è il ponte per la passare da una vita fatta di incertezze e automatismi a una vita di percezioni coscienti e sensazioni di qualità. Stare insieme anziché giudicare o etichettare, toccare anziché capire. Lo sanno benissimo gli esseri non umani che trasformano ogni cosa da cui vengono toccati, ogni loro esperienza, in materia prima di cognizione, emozione, esperienza con cui stare insieme, da cui costruire. Permettere a quella materia di diventare personalità e storia accolta, anziché lottarci, ignorarla, fare finta che non esista e persino ripudiarla, azioni che danno vita a quella profonda dis-connessione che ci impedisce di stare veramente insieme a ciò che ci accade, di lasciarci toccare e da qui soffriamo perché perdiamo pezzi della nostra stessa storia e della storia di chi amiamo. E allora, in questo tempo di contagio inteso come trasmissione di malattia, da cosa potremo farci contagiare per riportare connessione ed equilibrio? Potremmo affidarci a un contagio emozionale. Quest’ultimo, come quello fisico, genera un cambiamento. Questo processo avviene in noi umani, così come nelle altre specie animali, a prescindere dalla nostra volontà di accettazione e non è arrestabile. Un cambiamento che avviene grazie a un contagio emozionale può intraprendere la strada della nostra accoglienza, del desiderio di crescita, di trasformazione e di evoluzione. Altresì può intraprendere la strada della nostra resistenza: avviene quando cerchiamo in ogni modo di esercitare un controllo su ciò che proviamo, quando cerchiamo di gestirlo come se fosse una parte svincolata da un processo più ampio, come se fosse una semplice appendice di noi stessi, una parte aggiunta e non integrata, non determinante rispetto a una dinamica di sviluppo.

Il pavor, il timore, che da un punto di vista evolutivo è uno strumento fondamentale ai fini della sopravvivenza, diventa un grande vallo capace di farci arretrare quando parliamo di relazioni e di cambiamenti. Le nostre resistenze si agganciano a eventi passati e subiti, non necessariamente traumatici, che tuttavia portano alla costruzione di schemi e sovrastrutture, sotto i quali ci celiamo per sentirci accettati, per proteggere i nostri sentimenti. Rimanere nascosti dentro le nostre sovrastrutture certamente ci permette di non andare incontro, temporaneamente, a giudizi che innescano insicurezze e reazioni in noi stessi e conseguentemente nei rapporti con gli altri, ma a che costo? Il costo è duplice e davvero molto alto. Per cominciare ci costringiamo a subire una grave perdita: perdiamo noi stessi e la nostra capacità di sperimentare ciò che veramente ci appaga e le nostre peculiarità. In secondo luogo, facciamo perdere agli altri la possibilità di confrontarsi con soggetti rimasti coerenti con la voglia di sperimentarsi ed evolvere, che rivelano una strada percorribile libera dal giudizio, mostrandosi dialoganti con sé stessi e non assoggettati alle convinzioni altrui. Se, al contrario, ci permettiamo di osservare senza giudicare le nostre e le azioni ed emozioni altrui, ci doniamo la possibilità di riuscire a vedere – come fanno ad esempio gli animali non umani che accompagnano la nostra vita – come sia possibile continuare a percorrere la strada dei nostri reali bisogni, sentendoci desiderosi di contagiarci con ciò e chi ci circonda o scegliendo di allontanarci con grande consapevolezza da ciò che non ci appartiene.

Osservando i nostri compagni non umani e abbandonando la presunzione antropocentrica di conoscere meglio di loro i loro stessi bisogni, possiamo tornare a vedere questi individui come soggetti attivi della propria esistenza, capaci di ibridarsi senza perdersi, liberi pensatori. Gli stessi occhi dovremmo rivolgere a noi stessi affinché ogni esperienza vissuta diventi tessuto funzionale al benessere, allo scambio, alla crescita, a nuove aperture e a nuove contaminazioni.

Ecco che la paura del contagio non può che lasciare spazio alla capacità di rimanere connessi con i nostri bisogni e con gli altri – umani e non –, con l’ambiente di cui facciamo parte integrante, potenziando la capacità di evolverci in aderenza a quel che siamo, ai nostri profondi desideri, riconoscendo, e al contempo rispettando, quelli degli altri esseri viventi. Anche in questi tempi – soprattutto in questi tempi – un virus di consapevolezza che genera un’epidemia di benessere diventa possibile abbandonando la paura di non essere abbastanza, disfunzionale al nostro benessere emotivo, e godendo di relazioni con noi stessi e con gli altri, liberi dalle imposizioni e dai giudizi.

Fonte: https://www.italiachecambia.org/2021/05/cambiamo-approccio-contagio/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

Una specie che si autodistrugge in nome di una “scienza” distorta non è intelligente

Il libro “Cibo e salute”, che vede tra gli autori anche Vandana Shiva e Franco Berrino, edito dalla casa editrice Terra Nuova, è un libro completo per quello che riguarda dati e possibili soluzioni circa l’impatto che ha l’agricoltura industriale sul pianeta e sulla salute delle persone.

Il libro “Cibo e salute”, che vede tra gli autori anche Vandana Shiva e Franco Berrino, edito dalla casa editrice Terra Nuova, è un libro completo per quello che riguarda dati e possibili soluzioni circa l’impatto che ha l’agricoltura industriale sul pianeta e sulla salute delle persone. Con documentazioni precise, studi e esperienze pratiche si dimostra l’assoluta insostenibilità e pericolosità di un sistema come quello dell’agrobusiness che non ha altro scopo che fare soldi attraverso il cibo, scopo da raggiungere con ogni mezzo. Da un simile obiettivo  la qualità dello stesso cibo e le conseguenze sulla terra non possono che essere devastanti per persone e ambiente. Ed in tempi di pandemie vere o presunte, è interessante notare come la stessa OMS definisce le malattie non trasmissibili come la nuova epidemia globale

Ma diamo alcuni dati ed esempi tratti dal libro che rendono bene la situazione.

Cibo, malattie e agroindustria

«Come dicevano gli antichi Veda: “In questa manciata di terra c’è il tuo futuro. Prenditene cura ed essa ti sosterrà e ti darà cibo, vesti, riparo e bellezza. Distruggila ed essa ti distruggerà”».

«L’industria agrochimica e l’agrobusiness, l’industria del cibo spazzatura e quella farmaceutica ottengono grandi profitti, mentre la natura, le nazioni e le popolazioni diventano sempre più deboli e malate».

«Quando tutto il sistema dell’agroindustria assume una posizione di dominio, cominciano a diffondersi su larga scala malattie croniche  legate all’alimentazione. I nativi americani chiamano questo fenomeno powaqqatsi “un essere, uno stile di vita, che consuma le forze viventi a proprio vantaggio esclusivo”».

«Il cibo che si ottiene usando sostanze chimiche rovina la salute in tre modi. Prima di tutto, contribuisce alla fame e alla malnutrizione perché si concentra su poche materie prime, gran parte delle quali è destinata a diventare biocarburante e mangime per animali. E’ ciò che accade al 90% del mais e della soia, che non va ad alimentare gli esseri umani. Solo il 30% del cibo che mangiamo proviene  dalle grandi aziende agricole industriali. Il 70% proviene da piccole fattorie che usano solo il 20% della terra agricola. In secondo luogo, poiché l’agricoltura industriale produce monoculture uniformi e omogenee, contribuisce alla diffusione delle malattie correlate alla carenza di nutrienti vitali e variati nella nostra dieta».

«Il terzo punto riguarda le sostanze chimiche usate in agricoltura, che penetrano nel nostro cibo e contribuiscono all’insorgere di malattie come il cancro. Sono state create per uccidere e continuano ad uccidere».

«Le malattie non trasmissibili causano il 70% dei decessi a livello mondiale, per un totale di 40 milioni di morti all’anno, di cui circa 15 milioni di età inferiore ai 70 anni. Le principali malattie non trasmissibili  comprendono le malattie cardiovascolari, il diabete, i tumori e le malattie respiratorie croniche . Gran parte delle malattie non trasmissibili  sono legate alla dieta e causate da fattori biologici di rischio quali:pressione sanguigna, zucchero nel sangue, lipidi nel sangue e grasso corporeo, aterosclerosi dei vasi sanguigni, trombosi».

«In Italia ci sono 365 mila diagnosi di tumori in Italia in anno, esclusi quelli della pelle. 1000 al giorno».

«La stessa manciata di multinazionali vende sia le sostanze agrochimiche tossiche per l’agricoltura industriale, che compromettono la salute, sia i prodotti farmaceutici pensati con lo stesso paradigma per somministrarli alle persone che si ammalano».

Pesticidi

«Un cittadino medio ha in corpo dalle 300 alle 500 sostanze chimiche in più rispetto a 50 anni fa».

«In particolare, il cervello in via di sviluppo è estremamente sensibile e i pesticidi sono tra le cause più importanti di quella che si può definire una “pandemia silenziosa”».

«L’ammasso di animali, spesso provenienti da varie parti del mondo per ricostruire la scorta delle stalle, può creare una bomba ecologica considerando che i virus  di cui sono portatori, modificati dalle molecole chimiche presenti nei vari medicinali, possono dar vita, attraverso ignote ricombinazioni, a imprevedibili e devastanti epidemie».

«Il paradigma industriale agricolo, ancora oggi dominante e radicato nell’ideologia meccanicistica e riduzionista, non è in grado di affrontare l’attuale crisi sanitaria che ha contribuito a creare, poiché occuparsi dei legami fra cibo e salute è inconciliabile con i suoi principi essenziali».

Agroindustria e ambiente

«Quasi il 50% dei gas di serra è prodotto dall’agricoltura industriale e globalizzata».

«Globalmente l’agricoltura industriale è responsabile per il 75% della distruzione ecologica della biodiversità, terra e acqua, e contribuisce al 50% delle emissioni di gas di serra che causano inquinamento atmosferico e caos climatico. Quasi il 75% delle malattie croniche non trasmissibili è correlato al cibo».

Distruzione di cultura e biodiversità

«La sostituzione e lo sterminio delle cultura va a braccetto con lo sterminio e l’estinzione della biodiversità delle piante. Le specie sono spinte all’estinzione una velocità 100 – 1000 volte superiore al normale».

«In agricoltura il 93% della biodiversità vegetale è scomparsa. Le piante come gli esseri umani, sono manipolate violentemente per il profitto dell’1% degli uomini».

«Il 75% della diversità genetica è scomparso in soli cento anni. Dalle diecimila specie originarie, oggi si è arrivati a coltivarne poco più di 150 e la stragrande maggioranza del genere umano si ciba di non più di dodici specie di piante».

«Nel 2016 il mercato mondiale di semi, con un giro di affari di miliardi di dollari, risultava per il 55% nelle mani di cinque grandi multinazionali, in confronto al 10% del 1985, alcune delle quali controllano contemporaneamente una altro mercato multimiliardario, cioè quello dei pesticidi (erbicidi, insetticidi e anticrittogamici)».

«A causa del sistema produttivo industriale, le colture dal dopoguerra ad oggi, hanno perso il 25/70% delle loro sostanze nutritive».

Chi sono i veri scienziati

«Un agricoltore conosce i suoi semi, la sua terra, i suoi prodotti, gli aniamli, gli alberi, le stagioni, la comunità.  E’ quindi uno scienziato».

«In realtà, tutta l’agricoltura  tradizionale e la selezione delle sementi poggiano sul sapere dei contadini. Il sistema industriale ha da offrire solo veleni all’agricoltura».

«Una nonna, una madre, una ragazza che sanno come trasformare il cibo proveniente dai nostri campi in un pasto delizioso e nutriente sono scienziate dell’alimentazione. Un medico ayurvedico è uno scienziato, così come lo sono i popoli indigeni  e le donne. Incarnano il sapere interattivo e dinamico. Il loro sapere è la capacità di vivere nell’unità, sapendo che siamo uno. Gli insegnamenti di un universo interconnesso, vibrante  e abbondante, si ritrovano nelle culture indigene, oltre che in tutti gli insegnamenti spirituali».

L’agricoltura biologica conviene a tutti

«I redditi netti degli agricoltori che praticano l’agricoltura biologica aumentano ulteriormente perché è eliminato, evitato e risparmiato l’uso di apporti esterni costosi, come semi , fertilizzanti, pesticidi e irrigazione intensiva. Se consideriamo il beneficio netto per la società, oltre al reddito degli agricoltori, l’agricoltura biologica si dimostra ancora di molto superiore all’agricoltura convenzionale».

Chi sfama davvero il mondo

«L’agricoltura industriale, nonostante l’ingente consumo di risorse, non è in grado di garantire la sicurezza alimentare dei popoli. Al contrario la maggior parte del cibo che mangiamo è ancora prodotta da piccoli e medi agricoltori, mentre la stragrande maggioranza delle colture provenienti dal settore industriale, come mais e soia, è utilizzata principalmente come mangime per gli animali o per produrre biocarburanti».

«La pretesa che l’agricoltura industriale sia necessaria a risolvere il problema della fame nel mondo è totalmente priva di fondamento, oltre che smentita nei fatti».

«I piccoli agricoltori sono in proporzione più produttivi delle grandi aziende industriali: pur avendo a disposizione solo il 25% della terra arabile, riescono a fornire il 70% del cibo a livello mondiale».

«La presunta  maggiore produttività dell’agricoltura industriale richiede una quantità di input dieci volte superiori in termini di energia rispetto a quanto produca successivamente in termini di alimenti. Il sistema agricolo industriale ha dunque una produttività negativa, e non potrebbe sostenersi senza le enormi sovvenzioni pubbliche».

Il cibo chimico non conviene

«Si sostiene spesso che i prodotti alimentari abbiano il vantaggio di essere “economici”. I costi di produzione, trasformazione e distribuzione sono in realtà molto elevati e la convenienza è solo apparente. Questa impressione di convenienza è ottenuta artificialmente sopratutto grazie a ingenti sussidi pubblici, all’esternalizzazione dei costi sociali, ambientali e sanitari, e attraverso la manipolazione dei mercati».

«L’industria rifiuta sistematicamente di assumersi le responsabilità dei danni causati dalla malnutrizione, dai pesticidi e dalle malattie croniche».

Chi paga i danni

«I cittadini di tutto il mondo stanno pagando di tasca loro miliardi di sovvenzioni che si trasformano in profitti per le stesse società che causano l’aumento delle malattie attraverso la produzione di cibo tossico e vuoto dal punto di vista nutrizionale. Con questo sistema i redditi delle piccole e medie aziende agricole crollano, i profitti dell’industria aumentano e la qualità del cibo crolla. Lo scopo del sistema attuale non è quindi quello di garantire una adeguata nutrizione e il benessere umano, ma quello di massimizzare i profitti di Big Food».

La transizione necessaria

«Una transizione verso un sistema alimentare sano richiede un cambiamento di paradigma, da una scienza riduzionista a una scienza dei sistemi. Richiede un cambiamento dell’agricoltura industriale ad alta intensità chimica all’agricoltura biologica ad alta intensità ecologica. Necessitiamo tutti di un passaggio dalle economie estrattive  a quelle circolari e di solidarietà, da un’economia riduzionista basata sui prezzi a una vera contabilità dei costi. Occorre abbandonare le regole inique del libero scambio, basate su rivendicazioni non scientifiche, per passare ad un commercio equo, basato su di una economia democratica. E’ necessario fermare e regolare la macchina del potere delle multinazionali dell’agroindustria che realizza i suoi straordinari profitti speculando sul bisogno essenziale dell’alimentazione per affermare invece il diritto ad un cibo per tutti gli abitanti del pianeta, che sia sano per le persone e la natura».

Fonte: ilcambiamento.it

Scenari del mondo post-virus: Cristiano Bottone e la Transizione

Quale società ci aspetta quando torneremo ad uscire di casa? Una società del controllo e della sorveglianza oppure una società della collaborazione e della solidarietà? Sarà più ecologica o torneremo a fare gli stessi errori del passato? Quali carte abbiamo in mano come individui, comunità e genere umano, per orientare il corso degli eventi? Ne parliamo con Cristiano Bottone del Movimento della Transizione.Quasi la metà degli esseri umani che abitano il pianeta ha smesso da settimane di uscire di casa. Le relazioni sociali tradizionali sono ridotte ai minimi termini e le persone scoprono forme creative per soddisfare la sete di socialità. Molte cose stanno cambiando: la nostra psiche, il modo di pensare e di relazionarci, la nostra economia. Cadono alcuni tabù, si sfatano molti luoghi comuni, si fanno più grosse le crepe nel sistema. Intanto là fuori, la natura torna a fiorire con velocità impressionante, persino dove sembrava spacciata. Stiamo vivendo, come umanità, il cambiamento più profondo da molti decenni a questa parte. E lo stiamo vivendo da spettatori.  Quale società ci aspetta quando torneremo ad uscire di casa? Una società del controllo e della sorveglianza oppure una società della collaborazione e della solidarietà? Sarà più ecologica o torneremo a fare gli stessi errori del passato? Quali carte abbiamo in mano come individui, comunità e genere umano, per orientare il corso degli eventi? Per capirci qualcosa ci siamo rivolti a chi di cambiamento si occupa da molti anni. Cristiano Bottone, testa (cuore e mani) del movimento della Transizione in Italia.

Cristiano Bottone

L’inquinamento sta calando in molte zone del mondo per via dell’interruzione di molte attività umane e la natura riprende i suoi spazi. Quali insegnamenti possiamo trarre nell’osservare questo fenomeno? 

Questa è una conseguenza utile di un evento drammatico, conferma ancora una volta il peso dell’impatto umano all’interno degli ecosistemi. In verità non è che vi fosse tanto da scoprire, ma a volte toccare con mano può aiutare anche i meno attenti: mai visto un cielo così terso in Pianura Padana, tanto per fare un esempio. Sembra confermare inoltre la capacità di una parte della biosfera di riprendersi velocemente una volta terminate le pressioni negative. La vita reagisce e rifiorisce in fretta, evolve, lo avevamo visto in mare, laddove sono stati istituiti parchi marini protetti, o in zone forzatamente abbandonate come Chernobyl.  Speriamo di non sprecare questa occasione e che l’umanità prenda nota. C’è poi l’aspetto più prettamente scientifico, molti dati relativi alle emissioni in atmosfera sono frutto di modelli ed elaborazioni statistiche, mentre ora si possono misurare certi effetti in modo diretto. Questo significa che avremo molte più informazioni reali e consapevolezza. Già si sta discutendo, ad esempio, delle varie componenti inquinanti del bacino padano e alla luce di questo grande “esperimento” forse alcune dei modelli in uso saranno da rivedere. Non sopravvalutiamo invece gli effetti di questa breve pausa sul processo relativo al surriscaldamento globale è probabile che alla fine risultino irrilevanti se torneremo a fare tutto come prima.

Molte cose cambieranno. Alcuni pensano che in questa crisi si celi l’opportunità di mettere in atto una rapida transizione ecologica. Secondo altri invece molti dei fondi immaginati per il green deal potrebbero essere reindirizzati verso una ripresa economica tradizionale. Cosa ne pensi? C’è uno scenario che ritieni più probabile?

Ormai da parecchi anni cerco di pensare sistemico e nel farlo si impara una cosa: inutile cercare di fare previsioni. Ci sono delle tendenze generali che rimangono chiare: gli umani sono tanti, le risorse sempre più scarse e mal distribuite, non abbiamo sistemi di governo dei gruppi, dei popoli, degli stati, che si stiano rivelando efficaci. Facile immaginare scenari piuttosto negativi in queste condizioni. L’intero sistema economico è modellato sull’idea di crescita e si scontra evidentemente con l’atteggiamento impietoso dei sistemi fisici in cui siamo immersi. Quando una risorsa fisica finisce è finita, non si può discutere con lei e trovare un accordo. Se la CO2 in atmosfera renderà la terra inabitabile alle forme di vita che la popolano oggi – e ci siamo quasi – se continueremo a fare finta di non capire che la crisi del 2008 ha profonde radici energetiche, se non comprenderemo che il collasso degli ecosistemi porterà via anche noi… beh non sarà finita bene. Poco utile quindi chiederci quale scenario sia più probabile, più interessante, forse, chiederci per quale altro possibile scenario dovremmo lavorare impiegando tutte risorse rimaste.

Bene, chiediamocelo allora. Possiamo fare qualcosa per sfruttare al meglio le opportunità di cambiamento che si celano in questa drammatica situazione?

Assolutamente sì. Un evento così traumatico e che colpisce contemporaneamente tutto il mondo è davvero (non in modo retorico) una incredibile occasione. Mostra in tempi rapidissimi, purtroppo in modo crudele, la fragilità dei nostri sistemi, l’inconsistenza di molte delle “storie” che regolano le nostre vite. Pensiamo alle mascherine, giusto per fare un esempio: non basta tutto il denaro del mondo a comprare mascherine che non esistono. Così come non si possono impiegare medici che non ci sono. Dove la nostra fantasia incontra gli atomi, la realtà diventa palese. Migliaia di aziende falliranno, mentre altre fallite rinascono, l’immensa macchina del superfluo di cui ci circondiamo è stata messa alla corda in un attimo e fa spazio a dimensioni produttive di maggior buon senso, pensiamo ai laboratori di moda che ora cuciono camici e mascherine. E così via.

Anche il mondo della finanza è in subbuglio…

Interessante vedere le banche centrali reagire nei primi giorni al solo scopo di mantenere lo status quo per poi passare allo “stamperemo tutto il denaro necessario”. Possono farlo? Sì il denaro non esiste, come dice Harari – ma non è certo il primo -, è “solo” la storia di maggior successo inventata dall’umanità. Da questo all’idea del reddito universale il passo non è tanto lungo e potrebbe essere ampiamente facilitato da una situazione come questa. È una condizione interessante e porta con sé l’idea che la riconversione industriale ecologica non può più essere fermata dalla storia delle persone che “sennò perdono il lavoro”: quel lavoro magari sì, ma con un reddito universale il salario no. E se la sopravvivenza è garantita, allora si può imparare altro e magari mettersi a produrre in modo sostenibile cose utili e di lunga durata eliminando tante produzioni totalmente superflue ed effimere.

Quali altri aspetti hai visto emergere?

L’egoismo degli stati che sequestrano i presidi sanitari perché non passino il confine mette in luce il problema delle produzioni locali, della mancanza di resilienza nei sistemi vitali. Forse così il concetto di bio-regione, in un futuro ormai non tanto lontano, potrebbe essere più interessante e protettivo di quello di Nazione. Questo è interessante. Ora l’inadeguatezza della classe dirigente appare più nitida e anche quella degli strumenti a nostra disposizione per selezionarla. Questo è interessante, che non sia ora di occuparsi davvero di profonde riforme della nostra inadeguata democrazia rappresentativa?

C’è spazio per cambiare e cambiare in fretta. Certo si può cambiare in meglio, ma anche in peggio. La tentazione di irrigidire autoritarismi e culti della personalità è ancor più presente e probabilmente già in corso in vari angoli del mondo. Ma si apre potente anche uno spazio per soluzioni davvero differenti da quelle viste e riviste fin qui. Penso all’introduzione di una moneta complementare globale come quella immaginata da Bernard Lietaer e chiamata “Terra”, ancorata a un paniere di commodities invece che alle nostre fantasie o a schemi di compensazione tra stati come il protocollo Bancor (solo per fare degli esempi). A nuovi modelli di gestione democratica che cambino radicalmente la qualità delle decisioni prese ricorrendo in modo ragionato a meccanismi di democrazia deliberativa e alle forme più avanzate della sociocrazia (sempre per fare esempi praticabili da subito). A nuovi modelli di organizzazione sociale, forme di impresa, e tanto altro.

Siamo pronti a cogliere l’occasione? 

Ecco questo non lo so, un’enorme percentuale della popolazione rimane passiva. La maggior parte dei movimenti, degli attivismi e dei sistemi politici ed economici che conosco sono molto lontani dal raccontare nuove storie. Utilizzano approcci profondamente figli di questo sistema e faticano ad esplorare dinamiche realmente alternative. Questo vale per quelli che tentano di conservare a tutti i costi quello che c’è e per quelli che vorrebbero cambiarlo, ma sembrano non accorgersi di lavorare solo una versione differente dello stesso racconto. Vedere come in Italia si sia potuto immaginare di emendare la fiacchezza dell’attuale democrazia rappresentativa con “uno vale uno” fa capire con quale atteggiamento disinformato e naive si affrontano queste cose. Da poco ho partecipato ad un lungo workshop a Bruxelles e uno dei partecipanti era un giornalista che si occupa di evoluzione democratica. Il suo sgomento riguardava appunto il fatto che questo tema sembra non interessare a nessuno, c’è una specie di analfabetismo nascosto che riguarda questa materia e un costante ricorrere alle poche cose note o all’inseguire l’ultima moda per ritinteggiare la facciata di un palazzo che rimane vecchio e non più adeguato ai tempi. È una cosa che fa riflettere e che oggi, con un’opportunità come questa che ci investe, potrebbe impedirci alcuni passaggi evolutivi che potrebbero farci uscire dalla crisi “coronavirus” in un mondo ricco di nuove potenzialità. Come sempre accade nella vita, tocca a noi cogliere le opportunità. C’è tutto quello che serve per farlo tranne, forse, la nostra convinzione.

Fonte: https://www.italiachecambia.org/2020/04/scenari-mondo-post-virus-cristiano-bottone-transizione/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

GOEL, le cooperative che hanno “fatto la festa” alle mafie

Per non arrendersi alla ‘ndrangheta non è sufficiente contrastarla a livello economico o legale, ma occorre combatterla soprattutto sul piano dell’immaginario. In Calabria abbiamo incontrato Vincenzo Linarello che ci ha raccontato l’esperienza di GOEL – Gruppo cooperativo, una rete di aziende che sta costruendo un altro tipo di economia partendo dal cuore della Locride e dimostrando che si possono combattere le mafie creando alternative concrete e “festose”.

Vincenzo Linarello è dal 2016 tra i Fellow di Ashoka: imprenditori sociali che offrono soluzioni innovative per affrontare i problemi più urgenti della società. Ha ricevuto questo riconoscimento per gli importanti risultati ottenuti da GOEL – Gruppo Cooperativo nella creazione di un’economia parallela alla mafia collegando questo nuovo ecosistema a un’economia positiva nel resto d’Italia e non solo.

«Dopo ogni aggressione facciamo una festa e la chiamiamo festa della ripartenza. Coinvolgiamo la comunità locale e l’opinione pubblica nazionale invitandole a stringersi intorno alla vittima. Tutto ciò porterà sostegno, aiuto e opportunità per la vittima stessa. Dopo qualche mese promuoviamo un report pubblico in cui spieghiamo ai mafiosi quanti vantaggi ha avuto la vittima della loro aggressione, sottolineando, quindi, quanto questa sia stata “positiva”. Dopo la terza festa di ripartenza… sono trascorsi due anni e non abbiamo più avuto danni seri. Un tempo lunghissimo».
Una festa… Quando la più terribile e sanguinaria tra le mafie (o una delle più terribili), colpisce, loro che fanno? Organizzano una festa! Quando per la prima volta ho ascoltato queste parole sono rimasto incredulo. Eppure è così. Vincenzo Linarello, Presidente di GOEL – Gruppo Cooperativo, mi spiega che per non arrendersi alla ‘ndrangheta non è sufficiente contrastarla a livello economico o legale, ma occorre combatterla soprattutto sul piano dell’immaginario. «Non dobbiamo mai arrenderci, mai mostrarci piegati o sconfitti. Le mafie prosperano sullo sconforto e cercano di creare un clima di depressione sociale. Sanno che la depressione fa stare buona la gente». E allora vai con le feste!
Per racchiudere l’eccezionalità di questa storia credo basti questo stralcio di intervista. Ma non è tutto, anzi è solo un dettaglio. Cominciamo dall’inizio.

Il ricattatore

La prima volta che incontrai Vincenzo Linarello fu nel lontano 2012 nella sede di GOEL, a Gioiosa Ionica, nei pressi del cuore pulsante della Locride, in Calabria. Già allora potei apprezzare i risultati ottenuti da questa organizzazione, ma in occasione della video-intervista che vi proponiamo qui sopra ho potuto coglierne fino in fondo le mille sfaccettature e la straordinaria originalità.

«GOEL – ci spiega Linarello – nasce nel 2003 con la voglia di innescare un processo di riscatto e cambiamento per contrastare il sistema che la ‘ndrangheta ha creato insieme alle massoneria deviate; un sistema di corruzione che genera depressione economica e di disoccupazione».

Le origini, però, sono precedenti: «A metà degli anni ’90 avviammo in ambito ecclesiale un’esperienza di incubatore, il CreaLavoro, da cui nacquero diverse cooperative. Cominciammo quindi a interrogarci sul futuro della nostra regione e ci rendemmo presto conto di come in Calabria la precarietà fosse stata elevata a strumento di governo del territorio, generando dipendenza e controllo dei voti e delle risorse pubbliche».

Non a caso, quindi, decisero di chiamare il nuovo organismo GOEL. Questo termine, infatti, deriva dal “dizionario biblico”. Come ci ha spiegato Linarello, infatti, «in antichità, quando qualcuno non aveva i soldi per pagare un debito diventava schiavo. Per liberarlo era solitamente necessario l’intervento dei famigliari. Il GOEL era un estraneo che in maniera del tutto disinteressata pagava il prezzo del riscatto e restituiva la persona a uno stato di cittadino libero. Letteralmente, quindi, GOEL può essere tradotto come “il riscattatore”».

«GOEL – continua Linarello – decide fin da subito di innescare questo processo di cambiamento in Calabria dimostrando che l’etica non è una scelta di retroguardia per animi nobili, ma la via maestra dello sviluppo economico di una intera regione». Per farlo era necessario testimoniare come questo tipo di scelte fossero più efficace ed efficienti della pseudo-economia mafiosa, che sembrava essere l’unica possibilità in alcune aree della regione.

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I fallimenti della ‘Ndrangheta e una nuova economia sociale ed etica

Per fare questo GOEL delegittima costantemente la ‘ndrangheta con una azione di comunicazione che mette in evidenza gli aspetti fallimentari della sua azione. Linarello ci ricorda – ad esempio – come questa organizzazione criminale, considerata la “numero uno” al mondo nel suo genere, abbia prodotto la regione più povera d’Europa, che è appunto la Calabria. Un fallimento totale…Da un lato occorre quindi mettere in evidenza le contraddizioni e i fallimenti della ‘ndrangheta, dall’altro mostrare e costruire esempi di economia sociale ed etica che funzionano davvero. Ed è quanto è avvenuto con le tante cooperative nate intorno a GOEL: progetti di accoglienza di minori “a rischio”, progetti con i migranti, progetti di sanità, ma anche e soprattutto aziende che si ribellano alla ‘ndrangheta e ottengono – nel farlo – un vantaggio economico oltre che etico.

Tra questi troviamo realtà appartenenti a diversi ambiti. Si va da I viaggi di GOEL – tour operator specializzato nel turismo responsabile, ambientale, enogastronomico, culturale e sociale che premia ristoranti e alberghi che si sono ribellati alla mafia o che sono stati confiscati – a GOEL BIO – la prima cooperativa agricola fatta di aziende che si sono ribellate alla mafia. I risultati sono sbalorditivi. Nel caso delle arance, ad esempio, si è passati da una situazione in cui i produttori vendevano le proprie arance venivano a 10-15 centesimi al chilo ad una in cui quegli stessi produttori riescono a guadagnare 40 centesimi al chilo. «È il prezzo più alto pagato per le arance in Calabria – ci conferma Linarello – E chi lo ha ottenuto? Le aziende che si sono ribellate alla mafia. Allora vuoi vedere che ribellarsi alla mafia conviene?».
Non poteva mancare la moda. Vincenzo ha le idee chiare: «Per recuperare e rilanciare la prestigiosissima tradizione della tessitura a mano calabrese ci siamo inventati il primo marchio di alta moda etica in Italia, Cangiari. Lo abbiamo sviluppato con le donne del territorio che hanno voluto caparbiamente recuperare questa tradizione che ora vogliamo esportare in tutto il mondo attraverso l’e-commerce».

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Numeri che fanno futuro

Oggi GOEL è composto da 12 cooperative sociali, 2 cooperative di conferimento agricolo, 2 associazioni di volontariato, 1 fondazione e 29 aziende prevalentemente agricole per un totale di circa 200 dipendenti e 150 collaboratori (il 70% donne). Secondo Linarello, però, la più grande soddisfazione è un’altra: «Quando facciamo le assemblee vediamo la comunità provenienti da diverse zone della Calabria confrontarsi… gli agricoltori stanno ad ascoltare con interesse quello che è successo in ambito turistico, gli operatori turistici vedono cosa è successo nel campo della moda, le operaie tessili vedono come proseguono i progetti sociali e tutti insieme si sentono parte di una comunità di riscatto che vuole cambiare le cose in Calabria. Molte di queste persone non partono consapevoli ma lo diventano toccando con mano come pur tra tante difficoltà un’alternativa è possibile».

GUARDA L’INTERVISTA INTEGRALE!

Fonte: https://www.italiachecambia.org/2020/01/goel-cooperative-hanno-fatto-festa-alle-mafie-io-faccio-cosi-277/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

Addiopizzo Travel: in viaggio nella Sicilia che resiste alla mafia.

Viaggiare in Sicilia può educare alla bellezza, emozionare e costruire una narrazione diversa di questa terra, oltre i luoghi comuni e alla scoperta di storie e paesaggi inaspettati. Turismo etico e responsabile significa tutto questo per gli ideatori di Addiopizzo Travel, cooperativa sociale e tour operator che organizza sia viaggi militanti sulle tematiche inerenti la lotta alla mafia sia vacanze rilassanti scegliendo però alberghi e ristoranti “pizzo free”. Tutto prende le mosse da una delle più rivoluzionarie risposte alla criminalità organizzata: “Un intero popolo che paga il pizzo è un popolo senza dignità”.

Di Addiopizzo abbiamo parlato molte volte su queste pagine. Fin dal mio viaggio nel 2012, trovo che sia uno degli esempi più paradigmatici del cambiamento in atto nel nostro Paese perché riassume diversi aspetti alla base di un futuro possibile: responsabilità individuale, comunità che si attivano, capacità di trasformare l’immaginario di un territorio (la Sicilia in questo caso), pensiero laterale, allegria, passione, dedizione. E potrei continuare.

Uno dei fondatori di Addiopizzo, Dario Riccobono, è oggi Presidente di Addiopizzo Travel. Lo incontro nuovamente a settembre in quel di Lecce, in occasione del raduno degli Ashoka Fellow. Dopo un pomeriggio passato a progettare un futuro comune lo intervisto mentre dietro di lui, impietoso, il sole tramonta e la spiaggia su cui ci troviamo si tinge di nero.
Addiopizzo Travel nasce 10 anni e si inserisce nel filone del cosiddetto turismo responsabile. All’attenzione etica ed ecologica, però, aggiunge un criterio fondamentale: vuole favorire chi non si arrende alle mafie e decide di combatterle. Ovviamente ha origine all’interno Addiopizzo che – per usare le parole di Dario – “è stata la nostra medicina, ci ha permesso di curare le nostre ferite e sentirci in pace con noi stessi”.

Lo strumento del consumo critico viene quindi qui messo al servizio di chi non paga il pizzo.

«AddioPizzo travel ci spiega Dario – vuole coinvolgere i non siciliani nella lotta di liberazione che stiamo portando avanti, permettendo a chi viene nella nostra isola di avere la garanzia di andare negli alberghi, nei ristoranti, nelle pizzerie che non pagano il pizzo. In questo modo, si premia la scelta della denuncia, la si rende vincente economicamente e si contribuisce alla costruzione di una diversa narrazione sulla Sicilia».

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Il lavoro sull’immaginario, come anticipato, è fondamentale: sembra banale affermare che la Sicilia non sia solo mafia eppure per molti è ancora così. Per questo, Addiopizzo Travel lavora con i più giovani in un percorso di educazione civica e popone percorsi di educazione alla bellezza. «La Sicilia per noi è mare, cucina, paesaggio, storia della nostra terra, ma è anche fatta di persone con una storia di resistenza alla mafia da raccontare, per un viaggio che sia incontro ed emozione».

Nei giorni trascorsi a Lecce, Dario si è spesso distinto per una presenza particolarmente giocosa, quasi provocatoria. Strano associare il “cazzeggio” con la lotta alla mafia. Eppure, questo è uno degli ingredienti vincenti della loro esperienza. Addiopizzo, infatti, ha convinto una generazione di ragazzi che impegnarsi non è per forza un’attività noiosa, lo si può fare divertendosi, godendo della vita.

«Io faccio il lavoro più bello del mondo – afferma Dario con entusiasmo – mostro la bellezza della mia terra a gente che viene da fuori e lo faccio essendo utile a una causa. Ditemi voi se esiste qualcosa di più bello!».
Oggi Addiopizzo Travel organizza due tipi di viaggi. Il primo, diretto soprattutto ai giovani, è un viaggio di sensibilizzazione e racconto sulle tematiche inerenti la lotta alla mafia. Il secondo è diretto a chiunque voglia organizzare un viaggio o una vacanza.

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Lo spirito è semplice: «Non c’è solo il viaggio militante, si può fare anche la vacanza rilassante al mare, scegliendo però di andare a mangiare da chi non sostiene la mafia e non paga il pizzo, o alloggiare in una casa che non appartiene a un mafioso. Possiamo rispondere a tanti mercati. Organizziamo tour in bicicletta, facendo conoscere paesaggi che un turista non si aspetta di vedere in Sicilia. Vai a Corleone e hai una idea, e invece scopri dei paesaggi inaspettati, ricchi di colori. Il turismo pizzo free è una modalità di conoscere una terra che può essere declinata in molteplici maniere».
Purtroppo molti operatori turistici, invece, affrontano questa terra in due modi, uno più deleterio dell’altro. Il primo finge di ignorare la presenza mafiosa, ma non incide così in alcun modo sugli stereotipi del viaggiatore. Il secondo finge di “giocare” con il fenomeno, con i mafia tour.

«Si tratta – racconta Dario – di giocare su un fenomeno che ha causato la morte di tantissime persone, il dolore di tantissimi familiari. C’è gente che si veste da mafioso come se il mafioso avesse la divisa e spara in aria con la lupara durante l’ultima cena, ci sono tour operator stranieri che fanno questo. Facendo i tornanti vengono assaliti da finti briganti e cose così. Ancora oggi c’è un tour operator di Boston che fa incontrare i turisti con il figlio di Provenzano e in questo modo l’idea della mafia in Sicilia è filtrata dai racconti del figlio del boss mafioso. Tutte cose che danneggiano l’immagine della Sicilia.

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La terza via è la nostra: ti raccontiamo la mafia, le storie di di chi non c’è più, e che merita la nostra memoria, ma anche di chi c’è ancora e combatte la mafia».

Ovviamente lo scopo di Addiopizzo Travel è continuare il percorso avviato da Addiopizzo, mostrando che chi denuncia la mafia, non solo non paga più il pizzo e viene premiato da molti concittadini, ma diventa addirittura possibile tappa di un percorso turistico.

«Il turismo è decisivo in questo perché è misurabile: tutto il nostro fatturato va distribuito in quelle aziende e puoi calcolarlo con esattezza».

Mentre gli ultimi sprazzi di luce ci lasciano chiedo a Dario che rapporto abbia con un altro Ashoka fellow, Vincenzo Linarello, fondatore in Calabria di GOEL: «È un mio mito personale! – risponde accorato – Prima che Addiopizzo travel maturasse, io e il mio socio Edoardo abbiamo incontrato Vincenzo. Ci entusiasmava la sua capacità di creare lavoro in una terra dove la ‘ndragheta è fortissima. La sua esperienza è stata per noi di grande stimolo».
Mi saluta con parole forti, che mi risuonano nella testa: «Addiopizzo ha dimostrato che è possibile apportare un cambiamento, lo ha insegnato a me per primo. Possiamo davvero cambiare le cose, essendo contagiosi con il nostro entusiasmo, cercando di fare rete».

Buon viaggio.Fonte: https://www.italiachecambia.org/2019/11/addiopizzo-travel-viaggio-sicilia-resiste-mafia-io-faccio-cosi-268/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

Thomas Torelli: “Vuoi un altro mondo? Choose Love!”

Un altro mondo, Pachamama, Choose Love. Sono alcuni dei documentari autoprodotti e autodistribuiti del regista Thomas Torelli. I suoi film si muovono tra ricerca del bello, visione ecologica, ricerca spirituale, fisica quantistica. L’obiettivo? Rendere visibile la bellezza del mondo e mostrare che possiamo scegliere il nostro destino. Io e Paolo siamo appena rientrati dal viaggio in Calabria quando, in una caldissima mattinata romana, incontriamo Thomas Torelli nel suo studio vicino alla stazione Trastevere. Prima dell’incontro sono un po’ emozionato. Conosco i suoi documentari e sento da anni parlare di lui ma non ci siamo mai visti di persona. Una volta accomodati e montata la telecamera, l’emozione passa e inizia la chiacchierata. È strano ascoltarlo, perché quando parla del suo lavoro – per molti aspetti – mi sembra di sentire raccontare Italia che Cambia! Nel video qui sotto potete ascoltare la sua storia e scoprire la poetica che lo ha guidato nei sui film degli ultimi anni, da Un altro mondo a Choose Love.

La svolta arriva nel 2011, dopo la morte del padre. Come spesso accade, da una separazione o da un dolore nasce la voglia di un cambiamento. «Così è nato Un altro Mondo – racconta Torelli – un film che ha racchiuso la mia teoria di vita. Era il modo migliore di entrare anima e corpo in questo nuovo percorso. Da qui ho deciso di occuparmi di soluzioni e non di problemi. Oggi le persone conoscono le cose solo da determinati punti di vista. È difficile trovarne altri, se sei preso dall’ipnosi collettiva e non ti fai domande, non vedi che il mondo è molto più vasto». 

Un altro mondo è un film che cerca di raccontare come scienze apparentemente diverse tra loro parlino la stessa lingua o abbiano lo stesso obiettivo, il senso di unione. I film successivi hanno continuato ad approfondire le tematiche di quel film ma in maniera verticale: ogni film una tematica. 

Pachamama è un film che racconta i popoli nativi e la loro visione, il loro concetto di tempo, di noi. Pachamama significa madre terra, e il film vuole sensibilizzare il pubblico sull’importanza della creazione della carta dei diritti della terra, che riconoscere il nostro pianeta come entità viva e quindi difendibile giuridicamente. 

Food Relovution approfondisce l’impatto del nostro cibo sul mondo, approfondendo come ciò che mangiamo può avere una forte influenza sul pianeta, sul benessere della società. È stato anche l’inizio di una rivoluzione alimentare personale. 

Choose love parte da un invito: smettila di avere ragione! Il film “porta a riflettere sul fatto che il nostro punto di vista è determinato dalla nostra scuola, dai nostri genitori, dal quartiere in cui siamo nati, dai nostri amici e che l’altra persona ha un’influenza diversa e quindi un punto di vista diverso sulle cose. Il 90% dei conflitti del mondo è data da questioni di principio… Inoltre questo film è stato anche influenzato dall’incontro di Torelli con Daniel Lumera e dal suo lavoro sul perdono. La scienza dimostra che la nostra salute è influenzata dal nostro stato d’animo, dal modo in cui interagiamo con gli altri, dal nostro modo di affrontare la vita. Ed ecco Choose Love.

Thomas Torelli presenta Choose Love

Un altro mondo, oltre ad avviare il percorso cinematografico appena descritto, è stato una svolta anche da un punto di vista distributivo: il film, infatti, è stato distribuito in maniera autonoma. «L’idea di autodistribuirmi – racconta Thomas – è stata dettata da due fattori: da un lato alcuni miei film precedenti non erano stati pagati da distributori ed editori; dall’altro – molto più importante – mi ero reso conto che c’era una discrepanza tra il modello di distribuzione tradizionale e il vero interesse delle persone. Ero e sono convinto che le persone stiano vivendo un grande momento di risveglio e siano pronte ad affrontare certe tematiche. E se questo era vero, pensavo sarebbe stato vero che se avessi reso il pubblico protagonista della possibile vita del film forse avrebbe avuto un’aurea diversa. È stata una scommessa vinta! Abbiamo dato il film a chiunque lo volesse distribuire; le persone andavano a bussare ai cinema del paese, ai centri culturali, al centro yoga, ai festival… insomma tutti modi che esistono per portare il film e così facendo Un altro mondo è diventato uno dei film più distribuiti di Italia. Parliamo di oltre 500 proiezioni, in 5 anni. A quel punto abbiamo capito che il nostro pubblico, che era diventato protagonista della distribuzione, poteva esserlo anche della produzione! Ed ecco che i nostri film sono stati prodotti grazie a campagne di crowfunding che hanno avuto un successo crescente.
In questi cinque anni di infinita tournée una delle cose che più spesso mi capitava era di trovare persone che mi domandassero: “Thomas, come faccio a rimanere con questo senso di benessere che mi è venuto guardando il film

Non avevo molte risposte, non sapevo come permettere loro di vedere film analoghi. Mi ero reso conto che c’era un totale distaccamento tra ciò che il pubblico chiedeva e ciò che i mass media offrivano e offrono. Pensa che nessuna televisione ha voluto mandare in onda qualcuno dei nostri documentari. E non succede solo a noi. Partecipo a molti festival e vedo documentari stupendi di cui non esiste nemmeno in DVD. Da qui è nata l’idea della televisione!». 

Si chiama UAM TV, acronimo di Un Altro Mondo TV, è una web tv indipendente che si pone l’obiettivo di diffondere documentari, notizie e vari contenuti che propongano modelli culturali e sociali che documentino quella parte di società che si attiva nel proporre un cambiamento costruttivo. Abbiamo trattato l’argomento in un articolo e in un video precedenti. Quello che accomuna il lavoro cinematografico di Torelli, con questa nuova televisione e con la proposta informativa di Italia che Cambia è senz’altro la ricerca della bellezza. «La bruttezza influenza la vita delle persone – conclude Thomas – le convince che il mondo è un posto brutto. Se tu ti focalizzi su un problema questo si amplifica; ma se il problema diventa un modo per trovare nuove soluzioni, metterti in gioco, tutto cambia! Si può essere felici se si vuole, con piccole scelte quotidiane. Proviamo a mostrare il bello che c’è! Il cinema può aiutare in questo percorso». 

Intervista: Daniel Tarozzi

Riprese e montaggio: Paolo Cignini Fonte: http://www.italiachecambia.org/2019/08/thomas-torelli-vuoi-un-altro-mondo-choose-love-io-faccio-cosi-258/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni

Roma, i rifiuti e noi

Partendo dall’emergenza rifiuti, che è da tempo una costante per Roma e altre città, Mariella Lancia riflette sul nostro modo di gestire anche le nostre scorie interiori, oltre a quelle materiali. In che modo potremmo prevenire l’impatto distruttivo di eventi esterni cominciando a guardarci dentro e a trasformare noi stessi?

Ciclicamente un popolo, una parte del mondo, un gruppo o anche solo un individuo si fan e “manifestatore” di un male dell’umanità. È come se per un misterioso atto sacrificale qualcuno si facesse carico di una carenza, di una incapacità che viene posta sotto una lente di ingrandimento in modo che attraverso lo choc che questo evento provoca – soprattutto oggi attraverso l’esposizione mediatica – si possa prendere coscienza di qualcosa di cui tutti, seppure in gradi diversi, siamo portatori. E cominciamo a interrogarci, a cercare soluzioni e forse ad apprendere qualche lezione. I piromani inceneriscono boschi e pinete. Adolescenti annoiati ammazzano di botte un ignaro pensionato. Una nave vaga nel Mediterraneo per 17 giorni col suo penoso carico di migranti senza che un solo porto le dia il permesso di attraccare. Crollano ponti. Allora ci si agita, si va in piazza a protestare, si condanna, si aprono inchieste, si fanno in fretta e furia nuove leggi. Raramente ci si ferma a riflettere su di noi, su che cosa questi eventi rispecchino di noi stessi, come individui e come gruppo umano.

Prendiamo l’ “emergenza spazzatura”. Quale può essere la lezione dei rifiuti? A me pare che questa “emergenza rifiuti” che ricorrentemente affiora e mette in crisi, ci parli della nostra incapacità di gestire non solo le scorie materiali (di questo stanno parlando tutti), ma anche quelle psichiche. Della nostra poca dimestichezza, per esempio, con stati mentali che consideriamo negativi e di cui vogliamo liberarci al più presto: come la sofferenza, l’incertezza, la frustrazione, la tristezza, la noia, la paura, la rabbia. Oppure con situazioni difficili come fallimenti, errori, conflitti. Della nostra incompetenza nell’analizzare questi stati e questi eventi, per vedere quanto c’è di utilizzabile (per conoscerci meglio, per la nostra crescita interiore, per produrre pensiero, poesia, arte, condivisione…) e quanto di questa materia prima possa, quindi, essere estratto e trasformato. Ci siamo costruiti delle sane discariche per le nostre emozioni disturbanti? O le scarichiamo fuori dalla nostra porta, sul primo malcapitato passante? Abbiamo delle strutture per trasformarle in fertilizzanti e in energie alternative? O le lasciamo accumulare a casaccio, fino a esserne sopraffatti, a volte fino ad esplodere, con effetti distruttivi su noi stessi e sugli altri?  Sentiamo ad esempio cosa dice Gandhi, nella sua autobiografia, a proposito della rabbia: “Ho imparato la lezione suprema di non sopprimere la mia rabbia, ma di conservarla e come il calore conservato si tramuta in energia così la rabbia conservata e controllata si tramuta in un potere che può cambiare il mondo”.

Può darsi che per diventare abili nella trasformazione delle energie fisiche occorra iniziare imparando a trasformare le energie emotive e mentali. Che ne direste di avviare riflessioni simili anche su altri “eventi specchio” come quelli prima elencati ? Di che cosa potrebbero essere il “correlativo oggettivo” gli incendi dolosi, le “morti bianche”, l’emergenza migranti, le risse dei tifosi, i crolli di ponti e di edifici.? In che modo potremmo prevenire o almeno diminuire l’impatto distruttivo di eventi come questi cominciando a guardarci dentro e a trasformare noi stessi? Anche questo può essere l’Italia che cambia.

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2019/07/roma-rifiuti-e-noi/

Un erasmus per imparare il futuro: Italia e Germania si incontrano

Grazie ad un progetto di interscambio che ha unito Inwole e Italia che Cambia abbiamo avuto la possibilità di vivere, come organizzatori e formatori, una settimana di condivisione con un gruppo di tedeschi giunti dalla Germania per conoscere e sperimentare l’Italia in cambiamento verso un futuro più sostenibile. Sostenibilità, educazione, connessione, rete. Sono questi gli elementi chiave dell’incontro residenziale che si è tenuto dal 22 al 28 aprile tra Firenze, Umbria e Bologna. L’occasione un progetto Erasmus+ per attività di mobilità per l’educazione degli adulti dal titolo “Lernen für die die Zukunft” (“Imparare per il futuro”) che ha unito due realtà già connesse: Inwole e Italia che Cambia.

Il gruppo a Panta rei, sul lago Trasimeno, dove ha trascorso tre giorni di lavoro e condivisione

Questo progetto di interscambio tra attori e formatori del cambiamento, italiani e tedeschi, ha infatti già forti radici. Luca Asperius, tra i fondatori di Italia che Cambia e responsabile dei nostri portali territoriali, berlinese d’adozione da quasi 10 anni, ha realizzato insieme ad Alexandre Schütze e Hannes Gerlof, due portali sul modello di quello italiano già attivo in Piemonte, uno dedicato a Berlino e uno dedicato alla regione del Brandeburgo.  

“La collaborazione con Inwole è ormai attiva e ben strutturata da diversi anni, da quando è stato lanciato il portale regionale Brandenburg im Wandel – racconta Luca – In particolare poi insieme a loro abbiamo avuto la possibilità di presentare nel 2017 qui in Germania alcune storie del cambiamento italiano, sottotitolando in tedesco alcuni dei video di Italia che Cambia, e di presentare Italia Che Cambia insieme a Daniel e Andrea. La cooperazione nel progetto Erasmus+ è stata quindi un’evoluzione naturale della collaborazione”. 

Inwole è un’associazione molto attiva a Potsdam (Brandeburgo). Le principali aree su cui si muove il progetto sono la formazione, il lavoro creativo e artigianale, l’economia solidale, la mobilità, l’educazione alla sostenibilità, i progetti antirazzisti e di cooperazione internazionale, così come progetti di integrazione. Tra i membri dell’associazione ci sono molti abitanti del progetto di cohousing Projekthaus, dove ha sede l’associazione e vengono svolte la maggior parte delle attività, negli spazi e nei laboratori della struttura, un luogo per l’implementazione pratica delle alternative sociali in cui iniziare a rendere possibile la convivenza sociale e una società di solidarietà.

A Perugia, guardando gli orti sinergici

Un laboratorio di sperimentazione proprio come lo è stato per tutti noi anche questa prima esperienza insieme in Italia, in cui mi sono trovata insieme ad Andrea Degl’Innocenti e Luca Asperius nel doppio ruolo di organizzatrice e formatrice. È sempre una grande ricchezza il confronto, la condivisione di strumenti, la convivenza, soprattutto in un gruppo così eterogeneo per età, con persone afferenti a progetti ed ambiti di interesse diversi, con aspettative differenti. Parte del cammino sta nel sintonizzarsi, nel riscoprire gli elementi di coesione sui quali convergere e nel mettersi in gioco nella diversità. 

“In generale sono molto contento, soprattutto in virtù del fatto che era la prima volta che organizzavamo un corso-viaggio del genere (anche se a livello italiano abbiamo comunque accumulato una discreta esperienza con i nostri corsi) – continua Luca – È stata sicuramente un’esperienza molto intensa, anche impegnativa dal punto di vista della logistica e dell’organizzazione e per quanto mi riguarda personalmente dell’interpretazione, essendo io l’unico o quasi del gruppo a parlare sia italiano che tedesco. Anche i feedback dei partecipanti sono stati molto positivi, in particolare riguardo alle uscite didattiche che abbiamo potuto organizzare con i progetti della nostra rete”. 

Oltre a tre giorni intensivi di lavoro insieme a Panta Rei, sul lago Trasimeno, i 15 partecipanti tedeschi hanno avuto infatti l’opportunità di incontrare alcuni progetti nelle città che abbiamo attraversato, dai quali trarre ispirazione e spunti per il lavoro che abbiamo portato avanti nei vari gruppi di lavoro.

Antonio di Giovanni presenta Funghi espresso (Firenze)

E proprio da questi incontri sono forse arrivate anche per noi le sorprese più interessanti. “Tra le tante cose forse quella che mi ha colpito di più è stata l’accoglienza e la disponibilità da parte dei progetti italiani che abbiamo scelto di visitare, segno anche del grande lavoro che stiamo portando avanti come Italia Che Cambia anche dal punto di vista delle relazioni umane”, prosegue Luca. “Anche se eravamo noi a condurli alla scoperta di città, progetti e persone, sono io per primo ad aver scoperto nuove cose o nuovi aspetti di storie che conoscevo già e che avevamo raccontato su Italia che Cambia”, aggiunge Andrea. C’è sempre un fattore di scoperta possibile e su questo si è giocato tanto di questo primo incontro intensivo che ripeteremo, forti di ciò che ci ha entusiasmato e di ciò che sarebbe potuto andare meglio, a fine settembre. Intanto abbiamo tessuto relazioni, approfondito progetti, acquisito nuovi strumenti e competenze, e gettato le basi concrete di uno scambio più forte tra la Germania e l’Italia in Cambiamento (ma questo lo scoprirete presto…).

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2019/05/erasmus-per-imparare-futuro-italia-germania-si-incontrano/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni