Pitaya: «Realizzo assorbenti lavabili per diffondere consapevolezza e sostenibilità»

Laura ha deciso di fare delle sue scelte consapevoli durante i giorni di ciclo mestruale una nuova missione di vita. Ha imparato a usare la macchina da cucire e ha creato il progetto Pitaya: ora produce assorbenti lavabili tutti realizzati a mano e diffonde consapevolezza sul rapporto con il proprio corpo e sull’impatto ambientale. Per dire basta alla plastica e all’usa e getta!

Genova – Ligure d’adozione, milanese di origine, Laura lavora da sei anni come tecnico ambientale in una ONG italiana nata nel 2012, Source International, che studia gli impatti sociali e ambientali delle attività di estrazione in diversi territori, come quelli con monocolture di palma da olio. L’intento è quello di valorizzare le risorse naturali locali e supportare le comunità e organizzazioni presenti in loco. Amante dell’ambiente, che fa parte della sua vita a 360°, sia nel tempo libero che sul lavoro, da qualche tempo Laura ha espresso questa sua sensibilità anche in una nuova attività: Pitaya – Autoproduzioni naturali, un progetto nato per offrire prodotti realizzati a mano e a basso impatto ambientale. Lontani dalle fabbriche, vicini alle persone.

LA STORIA

«Durante il lockdown – racconta Laura – mi sono resa conto di quali sono le cose realmente necessarie nella vita e mi sono detta che ognuno dovrebbe almeno provare a essere autosufficiente. Ho deciso quindi di imparare a produrmi da sola le cose di cui ho bisogno».

Complice il tanto tempo libero, Laura decide di adattarsi a un nuovo stile di vita, improntato sull’attenzione al proprio impatto e sul desiderio di fare da sé. Da dove iniziare? Lei ha scelto gli assorbenti lavabili come punto di avvio. Comincia subito a lavorare con una macchina da cucire regalatale da un’amica, crea cartamodelli e produce i primissimi campioni con stoffe di riciclo. «Anche se uso da tempo la coppetta mestruale, ci sono giorni in cui il ciclo è particolarmente doloroso e ho la necessità di usare gli assorbenti, scegliendo però quelli a basso impatto».

Oltre agli assorbenti, Laura ora dà vita anche a giochi per neonati plastic-free in pannolenci, borse in tessuti originali del Mozambico e dischetti struccanti lavabili: «Ho iniziato con materiali di recupero, come spugne, pile e asciugamani. Poi è partito il passaparola, amiche delle amiche hanno iniziato a interessarsi ed è nato il progetto Pitaya».

Da lì prende corpo l’idea di farlo diventare una professione che occupi di più le sue giornate. «Un’amica mi ha disegnato il logo, poco dopo ho creato la pagina Facebook e ho iniziato al tempo stesso a cambiare materiali: ora uso esclusivamente cotone organico biologico».

I prossimi step? Iscriversi a Etsy e iniziare a partecipare ai mercatini dell’artigianato. Nel frattempo Pitaya sta diventando anche un canale di divulgazione dei temi ambientali, per sensibilizzare sempre più persone sull’impatto degli oggetti in plastica usa-e-getta.

I VANTAGGI DEGLI ASSORBENTI LAVABILI

«Certo, con il recente abbassamento dell’IVA, ora ci si sta rendendo conto che gli assorbenti femminili non sono beni di lusso, ma di prima necessità. Ma facendo un rapido calcolo, il confronto economico tra lavabili e usa-e-getta resta comunque impari: considerando che una donna in età fertile utilizza una ventina di assorbenti al mese, nella vita ne userà circa 11.000, spendendo complessivamente almeno 5/6mila euro. Con quelli lavabili ne bastano 5/6 per ciclo, più un paio salvaslip: in 35 anni quindi, contando che ogni assorbente ha una vita media di 5 anni, si spenderebbe sui 600 euro».

Alcuni assorbenti lavabili Pitaya

Oltre al discorso economico c’è poi la questione sanitaria e ambientale. Recentemente è uscito un dossier dell’ANSES, l’Autorità francese per la sicurezza sanitaria, in cui attraverso studi a campione sono stati rilevati pesticidi, glifosato, cloro e diossine all’interno degli assorbenti usa-e-getta. Sostanze tossiche a diretto contatto con la pelle, in una zona del corpo che è delicatissima.

«Dal punto di vista ambientale parliamo di un oggetto che viene usato per 2/3 ore e poi viene buttato nell’indifferenziata per finire in discarica. E lì resta 500 anni. Per tutti questi motivi è urgente iniziare a cambiare stile di vita».

UNA NUOVA CONSAPEVOLEZZA

Grazie a una consulente mestruale, Laura nel contempo ha acquisito una nuova consapevolezza sul ciclo. Avere coscienza di sé, per conoscersi meglio e imparare ad ascoltare il proprio corpo, è diventata una sua personale missione per avvicinare sempre più ragazze al tema.

«Sono tantissime le donne, anche giovanissime, che hanno un blocco forte su questo argomento, che però ritengo sia facilmente superabile se si pensa che con un piccolo cambio di abitudine si contribuisce a ridurre l’inquinamento, ma anche a volersi bene, evitando al proprio corpo di entrare in contatto con gli svariati materiali plastici con cui sono realizzati gli assorbenti monouso». L’esperienza di Laura suggerisce un insegnamento semplice: le soluzioni per cambiare ci sono, basta solo volerlo!

Fonte: https://www.italiachecambia.org/2021/10/pitaya-assorbenti-lavabili/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

Cambiamo approccio e facciamo in modo che il contagio si diffonda!

La radice etimologica del termine contagio ci fa scoprire un’accezione di questo concetto che per noi è nuova e decisamente diversa da quella che, soprattutto in questi ultimi mesi, siamo abituati ad attribuirgli. Eppure essa è estremamente familiare alla maggior parte degli esseri viventi che popola il Pianeta insieme all’homo sapiens. Ancor prima che esseri viventi, siamo stati il sogno di un uomo e una donna che sono poi diventati padre e madre. Ancor prima di essere chioma, l’albero è stato solo fusto, seme e ancor prima del seme è stato l’albero da cui quel seme è caduto. Ancor prima che abbiano un significato, le parole nascono da suoni e radici che hanno altri significati e possono portare luce su ciò che creano nelle nostre vite. Iniziamo con queste sfumature poetiche poiché il linguaggio nasce da processi di creatività, musicalità e anche poesia, intesa come la capacità di celebrare il bello, cosa intangibile, in parole che possano rendercene una immagine osservabile. E lo facciamo per concentrarci sul tema attuale del Contagio. La parola Contagio nasce dall’unione di due termini latini che sono: con (insieme) + tangere (toccare). In questo periodo storico di contagio inteso come trasmissione di malattia, che cosa accade in ognuno di noi dall’incontro di “insieme” e “toccare”? “Insieme” ha a che fare con una dimensione sociale, di condivisione, di presenza, con la dimensione di esseri relazionali che ci appartiene. “Toccare” ha a che fare col tatto, stare a contatto, con la sensorialità, con la fisicità, con ciò che ha risonanza con le sensazioni e la materia fisica.

La riflessione viene dal fatto che quando siamo insieme a un essere vivente di specie diversa e lo tocchiamo, traiamo da questo gesto una sensazione di piacevolezza che è immediata. Accade altrettanto negli abbracci sentiti tra esseri umani: essere insieme e toccarsi, stare a contatto, col corpo. Allo stesso modo, quando siamo insieme a qualcuno e tocchiamo, stiamo a contatto con le sue informazioni, con le sue emozioni, in un processo che è altro da quello razionale, ne usciamo diversi. Arricchiti o depotenziati.

Il punto è: cosa ne facciamo, di tutto questo? Stare insieme con ciò che ci tocca è il ponte per la passare da una vita fatta di incertezze e automatismi a una vita di percezioni coscienti e sensazioni di qualità. Stare insieme anziché giudicare o etichettare, toccare anziché capire. Lo sanno benissimo gli esseri non umani che trasformano ogni cosa da cui vengono toccati, ogni loro esperienza, in materia prima di cognizione, emozione, esperienza con cui stare insieme, da cui costruire. Permettere a quella materia di diventare personalità e storia accolta, anziché lottarci, ignorarla, fare finta che non esista e persino ripudiarla, azioni che danno vita a quella profonda dis-connessione che ci impedisce di stare veramente insieme a ciò che ci accade, di lasciarci toccare e da qui soffriamo perché perdiamo pezzi della nostra stessa storia e della storia di chi amiamo. E allora, in questo tempo di contagio inteso come trasmissione di malattia, da cosa potremo farci contagiare per riportare connessione ed equilibrio? Potremmo affidarci a un contagio emozionale. Quest’ultimo, come quello fisico, genera un cambiamento. Questo processo avviene in noi umani, così come nelle altre specie animali, a prescindere dalla nostra volontà di accettazione e non è arrestabile. Un cambiamento che avviene grazie a un contagio emozionale può intraprendere la strada della nostra accoglienza, del desiderio di crescita, di trasformazione e di evoluzione. Altresì può intraprendere la strada della nostra resistenza: avviene quando cerchiamo in ogni modo di esercitare un controllo su ciò che proviamo, quando cerchiamo di gestirlo come se fosse una parte svincolata da un processo più ampio, come se fosse una semplice appendice di noi stessi, una parte aggiunta e non integrata, non determinante rispetto a una dinamica di sviluppo.

Il pavor, il timore, che da un punto di vista evolutivo è uno strumento fondamentale ai fini della sopravvivenza, diventa un grande vallo capace di farci arretrare quando parliamo di relazioni e di cambiamenti. Le nostre resistenze si agganciano a eventi passati e subiti, non necessariamente traumatici, che tuttavia portano alla costruzione di schemi e sovrastrutture, sotto i quali ci celiamo per sentirci accettati, per proteggere i nostri sentimenti. Rimanere nascosti dentro le nostre sovrastrutture certamente ci permette di non andare incontro, temporaneamente, a giudizi che innescano insicurezze e reazioni in noi stessi e conseguentemente nei rapporti con gli altri, ma a che costo? Il costo è duplice e davvero molto alto. Per cominciare ci costringiamo a subire una grave perdita: perdiamo noi stessi e la nostra capacità di sperimentare ciò che veramente ci appaga e le nostre peculiarità. In secondo luogo, facciamo perdere agli altri la possibilità di confrontarsi con soggetti rimasti coerenti con la voglia di sperimentarsi ed evolvere, che rivelano una strada percorribile libera dal giudizio, mostrandosi dialoganti con sé stessi e non assoggettati alle convinzioni altrui. Se, al contrario, ci permettiamo di osservare senza giudicare le nostre e le azioni ed emozioni altrui, ci doniamo la possibilità di riuscire a vedere – come fanno ad esempio gli animali non umani che accompagnano la nostra vita – come sia possibile continuare a percorrere la strada dei nostri reali bisogni, sentendoci desiderosi di contagiarci con ciò e chi ci circonda o scegliendo di allontanarci con grande consapevolezza da ciò che non ci appartiene.

Osservando i nostri compagni non umani e abbandonando la presunzione antropocentrica di conoscere meglio di loro i loro stessi bisogni, possiamo tornare a vedere questi individui come soggetti attivi della propria esistenza, capaci di ibridarsi senza perdersi, liberi pensatori. Gli stessi occhi dovremmo rivolgere a noi stessi affinché ogni esperienza vissuta diventi tessuto funzionale al benessere, allo scambio, alla crescita, a nuove aperture e a nuove contaminazioni.

Ecco che la paura del contagio non può che lasciare spazio alla capacità di rimanere connessi con i nostri bisogni e con gli altri – umani e non –, con l’ambiente di cui facciamo parte integrante, potenziando la capacità di evolverci in aderenza a quel che siamo, ai nostri profondi desideri, riconoscendo, e al contempo rispettando, quelli degli altri esseri viventi. Anche in questi tempi – soprattutto in questi tempi – un virus di consapevolezza che genera un’epidemia di benessere diventa possibile abbandonando la paura di non essere abbastanza, disfunzionale al nostro benessere emotivo, e godendo di relazioni con noi stessi e con gli altri, liberi dalle imposizioni e dai giudizi.

Fonte: https://www.italiachecambia.org/2021/05/cambiamo-approccio-contagio/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

Thar do Ling: permacultura e consapevolezza come scelta di vita

Qualche anno fa una coppia di siciliani ha sentito l’esigenza di rimodulare la propria vita per renderla più consapevole, più sostenibile, più lenta. Da questo bisogno è nato il centro Thar do Ling, ispirato ai principi della permacultura con uno sguardo rivolto alla spiritualità tibetana. Il centro è stata una delle tappe del nostro tour nella Sicilia Che Cambia. Partiamo da Tusa e ci dirigiamo verso Montelepre attraversando le Madonie orientali, evitando le autostrade e imbattendoci in un percorso un po’ tortuoso, ma godendoci il paesaggio e scoprendo piccoli paesini fin a quel momento sconosciuti. Siamo in provincia di Palermo, precisamente a Sagana, nel comune di Montelepre, in una splendida valle nel bacino del fiume Nocella. Dopo un piacevole viaggio giungiamo a Thar do Ling, una nuova tappa del viaggio nella Sicilia Che Cambia. Ad accoglierci suoi fondatori, Simona Trecarichi e Danilo Colomela. Appena arrivati, mentre i figli di Simona e Danilo sono attratti dai miei cani che scorrazzano in cerca di palle con cui giocare, ci concediamo un tè per conoscerci meglio a telecamere spente. Simona e Danilo ci raccontano la loro storia e le scelte di vita che hanno portato alla nascita del centro Thar do Ling, dedicato allo sviluppo della consapevolezza.

Qualche anno fa una coppia di siciliani ha sentito l’esigenza di rimodulare la propria vita per renderla più consapevole, più sostenibile, più lenta. Da questo bisogno è nato il centro Thar do Ling, ispirato ai principi della permacultura con uno sguardo rivolto alla spiritualità tibetana. Il centro è stata una delle tappe del nostro tour nella Sicilia Che Cambia. Partiamo da Tusa e ci dirigiamo verso Montelepre attraversando le Madonie orientali, evitando le autostrade e imbattendoci in un percorso un po’ tortuoso, ma godendoci il paesaggio e scoprendo piccoli paesini fin a quel momento sconosciuti. Siamo in provincia di Palermo, precisamente a Sagana, nel comune di Montelepre, in una splendida valle nel bacino del fiume Nocella. Dopo un piacevole viaggio giungiamo a Thar do Ling, una nuova tappa del viaggio nella Sicilia Che Cambia. Ad accoglierci suoi fondatori, Simona Trecarichi e Danilo Colomela. Appena arrivati, mentre i figli di Simona e Danilo sono attratti dai miei cani che scorrazzano in cerca di palle con cui giocare, ci concediamo un tè per conoscerci meglio a telecamere spente. Simona e Danilo ci raccontano la loro storia e le scelte di vita che hanno portato alla nascita del centro Thar do Ling, dedicato allo sviluppo della consapevolezza.

L’idea comincia a maturare nel 2005, originata dal desiderio di creare un luogo in cui poter vivere a contatto con la natura e praticare un modello di vita ecocompatibile, basato su uno stile di vita semplice e lontano dai consumi eccessivi. «La prima attività è stata quella di recuperare attraverso la bioedilizia un immobile che stava andando in malora», racconta Simona. In un primo momento i due fondatori hanno mantenuto il loro lavoro a Palermo, ma col tempo, anche attraverso la conoscenza della permacultura, hanno deciso di creare un’associazione di promozione sociale e divulgare quanto appreso.

«Da un posto da mantenere è diventato un posto che ci mantiene», prosegue Simona. Durante tutto l’anno, infatti, vengono proposti corsi, seminari, workshop, cantieri didattici, campi per ragazzi e famiglie, attività educative per le scuole, ritiri di meditazione e pratica spirituale. Le caratteristiche principali dello stile di vita di Simona e Danilo sono parte integrante della loro offerta formativa, in particolare l’alimentazione vegetariana e, quando possibile, locale e biologica, l’attenzione alla riduzione dei rifiuti – i prodotti usa e getta non sono utilizzati –, l’uso di detersivi ecologici acquistati alla spina, la compostiera per gli avanzi della cucina, l’uso di un sistema di riscaldamento a biomassa per evitare sprechi e preservare la salubrità dell’ambiente e tanto altro. Durante la visita al Centro Thar do Ling sono rimasto particolarmente affascinato dalle arnie, alcune delle quali vengono costruite da Danilo che, oltre a produrre del miele buonissimo – penso il migliore che abbia mai provato –, organizza sia al Centro che presso altre strutture corsi di apicoltura naturale.

L’idea comincia a maturare nel 2005, originata dal desiderio di creare un luogo in cui poter vivere a contatto con la natura e praticare un modello di vita ecocompatibile, basato su uno stile di vita semplice e lontano dai consumi eccessivi. «La prima attività è stata quella di recuperare attraverso la bioedilizia un immobile che stava andando in malora», racconta Simona. In un primo momento i due fondatori hanno mantenuto il loro lavoro a Palermo, ma col tempo, anche attraverso la conoscenza della permacultura, hanno deciso di creare un’associazione di promozione sociale e divulgare quanto appreso.

«Da un posto da mantenere è diventato un posto che ci mantiene», prosegue Simona. Durante tutto l’anno, infatti, vengono proposti corsi, seminari, workshop, cantieri didattici, campi per ragazzi e famiglie, attività educative per le scuole, ritiri di meditazione e pratica spirituale. Le caratteristiche principali dello stile di vita di Simona e Danilo sono parte integrante della loro offerta formativa, in particolare l’alimentazione vegetariana e, quando possibile, locale e biologica, l’attenzione alla riduzione dei rifiuti – i prodotti usa e getta non sono utilizzati –, l’uso di detersivi ecologici acquistati alla spina, la compostiera per gli avanzi della cucina, l’uso di un sistema di riscaldamento a biomassa per evitare sprechi e preservare la salubrità dell’ambiente e tanto altro. Durante la visita al Centro Thar do Ling sono rimasto particolarmente affascinato dalle arnie, alcune delle quali vengono costruite da Danilo che, oltre a produrre del miele buonissimo – penso il migliore che abbia mai provato –, organizza sia al Centro che presso altre strutture corsi di apicoltura naturale.

Tra i progetti futuri, Danilo ci racconta la volontà di creare dei tour esperienziali per i quali sta predisponendo un piano di interpretazione ambientale – una branca dell’educazione ambientale – che permetterà ai visitatori attraverso la traduzione di un codice, quello della natura, di approfondire i valori del luogo e il contesto circostante. Un’altra possibilità che offre il centro Thar do Ling è quella del woofing per chi voglia fare esperienza di vita rurale e immergersi nelle varie attività proposte in un clima conviviale. Infine, un’ultima curiosità legata al nome. Thar dö Ling in tibetano significa “Terra di chi aspira alla grande pace”; Centro per lo sviluppo della consapevolezza invece è una dicitura che legata a una riflessione: «Pensiamo che tutti i problemi del nostro Pianeta – concludono Simona e Danilo – possano essere risolti solo se abbiamo la consapevolezza che il primo passo da fare deve essere il nostro. Per saper muovere i passi bisogna allenarsi. Il Centro Thar dö Ling vuole essere la palestra!».

Fonte: https://www.italiachecambia.org/2021/04/thar-do-ling-permacultura-consapevolezza-scelta-di-vita/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

Orti Dipinti, il giardino condiviso che coltiva socialità e consapevolezza

In un’ex pista di atletica nel cuore di Firenze ha preso vita per iniziativa di Giacomo Salizzoni il progetto Orti Dipinti, community garden e orto urbano e didattico dove si coltivano relazioni e scelte alimentari consapevoli, scoprendo il giardinaggio urbano biologico e le sue applicazioni nella vita quotidiana e nella valorizzazione degli spazi cittadini. Nel cuore di Firenze, più precisamente in via Borgo Pinti 76, c’è un orto urbano nel quale, oltre agli ortaggi e ai frutti, si coltivano relazioni sociali e idee, si scambiano conoscenze e si sperimentano nuove soluzioni. Stiamo parlando di Orti Dipinti – Community Garden 2.0 nata nel 2013 su iniziativa dell’architetto Giacomo Salizzoni.

Giacomo, dopo aver militato per alcuni anni nel Guerrilla Gardening, movimento di giardinaggio d’assalto che vede i comuni cittadini “assalire” le zone urbane in stato d’abbandono armati di vanghe, semi e piante, ha sentito la necessità di dare maggiore continuità al proprio impegno. «Volevo creare una sorta di presidio che rendesse possibile educare ad una maggiore consapevolezza della natura e ho visto nel format del Community Garden dei modelli interessanti da sperimentare e implementare», ci ha raccontato. Scovato lo spazio – un’ex pista atletica – e trovato un accordo con l’amministrazione comunale e con la cooperativa Barberi che ne era fruitrice, Giacomo ha dunque iniziato a dare vita ad uno spazio verde laddove di terra non ce n’era, facendo uso di letti rialzati. In linea con lo stile Community Garden, ad oggi perlopiù luoghi d’incontro e di cultura, la socialità è stato un ingrediente fondamentale nell’esperienza di Orti Dipinti. Dunque pranzi, merende e aperitivi sociali, proiezioni e conferenze, laboratori e degustazioni – perché è vero che oggi le persone cercano luoghi nuovi nei quali incontrarsi e intessere relazioni sociali. Allo stesso tempo, la didattica e la coltivazione di conoscenze hanno rivestito un ruolo centrale sotto forma di lezioni di orticoltura, ambiente e alimentazione, sperimentazioni sulla trasformazione degli scarti o sulle piante. Un prodotto che ad oggi ha sicuramente dato grandi soddisfazioni è stata l’ampolla sub-irrigante di terracotta, che sepolta nel terreno lo idrata dall’interno, consentendo un risparmio idrico fino al 70% senza sprechi – un sistema antichissimo e in uso ancora oggi in paesi come la Cina, il Pakistan, l’India e il Messico che Orti Dipinti ha saputo rispolverare.

Attualmente in Borgo Pinti 76 c’è fermento attorno alla cosiddetta “Erba della Madonna”, pianta dalle notevoli proprietà curative che ancora oggi non si sa bene come estrarre e replicare attraverso creme, gel o magari infusi. Nel Green Market di Orti Dipinti, fra sali aromatici, bombe di semi e vari altri prodotti originali, è già presente il sapone della madonna, e siamo fiduciosi che presto verranno collaudati ulteriori prodotti, sintesi della ricerca e del lavoro di coloro che animano Orti Dipinti. Ma le esperienze di ricerca e le sperimentazioni, in questo laboratorio a cielo aperto, non si fermano certo ai prodotti. Giacomo, che stima molto il lavoro del botanico e scienziato di prestigio mondiale Stefano Mancuso, ci ha infatti raccontato l’aneddoto che si cela dietro alla più rigogliosa delle piante di limone presenti nel giardino. «Anni fa una nostra vicina ce la portò che non buttava foglie da due anni. Per altri due anni l’abbiamo tenuta e curata, ma è rimasta uno scheletro. Poi l’ho potata, l’ho dipinta e messa in una vasca scrivendo sotto “ALBERO DELLA GRATITUDINE: Scrivi qualcosa per cui sei grato e appendilo qui”. Le persone hanno colto l’invito, e nel giro di tre mesi la pianta si è rinvigorita e ha ricominciato a buttare le foglie, fino a diventare il limone migliore che abbiamo». Un indizio, questo, del fatto che il mondo naturale pare essere ben più sensibile di quanto siamo abituati a credere. Interrogato sul futuro, Giacomo sembra avere le idee chiare: «La mia ambizione è quella di strutturare il più possibile questo luogo, cercando di fornirgli quella sostenibilità economica che permetterebbe il diffondersi e il consolidarsi di più realtà di questo tipo, così da generare di riflesso lavoro, buone pratiche e valori».

Fonte: https://www.italiachecambia.org/2020/07/orti-dipinti-giardino-condiviso-coltiva-socialita-consapevolezza/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

StarsBox: una camera a cielo aperto per osservare le stelle

StarsBOX nasce come una casetta di legno per osservare le stelle, dedicata a tutte le persone che hanno voglia di dormire una notte immersi nella natura. L’idea degli architetti che la hanno progettata è quella di porre l’attenzione sulla fruizione consapevole degli ambienti naturali e il loro design riprende la forma archetipa del rifugio combinandola con materiali naturali e un sistema di assemblaggio snello e veloce. StarsBOX nasce come una rivisitazione architettonica e contemporanea dei giacigli dei pastori nomadi, una casetta di legno per osservare le stelle, dedicata a tutte le persone che hanno voglia di dormire una notte immersi nella natura, un oggetto estremamente attuale per la sua matrice vocatoria di isolamento. Vuole essere simbolo di un nuovo modo di fruire la natura, più leggero e consapevole. È stata progettata dagli architetti Officina82, in collaborazione con il sostegno tecnico di Saglietti Group. Già diffusa in numerose strutture ricettive, gli architetti Lara Sappa e Fabio Revetria, hanno utilizzato le loro competenze per offrire un progetto, che consente di apprezzare al meglio l’ambiente naturale, una camera a cielo aperto che concede la possibilità di dormire in un letto matrimoniale a due piazze, immerso totalmente nel paesaggio circostante. Un po’ tenda e un po’ capanna, offre protezione ma può aprirsi al cielo per mettere in scena quanto di più estetico sa offrire la natura.

Fotografia di Simone Mondino

«La collaborazione con Lara Sappa e Fabio Revetria, si è sviluppata qualche anno fa per la progettazione di musei e allestimenti di mostre fra la Francia e l’Italia» cita Simone Saglietti, CEO Saglietti Group e continua «Quando mi hanno presentato il loro progetto, mi sono innamorato della sfida: dovevo trovare una soluzione per proporre sul mercato StarsBOX, totalmente in linea con i valori di Saglietti Group. Dopo mesi di prove e di ingegnerizzazione è nato il primo prototipo, per una casa esperienziale facile da montare e gestire. Il connubio delle capacità di Lara e Fabio con l’esperienza di Saglietti Group ha permesso di dare la vita a un progetto originale con solide basi per il futuro».

Dopo le prime due StarsBox installate al Rifugio Mongioie nell’estate 2018 il progetto si sta ampliando, grazie a un nuovo design e alla creazione della Costellazione StarsBOX, una rete innovativa che unisce tutti gli StarsBoxer. StarsBOX vuole porre l’attenzione sulla fruizione consapevole degli ambienti naturali e il loro design riprende la forma archetipa del rifugio combinandola con materiali naturali e un sistema di assemblaggio snello e veloce.

Fotografia di Nicolò Rinaldi

Se la ripartenza dopo l’emergenza Covid 19 impone distanziamento sociale e richiede alle strutture ricettive di ripensare la visione di ospitalità, ecco che StarsBOX – un progetto nato nel 2019 – può divenire la chiave per far ripartire il turismo in questa annata particolare e rivoluzionaria. StarsBOX può essere fruita da persone sole in cerca di relax, coppie che desiderano una notte in panorami mozzafiati ma attorniati dalla comodità di una casa, amanti della montagna e sognatori incalliti. La casetta per guardare le stelle non impone una fruizione canonica, ma consente alle persone che la frequentano di utilizzarla come più preferiscono, possono aprire il tetto e dormire sotto il cielo stellato, tenerlo chiuso e ricordarsi di quando da bambini si nascondevano per creare un rifugio perfetto: la capanna. Ma se le architetture impongono la loro presenza fisica sul territorio, lasciando i segni della mano del progettista e spesso anche le conseguenze sul suolo dei materiali utilizzati, in questo caso, l’architettura è un contenitore di storie e una volta terminata la stagione, senza troppa difficoltà la StarsBOX potrà essere smontata e riposta. Ciò che ne resterà sarà la collezione di storie di chi l’ha vissuta e abitata, seppur per una sola notte.
«In questi anni in cui si parla di sostenibilità ambientale» ci conferma Letizia Lavarino, referente stampa del progetto, «StarsBox nasce come architettura temporanea, che non si insinua in un territorio con arroganza: è leggera e facilmente spostabile».

Fotografia di Simone Mondino

Attraverso le parole dei progettisti di Officina82 possiamo comprendere meglio la genesi del progetto: «Il progetto StarsBOX nasce dalla volontà di reinterpretare in chiave contemporanea l’architettura “leggera” tradizionale, per sua natura effimera e inserita in punta di piedi nel paesaggio. L’obiettivo è stato quello di condensare in un unico progetto architettura, paesaggio e scenografia e già dai primi schizzi ci siamo resi conti della potenza evocativa di StarsBox: un oggetto plasmabile dall’utente, capace di dar vita a un’esperienza di utilizzo personalizzata e unica, mai uguale a se stessa grazie alla mutevolezza dell’ambiente naturale in cui può essere inserita. StarsBox è uno scrigno. Lo spazio fisico dove giocare coi sogni e abbandonarsi all’incanto».

StarsBox può essere la giusta soluzione per un’estate all’insegna della normalità. È molto probabile che questa stasi forzata imposta dalla diffusione del Corona virus ci offra una grande occasione per concentrarci su noi stessi e sulla bellezza dei panorami che ci circondano, per ripartire tutti insieme a osservale le stelle alla giusta distanza.

Fonte: https://www.italiachecambia.org/2020/06/starsbox-una-camera-cielo-aperto-per-osservare-stelle/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

Lanificio Subalpino: creatività e sostenibilità per una tessitura naturale

Il Lanificio Subalpino è un azienda tessile, a conduzione familiare, nata nel 1976 a Biella. Nella produzione di tessuti destinati all’abbigliamento per uomo, donna e bambino, ha sviluppato una linea Green di tessuti naturali che sta riscuotendo un successo importante a livello mondiale e che ha permesso all’azienda di diversificarsi rispetto ad altre realtà, puntando sulla sostenibilità e sul rispetto ambientale e umano, anche nei confronti del lavoro femminile. Abbiamo incontrato il suo entusiasta amministratore delegato, Nicolò Zumaglini, che ci ha raccontato passato, presente e (possibile) futuro della sua realtà.

Cerreto Castello è una frazione del comune di Quaregna Cerreto, a pochi passi da Biella. La frazione prende il nome dal cerro, una varietà di quercia che un tempo era caratteristica del biellese ma che oggi risulta scomparsa dalla flora locale. Biella e il biellese hanno vissuto e vivono, tra le varie attività, di lana e di filati: qui si trova uno dei distretti tessili più importanti al mondo, favorito dalla presenza di numerosi corsi d’acqua e dalla posizione del territorio biellese, che trovandosi a ridosso delle Alpi ha privilegiato l’allevamento ovino all’agricoltura. Negli ultimi anni l’industria della lana e dei tessuti biellese è stata messa a durissima prova: sono scomparse centinaia di aziende, che tra i vari motivi si sono trovate impossibilitate a sostenere la concorrenza dei materiali tessili (di pessima qualità, ma molto più economici) provenienti dall’estero. I grandi marchi storici hanno retto l’onda d’urto, ma il ridimensionamento del distretto è stato notevole e l’impatto, anche psicologico, molto forte per il territorio.

In questo scenario Lanificio Subalpino, storica azienda a conduzione familiare fondata nel 1975 e oggi gestita da Monica Zanone, Nicolò Zumaglini e Paolo Zanone, rappresenta una felice e meritata eccezione. Originalità, fantasia e una profonda attenzione ai prodotti naturali ha permesso a questa realtà di uscire a testa alta dalla crisi che ha colpito il settore. Lanificio Subalpino è composta da venticinque dipendenti, a maggioranza femminile anche nelle posizioni amministrative e dirigenziali. Produce tessuti destinati all’abbigliamento per l’uomo, la donna e il bambino ed ha sviluppato una linea ecosostenibile (chiamata “linea Green”) di tessuti naturali prodotti senza o con la minima presenza di prodotti chimici e senza l’aggiunta di coloranti dannosi. Molto spesso il colore del tessuto rispetta quello del pelo dell’animale dal quale è stato ricavato. Quando c’è bisogno di colorare, Subalpino si avvale della collaborazione di Tintoria di Quaregna, un’azienda del biellese che usa solamente materiali naturali come cortecce, frutte e verdure varie per tingere i capi. Oltre a questo, una parte del tessuto utilizzato proviene dagli scarti di altre filature biellesi (parliamo di un tessuto di una qualità pregiatissima) che viene recuperato da un fornitore di Lanificio Subalpino, mettendo in pratica così uno dei prinicipi dell’economia circolare.

La linea è certificata Tessile e Salute, il tessuto proviene da allevamenti che rispettano l’animale con una tosatura dolce. Questo tipo di prodotti permettono all’azienda di esportare i propri tessuti in tutto il mondo, con una richiesta che aumenta di anno in anno. Lanificio Subalpino produce anche una linea di prodotti tradizionali, ma in percentuale il trend di crescita della linea Green è di gran lunga superiore rispetto a quest’altro settore.

Consapevolezza e tracciabilità.

Nicolò Zumaglini, amministratore delegato di Lanificio Subalpino, trasmette un entusiasmo quasi fanciullesco nel raccontarci la sua esperienza e nell’esprimere l’amore per il suo territorio.  Ci racconta che “Il biellese è un territorio nella quale, negli ultimi anni, è cresciuta una consapevolezza importante per quanto riguarda il mondo della sostenibilità.
Nell’alimentazione, nella scelta dei prodotti da acquistare e anche e soprattutto nella conoscenza del mondo legato al tessile. Io da bambino, camminando vicino ai fiumi e ai corsi d’acqua del nostro territorio, vedevo sempre queste acque molto colorate, quasi fluorescenti. Molto affascinanti per un bambino, ma non era certo un bel segnale per il territorio! Oggi le persone sono sempre più consapevoli di quale sia la strada da seguire, se vogliamo avere un futuro degno di essere ben vissuto. E cominciamo a mettere in pratica azioni coerenti con questo pensiero”.

Solo un tema smorza (leggermente) il suo sorriso e il suo ottimismo e riguarda la tracciabilità dei tessuti: “una delle cause per cui moltissime aziende del territorio hanno chiuso riguarda il prezzo del tessuto. Per molte aziende tessili che producevano qui nel biellese, era diventato letteralmente impossibile competere nel mercato tradizionale con i tessuti che altre aziende, italiane ed europee, importavano da Paesi extra-europei che tradizionalmente non hanno ‘limitazioni’ in termini di rispetto degli orari di lavoro e dell’ambiente. Le aziende che non hanno saputo differenziarsi hanno dovuto chiudere i battenti. Io comunque credo fortemente che nel tessile si debba seguire, a livello legislativo, ciò che è stato fatto per il settore alimentare: bisogna informare le persone che acquistano i prodotti riguardo la provenienza dei tessuti che acquistano, sulle condizioni lavorative di chi li ha prodotti, con quali prodotti siano stati trattati o colorati questi materiali. Bisogna trovare un sistema, semplice e comprensibile, per rendere chiare queste informazioni a chi acquista i prodotti tessili, è un problema anche di salute perché noi questi prodotti li indossiamo a quotidianamente e vengono a contatto con la nostra pelle”.

In conclusione del nostro incontro, parliamo anche del futuro del Lanificio Subalpino e delle aspettative sui prossimi passi da compiere: “tra i nostri obiettivi futuri, oltre che incrementare gli sforzi in termini creativi e rendere sempre più belli i nostri tessuti, c’è quello di continuare nella direzione del potenziamento della nostra linea Green, perché sogno un mondo dove i tessuti e le tinture saranno completamente naturali, dovremmo ricorrere alla chimica solamente in minima parte, ancora meglio se riuscissimo a liberarcene completamente. I segnali commerciali, comunque, sono ottimi: si formano sempre più economie di scala nel mondo dei tessuti naturali, che stanno permettendo un abbattimento dei costi di produzione e ci consentono una crescita del fatturato della nostra linea sostenibile che fino a un decennio fa per noi era davvero impensabile.

Io sono davvero soddisfatto non solo dell’aumento delle vendite, ma soprattutto perché le persone che indossano i nostri capi si vestono con prodotti di qualità e rispettosi della salute delle persone.”

Fonte: piemonte.checambia.org

Le tre querce: la via della saggezza secondo Berrino, Petrini e Pistoletto

tre-querce-via-saggezza-berrino-petrini-pistoletto

A partire dai grandi macrotemi della salute, dell’arte, dell’agricoltura e dell’alimentazione, i tre saggi si sono confrontati secondo un punto di vista comune, ovvero quello del cambiamento responsabile e comunitario. L’evento è stato realizzato con la partecipazione di “Slow Food”, “La Grande Via” e “Cittadellarte – Fondazione Pistoletto”, ed il supporto di Italia Che Cambia. Si è tenuta venerdi 15 marzo presso l’Aula Magna Cavallerizza dell’Università degli Studi di Torino, l’attesa conferenza dal nome “Le tre querce”, riferimento chiaro e diretto ad un albero considerato sacro sin dai tempi più remoti e dall’aspetto forte ed imponente. La conferenza, che ha visto la partecipazione integrata di tre grandi Maestri quali Franco Berrino, Carlo Petrini e Michelangelo Pistoletto, è stata un’occasione per focalizzarsi sul fatto che tali tematiche, superando i limiti della loro apparente differenza e settorialità, fanno in realtà parte di una stessa e grande visione comune che guarda nella medesima direzione, ovvero quella di dare vita a nuove consapevolezze nei comportamenti e nelle abitudini di vita delle persone. A prova di ciò, la conferenza è stata caratterizzata da uno scambio reciproco di esperienze e suggestioni, che hanno generato un vero e proprio flusso di pensieri e riflessioni condivise.

Eija Tarkiainen, moderatrice dell’evento, ha saputo coordinare ed indirizzare il confronto tra le argomentazioni trattate, incoraggiando e facendo emergere di punti di incontro comuni.tre-querce-via-saggezza-berrino-petrini-pistoletto-1521420079

La premessa della conferenza si è focalizzata da subito su alcuni grandi interrogativi: “come realizzare un cambiamento nella vita di tutti noi, come rigenerare l’uomo, come rinnovare la società e risanare la terra?” In tale ottica, Carlo Petrini ha spiegato come queste tre realtà siano profondamente interconnesse, in relazione alla nostra salute e alla nostra felicità. Le grandi sfide del giorno d’oggi sono ormai sotto gli occhi di tutti: il cambiamento climatico “sta generando delle profonde trasformazioni, in relazione alle quali il sistema alimentare è vittima e carnefice: vittima perché il cambio delle colture sta generando degli sconquassi enormi, allo stesso tempo carnefice perché il sistema alimentare nel suo complesso produce emissioni che influenzano l’effetto serra”. Egli parla di ‘radicalità etica’, secondo cui non bisogna aver paura di andare controcorrente rispetto ad un’economia ormai malsana; bisogna invece passare dall’essere consumatori a coproduttori, mangiando ciò che produciamo ed aiutando in questo modo l’economia. D’altra parte, Franco Berrino approfondisce il discorso sottolineando come la monocultura, causi problemi molto gravi a cui bisogna rispondere riflettendo sulle responsabilità che i nostri Paesi e noi tutti abbiamo nei confronti della sua evoluzione. Rispetto al grande tema della crescita esponenziale della popolazione, egli sostiene che “non dobbiamo produrre più cibo, dobbiamo produrre diversamente”.  Michelangelo Pistoletto in tale ottica si domanda “come ciascuno di noi può fare qualcosa e partecipare senza essere pluriconsumatore”. Egli sostiene che bisogna passare da una mono individualità e da una mono possessione ad una condizione di dualità, dove ci siamo “io e l’altro” ovvero “io e la società”, in un equilibrio tra natura e artificio, natura ed economia, natura e politica. A Cittadellarte questa tematica è stata trattata sotto il punto di vista politico: sostituire al termine ‘Democrazia’, il termine ‘Demopraxia’, partendo dal termine ‘praxis’ (ovvvero pratica), che permetta alle persone non solo più di delegare, ma bensì di praticare, o meglio, demopraticare.

Rispetto al tema della salute, Franco Berrino afferma che non si dovrebbe parlare di ‘diritto alla salute’ quanto di ‘responsabilità alla salute’: mantenerci sani è nostra responsabilità quotidiana; il consumo di molti farmaci sarebbe evitabile con un diverso stile di vita basato su cibo sano anziché su cibi prodotti attraverso trasformazioni industriali o cibi spazzatura. Per questo diventa prioritario aumentare la consapevolezza di ciò che mettiamo nel piatto, per la propria salute e per la salute del pianeta. Partendo dalla necessità di riconsiderare visioni e scelte comuni, Carlo Petrini sostiene che dobbiamo ricostruire delle dimensioni comunitarie; “la comunità – infatti – è in grado di accettare le sfide più grandi perché ha la sicurezza affettiva”. Si tratta quindi di aprirsi maggiormente alla cosiddetta ’intelligenza affettiva’ che accompagni ‘l’intelligenza cerebrale’. Facendo riferimento alla storia del nostro paese, “la ricostruzione o meglio, la rigenerazione, è partita proprio dalle comunità”.tre-querce-via-saggezza-berrino-petrini-pistoletto-1521420220

Un altro argomento su cui si sono confrontate le nostre tre querce è stato quello della bellezza vista nelle sue varie forme. Secondo Michelangelo Pistoletto, pensare alla bellezza come un fatto puramente estetico e predeterminato è limitante: la bellezza è un insieme di sensibilità che conducono al concetto di anima e, come definito nella Trinamica, ovvero la scienza delle relazioni e degli equilibri, ragione e sentimento devono produrre qualcosa di nuovo, creando insieme una società nuova e diversa.

Franco Berrino si inserisce in tale discorso introducendo i concetti di bellezza ontologica, cioè la bellezza intrinseca delle cose, quella esistenziale, ovvero delle persone realizzate spiritualmente e la bellezza artistica, per la quale talvolta dobbiamo essere guidati per poterla comprendere appieno. Egli sostiene che bisogna riacquisire tutte queste forme di bellezza ed afferma: “non avviciniamoci mai a una persona, a un fiore o ad un albero con indifferenza, perché sono dei capolavori della natura”.

Carlo Petrini, in quest’ottica, cita la cultura ebraica, dove “bello e buono si sintetizzano in una sola parola e non è possibile creare bellezza se non c’è passione, che rappresenta ciò che permette di trasformare il mondo”.

I tre Maestri si sono confrontati infine sul concetto di ricerca dell’identità e su ciò che li ha spinti a trovare la loro passione per ciò in cui credono. “Noi abbiamo un’identità nostra che deve corrispondere all’identità del mondo, non solo a un’identità assoluta e individuale” afferma Michelangelo Pistoletto. Franco Berrino aggiunge che “il senso della vita è quello di migliorare le cose, dare un contributo. La mia gioia è la sensazione di essere utile”, mentre Carlo Petrini parla della bellezza del ‘diritto a sbagliare, per apprendere e imparare dalla vita.

Foto copertina
Didascalia: Berrino, Petrini, Pistoletto
Autore: Lorena Di Maria

Fonte: http://piemonte.checambia.org/articolo/tre-querce-via-saggezza-berrino-petrini-pistoletto/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni

 

Italiani più veg, più attenti alla sostenibilità e al risparmio: l’Eurispes “fotografa” una crescente consapevolezza

Il Rapporto Eurispes 2018 “fotografa” l’italianità in tutte le sue caratteristiche, positive e negative: abitudini, scelte, tendenze che vanno per la maggiore, convinzioni. Fra queste ci sono anche segnali incoraggianti.9750-10527

Magari sono segnali ancora timidi, sicuramente graduali, ma qualcosa c’è. Il Rapporto Eurispes 2018 indica che nell’acquisto di beni alimentari gli italiani prediligono innanzi tutto i prodotti Made in Italy (74,1%). Molti (53,1%) acquistano spesso prodotti con marchio Dop, Igp, Doc. In oltre la metà dei casi (59,3%) ad essere privilegiati sono i prodotti a km zero e nell’80,4% quelli di stagione. Più basso invece, il numero (39,4%) di chi acquista spesso prodotti biologici. Il 75,4% dei consumatori controlla l’etichettatura e la provenienza degli alimenti; evita di comperare prodotti nei negozietti etnici (62%) e di marche che non conosce (66,9%). Il 59,9%, inoltre, preferisce non acquistare prodotti contenenti olio di palma. Il 7,6% del campione segue una dieta vegetariana o vegana. In particolare, il 4,6% degli intervistati si dichiara vegetariano (-2,5% rispetto al 2016) mentre i vegani raggiungono il 3% della popolazione (erano l’1%). Anche la sharing economy è entrata nell’ottica italiana, almeno in qualche sua parte: quasi 2 persone su 10 usano il car sharing, ad esempio. Nell’era della condivisione, il 18,6% degli italiani ha usato il servizio di car sharing (+7,5% rispetto al 2016), il 17,1% ha utilizzato biciclette pubbliche con il servizio di bike sharing (+9%), il 15,4% ha provato il servizio di ride sharing (+5%) e il 14,7% ha condiviso libri tramite la pratica del bookcrossing (+1,7%); solo l’8,4% ha fatto couchsurfing(+3,8%), mentre il 6,2% ha condiviso un ufficio con il coworking (+1,1%). I cambiamenti climatici fanno paura al 77,5% degli italiani. La larga maggioranza è disposta ad adottare comportamenti di virtuosi per risparmiare energia elettrica e acqua. Ma occorre sottolineare che tra il 2008 e il 2018 i timori dell’opinione pubblica sulla questione dei cambiamenti climatici, pur restando largamente condivisi, sono complessivamente diminuiti: dall’81,5% del 2008 al 77,5% del 2018. Ridurre i consumi quotidiani al fine di limitare il riscaldamento terrestre è un comportamento da adottare, ma che serve solo se lo fanno in tanti tutti i giorni (è quello che pensa il 41% della popolazione italiana, nel 2008 la pensava così il 34,9% dei cittadini); sono invece convinti che si tratti di una strategia giusta da adottare sempre e comunque il 23% degli italiani (erano il quasi il 40% nel 2008). Un cittadino su 5 pensa al riscaldamento terrestre come un problema troppo grande, che il singolo non può affrontare (+6,7 rispetto al 2008). Per risparmiare energia elettrica e acqua, si è pronti ad usare meno il riscaldamento durante l’inverno (61,4%) e i condizionatori in estate (70,3%), a diminuire i consumi di acqua (72,6%), a far installare pannelli fotovoltaici (61,6%), ad acquistare lampadine a basso consumo energetico (81,6%), a prendere meno l’automobile privata (61,9%). Bene, se da oggi stesso tutti mettessero in pratica tendenze, convinzioni e opinioni su sobrietà e decrescita, avremmo già fatto un enorme passo avanti. Che aspettiamo?

Fonte: ilcambiamento.it

Vivere senza supermercato… si può. E risparmiando!

Per molti di noi cambiare è un verbo che sa di nuovo. Suona come una parola definitiva e liberatoria che pronunciamo quando arriva il momento della quasi-resa, quando siamo stanchi o quando qualcosa impatta su di noi in modo improvviso, forte, qualche volta anche doloroso.supermercato

Cambiare, spesso, non è neppure una decisione ma proprio una necessità, un’evoluzione indispensabile del nostro essere al mondo. E’ per questo, forse, che chi lo fa non lo racconta come qualcosa di impraticabile elencandone le difficoltà e gli ostacoli sulla sua strada. Al contrario, chi attua il cambiamento se ne innamora perdutamente e molto raramente torna indietro. Chi attua il cambiamento, in un modo o nell’altro, è destinato a coinvolgere tutti gli altri, a cominciare dalle persone che gli sono vicine: la famiglia, gli amici, la gente in contatto sui social, i colleghi. Il contagio è inevitabile per i semi e le spore che si lasciano cadere intorno ogni volta che parliamo, agiamo o facciamo scelte in una direzione o in un’altra.

super

Il cambiamento ha bisogno di condizioni favorevoli, di conoscenza, consapevolezza, sensibilità, informazione e tempo di riflessione, cose che nel modo in cui viviamo, ai ritmi velocissimi cui siamo abituati e assuefatti, sono sempre più difficili. E sono proprio queste condizioni a doppio taglio che diventano poi la giustificazione per non iniziare mai. Siamo spesso inconsapevoli del fatto che siamo quasi sempre noi stessi le condizioni all’interno delle quali il cambiamento si realizza.  Per noi e per gli altri

Il libro “Vivere senza supermercato” è il risultato di una storia di cambiamento possibile. Voluta e vissuta dall’autrice, Elena Tioli, che ha cambiato radicalmente le sue abitudini. Due anni interi senza entrare in un supermercato, destinati a diventare molti di più. Ma per quale motivo? Che senso ha? Cosa c’è di male a fare la spesa in un grande centro commerciale? E poi, come sopravvivere senza in una grande città come Roma? Fare la spesa, in realtà, è molto di più che acquistare generi alimentari e prodotti per la casa. E’ un vero e proprio atto politico e rivoluzionario con un significato preciso e con un impatto sulla nostra vita e sul nostro tempo, sull’ambiente in cui viviamo, sul lavoro delle persone in  i un tempio religioso, con prodotti nuovi e lucenti che non vediamo l’ora di portarci a casa stimola un’eccitazione cui pochi possono ormai rinunciare. Interi reparti stipati all’inverosimile di oggetti e alimenti tossici impacchettati in confezioni colorate e accattivanti e di cui ignoriamo (quasi sempre) la provenienza vengono presi letteralmente d’assalto ogni giorno. La spinta è la pubblicità martellante in tv, i bisogni spesso indotti, il poco o pochissimo tempo a disposizione per farci domande. Questo significa quantità spropositate di imballaggi spazzatura, veleni e tossine riversati nell’ambiente e nei nostri piatti ogni giorno, tempi senza fine in macchina e a cercar parcheggio, sfruttamento nelle filiere senza fine della grande distribuzione, accumulo di oggetti e alimenti in eccesso che  in buona parte butteremo, soldi spesi inutilmente.

Su questo possiamo anche essere d’accordo ma poi, nella vita di tutti i giorni, quanto è difficile iniziare a fare la spesa in modo diverso, critico ed etico? Elena Tioli, 34 anni, con un lavoro che la assorbe tutta la giornata e con un passato da consumatrice inconsapevole, è riuscita a percorrere le strade della spesa alternativa tra Gruppi di Acquisto Solidale, negozietti di quartiere, botteghe, produttori locali e la ricerca di prodotti a km zero e biologici. In due anni non è stato soltanto il portafoglio e la qualità di ciò che ha portato a casa a giovarne ma anche un diverso approccio alla spesa che ha generato, di volta in volta, sempre più conoscenza e consapevolezza sulle conseguenze di ogni piccolissimo gesto di acquisto e consumo.

“Vivere senza supermercato” è un libro scritto in uno stile semplice, leggerissimo, divertente e divertito, ironico, scorrevolissimo. Elena Tioli affronta ogni aspetto della nostra spesa: dai cibi preconfezionati e pronti ai prodotti per l’igiene personale e per la casa, dai prodotti usa e getta in plastica di cui siamo campioni di produzione e consumo all’acqua in bottiglia, dalla realtà degli orti urbani alla “necessità” del consumo di carni. Che cosa c’è dietro l’abitudine di acquistare un determinato prodotto? E quali sono le conseguenze a livello locale e globale? Il libro è anche un vero e proprio manuale con esempi, consigli, riferimenti e contatti utili per chi vuole cominciare a dare una svolta consapevole e critica al suo modo di acquistare. Non è necessario farsi sopraffare dalle difficoltà di organizzazione o da tutto quello che ci sarebbe da fare. E’ possibile iniziare anche solo soffermandosi e riflettendo sul proprio stile di consumo e gradualmente ridurre gli sprechi o cimentandosi in piccole autoproduzioni. La consapevolezza vien facendo. E si vedrà che non è poi così difficile, dice l’autrice. Anche lavorando a tempo pieno e vivendo in città, cambiare abitudini può rivelarsi, oltre che utile, estremamente creativo e divertente. Per tutti.

In ogni caso, dopo aver letto questo libro, entrare in un supermercato non sarà più la stessa cosa.

Fonte: ilcambiamento.it

Vivere Senza Supermercato
€ 11.5

«Autoproduzione, così vinco la crisi»

Negli ultimi anni si sta registrando un aumento di persone sempre più consapevoli riguardo a quello che mangiano, che utilizzano per pulire o che mettono sulla pelle. Si osserva una maggiore ricerca del prodotto biologico e sostenibile, ma anche in questo campo ci sono non poche perplessità. Saranno davvero prodotti naturali? Quali sono la loro provenienza e il loro reale impatto sull’ambiente? Sarà giustificato questo prezzo più alto?autoproduzione_

Ed ecco che arriva il momento in cui si decide di coniugare risparmio, salute e ambiente cimentandosi nell’autoproduzione, cioè producendo da soli ciò di cui si ha bisogno a partire dalle materie prime. E c’è anche chi ha fatto dell’autoproduzione la sua pratica quotidiana, e non solo per i motivi elencati prima, ma per una vera ed innata passione. Questa è la storia di Maria Flavia Orlando, 48 anni, mamma, blogger, autrice del libro “Il sapone liquido fatto da me”, autoproduttrice a tutto tondo.

Flavia, quando hai iniziato a dedicarti al fai-da-te?

“Questa passione affonda le sue radici già dalla tenera età: eravamo 5 figli di genitori artigiani e quindi nel nostro sangue ardeva il fuoco dell’autoproduzione. Dal momento che non potevamo permetterci una vita lussuosa, costruivamo da soli i nostri giocattoli a cominciare dal monopattino, sino al prototipo di un motorino a scoppio. Crescendo ho sentito sempre più la necessità di creare ed iniziai ad appassionarmi contemporaneamente di pittura, cucito, bricolage, cucina, ricamo, giardinaggio e cosmetica. La mia mamma mi assecondava mettendomi a disposizione materiale di riciclo, per esempio le stoffe con cui, a soli 8 anni, cucivo tutti i vestitini delle mie bambole di pezza; inoltre dipingevo quadri su assi di legno recuperando le vernici che rimanevano sul fondo dell’impastatrice utilizzata da mio padre per produrre pitture nel suo colorificio artigianale; poi mi dilettavo anche con la cucina, il ricamo e la coltivazione di piantine; per finire, mi dedicavo a creare dei piccoli cosmetici, come per esempio burri di cacao fatti con cioccolata e cera d’api. Per le mie creazioni prendevo spunto da una famosissima enciclopedia che era molto in voga negli anni ’70, di cui ho riletto così tanto le pagine fino quasi a consumarle. Quando mia mamma vide che ottenevo dei buoni risultati, iniziò ad acquistare testi a buon mercato per far sì che io potessi studiare a casa”.

Grazie a studio, passione e dedizione, oggi Flavia è in grado di preparare cosmetici e detergenti naturali ed ecologici e le stesse materie prime, ottenendo prodotti quasi a costo zero. 

“Vivendo immersa in un fantastico bosco di ginepri del Chianti posso coltivare il mio piccolo orto, ricco di piante officinali, e avere la possibilità di cogliere frutti ed erbe che la natura mi dona. Poiché le mie finanze non sono mai state floride, ho sempre dovuto ingegnarmi a fare il più possibile da sola per riuscire a mantenere la mia famiglia composta da me, mio figlio Matteo e il nostro gatto. Quindi non mi sono mai fatta prendere la mano dagli acquisti compulsivi di materie prime di cui posso fare benissimo a meno, in quanto, grazie proprio alla natura, riesco a riprodurre i cosiddetti “attivi”. La mia filosofia di vita è sempre stata “chi fa da sé fa per tre”. La mia innata curiosità e creatività mi hanno portato ad aguzzare l’ingegno e ad inventare un sistema casalingo per ottenere idrolati e oli essenziali da erbe e fiori, semplicemente facendo una modifica alla pentola a pressione e trasformandola in un alambicco per la distillazione in corrente di vapore. Nel mio blog ci sono tutte le indicazioni per praticare questa trasformazione a casa!”.

A proposito del tuo seguitissimo blog “Magica Natura”, com’è nata questa idea?

“Nonostante il lavoro, la famiglia, la casa, ecc., non ho mai smesso di coltivare le mie passioni e realizzare cose nuove. Tutto ciò veniva fatto lontano dal web in quanto non ho mai amato la tecnologia, sino al giorno in cui, nel 2011, una mia amica e collega di lavoro decise di aprirmi un blog perché aveva notato il mio piacere nel condividere ogni mia produzione ed invenzione. Insomma, una volta approdata in questo mondo tecnologico, ho iniziato a conoscere tantissime persone con i miei stessi interessi e questo mi ha spinto a proseguire con ancora più soddisfazione il lavoro che avevo cominciato in età infantile. Sul mio blog si possono trovare informazioni sulle piante medicamentose e sugli oli essenziali, ricette di cucina, ricette di saponi liquidi e solidi e di detersivi, rimedi naturali per la casa e per la persona, gli oleoliti, le materie prime fatte in casa e tanto altro! Anche il libro “Il sapone liquido fatto da me” nasce dalla voglia di condividere i miei studi e la mia esperienza: si tratta infatti di una vera guida alla realizzazione del sapone liquido, grazie alla quale potremo produrre tra le mura domestiche shampoo, bagnoschiuma, sapone da barba, gel doccia e detersivi per la casa”.

Secondo la tua opinione, autoprodurre fa davvero risparmiare?

“Indubbiamente sì, ma solo qualora vengano utilizzate materie prime derivate da un riciclo sensato o facilmente reperibili e a basso costo se non addirittura a costo zero. Capita, però, che all’inizio di un’attività creativo/manuale la spesa iniziale sembri troppo esosa, tanto da indurci a riflettere se non sarebbe il caso di acquistare direttamente un prodotto finito anzichè avvicendarci nel riprodurlo in casa. Ma è davvero necessario acquistare tante materie prime? Secondo il mio punto di vista no! Prendiamo ad esempio il sapone: per farlo in casa sono necessari solo 3 ingredienti di base, cioè olio (generalmente un olio di oliva o di sansa), acqua e soda caustica o idrossido di potassio. A conti fatti il nostro lotto di sapone, da cui ricaviamo almeno 13-14 panetti da circa 100g l’uno, ci viene a costare totalmente circa 4 euro, quindi ogni panetto ammonterebbe a meno di 40 centesimi. Passiamo ora ad esaminare il più semplice dei cosmetici, ovvero una crema base. Se non abbiamo la pretesa di voler imitare una comune crema commerciale, anche questa possiamo realizzarla con semplicissimi ingredienti economici, di facile reperibilità e, soprattutto, senza avere alle spalle studi e studi di cosmetologia e farmacia. Gli ingredienti necessari per realizzare una Cold Cream sono: acqua, olio (anche un extravergine di oliva va bene) e cera d’api. Con questi semplici ingredienti noi saremo in grado di realizzare una crema base multifunzionale da 100g ad un costo totale di circa 1,00€. A seconda della nostra disponibilità economica, possiamo arricchire la crema di oli essenziali e/o sostanze funzionali che soddisfino le nostre esigenze”.

Oltre al risparmio, quali sono i vantaggi dell’autoproduzione nel campo di sapone e cosmetica?

“Saper fare da soli è molto gratificante perché ci rende autonomi e autosufficienti. È una gran bella soddisfazione quella di andare al supermercato evitando lo scaffale dei detergenti senza dover perder tempo a leggere lunghissime etichette di ingredienti sconosciuti e dal nome complicato! Inoltre, sai sempre quello che metti in un prodotto e quindi quello che andrà a contatto con la tua pelle, se qualche componente ti dà dei problemi puoi in ogni momento modificare la composizione andando a creare un prodotto su misura per te. Ancora: possiamo scegliere ingredienti naturali e biodegradabili che rispettano la nostra Madre Terra sdebitandoci per tutti i doni che essa quotidianamente ci offre, senza contare la notevole diminuzione del consumo di flaconi e contenitori di plastica, altamente impattanti sull’ambiente! Infine ho sempre pensato che l’autoproduzione riesca a tenere lontano quella terribile malattia che è la depressione.Nella mia vita ho avuto tantissimi momenti terribili che mi hanno fatto sfiorare questa malattia, quindi per me usare le mani in modo creativo ha sempre significato curare il mio spirito; l’autoproduzione mi permette ogni giorno di scoprire cose nuove che mi riempiono di gioia e mi stimolano a svegliarmi presto ogni mattina, per scoprirne delle altre”.

Un’ultima domanda: hai dei progetti per il futuro legati al settore dell’autoproduzione?

“Il mio vero sogno nel cassetto, sin dall’infanzia, è quello di possedere una fattoria e di creare una piccola comunità autosufficiente. Sognavo gli ecovillaggi quando ancora questi non esistevano!! O meglio, esistevano in una certa misura nei piccoli borghi dove l’artigianato locale era molto apprezzato e dove in realtà sussisteva ancora uno strascico di baratto. Infatti ricordo che, per esempio, le mie zie mi chiamavano per preparare le torte di compleanno dei miei cuginetti ed in cambio io ricevevo delle stoffe con cui potevo cucirmi i vestitini; oppure ricamavo un asciugamano per una delle mie maestre e questa mi regalava un libro; o la mia vicina di casa parrucchiera, in cambio dei miei burrocacao al cioccolato, mi tagliava i capelli gratis. Insomma era uno scambio di beni e servizi che faceva comodo un po’ a tutti e mi piacerebbe fosse il modo di vivere del futuro!”

QUI il blog di Flavia

e la sua pagina Facebook

https://www.facebook.com/Magica-Natura-305885399440448/

fonte: ilcambiamento.it