Hollawint: la rivoluzione creativa delle donne di Malles che ha fermato i pesticidi

La volontà e la creatività tipicamente femminili sono forse le sole forze in grado di opporsi all’avanzata di una nube tossica verso gli incontaminati prati dell’Alta Val Venosta. Così le donne di Malles, grazie al movimento Hollawint, combattono i pesticidi, gli interessi economici e le grandi monocolture intensive. La redazione di NOWA, partner di Italia Che Cambia nel territorio altoatesino, ha incontrato Martina Hellrigl, una delle promotrici del progetto.

BolzanoTrentino Alto Adige – C’è un Comune in Alto Adige che è noto non solo per la sua bellezza, il suo folclore e le sue specialità, ma anche per il coraggio delle sue cittadine e dei suoi cittadini. Molti conoscono già la loro storia, che ha fatto il giro del mondo. Noi vogliamo raccontarvela da un punto di vista meno conosciuto, ma genuino. Abbiamo un appuntamento a Malles con Martina Hellrigl, imprenditrice sociale e mamma. Malles è un paesino dalle cui stradine svettano tre campanili romanici e una torre medievale, circondato da ghiacciai e dalle più alte montagne delle Alpi orientali. Nella piazza di paese si trova anche la farmacia di Johannes Unterpertinger, uno dei primi e più energici promotori della rivoluzione di Malles, che ancora oggi informa, fa rete e attiva attraverso le pagine di La Via di Malles.

Seguiamo le indicazioni di Martina e ci troviamo di fronte a delle bellissime mura medievali, dalle quali spuntano diversi alberi da frutto di varietà antiche e una casa sull’albero di legno per bambini: lei abita qui. Martina ci accoglie insieme alla sua amica Evelyne e ci mette a nostro agio nel suo hoangart, il giardino cinto.

Martina, ci racconti come è iniziata la vostra storia?

Quando sono tornata da Zurigo con la mia famiglia, con i bambini molto piccoli, non lavoravo e non conoscevo nessuno qui. Sono andata a un incontro di paese e ho avuto modo di ascoltare un agricoltore di erbe aromatiche biologiche raccontare di come accanto al suo campo avessero piantato le mele e poco dopo, a un controllo, le sue erbe fossero risultate contaminate da pesticidi, così che non poteva più farle certificare. Qualche mese dopo, trasferita la sua attività in un campo più lontano, di li a poco si ripeté la stessa cosa. Questo fece scattare qualcosa dentro di me, non riuscivo a darmi pace, mi sembrava profondamente ingiusto. Venni a sapere che c’erano diversi gruppi di persone che si occupavano di questo problema da anni, ma avevano difficoltà a comunicare con la popolazione. Ci pensavo in continuazione, ma in paese l’argomento era tabù. La gente non ne parlava apertamente, anche se si sapeva che la stragrande maggioranza degli abitanti di Malles temeva l’arrivo delle monocolture di mele e delle nubi di pesticidi che esse portavano con loro. Era una questione delicata che toccava gli interessi di alcuni e le paure di altri e minacciava l’equilibrio e le relazioni all’interno della comunità.

Come avvenne l’incontro con le tue compagne di avventura?

Un giorno andai dalla parrucchiera del paese, Beatrice. Facemmo amicizia e le raccontai cauta della mia preoccupazione. Trovandola d’accordo le proposi l’idea di scrivere una lettera al giornale locale Vinschger Wind. Lei conosceva il caporedattore, che ci sostenne, e così stamparono la prima di una serie di lettere nelle quali ci esprimevamo contro le monoculture di mele che avanzavano per conquistare, dopo la Bassa Venosta, anche l’Alta Val Venosta, la nostra casa.

Quello che la maggior parte degli abitanti di Malles pensava era improvvisamente lì, nero su bianco, e dal salone di Beatrice si diffondeva. E allora arrivò Pia, che voleva aiutare a fermare quei meleti. E poi arrivò Margit, poi Evelyne e ancora un’altra e poi ancora un’altra e all’improvviso eravamo tante, tutte donne: non era previsto, ma era così ed era bello.

[Martina sorride divertita mentre racconta, con un tono così caldo e confidenziale che pare di conoscerla da sempre]. Cosa avete fatto a quel punto.

Ci siamo incontrate tutte e ci siamo chiamate Hollawint. Volevamo che le nostre parole diventassero visibili. Ma non volevamo che fossero parole “contro”, che aggredissero, ma che spiegassero, che invitassero, parole che comunicassero la nostra idea di una Malles sana e sicura per tutti. Abbiamo stampato le nostre idee su pezzi di stoffa e vecchie lenzuola: “Un Comune libero da pesticidi”, “una casa sana per le persone, le piante e gli animali”, “un paesaggio senza pesticidi per noi e per i nostri ospiti”.

Li abbiamo messi a disposizione di chi li volesse appendere e nel giro di una serata erano stati portati via tutti. Il giorno dopo Malles si è svegliata vestita di quelle parole di speranza, le stoffe erano appese dappertutto e davano forma a quella visione: la visione di una comunità. Insieme alle altre associazioni e ai gruppi di lavoro di tutti i paesi del territorio comunale, abbiamo deciso di organizzare un referendum popolare: per dire “sì” a quella visione di un Comune libero da pesticidi.

Come andò la campagna?

In occasione della presentazione della petizione referendaria presso l’ufficio comunale, abbiamo organizzato una colazione pubblica per promuovere il referendum e per parlare con i partecipanti di cosa avrebbe significato per tutti noi, per le nostre attività, per i nostri bambini e i nostri cari, se non avessimo fermato l’avanzata di quei meleti. Sui nostri tavoli c’erano solo prodotti a km0 di produttori dell’Alta Val Venosta, perché volevamo mostrare quanta ricchezza c’era da proteggere, quanta biodiversità, quanti tesori. Volevamo ricordare anche a noi stesse che abitavamo un paradiso di cui essere orgogliose. Seguirono altre colazioni e ogni settimana erano sempre più frequentate. C’era un’atmosfera di partecipazione, c’erano orgoglio e coraggio. Abbiamo organizzato molte altre iniziative creative. Un giorno a una di noi venne l’idea di riempire delle tute bianche protettive con della paglia per farci delle figure a grandezza umana, con maschere antigas e la scritta “SÍ! a un Comune libero da pesticidi”. Le abbiamo messe in tutto il Comune in un giorno di mercato, all’entrata delle istituzioni, sui gradini delle piazze. Un altro giorno quel “SÍ!” lo abbiamo dipinto su grandi girasoli di legno colorato che abbiamo sparso per le strade, per i vicoli, davanti alle porte delle case. Era un “SÍ!” meraviglioso e pieno di forza. Era un SÍ! che non era più un segreto, ma era sulla bocca di tutti, davanti agli occhi di tutti e in tutti i cuori. A fine agosto 2014, 2477 cittadine e cittadini decisero con il 76% di voti favorevoli di bandire i pesticidi dal territorio comunale di Malles introducendone il divieto all’interno dello Statuto.

A cosa ha portato quella votazione?

Ci sono state e ci sono ancora alcune difficoltà, il referendum non è ancora stato attuato. Ma abbiamo continuato a far sentire la nostra presenza. Quello che prima era un tabù ora era un tema caldo non solo qui, anche nel resto d’Italia, in Germania, in tutto il mondo. Avevamo toccato un nervo scoperto perché allo stesso tempo il dibattito sui pesticidi e le monocolture era già divampato in molti luoghi. Grazie a questa esperienza, grazie al cammino che abbiamo fatto insieme, molte persone hanno cambiato il loro modo di pensare.

La gente non ne parlava apertamente, anche se si sapeva che la stragrande maggioranza degli abitanti di Malles temeva l’arrivo delle monocolture di mele e delle nubi di pesticidi che esse portavano con loro

Ora i prodotti biologici sono molto più richiesti di prima, molti agricoltori sono passati al biologico e molte persone comprano direttamente da loro. Il referendum ha portato a molte altre lotte, anche in tribunale. Alcuni agricoltori hanno chiesto l’intervento dell’Associazione degli Agricoltori e hanno fatto causa ai promotori del referendum. Poi hanno fatto causa ad altre associazioni e istituzioni che sostengono Malles. I processi sono ancora in corso. Ma anche noi siamo andate avanti. Abbiamo fondato la cooperativa sociale Vinterra. Con questa cooperativa affittiamo la terra che vogliamo proteggere. La usiamo bene. Abbiamo già 4,5 ettari tra Malles e Glorenza che coltiviamo con metodo biologico, impegnando persone con difficoltà, donando speranza, producendo cibo buono e sano, rigenerando la terra, creando valore.

Fonte: https://www.italiachecambia.org/2022/03/hollawint-malles-pesticidi/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

Approvata la legge sul biologico, ma bisogna fare di più contro i pesticidi

Pochi giorni fa il Senato ha compiuto un passo importante verso la riduzione dell’enorme impatto ambientale della filiera agricola italiana approvando la legge sul biologico. Eppure, come sottolinea il WWF in questa analisi, la strada verso una sostenibilità reale è ancora lunga e passa prima di tutto attraverso un piano di gestione dei pesticidi attuale ed efficace.

Il Senato ha finalmente approvato la Legge sul biologico mettendo a disposizione delle aziende agricole e delle imprese agroalimentari un importante strumento per raggiungere gli obiettivi delle Strategie UE Farm to Fork e Biodiversità 2030. Adesso serve una rapida approvazione del Piano di Azione Nazionale per l’uso sostenibile dei prodotti fitosanitari, coerente con gli obiettivi della nuova Legge sul biologico, per tutelare tutte le produzioni dalle contaminazioni accidentali. La Legge nazionale “Disposizioni per la tutela, lo sviluppo e la competitività della produzione agricola, agroalimentare e dell’acquacoltura con metodo biologico” è stata definitivamente approvata ieri con il voto del Senato a larghissima maggioranza, dopo anni di incomprensibili polemicheL’Italia si è così dotata di un importante strumento normativo che faciliterà il compimento degli obiettivi europei, ovvero raggiungere il 25% della superficie agricola europea certificata in biologico, ridurre l’uso del 50% dei pesticidi in agricoltura e degli antibiotici negli allevamenti e del 20% dei fertilizzanti chimici, entro il 2030.

Gli obiettivi dell’aumento delle superfici certificate in biologico e la riduzione dell’uso dei pesticidi sono tra loro sinergici

Con la bozza del Piano Strategico Nazionale della PAC post 2022, trasmesso alla Commissione Europea il 31 dicembre scorso, l’Italia ha fissato al 30% il suo obiettivo per l’agricoltura biologica al 2030 (anticipando al 2027 l’obiettivo del 25%). L’Italia è oggi uno dei maggiori produttori, trasformatori ed esportatori di prodotti biologici in Europa, con il 15,8% della superficie agricola utilizzata certificata in biologico e con un aumento nel 2020 del 4% dei consumi delle famiglie di prodotti biologici, incremento che sale al 10% nel settore della ristorazione e all’11% per le sole esportazioni all’estero.

La nuova Legge sul biologico prevede importanti strumenti per consolidare ulteriormente questa posizione, ad iniziare dall’adozione del Piano di Azione Nazionale per il biologico, dal marchio del biologico “Made in Italy” e dalla creazione dei distretti territoriali del biologico. Per rendere rapidamente operativi questi strumenti servirà adesso il massimo impegno del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali. Ma è necessario anche adottare altri strumenti strettamente connessi alla piena e corretta attuazione della nuova Legge, come il nuovo Piano di Azione Nazionale per l’uso sostenibile dei prodotti fitosanitari (PAN Pesticidi), scomparso dai radar dopo che il vecchio Piano è scaduto dal febbraio 2019. L’articolo 13, comma 2, della nuova Legge sul biologico prevede espressamente che gli agricoltori convenzionali che operano all’interno dei distretti biologici devono adottare le pratiche necessarie per impedire l’inquinamento accidentale delle coltivazioni biologiche, un principio che secondo il WWF dovrebbe essere esteso a tutto il territorio nazionale perché è assurdo che le produzioni biologiche siano soggette al rischio di contaminazioni accidentali da parte degli agricoltori che utilizzano pesticidi.

La bozza del nuovo PAN Pesticidi attribuisce ancora agli agricoltori biologici l’onere della tutela delle loro produzioni dall’inquinamento proveniente da campi limitrofi coltivati con metodi convenzionali e prevede distanze di sicurezza per i trattamenti fitosanitari non adeguati a garantire la massima tutela dalla deriva delle sostanze chimiche contaminanti. Per questo Il WWF chiede ai Ministeri competenti (Agricoltura, Transizione Ecologica e Salute) l’aggiornamento del nuovo PAN Pesticidi, che recepisca quanto previsto dalla Legge sul biologico estendendo il principio della tutela a tutte le aziende biologiche, non solo per quelle ricomprese nei territori dei distretti biologici, insieme all’obiettivo generale della riduzione del 50% dell’uso dei pesticidi entro il 2030. Gli obiettivi dell’aumento delle superfici certificate in biologico e la riduzione dell’uso dei pesticidi sono tra loro sinergici e vanno perseguiti con un PAN Pesticidi coerente ed efficace. L’Italia ha oggi tutte le carte in regola per poter giocare a livello europeo un ruolo di capofila della transizione ecologica dell’agricoltura, acquisendo anche un indubbio vantaggio competitivo nei mercati agro-alimentari a livello globale. Per poter cogliere tutte le opportunità offerte dalla nuova Legge sul biologico servono però coerenza ed una maggiore determinazione nel perseguire tutti gli obiettivi delle Strategie UE Farm to Fork e Biodiversità 2030.

Fonte: https://www.italiachecambia.org/2022/03/approvata-legge-sul-biologico/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

Il coronavirus esiste, ma anche l’ipocrisia e grandi interessi

Ve lo immaginate se all’uscita di un supermercato vi fermasse una guardia privata e vi intimasse: “Alt! Cosa ha comprato?”. E alla vista di cibi spazzatura vi comminasse multe salate? Non lo accettereste. Ma vediamo quale parallelo si può trarre…

Ve lo immaginate se all’uscita di un supermercato vi fermasse una guardia privata e vi intimasse: “Alt! Cosa ha comprato?”. E alla vista di cibi e bevande frutto di lavorazione con pesticidi, concimi chimici, erbicidi, funghicidi, zuccheri e grassi a non finire, cibi ricavati da animali costretti in allevamenti intensivi quindi inquinati e inquinanti, e poi coloranti, conservanti artificiali e schifezze di ogni tipo, vi comminasse delle multe salate? E alle vostre rimostranze la guardia vi dicesse che lo fa per la vostra salute? In caso le vostre proteste continuassero, vi citerebbe il DPCM ad hoc, redatto dal governo proprio in tema di salvaguardia della salute. E se continuaste a protestare invocando la vostra libertà, vi direbbe che la vostra e altrui salute è più importante della vostra libertà. Quindi conseguentemente chiamerebbe le forze dell’ordine e vi farebbe arrestare. E agire in questo modo non significherebbe impedire una libera scelta di farsi del male, per la quale ognuno potrebbe scegliere liberamente di rovinare la propria salute, perché comprare cibi e bevande avvelenate avvelena anche la terra, l’aria e l’acqua di tutti, quindi di conseguenza la salute di tutti. Sareste d’accordo che ci fosse una guardia che facesse questo? Ovviamente no; eppure è quello che si sta facendo per il coronavirus. Ci dicono che se ci privano della libertà, se ci fanno le multe, lo fanno per la nostra salute, per il nostro bene. Ma come mai la nostra salute e il nostro bene vengono considerati solo per questo caso? La salute si preserva solo quando si presenta un coronavirus? Per caso il coronavirus detiene il copyright della salvaguardia della salute? Tutti gli altri pericoli e attentati per la nostra salute non contano?

Qui non si tratta di essere pro o contro i vaccini, pro o contro la scienza, pro o contro la medicina o il progresso; qui si tratta (se ancora ci si può permettere di esprimere un pensiero critico…) di ipocrisia e interessi che fanno agire in un senso piuttosto che in un altro. Non è per niente credibile che la salute sia da preservare “a seconda dei casi”. La salute è una sola e la si preserva e difende sempre; se non si agisce così è evidente che c’è qualcosa che non torna. Ma parliamoci chiaro: chi decide politicamente le nostre sorti si è sempre interessato poco o niente della nostra salute, altrimenti saremmo in un società dove l’inquinamento di ogni tipo non esisterebbe. Della salute propria e altrui interessa poco o niente anche a coloro che oggi si sentono investiti del ruolo di fustigatori di chiunque si chieda il perché la salute abbia importanza solo in alcuni casi e in altri no. Infatti capita che gli stessi fustigatori possano essere persone che inquinano a più non posso, mangiano male, bevono, fumano, vivono in modo impattante e così facendo devastano la propria e altrui salute. Ma improvvisamente hanno trovato il modo per raccontarci che ora “fanno del bene”. E non c’è nemmeno bisogno di fare la lunghissima e tristissima conta delle centinaia di migliaia di morti che ci sono in Italia per tante altre cause oltre i virus. Ci stiamo suicidando, ce lo certifica pure l’ONU (e in questo caso non fa nessun riferimento al coronavirus, bensì all’inquinamento, alla distruzione ambientale e ai cambiamenti climatici). E stiamo parlando dell’ONU, non di qualche “estremista”. Ma in questo caso, anche se lo dice l’ONU, stranamente è scienza che non conta, non ha il bollino blu del corona virus, quindi la notizia non la passano nemmeno in quarta serata, non ha appeal, non produce audience e interessi, quindi è scienza e salute che non esiste. Il problema non è se il coronavirus esista o meno, e su questo portale di informazione mai nessuno lo ha messo in dubbio; il coronavirus esiste ma gli effetti che produce sono molto minori rispetto al vero flagello che è quello di una totale, vergognosa, tragica ipocrisia che ci sta portando all’autodistruzione e per la quale esiste la salute di serie A, che tanti soldi fa fare a certe aziende, e la salute di serie Z, che tanto male fa alla gente ma di cui non interessa niente a (quasi) nessuno. La credibilità di coloro che per la salute hanno fatto poco o niente e hanno pure distrutto la sanità pubblica è zero. Ma ora si scagliano contro gli “assembramenti” e le “festicciole” per sviare l’attenzione sulle loro gravissime responsabilità. E sono gli stessi che parlano di salute ma buttano soldi pubblici, in primis per comprare armamenti costosissimi; con quei soldi la sanità la si risanava tutta e ora non ci sarebbero stati alibi con cui tentare di giustificare la privazione della libertà per gli italiani. Si continuano a buttare soldi per fare il TAV, il TAP, per tenere aperto il mostro dell’Ilva di Taranto, per costruire ancora autostrade in un paese già asfissiato da ogni tipo di inquinamento. Si continua a cementificare ovunque, costruendo opere faraoniche che diventeranno le solite cattedrali nel deserto. Si sprecano miliardi di euro da anni nel tenere in vita la compagnia di bandiera del mezzo di trasporto più inquinante che esista, cioè l’aereo. Si sovvenzionano e agevolano in tutti i modi i combustibili fossili, autentici e assoluti protagonisti della catastrofe sanitaria. E con tutto questo, e purtroppo tanto altro ancora, ci vogliono far credere che qualcuno si preoccupa della nostra salute? La situazione descritta è sotto gli occhi di tutti quotidianamente ed è un dato oggettivo incontrovertibile, a prescindere da qualsiasi altra considerazione su medicina e scienza. Quando chi parla della salute salvaguarderà veramente la salute, quindi innanzitutto l’ambiente, allora sarà credibile. Fino a quel momento non avrà alcuna credibilità, solo molti scheletri nell’armadio.

Fonte: ilcambiamento.it

Una specie che si autodistrugge in nome di una “scienza” distorta non è intelligente

Il libro “Cibo e salute”, che vede tra gli autori anche Vandana Shiva e Franco Berrino, edito dalla casa editrice Terra Nuova, è un libro completo per quello che riguarda dati e possibili soluzioni circa l’impatto che ha l’agricoltura industriale sul pianeta e sulla salute delle persone.

Il libro “Cibo e salute”, che vede tra gli autori anche Vandana Shiva e Franco Berrino, edito dalla casa editrice Terra Nuova, è un libro completo per quello che riguarda dati e possibili soluzioni circa l’impatto che ha l’agricoltura industriale sul pianeta e sulla salute delle persone. Con documentazioni precise, studi e esperienze pratiche si dimostra l’assoluta insostenibilità e pericolosità di un sistema come quello dell’agrobusiness che non ha altro scopo che fare soldi attraverso il cibo, scopo da raggiungere con ogni mezzo. Da un simile obiettivo  la qualità dello stesso cibo e le conseguenze sulla terra non possono che essere devastanti per persone e ambiente. Ed in tempi di pandemie vere o presunte, è interessante notare come la stessa OMS definisce le malattie non trasmissibili come la nuova epidemia globale

Ma diamo alcuni dati ed esempi tratti dal libro che rendono bene la situazione.

Cibo, malattie e agroindustria

«Come dicevano gli antichi Veda: “In questa manciata di terra c’è il tuo futuro. Prenditene cura ed essa ti sosterrà e ti darà cibo, vesti, riparo e bellezza. Distruggila ed essa ti distruggerà”».

«L’industria agrochimica e l’agrobusiness, l’industria del cibo spazzatura e quella farmaceutica ottengono grandi profitti, mentre la natura, le nazioni e le popolazioni diventano sempre più deboli e malate».

«Quando tutto il sistema dell’agroindustria assume una posizione di dominio, cominciano a diffondersi su larga scala malattie croniche  legate all’alimentazione. I nativi americani chiamano questo fenomeno powaqqatsi “un essere, uno stile di vita, che consuma le forze viventi a proprio vantaggio esclusivo”».

«Il cibo che si ottiene usando sostanze chimiche rovina la salute in tre modi. Prima di tutto, contribuisce alla fame e alla malnutrizione perché si concentra su poche materie prime, gran parte delle quali è destinata a diventare biocarburante e mangime per animali. E’ ciò che accade al 90% del mais e della soia, che non va ad alimentare gli esseri umani. Solo il 30% del cibo che mangiamo proviene  dalle grandi aziende agricole industriali. Il 70% proviene da piccole fattorie che usano solo il 20% della terra agricola. In secondo luogo, poiché l’agricoltura industriale produce monoculture uniformi e omogenee, contribuisce alla diffusione delle malattie correlate alla carenza di nutrienti vitali e variati nella nostra dieta».

«Il terzo punto riguarda le sostanze chimiche usate in agricoltura, che penetrano nel nostro cibo e contribuiscono all’insorgere di malattie come il cancro. Sono state create per uccidere e continuano ad uccidere».

«Le malattie non trasmissibili causano il 70% dei decessi a livello mondiale, per un totale di 40 milioni di morti all’anno, di cui circa 15 milioni di età inferiore ai 70 anni. Le principali malattie non trasmissibili  comprendono le malattie cardiovascolari, il diabete, i tumori e le malattie respiratorie croniche . Gran parte delle malattie non trasmissibili  sono legate alla dieta e causate da fattori biologici di rischio quali:pressione sanguigna, zucchero nel sangue, lipidi nel sangue e grasso corporeo, aterosclerosi dei vasi sanguigni, trombosi».

«In Italia ci sono 365 mila diagnosi di tumori in Italia in anno, esclusi quelli della pelle. 1000 al giorno».

«La stessa manciata di multinazionali vende sia le sostanze agrochimiche tossiche per l’agricoltura industriale, che compromettono la salute, sia i prodotti farmaceutici pensati con lo stesso paradigma per somministrarli alle persone che si ammalano».

Pesticidi

«Un cittadino medio ha in corpo dalle 300 alle 500 sostanze chimiche in più rispetto a 50 anni fa».

«In particolare, il cervello in via di sviluppo è estremamente sensibile e i pesticidi sono tra le cause più importanti di quella che si può definire una “pandemia silenziosa”».

«L’ammasso di animali, spesso provenienti da varie parti del mondo per ricostruire la scorta delle stalle, può creare una bomba ecologica considerando che i virus  di cui sono portatori, modificati dalle molecole chimiche presenti nei vari medicinali, possono dar vita, attraverso ignote ricombinazioni, a imprevedibili e devastanti epidemie».

«Il paradigma industriale agricolo, ancora oggi dominante e radicato nell’ideologia meccanicistica e riduzionista, non è in grado di affrontare l’attuale crisi sanitaria che ha contribuito a creare, poiché occuparsi dei legami fra cibo e salute è inconciliabile con i suoi principi essenziali».

Agroindustria e ambiente

«Quasi il 50% dei gas di serra è prodotto dall’agricoltura industriale e globalizzata».

«Globalmente l’agricoltura industriale è responsabile per il 75% della distruzione ecologica della biodiversità, terra e acqua, e contribuisce al 50% delle emissioni di gas di serra che causano inquinamento atmosferico e caos climatico. Quasi il 75% delle malattie croniche non trasmissibili è correlato al cibo».

Distruzione di cultura e biodiversità

«La sostituzione e lo sterminio delle cultura va a braccetto con lo sterminio e l’estinzione della biodiversità delle piante. Le specie sono spinte all’estinzione una velocità 100 – 1000 volte superiore al normale».

«In agricoltura il 93% della biodiversità vegetale è scomparsa. Le piante come gli esseri umani, sono manipolate violentemente per il profitto dell’1% degli uomini».

«Il 75% della diversità genetica è scomparso in soli cento anni. Dalle diecimila specie originarie, oggi si è arrivati a coltivarne poco più di 150 e la stragrande maggioranza del genere umano si ciba di non più di dodici specie di piante».

«Nel 2016 il mercato mondiale di semi, con un giro di affari di miliardi di dollari, risultava per il 55% nelle mani di cinque grandi multinazionali, in confronto al 10% del 1985, alcune delle quali controllano contemporaneamente una altro mercato multimiliardario, cioè quello dei pesticidi (erbicidi, insetticidi e anticrittogamici)».

«A causa del sistema produttivo industriale, le colture dal dopoguerra ad oggi, hanno perso il 25/70% delle loro sostanze nutritive».

Chi sono i veri scienziati

«Un agricoltore conosce i suoi semi, la sua terra, i suoi prodotti, gli aniamli, gli alberi, le stagioni, la comunità.  E’ quindi uno scienziato».

«In realtà, tutta l’agricoltura  tradizionale e la selezione delle sementi poggiano sul sapere dei contadini. Il sistema industriale ha da offrire solo veleni all’agricoltura».

«Una nonna, una madre, una ragazza che sanno come trasformare il cibo proveniente dai nostri campi in un pasto delizioso e nutriente sono scienziate dell’alimentazione. Un medico ayurvedico è uno scienziato, così come lo sono i popoli indigeni  e le donne. Incarnano il sapere interattivo e dinamico. Il loro sapere è la capacità di vivere nell’unità, sapendo che siamo uno. Gli insegnamenti di un universo interconnesso, vibrante  e abbondante, si ritrovano nelle culture indigene, oltre che in tutti gli insegnamenti spirituali».

L’agricoltura biologica conviene a tutti

«I redditi netti degli agricoltori che praticano l’agricoltura biologica aumentano ulteriormente perché è eliminato, evitato e risparmiato l’uso di apporti esterni costosi, come semi , fertilizzanti, pesticidi e irrigazione intensiva. Se consideriamo il beneficio netto per la società, oltre al reddito degli agricoltori, l’agricoltura biologica si dimostra ancora di molto superiore all’agricoltura convenzionale».

Chi sfama davvero il mondo

«L’agricoltura industriale, nonostante l’ingente consumo di risorse, non è in grado di garantire la sicurezza alimentare dei popoli. Al contrario la maggior parte del cibo che mangiamo è ancora prodotta da piccoli e medi agricoltori, mentre la stragrande maggioranza delle colture provenienti dal settore industriale, come mais e soia, è utilizzata principalmente come mangime per gli animali o per produrre biocarburanti».

«La pretesa che l’agricoltura industriale sia necessaria a risolvere il problema della fame nel mondo è totalmente priva di fondamento, oltre che smentita nei fatti».

«I piccoli agricoltori sono in proporzione più produttivi delle grandi aziende industriali: pur avendo a disposizione solo il 25% della terra arabile, riescono a fornire il 70% del cibo a livello mondiale».

«La presunta  maggiore produttività dell’agricoltura industriale richiede una quantità di input dieci volte superiori in termini di energia rispetto a quanto produca successivamente in termini di alimenti. Il sistema agricolo industriale ha dunque una produttività negativa, e non potrebbe sostenersi senza le enormi sovvenzioni pubbliche».

Il cibo chimico non conviene

«Si sostiene spesso che i prodotti alimentari abbiano il vantaggio di essere “economici”. I costi di produzione, trasformazione e distribuzione sono in realtà molto elevati e la convenienza è solo apparente. Questa impressione di convenienza è ottenuta artificialmente sopratutto grazie a ingenti sussidi pubblici, all’esternalizzazione dei costi sociali, ambientali e sanitari, e attraverso la manipolazione dei mercati».

«L’industria rifiuta sistematicamente di assumersi le responsabilità dei danni causati dalla malnutrizione, dai pesticidi e dalle malattie croniche».

Chi paga i danni

«I cittadini di tutto il mondo stanno pagando di tasca loro miliardi di sovvenzioni che si trasformano in profitti per le stesse società che causano l’aumento delle malattie attraverso la produzione di cibo tossico e vuoto dal punto di vista nutrizionale. Con questo sistema i redditi delle piccole e medie aziende agricole crollano, i profitti dell’industria aumentano e la qualità del cibo crolla. Lo scopo del sistema attuale non è quindi quello di garantire una adeguata nutrizione e il benessere umano, ma quello di massimizzare i profitti di Big Food».

La transizione necessaria

«Una transizione verso un sistema alimentare sano richiede un cambiamento di paradigma, da una scienza riduzionista a una scienza dei sistemi. Richiede un cambiamento dell’agricoltura industriale ad alta intensità chimica all’agricoltura biologica ad alta intensità ecologica. Necessitiamo tutti di un passaggio dalle economie estrattive  a quelle circolari e di solidarietà, da un’economia riduzionista basata sui prezzi a una vera contabilità dei costi. Occorre abbandonare le regole inique del libero scambio, basate su rivendicazioni non scientifiche, per passare ad un commercio equo, basato su di una economia democratica. E’ necessario fermare e regolare la macchina del potere delle multinazionali dell’agroindustria che realizza i suoi straordinari profitti speculando sul bisogno essenziale dell’alimentazione per affermare invece il diritto ad un cibo per tutti gli abitanti del pianeta, che sia sano per le persone e la natura».

Fonte: ilcambiamento.it

Nocciole e pesticidi: basta con le coltivazioni intensive

Nel 2019 sono bruciati milioni di ettari di foreste in più parti del mondo e questo alimenta l’emergenza climatica. E intanto i nostri suoli continuano a ricevere pesticidi con le coltivazioni intensive, tra cui le nocciole, che ora in Italia potrebbero anche aumentare.

Nell’anno di disgrazia 2019 sono bruciati 13 milioni di ettari di foreste russe, 6 milioni dei quali nella più grande foresta del pianeta, la taiga siberiana ; 12 milioni di ettari della foresta amazzonica erano già bruciati alla fine di settembre e i fuochi non erano ancora spenti ; in Australia da dicembre sono bruciati  11 milioni di ettari di foreste e boscaglie e gli incendi continuano, appaiono inestinguibili.

Tenuto conto che l’ammontare medio di deforestazione annuale, in questi ultimi decenni di miseria intellettuale e morale (e politica, non c’è bisogno di dirlo), si aggira tra i 13 e i 16 milioni di ettari di foreste rase al suolo ogni anno, l’infernale 2019 si è mangiato in pochi mesi quasi tre anni di deforestazione, che comunque è proseguita lo stesso senza interruzione. Grazie anche all’olio di palma che intride i  prodotti delle multinazionali dei detersivi, della cosmesi e degli alimenti. La Ferrero, lo ricordiamo, ha dichiarato di non avere intenzione di eliminare l’olio di palma dai suoi prodotti, tra cui la Nutella. In tempi di catastrofi climatiche, con un pianeta che boccheggia (19 gradi a dicembre in Norvegia, 50 gradi in India per tutto giugno, 38 in Alaska a luglio, ora fino a 48 gradi in Australia) e ha le convulsioni, i milioni di ettari di materia organica bruciata contribuiranno significativamente ad accelerare il disastro. Per questo, finalmente, tutti i ricchi e i potenti, politici industriali dirigenti e padroni di multinazionali con i loro media e le loro istituzioni governative nazionali e sovranazionali, stanno programmando e promuovendo una grandiosa opera di rimboschimento globale, useranno i loro soldi e quelli degli Stati (cioè nostri) per trasformare l’agricoltura intensiva in agricoltura biologica, ecologica, resiliente…

Non ci avete creduto? Avete fatto bene.

In Italia ci sono 70.000 ettari (700 milioni di metri quadri) di coltivazioni intensive di noccioli nel nostro un tempo bel paese, vantate ovviamente come un gran vantaggio, un’eccellenza. Eppure affinché assicurino un’elevata produzione sono necessari pesticidi, erbicidi, grandi quantità di petrolio per grandi macchinari. E inquinamento, erosione dei suoli. Ma cosa importa? La vera eccellenza sono i soldi. Così, dato che il mercato cresce e che l’appetito capitalista viene mangiando, ci si organizza per farlo crescere sempre di più. Infatti sono stati annunciati altri 20.000 ettari di noccioleti intensivi. I noccioleti intensivi hanno già dimostrato la loro capacità distruttiva, persino in un’oasi naturalistica come quella del lago di Vico, inquinato da pesticidi e concimi chimici a un punto tale che se ne teme la morte biologica. Adesso aumenteranno di 20.000 ettari. In Lazio, Toscana, Marche. I politici regionali applaudono entusiasti, come se si trattasse di una pioggia d’oro, invece che di veleni. Oltre ai governatori regionali, è entusiasta anche l’associazione di “meccanizzazione agricola e industriale”. E la cosa non ci sorprende. Pure le banche sono contente: è già previsto che gli agricoltori che aderiranno al benefico progetto si debbano indebitare.  

I sindaci del viterbese non sono d’accordo ma chi se ne importa. Prevedono che il lago di Bolsena faccia la fine di quello di Vico, il progetto a loro sembra malefico perché “l’elevato consumo di acqua, fitofarmaci, antiparassitari, insetticidi, diserbanti, concimi chimici potrebbe determinare il degrado globale e irreversibile dell’intero ecosistema… con gravissime ricadute sulla salute pubblica”.

Già adesso il lago di Bolsena e la salute pubblica italiana non se la passano tanto bene.

Ma si dice che tutti questi progetti siano sostenibili. Cosa vuol dire ormai “sostenibile”? C’è anche l’adesione a un progetto in Turchia per eliminare le peggiori forme di lavoro minorile. Si vede che c’è un lavoro minorile sostenibile…

Ma noi torniamo ai noccioleti monocultura intensiva. Che possono venire trattati con:

calciocianamide, fertilizzante chimico con alto contenuto di azoto ma anche di acido cianamidico, che uccide tutti gli insetti e i microrganismi presenti nel suolo, cioè uccide il terreno, cioè è un veleno;

tiofanato di metile, un fungicida “nocivo per inalazione, può provocare effetti irreversibili, altamente tossico per gli organismi acquatici (…), evitare il contatto diretto col prodotto… gli strati di terreno contaminati devono essere decorticati fino a terreno pulito (…). In caso di contatto con la pelle, lavare subito con sapone e acqua abbondante…” ; 

deltametrina, insetticida sintetico: uno degli insetticidi che sterminano le api ma non solo loro. “… effetti di esposizioni acute per gli uomini comprendono atassia… convulsione e paralisi, diarrea, dispnea, irritabilità, tremori, vomito e morte… Molti studi hanno dimostrato casi di avvelenamento cutaneo da deltametrina dovuti a inadeguate precauzioni durante la pratica agricola… Con dosi di 100-250 mg/kg viene indotto il coma in 15-20 minuti”;

Lambda-cialotrina. Insetticida. Evitare il contatto cutaneo, evitare il contatto con gli occhi, se inalato “possibile danno al surfactante polmonare o polmonite chimica”, “gas di acido cianidrico può essere rilasciato durante l’apertura e il dosaggio… Non mangiare, né bere, né fumare durante l’impiego… Prodotti di decomposizione pericolosi: cianuro di idrogeno”. E’ altamente tossico per gli organismi acquatici e, ovviamente, per le api. Trattandosi di un insetticida…

E l’elenco non sarebbe finito…

Naturalmente c’è anche il glifosato, a causa del quale il terreno in primavera assume quel colore aranciato che ben hanno conosciuto i vietnamiti durante la guerra USA, e a cui devono le malformazioni di centinaia di migliaia di bambini. “Il glifosato è tra i pesticidi più segnalati come causa di avvelenamento accidentale… danneggia il DNA di reni, fegato, ossa… provoca il deperimento di arbusti e alberi, è neurotossico, interferente endocrino, immunosoppressivo”.

E ancora: “…irritante per la cute e le mucose fino all’ulcerazione della mucosa oro-faringea ed esofagea, irritante oculare, miosi… Nausea, vomito, ipertermia… Danni al sistema nervoso centrale, atassia, parestesia, paralisi, alterazioni ECG… gli spasmi muscolari in genere precedono di poco la morte… Non sono conosciuti antidoti specifici… Tossico per gli organismi acquatici con effetti di lunga durata”.

I noccioleti, come tutte le monocolture intensive, sono deboli, e tanto più deboli quanto più estesi, innaturali, impoveriscono l’ecosistema, squilibrano l’ambiente, sono una manna per i parassiti; poi ci pensano le pratiche dell’agricoltura industriale a completare il danno, distruggendo la vita dei terreni. I poveri noccioli, a quel punto, non hanno più difese e, dato che il terreno è morto o moribondo, soffrono anche la fame. E allora giù coi concimi chimici e con gli antiparassitari. Così come agli animali di allevamento intensivo vengono propinati ogni giorno antibiotici a palate.  

D’altra parte, se il cosiddetto “sviluppo economico” è l’obiettivo principale di una società folle, tutti i veleni denominati “prodotti fitosanitari” vi contribuiscono in pieno. Rimpinguano le tasche delle multinazionali di tali veleni, poi rimpinguano le tasche delle multinazionali del farmaco che spesso, e non per caso, sono le stesse. Se avete mai fatto una passeggiata nelle valli prealpine o nelle foreste dell’Appennino, avrete visto dove crescono spontaneamente i noccioli: lungo le rive di torrenti, fiumi, ruscelli. E’ facile dedurre che hanno bisogno di terreno sempre umido, temperature estive moderate, sole ma mitigato dalle ombre di alti alberi. Nessuna di queste condizioni può esserci in una monocoltura intensiva.

Si rimedia con tanta acqua. Irrigazioni quotidiane che, come è già successo al lago di Vico, abbassano la falda freatica. E l’acqua di irrigazione, intanto che consuma la falda evaporando nel sole, nella quantità che riesce a ritornare in falda ci porta anche tutti i residui di pesticidi presenti nel suolo, quei sostenibili concimi chimici, erbicidi, insetticidi, fungicidi irrorati allegramente nei sostenibili noccioleti. Riguardo alla Nutella, vediamone la composizione: 56% di zucchero raffinato, 23% di olio di palma raffinato, 13% di nocciole, latte scremato in polvere, cacao  e l’aroma vanillina. Ferraro attesta che l’olio di palma utilizzato è “sostenibile”. Ma c’è chi ha messo in discussione la possibilità che l’olio di palma prodotto n grandi quantità possa realmente essere sostenibile. Inoltre, il nostro organismo non reagisce bene ad alimenti come lo zucchero raffinato e l’olio di palma raffinato. Gli alimenti raffinati sono alimenti morti, perdono vitamine, proteine, sali minerali. Lo zucchero diventa solo saccarosio, l’olio di palma puro grasso. Si trasformano in qualcosa di artificiale che il nostro organismo non riconosce e non è in grado di digerire e metabolizzare in maniera efficiente. Questo a lungo andare può creare problemi. E vale per qualsiasi alimento industriale pieno di ingredienti raffinati e/o sintetici. Le associazioni degli agricoltori dovrebbero ricordarsi che il motivo della loro esistenza è difendere i piccoli e medi agricoltori e consigliarli per il loro bene; così riuscirebbero anche a ricordare che i peggiori nemici dei suddetti sono proprio le grandi industrie, alimentare e petrolchimica, che li tengono per il collo e a volte tirano fino a strangolarli; che li rendono dipendenti dai loro prodotti chimici e dal loro “mercato”, dettando le regole e decidendo i prezzi. Allora, forse, invece di strillare contro i lupi e i sindaci che vietano il glifosato, ricorderebbero ai suddetti agricoltori la prima legge del mercato, che capisce facilmente anche un bambino: più aumenta la disponibilità di una merce, più si abbassa il suo prezzo. Noi però, che amiamo la terra e le sue creature, e non abbiamo invece una passione per i profitti, il PIL e la distruzione del pianeta già in corso, possiamo fare del nostro meglio per far diminuire la richiesta di prodotti perniciosi. Mangiando sì, le nocciole, che fanno bene, ma biologiche e senza aggiunte nocive.

Fonte: ilcambiamento.it

L’apicoltore nomade Giorgio Baracani: “Salvare le api significa salvare l’uomo”

Il 75% di quello che noi mangiamo è frutto dell’impollinazione delle api. Eppure siamo tempestati di notizie non proprio confortanti sulla loro sorte, a causa dell’utilizzo dei prodotti chimici in agricoltura e dei cambiamenti climatici. Ne abbiamo parlato con Giorgio Baracani, membro del CONAPI e “apicoltore nomade”.

Se c’è una persona a cui il fato, o chi per lui, ha indicato il mestiere della vita, costui è Giorgio Baracani. Originario dell’Emilia Romagna, nella zona tra Bologna e Imola, le api gli sono letteralmente entrate in casa. Proveniente da una famiglia di agricoltori, a diciannove anni si imbatte nel primo sciame di api presso il vigneto dei nonni e, pazientemente, lo recupera. Poco tempo dopo, è il padre muratore a scovare uno sciame in una intercapedine, durante la demolizione di una parete di un’abitazione. “Era settembre e tutti gli agricoltori della zona mi dissero: questo sciame è spacciato, non sopravviverà all’inverno”, ci racconta. Lo sguardo ci sembra comunicare le stesse emozioni di allora: la scintilla di una sfida da vincere a tutti i costi. Da trentacinque anni, Baracani è apicoltore ed ora membro del CONAPI, il Consorzio Nazionale Apicoltori. Se ha fatto sopravvivere quello sciame trovato nell’intercapedine? Rispondetevi da soli…

Lo abbiamo incontrato durante l’ottava edizione di Scirarindi, mentre presentava il documentario tratto dal progetto “Hunger for Bees” e il libro, sempre parte del progetto, “La Rivoluzione delle api”. In questi lavori si cerca di analizzare il rapporto tra l’agricoltura moderna e le api, in un surf incognito che va dai rischi di una totale scomparsa delle api, di cui ultimamente sentiamo spesso parlare, fino alle proposte per nuove opportunità rigenerative e di convivenza costruttiva tra l’uomo e le api.  Il documentario è un viaggio tra diverse realtà italiane ed estere che mettono in relazione il mondo delle api e il mondo agricolo. Tra gli esempi virtuosi nel nostro Paese è citato quello del comune di Malles, in Alto Adige, dove i cittadini hanno scelto attraverso un referendum di avere un comune libero da pesticidi, e quello dell’agricoltura nomade dello stesso Baracani. Viene inoltre documentata l’esperienza di paesi stranieri come l’India, dove le api portano un beneficio e un benessere agli agricoltori in termini di maggiore disponibilità di cibo e di salute. Il libro amplia la riflessione su altri temi legati al mondo delle api, tra cui l’inquietante ipotesi dei droni e della sostituzione delle api con macchine elettriche “capaci” di sostituirle totalmente. Il virgolettato è d’obbligo e, nel video, vi diremo il perché.

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L’importanza delle api

Le api non rappresentano solamente un mezzo per una catena industriale e imprenditoriale, ma sono il simbolo di un ecosistema e del suo complesso ingranaggio circolare. «Hanno una funzione molto più importante nell’ecosistema, piuttosto che nella produzione – ci spiega Baracani, – esse sono infatti il motore e l’elemento fecondante dei fiori, sono gli esseri che portano il polline da un fiore all’altro e ci garantiscono la nutrizione, attraverso l’impollinazione e la produzione agricola conseguente. Il 75% di quello che noi mangiamo è frutto dell’impollinazione delle api. Una dieta senza le api vorrebbe dire una dieta poverissima, fatta solo di qualche cereale e poco altro».

“Se scomparissero le api all’uomo non resterebbero più di quattro anni di vita”. Una frase che abbiamo ascoltato spesso e che non è così lontano dalla realtà. Mondo agricolo e mondo delle api sono così strettamente interconnessi. Appare sempre più evidente che alcuni insetticidi e pesticidi sono la causa della progressiva scomparsa delle api. Come accade spesso oggi in diverse dinamiche sociali, il cane si sta mordendo la coda: l’agricoltura e l’uomo hanno un disperato bisogno delle api per la propria sopravvivenza, e i nostri modelli miopi ne mettono in pericolo la stessa sussistenza. Baracani, per ovviare al problema dei pesticidi in natura, ha trovato nel problema una soluzione: quello dell’agricoltura nomade.

«La zona dove vivo e opero è fortemente vocata a diversi tipi di coltivazione: dalla viticoltura, alla frutticoltura fino all’orticoltura. Ci sono tante filiere, che purtroppo rappresentano una miriade di problemi per le api. Per ovviare a ciò, mi sono dovuto organizzare con un’apicoltura di tipo nomade: colgo l’attimo della fioritura dell’erba medica e delle varie colture da seme per l’impollinazione, per poi andare da un altra parte perché, finite le fioriture, cominciano i trattamenti chimici sulle coltivazioni. Mi sposto in altre zone dove ci sono altre fioriture, dove non vengono fatti i trattamenti nel momento in cui porto le api».

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Le possibili proposte

Non esiste una soluzione sistemica, al momento, per cambiare radicalmente questa situazione, se non abbandonare quasi completamente l’utilizzo della chimica in agricoltura. Forse ci arriveremo, ma la strada è lunghissima. Ma non tutto è perduto e, nel nostro piccolo, possiamo mettere in campo delle azioni per aiutare le api. «Come CONAPI abbiamo pensato ad una serie di proposte – ci racconta Giorgio – la prima è di tipo più strutturale e politico e riguarda la PAC, la Politica Agricola Comunitaria, che eroga finanziamenti per sostenere l’agricoltura e la produzione agricola.  
L’agricoltore è individuato e visto come il custode del territorio, ed è una grande verità. Però quando le api stanno male, siamo sicuri che il territorio sia presidiato e coltivato proprio bene? Potrebbero essere utilizzate le api nelle aziende agricole per monitorare l’efficacia dei finanziamenti destinati all’agricoltura e delle misure agro-ambientali destinate all’agricoltura. La seconda riguarda noi e la nostra capacità di scelta come consumatori e cittadini. Ogni giorno noi andiamo a votare e non lo sappiamo: con le nostre scelte di acquisto alimentare. In questi momenti, scegliere dei prodotti che derivino da filiere virtuose può orientare le scelte future degli agricoltori. Se queste filiere sono premiate, gli agricoltori saranno sempre più intenzionati a intraprendere dei metodi di coltivazione rispettosi dell’ambiente, della persona e delle api. Una terza proposta riguarda il quotidiano: tanti di noi hanno un orto, un giardino, un terrazzo con delle piante. Possiamo gestirli in maniera sostenibile, senza pesticidi, e possiamo scegliere quelle piante che possono fornire delle fioriture utili agli insetti, tra cui le api, fonti di polline e di nettare.  Tutto ciò non rappresenta la soluzione definitiva al problema, sono una goccia dell’oceano: ma partire dal minuscolo può sempre fare la differenza per iniziare a cambiare le cose».Fonte: https://www.italiachecambia.org/2019/11/apicoltore-nomade-giorgio-baracani-salvare-api-significa-salvare-uomo-meme-30/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

Al via la maxi campagna europea per vietare i pesticidi e salvare la natura

Vietare i pesticidi chimici, trasformare l’agricoltura e salvare la natura. A tal fine è stata lanciata ieri una maxi campagna europea promossa da una coalizione di 90 organizzazioni da 17 diversi paesi europei, con il supporto delle associazioni degli agricoltori biologici. Parte oggi una nuova Iniziativa dei Cittadini Europei finalizzata ad eliminare gradualmente i pesticidi sintetici entro il 2035, sostenere gli agricoltori e salvare la natura. Se raccoglierà un milione di firme entro Settembre 2020, la Commissione europea e il Parlamento saranno tenuti a considerare la possibilità di trasformare le richieste della campagna in legge [1]. La campagna è promossa da una coalizione di 90 organizzazioni da 17 diversi paesi europei, con il supporto delle associazioni degli agricoltori biologici. Numerosi appelli di scienziati da ogni parte del mondo richiedono la messa di atto di un urgente “cambiamento trasformativo” per fermare il collasso della natura. Un quarto degli animali selvatici europei è gravemente a rischio di estinzione, mentre la metà dei siti naturali è in condizioni ecologicamente sfavorevoli e i servizi ecosistemici si stanno deteriorando [2].

Nel frattempo, la sussistenza di milioni di agricoltori viene schiacciata da prezzi iniqui, dalla mancanza di sostegno politico e dall’operato delle grandi imprese multinazionali. Quattro milioni di piccole aziende agricole sono scomparse nell’UE tra il 2005 e il 2016 [3].

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La ICE invita la Commissione europea a presentare proposte legislative finalizzate a:

  1. Eliminare gradualmente i pesticidi di sintesi entro il 2035:
    Eliminare gradualmente i pesticidi sintetici nell’agricoltura europea dell’80% entro il 2030, a cominciare dai più pericolosi, perché diventi al 100% priva di pesticidi entro il 2035.
  2. Ripristinare la biodiversità:
    Ripristinare gli ecosistemi naturali nelle zone agricole affinché l’agricoltura diventi un vettore di recupero della biodiversità.
  3. Sostenere gli agricoltori nella transizione:
    Riformare l’agricoltura dando priorità all’agricoltura su piccola scala, diversificata e sostenibile, sostenendo un rapido aumento delle pratiche agroecologiche e biologiche e consentendo la formazione e la ricerca indipendente degli agricoltori in materia di agricoltura senza pesticidi e OGM.

Ruchi Shroff, direttrice di Navdanya International ha dichiarato: «Circa l’84% delle colture in Europa dipende direttamente o indirettamente dalle api e da altri insetti impollinatori. Il loro declino è una realtà comprovata che avrà conseguenze molto estese sugli ecosistemi e loro servizi, inclusa l’accelerazione della scomparsa di molte altre specie animali e vegetali. Questa ICE è un significativo strumento democratico nelle nostre mani per spingere la politica europea a sostenere la transizioni verso sistemi agroalimentari ecologici, per difendere la biodiversità, la salute e il benessere di cittadini e agricoltori».

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Helmut Burtscher, esperto di pesticidi e prodotti chimici di Global 2000/Friends of the Earth Austria ha dichiarato: «Solo un’agricoltura sostenibile e priva di pesticidi può garantire l’approvvigionamento alimentare delle generazioni presenti e future e fornire risposte alle crescenti sfide poste dal cambiamento climatico. Inoltre, contribuisce alla conservazione della biodiversità e riduce le emissioni di gas serra. Una politica agricola europea responsabile deve quindi promuovere l’ulteriore sviluppo di metodi agroecologici e sostenere gli agricoltori nella loro transizione verso una produzione senza pesticidi».

Veronika Feicht dell’Istituto per l’ambiente di Monaco di Baviera ha dichiarato: «Stiamo portando la lotta contro i pesticidi sintetici a livello europeo, dando ai cittadini di tutta Europa che chiedono un nuovo sistema agricolo la possibilità di esprimersi con una sola voce. I cittadini reclamano un sistema che non danneggi la biodiversità e gli ecosistemi, che non metta a dura prova la salute dei consumatori, ma che invece garantisca il sostentamento per api e agricoltori ed sia più sano per le persone. Con la nostra iniziativa ci impegniamo a fare di questo tipo di agricoltura una realtà in tutta Europa».

François Veillerette, direttore di Générations Futures, ha dichiarato: «Invitiamo i cittadini europei a sostenere massivamente questa iniziativa per una graduale rapida eliminazione di tutti i pesticidi sintetici nell’UE. Speriamo che milioni di persone si uniscano presto alle nostre richieste di vietare i pesticidi, trasformare l’agricoltura, sostenere gli agricoltori nella transizione e salvare la biodiversità».

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La campagna è gestita da un’alleanza intersettoriale di organizzazioni della società civile che si occupano di ambiente, salute, agricoltura e apicoltura. Tra molte altre, le organizzazioni promotrici comprendono le reti europee Friends of the Earth Europe e Pesticide Action Network (PAN), nonché l’Istituto per l’ambiente di Monaco di Baviera, la fondazione Aurelia (Germania), Générations Futures (Francia) e GLOBAL 2000/Friends of the Earth Austria.

Note
[1] www.savebeesandfarmers.eu

[2] Le api e gli altri impollinatori sono indispensabili per preservare i nostri ecosistemi e la biodiversità. Fino a un terzo della nostra produzione alimentare e due terzi della frutta e della verdura che consumiamo quotidianamente dipendono dall’impollinazione da parte delle api e di altri insetti. Tuttavia, la loro stessa esistenza è minacciata dalla costante contaminazione da pesticidi e dalla perdita del loro habitat a causa dell’agricoltura industriale. (Media Release: Nature’s Dangerous Decline ‘Unprecedented’; Species Extinction Rates ‘Accelerating’).

[3] Il rapido declino delle piccole aziende agricole e della fauna selvatica è profondamente radicato nel nostro attuale modello di produzione agroalimentare che si basa fortemente sull’agricoltura monoculturale su larga scala e sull’uso di pesticidi sintetici. A peggiorare le cose, l’UE finanzia attivamente questa forma di agricoltura attraverso la sua attuale agenda agropolitica e il suo sistema di sovvenzioni che favorisce la produzione di massa rispetto ad un’agricoltura su piccola scala ed ecologica.
(More farmers better food)

Fonte: https://www.italiachecambia.org/2019/11/via-maxi-campagna-europea-vietare-pesticidi-salvare-natura/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

Glifosato al bando: dopo l’Austria anche la Germania. E l’Italia?

Dopo l’Austria, anche la Germania (patria della Bayer) mette al bando il glifosato. L’Italia invece nicchia e lo fa pubblicando la bozza del nuovo Piano d’azione nazionale per “l’uso sostenibile” dei pesticidi (Pan) con parecchi mesi di ritardo e… partorendo il consueto topolino.

Glifosato al bando: dopo l'Austria anche la Germania. E l'Italia?

Riportiamo l’interessante intervento che l’avvocato Stefano Palmisano, esperto di diritto ambientale, ha reso disponibile sul blog che cura per Il Fatto Quotidiano.

«In Austria, meno di due mesi fa, il Parlamento ha approvato un divieto totale di utilizzo dei pesticidi a base di glifosato sul proprio territorio. Questo nonostante il noto rinnovo dell’autorizzazione all’uso del più celebre erbicida al mondo concesso dalla Commissione Europea nel dicembre 2017 per altri cinque anni. Lo strumento grazie al quale l’assemblea austriaca ha potuto permettersi questo mirabile esempio di tutela dell’ambiente, dell’alimentazione e della salute pubblica per via legislativa è il principio di precauzione. Quello sancito nella legge fondamentale della sicurezza alimentare dell’Unione europea, il regolamento n. 178/2002, che all’art. 7 statuisce: “Qualora, in circostanze specifiche a seguito di una valutazione delle informazioni disponibili, venga individuata la possibilità di effetti dannosi per la salute ma permanga una situazione d’incertezza sul piano scientifico, possono essere adottate le misure provvisorie di gestione del rischio necessarie per garantire il livello elevato di tutela della salute che la Comunità persegue, in attesa di ulteriori informazioni scientifiche per una valutazione più esauriente del rischio.”

Principio che, peraltro, governa la più complessiva materia della tutela ambientale in ambito unionale in forza di un’altra norma, ancor più cogente perché contenuta nel Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, al cui art. 191 si dispone che “la politica dell’Unione in materia ambientale mira a un elevato livello di tutela, tenendo conto della diversità delle situazioni nelle varie regioni dell’Unione. Essa è fondata sui principi della precauzione e dell’azione preventiva, sul principio della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all’ambiente, nonché sul principio ‘chi inquina paga’.”

Il Parlamento austriaco ha fatto proprio questo: pur in presenza di una situazione di, più o meno effettiva, incertezza sul piano scientifico, ha adottato le misure di gestione del rischio.

Siccome il rischio, nel caso di specie, è del livello ormai notorio – e che si ricorderà nelle prossime righe – le misure che in una situazione siffatta competono, anzi gravano su un’assemblea legislativa – quelle “necessarie per garantire il livello elevato di tutela della salute che la Comunità persegue” – non possono che essere drastiche: come quella che ha adottato Vienna. Come dovrebbe essere sempre quando la “possibilità di effetti dannosi per la salute” emerge in maniera sempre più concreta. E, nel caso del glifosato, quella possibilità ha assunto ormai da tempo le vesti sinistre di una elevata probabilità. Senza ripercorrere la storia, ormai lunga e sempre meno contrastata, delle evidenze e dei pronunciamenti scientifici sugli effetti nocivi di questa sostanza sulla salute umana (che annoverano, tra l’altro, anche una monografia dell’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro – IARC); senza indugiare sui numerosi e convergenti “precedenti giudiziari” del glifosato (di cui ci siamo più volte occupati su questo blog), qui è solo il caso di rammentare che appena pochi mesi fa è stato pubblicato un altro studio in tal senso. Si tratta di una meta-analisi dell’Università di Washington, ossia una ricerca particolarmente rilevante perché “fornisce l’analisi più aggiornata delle correlazioni tra glifosato e il linfoma non-Hodgkin, includendo uno studio del 2018 su oltre 54.000 persone che nelle loro attività lavorative utilizzano pesticidi autorizzati”, come ha spiegato Rachel Shaffer, co-autrice della ricerca. L’esito del lavoro scientifico in questione è difficilmente equivocabile: “Complessivamente, in accordo con le evidenze che vengono dagli studi sperimentali sugli animali e da quelli meccanicistici, la nostra attuale meta-analisi degli studi epidemiologici umani suggerisce un legame convincente tra esposizioni al Gbh (glifosato, ndr) e aumento del rischio di Nhl (linfoma non Hodgkin)”. Anche sulla base di queste ultime e autorevolissime evidenze scientifiche, appena qualche settimana fa, la Federazione internazionale di ginecologia e ostetricia – che collabora con l’Oms e ha un ruolo consultivo con l’Onu – ha pubblicato una dichiarazione con la quale chiede la messa al bando del glifosato nel mondo. Presa di posizione che – si legge – affonda le sue radici nei risultati emersi negli anni da numerosi studi scientifici; ma anche nello stesso principio di precauzione illustrato all’inizio di questo scritto. Insomma, è una massa sempre più ponderosa e concludente di dati scientifici. E tale deve averla ritenuta non solo il Parlamento austriaco, autore della decisione storica su citata; ma anche, e soprattutto, le Autorità della locomotiva d’Europa, la Germania, che proprio in questi giorni hanno approvato un piano che prevede progressive restrizioni nell’uso del glifosato per arrivare a una riduzione del 75% entro metà del 2023 e a un completo divieto unilaterale dalla fine di quell’anno, cioè alla scadenza dell’autorizzazione quinquennale concessa alla sostanza dalla Commissione Europea.

La decisione di Berlino risulta oltremodo emblematica se si considerano, tra l’altro, due elementi:

1. la Germania è la patria della Bayer, la società che ha incorporato poco più di un anno fa la Monsanto, la “madre” mondiale del glifosato nella forma del rinomato Roundup – operazione di mercato che, peraltro, non dovrebbe regalare ai suoi ideatori un posto nel Pantheon dei capitani più illuminati dell’industria germanica;

2. il rinnovo della licenza d’uso del glifosato su ricordato era stato rilasciato anche e soprattutto per il decisivo ruolo giocato nella vicenda dall’agenzia federale tedesca per la valutazione dei rischi, la Bfr, la quale avrebbe effettuato la valutazione del rischio seguendo peculiari protocolli scientifici nella stesura della propria relazione. Tipo il copia-incolla di oltre il 50% degli studi che i produttori, tra cui l’ovvia Monsanto, avevano presentato a sostegno della domanda di rinnovo dell’autorizzazione. In pratica, il controllato avrebbe scritto più della metà del parere rilasciato dal controllore. E alla fine il verdetto della Bfr è stato curiosamente favorevole. Oggi la Germania, ad appena due anni di distanza, dichiara di voler cambiare radicalmente rotta. Significherà qualcosa in ordine alla reale natura dell’oggetto della questione, ossia il glifosato. Anzi, significherà parecchio. Nel Belpaese, intanto, un mese fa è stata pubblicata la bozza del nuovo Piano d’azione nazionale per “l’uso sostenibile” dei pesticidi (Pan), con parecchi mesi di ritardo rispetto alla scadenza del primo Pan (febbraio 2019). Secondo i primi commenti, ad onta delle grandi aspettative che circondavano questo atto, si tratterebbe dell’ennesima montagna che ha prodotto il consueto topolino.

Ma a questo tema specifico toccherà dedicare qualche riga ad hoc a brevissimo».

Fonte: ilcambiamento.it

L’Unesco premia l’inquinamento e la chimica delle colline venete

Brindano i produttori di Prosecco del Veneto dopo il riconoscimento dell’Unesco a patrimonio dell’umanità per le colline di Valdobbiadene e Conegliano. Ma brindano e festeggiano molto meno la popolazione e l’ambiente, che subiscono ogni giorno l’inquinamento dato dall’uso massiccio dei pesticidi.

L’Unesco premia l’inquinamento e la chimica delle colline venete

L’Unesco ha assegnato il prestigioso riconoscimento di “patrimonio dell’umanità” a uno dei luoghi con la maggiore concentrazione di veleni usati in agricoltura come è la zona, famosa per il Prosecco, delle colline di Valdobbiadene e Conegliano. Il Veneto è un’altra di quelle regioni dove si fanno esperimenti sulle cavie umane che vengono riempite di veleni, poiché sono all’ordine del giorno gli inquinamenti di tutti i tipi e l’agricoltura convenzionale è uno dei maggiori responsabili. Però, vuoi mettere essere ricchi e produttivi che soddisfazione dà. Chi se ne frega di cancri, malattie a non finire; bisogna lavorare come pazzi, produrre, accumulare gli sghei e non si può e non ci si deve fermare di fronte a nulla.

Brindano i produttori di vini che con il premio dell’Unesco vedranno aumentare i loro già stratosferici profitti grazie a uno dei prodotti a più alto consumo di pesticidi e con un numero di trattamenti tra i più frequenti e invasivi. Un bombardamento di pesticidi che nelle zone premiate dall’Unesco è più del doppio rispetto alla media. Non bastano gli sbancamenti e la modifica del paesaggio, la distruzione di prati e siepi, non basta l’inaridimento dei suoli, la contaminazione di falde, acque e dei campi limitrofi, l’uccisione di insetti tra cui le api, l’inquinamento per adulti e bambini che si barricano in casa durante le frequenti irrorazioni che avvengono ovunque dato che ogni centimetro quadrato è stato colonizzato dalle vite. Niente ferma la stupidità umana, il tutto per coltivare una pianta che occupa enormi spazi e ne fa una delle monoculture più nocive dal punto di vista ambientale.  Vista la situazione a cui stiamo andando incontro, la monocultura si rivela un danno in più per una agricoltura già ora in grosse difficoltà. Con i cambiamenti climatici, con l’inaridimento e l’impoverimento dei suoli, si avranno produzioni agricole sempre minori soprattutto dei sistemi tradizionali. Sarà quindi inevitabile passare dalla monocultura alla pluricoltura, coltivando in grandissima parte piante e alberi che sfamano la gente. Chissà cosa ci faranno con tutti quei vigneti quando le crisi si faranno più gravi e le persone affamate non avranno abbastanza da mangiare. A quel punto i grandi capitalisti, che vengono ora glorificati per le loro magnifiche gesta che fanno risplendere il nome del vini veneti nel mondo, potranno arrotolare i loro soldi e provare a mangiarli per vedere se ce la fanno a sfamarsi, oppure potranno attingere alle loro produzioni di vini con i quali ubriacarsi a profusione e proporre anche alla popolazione di farlo, per distrarsi dalla fame. E come la principessa Maria Antonietta che disse “Se il popolo non ha pane, che mangi le brioche”, i nostri capi d’industria potranno dire al popolo: “Se non avete da mangiare, ubriacatevi che così vi passa tutto”.

Prima che sia troppo tardi, si riduca drasticamente la produzione vinicola, si converta tutto al biologico e al posto della vite si coltivino innumerevoli varietà agricole e frutteti in una combinazione di foresta commestibile così da ridare vita ad animali e persone, oltre che assorbire CO2. Non è più il tempo di ubriacarsi, è il tempo di prendere in mano la situazione e rendere il Veneto non l’odierna fabbrica  di veleni ma una terra fiorente e che preservi la vera ricchezza, quella della natura, non quella degli sghei.

Fonte:ilcambiamento.it

«I pesticidi continuano a uccidere le api. È ora di agire veramente»

L’appello delle deputate del Gruppo Misto in Parlamento Sara Cunial e Silvia Benedetti: «Basta demandare all’Unione Europea, la competenza è nazionale. Dunque, si prendano misure drastiche».

«Abbiamo portato all’attenzione del ministro Centinaio l’annosa questione della moria di api che sta avvenendo in diverse parti d’Italia in seguito a un uso massiccio e scriteriato di pesticidi estremamente dannosi al loro habitat e alla loro vita, come per esempio il caso del Mesurol in Friuli per cui è stata aperta un’indagine o ancora i neonicotinoidi già banditi in diversi stati membri ma purtroppo ancora utilizzati in Italia». Ad affermarlo sono le deputate del gruppo Misto Sara Cunial e Silvia Benedetti, che tornano sulla questione di cui, dopo un grande allarme qualche tempo fa, ora si tende a parlare sempre meno.

«Sebbene vi sia consapevolezza della strategicità del settore e dei gravi danni causati da alcune molecole agli ecosistemi e agli insetti impollinatori, ancora una volta si demanda a importanti decisioni all’Unione Europea, quando la competenza su queste disposizione è nazionale, come indicato nella normativa comunitaria e come altre nazioni, più lungimiranti e attente alla vita e alla salute ci insegnano».

«È bene ricordare che nelle campagne italiane ci sono milioni di alveari curati da oltre 45.000 apicoltori – continuano le deputate – miliardi di euro derivano dalla sola attività di impollinazione alle coltivazioni a cui si aggiunge il profitto di 22.000 tonnellate annue di produzione di miele. Un trend in continua crescita che dà lavoro a sempre più persone, soprattutto giovani e soprattutto al sud, e che fa dell’Italia un’avanguardia delle pratiche e tecnologie in questo frangente nonché uno dei principali produttori di miele d’eccellenza. Ma soprattutto è bene sottolineare che senza api perderemmo gran parte della nostra biodiversità, l’accesso a ingenti tipologie di cibo, la vita stessa è a rischio senza il loro lavoro – proseguono – Avremmo bisogno di azioni concrete e urgenti per favorire politiche agricole sostenibili e idonee a proteggere questo cruciale settore, purtroppo troppo spesso messo in crisi da pratiche scriteriate e anacronistiche – spiegano le deputate –  Ci chiediamo dove siano i paladini dell’occupazione, dell’innovazione, del Made in Italy e dei nostri prodotti di qualità. Ma soprattutto ci chiediamo dove siano tutti coloro che dovrebbero mettere la tutela delle persone e dell’ambiente al primo posto e fare del principio di precauzione il faro della loro azione politica. Confidiamo che in Italia quanto in Europa si mantenga ciò che è stato promesso e di ciò che moltissimi apicoltori, agricoltori e cittadini chiedono».

Fonte: ilcambiamento.it