Fondazione Senza Frontiere: il giardino dove si incontrano biodiversità e solidarietà

Fondazione Senza Frontiere Onlus è un’organizzazione ideata da Anselmo Castelli per sostenere economicamente progetti di solidarietà sociale a favore di bambini e comunità in difficoltà, con un’attenzione particolare alla formazione e all’autodeterminazione. Non da meno è l’impegno di Senza Frontiere nel promuovere la biodiversità e il rispetto per la natura, tanto che ha riqualificato la propria sede trasformandola in un Parco Naturale visitabile da tutte e tutti.

MantovaLombardia – Solidarietà, responsabilità, autodeterminazione, salvaguardia della natura e rispetto per la biodiversità trovano la propria sintesi in una persona (e nella sua organizzazione): quella di Anselmo Castelli e della Fondazione Senza Frontiere. Grazie a una segnalazione di Elena Peverada del Consorzio CAES, da anni partner di Italia che Cambia, incontriamo Anselmo nella splendida sede della Fondazione, presso il Parco Giardino Tenuta Sant’Apollonio, a Castel Goffredo in provincia di Mantova.

Un tempo era un terreno in cui aveva sede l’azienda agricola del nonno e successivamente del papà di Anselmo: oggi è uno splendido parco naturale di oltre settantamila metri quadrati, che a partire dal 1973 ospita piante autoctone della Pianura Padana  che rischiavano l’estinzione. Grazie a questa opera di riqualificazione, oggi anche molti degli animali e degli uccelli che un tempo abitavano questi luoghi stanno tornando oggi a viverli. Perché allora abbiamo citato anche le parole solidarietà e responsabilità?

VIAGGIO E CONSAPEVOLEZZA

Sin dai suoi quindici anni Anselmo Castelli ama viaggiare: «Nel corso della mia vita l’ho fatto tante volte, iniziando dall’Italia e finendo poi per visitare numerosi paesi in tutto il Mondo». Per raggiungere l’Africa e il Sud America, a un certo punto della sua vita, si è appoggiato ai Frati Cappuccini di Assisi, che organizzavano viaggi all’interno delle loro missioni: «All’inizio non avevo ancora la sensibilità per aiutare e sostenere le loro azioni, ero solo interessato a scoprire nuove realtà, popoli diversi da quelli a cui ero abituato; volevo capire come vivevano».

La svolta arriva durante un viaggio nella foresta amazzonica brasiliana, dove Anselmo si mise in contatto diretto con alcune popolazioni indigene. In quei luoghi conobbe un missionario italiano che da alcuni anni, oltre alla sua missione, si occupava dei bambini delle periferie povere del Brasile. Spesso infatti i piccoli vivevano in uno stato di semiabbandono e il religioso cercava di agire per offrirgli del cibo e un’opportunità di studio.

«Dopo questo incontro capii che anche io dovevo fare la mia parte – ci spiega Anselmo – e inizialmente cercai di sostenere le attività di questo missionario e di altre comunità religiose che aiutavano queste persone e i loro bambini».
Nel frattempo, in Italia Anselmo faceva il commercialista e aveva aperto uno studio personale a Castel Goffredo.

Da questo viaggio in Brasile, iniziò il suo percorso nel mondo della solidarietà e dal 1998 la sua attività ha preso la forma di una vera e propria Fondazione Onlus, che si pone l’intento di sostenere economicamente progetti di solidarietà sociale a favore di bambini e comunità in difficoltà.

RESPONSABILITÀ, CARITÀ E ISTRUZIONE

Uno dei pilastri dell’azione della Fondazione Senza Frontiere è la responsabilità: «Dopo il Brasile, capii che io volevo sostenere le comunità e i bambini che ne avessero bisogno, ma non faceva per me lo scopo della carità, cioè la sola e semplice donazione, che poi non comportava progetti di più ampio respiro, ma creava solamente dipendenza e mancanza di autonomia delle comunità interessate» ci spiega Anselmo.

«Io volevo e voglio che queste comunità, che questi uomini e donne, possano autodeterminarsi, crearsi le condizioni per poter emergere e sconfiggere la povertà». Di fatto, queste sue parole sono il manifesto dell’azione della Fondazione senza Frontiere. Come prima cosa, ovunque la Fondazione operi (ha seguito e segue più di sessanta progetti in giro per il mondo), l’obiettivo primario è l’apertura di una scuola in loco

L’alfabetizzazione rappresenta, secondo l’organizzazione, l’apripista essenziale per l’autodeterminazione. Collegato a ciò infatti, Senza Frontiere incentiva e promuove l’apprendimento di diverse attività economiche che possono aiutare le comunità a migliorare le proprie condizioni di vita. «L’esempio che mi viene in mente è quello degli Indios Krahô in Brasile», spiega Anselmo.

Quando il nostro contesto non ci piace, non possiamo lamentarci se rimaniamo con le mani in mano

«Stavano scomparendo, perché il Governo brasiliano li aveva confinati in una zona dove erano vietate caccia e pesca. Ma loro vivevano di questo, non sapevano coltivare! Siamo intervenuti inviando loro tre agricoltori brasiliani che li hanno aiutati a sviluppare le competenze necessarie in agricoltura, e diversi capi di bestiame per sostenerli».

Quando la Fondazione Senza Frontiere ha iniziato le sue attività lì, i Krahô erano circa novanta persone, che formavano un Aldeia – il nome con cui si identifica un piccolo agglomerato rurale. Oggi le Aldeie sono almeno tre e gli Indios Krahô circa trecento. Senza Frontiere infine si caratterizza per una precisa scelta di metodo: la direzione dei progetti non è mai affidata a persone italiane, ma il più possibile alle comunità coinvolte dall’azione di sostegno. «Dall’Italia si può andare nei luoghi interessati per insegnare, collaborare e rendere possibile la realizzazione dei nostri progetti. Ma ci teniamo al fatto che siano le popolazioni del luogo a scegliere il proprio destino, senza imposizioni e condizionamenti da parte nostra». 

IL PARCO GIARDINO E L’ATTENZIONE ALLA BIODIVERSITÀ

Anselmo Castelli, nel suo peregrinare, ha un pezzo di cuore anche per l’Italia, specialmente per il suo luogo natale.
Grazie alla riqualificazione della Tenuta Sant’Apollonio, a cui abbiamo accennato all’inizio di questo articolo, oggi la Regione Lombardia riconosce al Parco la funzione di elemento importante facente parte della R. E. R., ossia la Rete Ecologica Regionale. 

Il Parco Giardino è aperto al pubblico, specialmente alle scuole che da decenni lo visitano perché dotato anche di diversi percorsi culturali  e didattici. Mentre visitiamo il parco girando le immagini per il video che accompagna e integra il racconto di questo articolo, siamo colpiti dalla serenità che infonde questo luogo, circondati da alberi maestosi colorati dal giallo delle loro foglie e da minuscoli laghi e corsi d’acqua costellati di diversi tipi di fiori colorati.

Confidiamo ad Anselmo, che raggiungiamo successivamente per l’intervista, di aver ascoltato anche il curioso canto di diversi uccelli: «Qua fino a pochi anni fa non c’erano quasi più uccelli, ora sono tornati quasi tutti quelli che vedevo da bambino – ci racconta – come l’upupa, diverse specie di picchi, il Martin Pescatore solo per citarne alcuni. In inverno, nel periodo tra gennaio e febbraio, vengono a svernare nei nostri laghetti circa duecento anatre e siamo circondati da Aironi. Un piccolo paradiso per tutta la comunità, era questo il mio sogno».

Di fatto, nella storia di Anselmo e nell’azione della Fondazione Senza Frontiere abbiamo ritrovato molti dei principi che ispirano il nostro giornale e i 7 sentieri che lo guidano: «La responsabilità, il prendersi carico delle proprie azioni senza delega ma con l’impegno che proviene dal cuore, è un valore che ha sempre disegnato il percorso della mia vita».

«Se ci fermiamo e non mettiamo in gioco ciò che abbiamo dentro rischiamo davvero che tutto rimanga così com’è», conclude Anselmo. «Quando il nostro contesto ci piace va anche bene, ma quando non ci piace non possiamo lamentarci se rimaniamo con le mani in mano. Io da solo, anche nella mia attività professionale, avrei ottenuto ben poco: un aiuto decisivo l’ho avuto da chi ha avuto il coraggio di proporsi e agire».

Fonte: https://www.italiachecambia.org/2022/01/fondazione-senza-frontiere/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

Coalizione CambiamoAgricoltura: la politica agricola italiana distrugge natura e biodiversità

L’impatto ecologico dell’agricoltura italiana è troppo elevato e le misure allo studio in questi giorni da parte del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali sembrano non tenerne conto. Ecco l’appello che le associazioni facenti parte della Coalizione CambiamoAgricoltura rivolgono al ministro Patuanelli. Nell’ultima bozza del Piano Strategico Nazionale della PAC post 2022 inviata dal Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali (MIPAAF) alle Regioni è assente l’eco-schema dedicato alle aree naturali per la tutela della biodiversità e le infrastrutture verdi per la conservazione del paesaggio e i nuovi cinque eco-schemi proposti prevedono impegni che ignorano le necessarie ricadute positive sulla Natura all’interno delle aziende agricole. Per la Coalizione CambiamoAgricoltura questa sarebbe una pessima decisione, che ignora i dati forniti dall’ISPRA nel suo ultimo rapporto sulla transizione ecologica nel nostro Paese che confermano l’agricoltura come prima causa della perdita della biodiversità naturale e che mina uno dei nove obiettivi della PAC “salvaguardare il paesaggio e la biodiversità”, nonché l’obiettivo del 10% di aree naturali per la conservazione della biodiversità entro il 2030 all’interno delle aziende agricole indicato dalla Strategia UE Biodiverstà 2030. Le Associazioni della Coalizione CambiamoAgricoltura evidenziano che “gli importanti passi in avanti sul biologico, annunciati dopo l’incontro del Ministro Patuanelli con le Associazioni dell’agricoltura biologica, vengono sviliti dalla cancellazione dell’eco-schema dedicato alle aree per la tutela della biodiversità e agli elementi naturali del paesaggio“.

“Si tratta di una proposta contro la Natura e il Paesaggio che rende evidente la mancanza di consapevolezza nel MIPAAF dello stretto legame tra i sistemi naturali ed i sistemi agroalimentari, ignorando l’ampia documentazione scientifica che dimostra la relazione tra la biodiversità naturale e la resilienza degli agroecosistemi, nonostante la stessa Corte dei Conti europea abbia rilevato nel rapporto del maggio 2020 l’incapacità della PAC di porre un freno alla perdita di biodiversità negli ambienti agricoli”.

Nel documento inviato la settimana scorsa dal MIPAAF alle Regioni gli iniziali 7 eco-schemi vengono ridotti a 5 con la scomparsa dell’eco-schema sull’agricoltura biologica (compensata però dalla previsione del trasferimento di 1 miliardo di euro dal primo al secondo pilastro nel periodo 2023-2027) e la cancellazione dell’eco-schema per il pagamento del mantenimento delle infrastrutture verdi per la tutela della biodiversità e del paesaggio, sostituito da un eco-schema per gli impollinatori che prevede impegni inadeguati e parziali e con una percentuale di budget estremamente ridotta (solo il 5%). Anche la presenza di divieto di diserbo chimico negli impegni, seppur lodevole, non basta a compensare questa grave lacuna. Inadeguato anche l’eco-schema dedicato alla zootecnia, dove gli impegni per la riduzione dell’uso degli antibiotici non sono né chiari né sufficienti e dove non sono indicati il numero massimo di capi ad ettaro, gli impegni per la conservazione della qualità dei prati-pascoli e la salvaguardia di flora e fauna. I nuovi eco-schemi proposti rispondono essenzialmente alla logica della compensazione della riduzione dei contributi alle grandi aziende agricole determinata dalla riforma dei titoli storici e della convergenza interna, mettendo in secondo piano gli impegni efficaci per la tutela dell’ambiente e il contrasto ai cambiamenti climatici.

Un approccio che trova conferma nell’ipotesi della distribuzione delle risorse del primo pilastro per gli eco-schemi, con 360 milioni di euro, corrispondenti al 41% del budget, per l’eco-schema dedicato alla zootecnia e 102 milioni di euro, pari al 12% del budget, per il nuovo eco-schema dedicato agli olivi, i due settori che subiscono la maggiore riduzione dei pagamenti diretti per effetto della convergenza interna e riforma dei titoli storici (che l’Italia attua comunque nella modalità più blanda).

Per la Coalizione CambiamoAgricoltura, la proposta del Piano Strategico Nazionale della PAC post 2022 del Ministro Stefano Patuanelli non solo mette all’ultimo posto l’importante obiettivo della tutela del paesaggio e della biodiversità, ma utilizza la maggior parte delle risorse (il 53%) destinate agli impegni per l’ambiente e il clima essenzialmente per attenuare uno dei pochi effetti positivi della riforma della PAC che dovrebbe garantire una distribuzione più equa delle risorse pubbliche destinate all’agricoltura. La Coalizione CambiamoAgricoltura sottolinea infine che le informazioni sul Piano Strategico Nazionale arrivano al partenariato sociale in modo parziale, frammentato e non ufficiale. Ad oggi non si hanno informazioni sulla programmazione del secondo pilastro e non si conoscono gli interventi previsti nello Sviluppo Rurale per fermare il cambiamento climatico, la perdita della biodiversità e la conservazione del paesaggio rurale. Le Associazioni della Coalizione CambiamoAgricoltura inviano un appello al Ministro Patuanelli: “Siamo ancora in tempo per correggere il grave errore della cancellazione dell’eco-schema dedicato alla Natura e al Paesaggio. Un Piano Strategico Nazionale contro Natura sarebbe insostenibile per il Paese con la maggiore biodiversità in Europa e inaccettabile per chiunque abbia a cuore l’ambiente e il nostro comune futuro”.

Fonte: https://www.italiachecambia.org/2022/01/coalizione-cambiamoagricoltura/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

Boschi liberi:“Vogliamo acquistare un bosco e renderlo di tutti”

Sulla splendida collina morenica di Rivoli, in provincia di Torino, un gruppo di associazioni e comitati ambientalisti ha lanciato “Boschi Liberi”, una campagna per acquistare collettivamente un bosco e prendersene cura in maniera condivisa. Il sogno è salvarlo dalla privatizzazione e avviare progetti di valorizzazione ambientale che coinvolgono i cittadini.

Torino – Proprio dove finisce la Val di Susa, avvicinandosi a Torino, sorge la Collina morenica di Rivoli-Avigliana: un’oasi di natura e pace su cui sorgono ampi boschi e un paesaggio agrario che, forte della sua identità, conserva ancora il sapore di un tempo. Questo territorio, tra i suoi pianalti, i corsi d’acqua, i centri abitati e i caratteristici massi erratici che testimoniano ancora oggi la presenza di antichi ghiacciai, è però in gran parte di proprietà privata.

Per questo motivo nel 2014 un gruppo di cittadini rivaltesi, che prende il nome di Truc Bandieraha acquistato collettivamente un appezzamento di bosco nella collina morenica e ha affidato a una associazione ambientalistaPro Natura Torino, la proprietà e i fondi raccolti in modo collettivo (a cui sono seguite altre acquisizioni e donazioni di privati). Da quel momento è diventato un esempio di gestione collettiva e luogo di relazione di diversi gruppi.

Ora il loro obiettivo è acquistare questo terreno, un bosco ceduo di castagno e trasformarlo in un luogo aperto e condiviso. Un luogo per donare al territorio una gestione naturalistica, facendolo diventare uno spazio di incontro e di sperimentazione, di conservazione della biodiversità, e soprattutto una proprietà collettiva di cui prendersi cura in maniera condivisa.

Salvare un bosco per aiutare le comunità

«Per sostenere l’acquisto abbiamo partecipato al bando Impatto+ lanciato da Banca Etica ed Etica Sgr per cofinanziare in crowdfunding persone under 35 con progetti di attivismo civico e cittadinanza attiva finalizzati alla salvaguardia dell’ambiente e alla lotta al cambiamento climatico e siamo stati selezionati».

Le associazioni e i movimenti coinvolti nel progetto sono accomunati dallo stesso impegno per tutelare il paesaggio e diffondere pratiche virtuose: tra questi ci sono Legambiente RivoliFridays for FutureRivoli Città Attiva, il Gruppo Scout Rivoli 2, Truc Bandiera e Pro Natura. Insieme, nel 2020 hanno dato vita al Coordinamento per la salvaguardia della collina morenica Rivoli-Avigliana per mettere in atto iniziative volte alla tutela della collina morenica attraverso il progetto Boschi Liberi.

«Dopo un anno e mezzo di pandemia in cui gli spostamenti e anche le relazioni umane sono diventati difficili e limitate, il bosco ha assunto per noi un significato ancora più forte. È un luogo dove incontrarsi all’aperto, in sicurezza, che ci ha permesso di continuare a progettare un futuro diverso. In un momento molto difficile per tutti è stato importante riscoprire le bellezze che abbiamo accanto, che a volte diamo per scontate, insieme ad altri. Questo ha favorito la nascita di nuove relazioni, condivisioni e progetti».

Dall’acquisto al monitoraggio ambientale: cosa prevede il progetto

Il progetto Boschi Liberi si concentra sull’acquisto di una porzione dell’estensione di circa un ettaro: una volta acquisito, l’obiettivo è garantire una gestione naturalistica con l’aiuto di alcuni esperti naturalisti e forestali: «Partendo da quello che già si trova nel bosco vorremo impostare una gestione mirata alla conservazione delle specie arboree e arbustive presenti; favorire l’eliminazione delle specie esotiche invasive al fine di migliorare la biodiversità; proporre un modello, replicabile anche sul resto della collina per valorizzare l’ambiente che è molto frequentato per tutto l’anno sia da camminatori che da ciclisti».

A ciò si aggiunge una seconda fase di monitoraggio dell’aria attraverso la collocazione di tre centraline in alcuni punti strategici: una verrà collocata nel bosco, una nel centro storico della città di Rivoli e una nei pressi della tangenziale adiacente, per valutare quanto incidono le attività umane sull’aria che respiriamo e di conseguenza per mostrare quanto sia importante la presenza della collina morenica come polmone verde situato a pochi passi dai centri abitati.

Boschi Liberi: la campagna di crowdfunding

Per realizzare il progetto i nostri protagonisti hanno lanciato Boschi Liberi, una campagna di crowdfunding su Produzioni dal Basso che li aiuterà a concludere l’acquisto del bosco e a iniziare le azioni di monitoraggio ambientale. «Ci serve il vostro aiuto per poter far diventare un piccolo pezzo della collina morenica un bene comune, condiviso e accessibile per vivere questo spazio in modo collettivo e comunitario, oltre che per farlo diventare un luogo di sperimentazione. È un piccolo gesto per prendersi cura del bosco in prima persona e insieme a tante realtà naturalistiche».

Il bosco acquistato sarà un luogo aperto e curato da cittadini e associazioni che hanno a cuore la salvaguardia della collina morenica. Per questo l’invito a partecipare è per tutti: gruppi e singoli che vogliono e vorranno unirsi a questo progetto per renderlo sempre più aperto e condiviso.

Fonte: https://www.italiachecambia.org/2022/01/boschi-liberi-acquistare-tutti/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

La contadina Paola Granata, nel cuore della Sila per mantenere e innovare

La storia di una donna che da anni cerca di fare rete, impresa e innovazione in un territorio storicamente ostico, anche se dalle grandi potenzialità. È quella di Paola Granata, la cui azienda si trova sull’altopiano della Sila cosentina e coltiva in modo etico e rispettoso della terra, seguendo due direzioni: l’innovazione e la multifunzionalità.

CosenzaCalabria – Quella di Paola Granata è una storia legata alla terra, alla Calabria e alle donne. Paola Granata è proprietaria, assieme al fratello e la nipote, dell’azienda agricola di famiglia, che si trova a Spezzano Sila – sui monti della Sila cosentina a 1200 metri – ed è impegnata in prima linea come donna che lavora nel mondo dell’agricoltura e che si impegna assieme ad altre donne. Gestisce l’azienda dal 2003, anche se ha sempre avuto una vita legata alla campagna: «Quando eravamo piccoli venivamo qui alcuni mesi l’anno. Era un posto difficile, isolato, ma lo ricordo in modo positivo: eravamo liberi, andavamo in giro, giocavamo con la natura, guardavamo le stelle».

Adesso l’azienda è la vita quotidiana di Paola e di suo fratello, anche se non è rimasta la stessa di tanti anni fa: «Qui cerchiamo di fare innovazione e multifunzionalità», spiega Paola raccontando come solitamente quei terreni siano sempre stati dedicati alla patata, coltura tipica della Sila. Ma ora «abbiamo voluto diversificar, convinti che le colture di tradizione, quali ad esempio i grani e cereali comuni, non siano più sostenibili ed economicamente vantaggiosi».

Si è deciso allora di impiantare una vigna d’alta quota a bacca bianca: «A distanza di molti anni, lavorando con costanza e convinzione, stiamo raggiungendo ottimi risultati. Ci occupiamo anche della coltivazione di grani antichi e cereali minori, puntando sulla loro trasformazione; produciamo farine di vario tipo poco raffinate avendo cura di macinarle in un mulino a pietra. Abbiamo creato un nostro marchio e ci occupiamo anche di distribuirla in negozi specializzati e attraverso la vendita online».

Cambiamenti talmente inusuali in questo territorio che all’inizio Paola Granata e suo fratello erano guardati con diffidenza e con sospetto da chi ha sempre lavorato in modo standard la terra di quelle zone, mentre ora c’è interesse da parte di chi vuole provare a sperimentare: «Io penso che stimolare l’innovazione in un territorio fa sempre bene: so che grazie al nostro esempio molti si stanno avvicinando anche a queste colture».

In azienda si lavorano i cereali, piantando soprattutto quelli meno coltivati come la segale, il verna e altri, utilizzando semi antichi, alternandoli con colture rispettose dell’ambiente e puntando sempre più al mantenimento della biodiversità. Paola ha infatti aderito al regime del biologico e punta alla certificazione dei propri prodotti. In questo modo, riesce a rendere l’azienda multifunzionale e allo stesso tempo a portare innovazione su un territorio più ampio, contaminando grazie all’esempio. L’innovazione va intesa anche in senso più ampio dello stretto ambito agricolo: «Abbiamo impiantato diversi ettari di alberi da legno pregiato per diversificare e arricchire le essenze già presenti nel nostro piccolo bosco, con ciliegi e frassino, alternati a querciole e cerro».

Tutto questo lavoro è collegato al suo impegno all’interno di Confagricoltura e in particolare di Confagricoltura Donna Calabria, di cui per tanti anni ha fatto parte, lavorando con un team di donne e facendo rete fra le aziende. Oggi Paola Granata è presidente di Confagricoltura Cosenza e ricorda che la sua esperienza con le donne «è stata appassionante e piena di fervore: ho trovato un modo di relazionarmi diverso rispetto alla stessa Confagricoltura, nella quale le donne sono ancora poco presenti».

A tutto questo si aggiungono le difficoltà dell’essere donne, con a carico la gestione della vita domestica e familiare: «Le donne solitamente hanno meno tempo degli uomini, avendo anche la famiglia di cui occuparsi: questo influisce sulle loro possibilità di dedicarsi all’azienda. Se contiamo che poi qui le difficoltà sono numerose, il tempo diminuisce drasticamente».

Non è tutto rose e fiori in Calabria. Paola lo ammette – «bisogna essere un po’ folli per essere agricoltori e con una visione positiva», dice – e non nega le difficoltà: la burocrazia che rallenta e ostacola la vita degli agricoltori, le infrastrutture che mancano e che rendono più lente la distribuzione e le vendite, le normative che dovrebbero sostenere questo tipo di lavoro, la perenne lotta per il ribasso dei prezzi delle produzioni . Per questo emerge ancora più forte la necessità di fare rete: «È fondamentale fare rete sui territori mettendo insieme le aziende: un piccolo passo già abbiamo iniziato a farlo, ma bisogna continuare», spiega dicendo che è uno dei suoi obiettivi come presidente della Confagricoltura provinciale. Per quanto riguarda l’azienda in sé, sicuramente c’è l’intenzione di «farla crescere, continuando nella ricerca e realizzazione di produzioni di pregio, magari allargando lo sguardo verso l’accoglienza, il territorio, la riconsiderazione della montagna

La direzione dei prossimi passi è molto chiara. Così come quella più ampia dell’Italia che cambia: «Per me Italia che cambia significa farsi carico in modo responsabile ed etico delle problematiche agricole, semplicemente perché l’agricoltura è dare da mangiare al mondo».

Fonte: https://www.italiachecambia.org/2021/11/paola-granata-contadina/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

Deposito cauzionale, l’arma per sconfiggere plastica e monouso in Italia

Ove applicato, il deposito cauzionale per gli imballaggi monouso per bevande ha portato ottimi risultati. È per questo che una cordata di associazioni ha rivolto un appello ai ministeri competenti affinché anche l’Italia – secondo maggior inquinatore di plastica nel Mediterraneo – punti su questo sistema ricco di vantaggi per l’economia e per l’ambiente.

Al fine di accelerare la transizione verso un’economia circolare e facilitare il raggiungimento degli obiettivi europei in materia di raccolta e riciclo, l’Associazione nazionale dei Comuni Virtuosi insieme a: A Sud Onlus, Altroconsumo, Greenpeace, Kyoto Club, LAV, Legambiente, Lipu-Bird Life Italia, Oxfam, Marevivo, Pro Natura, Slow Food Italia, Touring Club Italiano, WWF e Zero Waste Italy, chiede l’introduzione di un efficiente sistema di deposito cauzionale per gli imballaggi per bevande monouso in Italia.

Come sta avvenendo in molti Paesi europei, dal luglio scorso anche in Italia viene discussa l’introduzione di un sistema di deposito cauzionale per gli imballaggi monouso per bevande (in plastica, alluminio e vetro). Il dibattito nasce dall’esigenza di raggiungere gli ambiziosi obiettivi europei imposti dal pacchetto economia circolare e in particolare dalla direttiva sulla plastica monouso – SUP, con lo scopo di ridurre la dispersione delle plastiche nell’ambiente e gli effetti dannosi correlati che colpiscono la biodiversità.

La direttiva SUP impone un tasso di raccolta del 90% per le bottiglie di plastica per bevande entro il 2029 (con un obiettivo di raccolta intermedio del 77% entro il 2025) e un minimo del 25% di plastica riciclata nelle bottiglie in PET dal 2025 (30% dal 2030 in tutte le bottiglie in plastica per bevande). Questi obiettivi sono raggiungibili unicamente attraverso l’introduzione di un sistema di deposito cauzionale, unico modello di raccolta selettiva al mondo capace di raggiungere tassi di intercettazione e riciclo così elevati con benefici ambientali ed economici.

L’appello

Per questo motivo un fronte di quindici Organizzazioni no profit nazionali che condividono l’obiettivo di preservare la natura, combattere la dispersione dei rifiuti nell’ambiente e favorire la transizione ecologica si è unito per rivolgere un appello al Governo e alle istituzioni, all’industria e alla società civile per accelerare un processo decisionale che porti anche in Italia all’introduzione di un sistema cauzionale efficace ed efficiente.

Un fronte trasversale ai portatori di interesse si è già espresso a livello europeo a favore dei sistemi cauzionali. Organizzazioni come Natural Mineral Waters Europe (NMWE), UNESDA Soft Drinks Europe e Zero Waste Europe (ZWE) hanno recentemente sollecitato l’Unione Europea a riconoscere il ruolo chiave dei sistemi di deposito cauzionale nel facilitare la transizione verso un’economia circolare, richiedendo di inserire nella revisione della direttiva UE sugli imballaggi e i rifiuti da imballaggio delle linee guida che contengano i “requisiti minimi” per lo sviluppo di sistemi di deposito cauzionali efficaci.

Come funziona un sistema di deposito cauzionale (deposit return systems – DRS)

L’interesse nei confronti di tali sistemi è cresciuto enormemente negli ultimi anni anche a livello globale: attualmente 291 milioni di persone al mondo hanno accesso a sistemi di deposito per il riciclo e questo numero aumenterà di altri 207 milioni entro la fine del 2023.

Il sistema di deposito massimizza la raccolta selettiva degli imballaggi per bevande incentivando la partecipazione dei consumatori attraverso il pagamento di una cauzione che viene aggiunta al prezzo di vendita del prodotto (in Europa solitamente tra i 10 ed i 25 centesimi di euro), la quale viene restituita nella sua totalità al momento del conferimento dell’imballaggio vuoto da parte del consumatore. I sistemi DRS sono attivi in dieci Paesi europei (Croazia, Danimarca, Estonia, Finlandia, Germania, Islanda, Lituania, Paesi Bassi, Norvegia e Svezia) e raggiungono tassi di intercettazione e riciclo che superano il 90%. Ulteriori tredici Paesi si stanno accingendo ad introdurre il deposito nei prossimi quattro anni.

Perché l’Italia ha bisogno di un sistema di deposito cauzionale

Con i suoi quasi ottomila chilometri di coste l’Italia è, dopo l’Egitto e prima della Turchia, il maggior responsabile di sversamento di rifiuti plastici nel Mediterraneo. Un sistema di deposito cauzionale sugli imballaggi per bevande permetterebbe al paese di ridurre sensibilmente l’inquinamento ambientale, di raggiungere gli ambiziosi obiettivi europei in materia di raccolta e riciclo prima citati, e di favorire il perseguimento di obiettivi di riuso per una reale transizione verso un’economia più circolare. Secondo un recente studio di Reloop Platformin Italia oltre 7 miliardi di contenitori per bevande sfuggono al riciclo ogni anno, uno spreco che potrebbe essere ridotto del 75-80% attraverso l’introduzione di un sistema di deposito efficiente. Inoltre, l’attuale sistema di raccolta differenziata del PET permette un’intercettazione solo del 58%, ben lontano dall’obiettivo del 90% imposto dalla direttiva SUP.

Nel decreto Semplificazioni del luglio 2021 è stato inserito uno specifico emendamento che apre all’introduzione di un sistema di deposito anche in Italia. Il Ministero della transizione ecologica in collaborazione con il Ministero dello sviluppo economico si trovano adesso a dover redigere i decreti attuativi per l’introduzione di tal sistema.

Auspichiamo dunque che i ministeri competenti nel definire le caratteristiche di un sistema di deposito nazionale vogliano ispirarsi alle esperienze europee di maggiore successo che vedono sistemi cauzionali di portata nazionale, obbligatori per i produttori di bevande e che coprono tutte le tipologie di bevande nelle diverse dimensioni commercializzate in bottiglie di plastica, vetro e lattine.

Trattasi di sistemi cauzionali regolati e gestiti da un ente no profit formato e finanziato dai produttori di bevande che opera in modo da raggiungere gli ambiziosi obiettivi di raccolta e riciclo stabiliti dal Governo organizzando un modello di raccolta conveniente e facilmente accessibile dai consumatori in cui l’importo della cauzione è un elemento chiave per raggiungere e mantenere tali obiettivi.

I vantaggi

I vantaggi dei sistemi di deposito in breve

  1. I sistemi di deposito cauzionale europei raggiungono tassi di raccolta degli imballaggi per bevande del 94%, contro una media del 47% nei paesi che non adottano tali sistemi.
  2. I sistemi DRS permettono il raggiungimento degli obiettivi di raccolta e di contenuto riciclato minimo previsti dalla direttiva SUP, favoriscono il raggiungimento di ulteriori obiettivi legati al riciclo degli imballaggi ed alla diminuzione di conferimento di rifiuti in discarica.
  3. Stimolando il consumatore a partecipare al processo di raccolta attraverso un incentivo monetario, trasformando il rifiuto in risorsa favorendo un cambio culturale nell’ottica di un’economia circolare. Inoltre, tali sistemi rappresentano una chiara applicazione del principio “chi inquina, paga”.
  4. I sistemi DRS riducono l’inquinamento e la dispersione di imballaggi nell’ambiente. In Germania, l’introduzione del sistema di deposito nel 2003 ha avuto un effetto positivo immediato sul fenomeno del littering: le bottiglie e le lattine sono scomparse dai parchi, dai luoghi pubblici e dalla natura praticamente da un giorno all’altro. Oggi, il 98,5% dei contenitori per bevande viene conferito nel modo corretto.
  5. I sistemi di deposito riducono i costi per le autorità locali, responsabili di dover rimuovere i rifiuti dispersi nell’ambiente, creando vantaggi socioeconomici per le comunità e per diverse industrie, tra cui quella del turismo e dello sport.
  6. Sondaggi europei dimostrano che i cittadini sono favorevoli all’introduzione di tali sistemi.
  7. I sistemi di deposito favoriscono il design sostenibile degli imballaggi, favorendo l’utilizzo di materiali più facilmente riciclabili e riusabili.
  8. I sistemi di deposito possono supportare la creazione e lo sviluppo di sistemi di vuoto a rendere volti al riutilizzo degli imballaggi. Un DRS finalizzato al riciclo, infatti, offre attraverso le sue infrastrutture di raccolta le condizioni per una maggiore immissione al consumo di contenitori ricaricabili per bevande in risposta a obiettivi di riuso definiti per legge.
  9. I sistemi forniscono l’approvvigionamento di materie prime seconde di alta qualità per l’industria del riciclo, favorendo processi virtuosi come il bottle-to-bottle anziché processi di downcycling.
  10. I sistemi di deposito sono finanziati dall’industria delle bevande in assolvimento della loro responsabilità estesa del produttore (EPR: Extended Producer Responsability) e non necessitano di alcun finanziamento pubblico.
  11. I sistemi di deposito riducono il consumo di materie prime con conseguente riduzione delle emissioni climalteranti.

Fonte: https://www.italiachecambia.org/2021/11/deposito-cauzionale-italia/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

TeFFIt, alla scoperta del potere curativo delle nostre foreste

Gli effetti benefici del contatto con la natura, con i boschi e con gli alberi sono noti e documentati e sono tante le organizzazioni che favoriscono questa pratica. Oggi vi parliamo di una rete chiamata TeFFIt, che connette e unisce competenze trasversali in diversi campi per sfruttare la meglio le terapie forestali.

«I due ecosistemi più completi e autonomi presenti sul nostro pianeta sono le foreste e le barriere coralline. La foresta è il modello più evoluto al quale tende la vita emersa e tornare ad essa vuol dire tornare ad una conoscenza più profonda dei meccanismi e persino dei significati che regolano la vita stessa sul nostro pianeta». Con queste parole la dottoressa Fiammetta Piras e Raoul Fiordiponti, mi introducono in un mondo per me nuovo e affascinante. Mi riferisco a quello della rete TeFFIt – Terapie Forestali in Foreste Italiane e di Outdoor Education APS, nata grazie alla sinergia intellettuale di Università in campo medico, biologico e forestale da soggetti pubblici e privati. L’obiettivo è andare a integrare le conoscenze reciproche per realizzare azioni di studio sugli effetti benefici della fruizione di ambienti boschivi sani italiani, ma anche cercare di ottenere il riconoscimento delle Terapie Forestali come promozione della salute nel sistema sanitario italiano. Grazie a una chiacchierata con la portavoce del CTS, la dott.ssa Piras, e con il presidente dell’associazione, Raoul Fiordiponti, il quadro diventa molto più chiaro in merito a questa attività, che non ha niente a che vedere con l’escursionismo o la meditazione guidata in natura. Partiamo dal principio.

Una diversa prevenzione e promozione della salute

Le terapie forestali sono delle pratiche di prevenzione e promozione della salute, ma anche un intervento sanitario che supporta le terapie convenzionali soprattutto per malattie croniche non trasmissibili. In alcuni stati queste vengono già prescritte dai medici curanti e in paesi come Giappone, Svezia, Norvegia, Germania e Stati Uniti se ne raccomanda la pratica alla popolazione. Gli studi scientifici degli ultimi quarant’anni stanno dimostrando i benefici sulla salute psicofisica umana grazie a una regolare frequentazione di ambienti forestali maturi e ricchi di biodiversità.

«La TeFFIt è l’unica realtà in Italia a integrare i punti di vista del mondo forestale, medico, ecologico e della conduzione in ambiente naturale, creando un rapporto sinergico al fine di sviluppare ricerche finalizzate a strutturare metodi innovativi di promozione della salute e prevenzione delle malattie croniche», mi raccontano. L’Associazione promuove infatti percorsi finalizzati al benessere, studiati e sperimentati in foreste italiane sane ed evolute. 

I boschi sono detti sani quando si auto-organizzano rispetto a una serie di elementi che li caratterizzano, in particolare la quantità e diversità di organismi che li abitano – biodiversità – e le relazioni che questi instaurano tra loro – biocomplessità. I fitoncidi, ad esempio, sono segnali che emettono tutte le piante: se una di loro soffre, essendo in comunicazione con le altre, cambierà linguaggio, il quale verrà così captato da tutta la rete che si auto-organizzerà. Dopo esperienze in diverse foreste italiane, la dottoressa Piras e Raoul Fiordiponti, in contesti e situazioni diverse, si sono accorti che le esperienze vissute nelle foreste insieme ai gruppi accompagnati le reazioni positive erano sorprendenti, soprattutto per alcune patologie croniche. Anche bambini con deficit dell’attenzione hanno registrato netti miglioramenti con percorsi di terapie forestali. «Ogni persona trarrà un diverso beneficio che deve essere reciproco. Non si va nel bosco per usarlo e consumarlo, il beneficio deve continuare nel tempo e dei boschi bisogna avere cura e rispetto», sottolineano. 

La relazione tra uomo e foresta

«Tutto passa attraverso il contatto fisico con il fitto dialogo fisico chimico della foresta – spiegano la dott.ssa Piras e Raoul Fiordiponti – fatto di odori, colori, luci, suoni, forme, ma anche spore, pollini, persino microbi alleati e salutari che ci avvolgono quando ci immergiamo in essa. Quando la foresta è ricca e sana, questo “chiacchiericcio” è perfettamente orchestrato e il nostro corpo ne viene attratto e viene indotto a partecipare e adattarsi. I nostri ritmi finalmente rallentano e la foresta ci dà il “la”, come un abile direttore d’orchestra, perché anche le nostre funzioni tornino a risuonare in modo armonioso tra loro e con l’ambiente che ci circonda».

Ovviamente tutto questo è vero solo se al corpo e alla mente non viene imposto di impegnarsi in esercizi o altre attività, ma sono lasciati liberi di abbandonarsi agli stimoli che ricevono. Allora una foresta integra può trasformarsi in uno specchio che riflette un’immagine di noi più sana e serena come modello di benessere che sentiamo nostro e che possiamo raggiungere, ispirandoci anche ad adottare stili di vita migliori. Ciò non può essere vero se si va, invece, in un bosco malamente gestito, impoverito, “mutilato” del suo sottobosco, disturbato da una presenza umana indelicata e invadente, e la cui “sinfonia” risulterà inevitabilmente scarna e stonata.
«È pur vero che le persone poco abituate alla natura selvatica – continuano a raccontare – all’inizio possono sentirsi disturbate e persino infastidite o spaventate dall’apparente disordine delle foreste integre, e vanno introdotte ad esse con delicatezza e attenzione».

«Ma via via che il contatto con la Natura si approfondisce, esso evolve in una relazione sempre più stupefacente, gratificante e salutare. E le persone cominciano a percepire anche le differenze tra un bosco e l’altro, come sia diversa una pineta da una macchia mediterranea o da una faggeta. E ciascuno impara a muoversi in sintonia con foreste differenti, rispettandole e traendo da ognuna il beneficio migliore per sé. Scoperte e meraviglie non finiscono mai, basta comprendere con correttezza i dati forniti dalla scienza sul potere terapeutico delle foreste come ecosistemi e non ostinarsi a vederle come semplici luoghi dove fare attività prestabilite o assorbire qualche ingrediente terapeutico».

La TeFFIt organizza diversi corsi rivolti alle persone che vogliono capire come creare questa relazione e migliorare da soli la propria salute frequentando foreste sane, autodeterminate, biodiverse, biocomplesse. Sono corsi di Auto immersione in Foresta, di Conduttori in Immersione in Foresta e corsi relativi all’Outdoor Education basati su studi scientifici. Tutti vengono erogati da professionisti, medici, forestali e professori universitari, online, dal vivo e con parte pratica in presenza. L’obiettivo è velocizzare il ritorno alla relazione con la foresta, percepire i canti degli uccelli, ma anche ritrovare il significato dei profumi e dei colori come linguaggi che variano a seconda che si tratti di un allarme, di un richiamo o di un vero e proprio canto di gioia di vivere. Si cominciano a comprendere i diversi meccanismi esistenti, ad interpretare il significato di “parole” e “frasi” per noi esseri umani inconsuete, ma non solo perché si sono imparate cognitivamente, ma perché si è finalmente entrati in relazione con il popolo delle foreste.

Obiettivi generali

TeFFIt è l’unica realtà italiana con il registro nazionale dei conduttori iscritti all’elenco del Mise – Ministero dello Sviluppo Economico. L’idea non è fornire solo una formazione, ma individuare persone con cui sviluppare questa rete e continuare a fare ricerca, a capire come funziona questo meccanismo, ad avere più dati. Ai conduttori viene chiesto di svolgere un lavoro certosino che metta in evidenza il tipo di bosco in cui si sono fatte le immersioni, la stagione, la temperatura e altri dati scientifici che servono a rendere sempre più preciso il quadro. È improbabile, infatti, che una macchia mediterranea funzioni tal quale a una foresta di sequoie. Anche il tipo di relazione è preferibile che venga fatta da chi conosce molto bene un territorio. Nel Nord Europa sono abituati al cattivo tempo e a vivere la natura in tutte le condizioni metereologiche. Chi abita al Sud, invece, farà più fatica ad adattarsi a condizioni che nella sua quotidianità non vive. Anche le linee guida europee in merito agli studi sulle terapie forestali tengono molto in riferimento la localizzazione geografica perché la relazione con la foresta cambia in base al proprio ambiente, alle proprie necessità, alla propria realtà geografica e al proprio sistema sanitario, persino alla propria cultura, sottolineano. La rigidità, il riduzionismo o un approccio solo basato sull’intuito non aiutano molto in questo processo di relazione. Solo attraverso un metodo corretto che interseca più saperi si permetterà alle persone di trovare nel bosco quello che nei lavori scientifici viene chiamato il “luogo preferito”, inteso come quello in cui ciascuno si trova più a suo agio e ne trae il massimo beneficio per sé. Dimenticate le escursioni in natura, esercizi di meditazione o le varie forme di jogging, le attività proposte da TeffIt consistono nell’entrare in contatto con la natura attraverso sensazioni fisiche e non è richiesto neanche un impegno mentale. Al contrario, l’attenzione involontaria che usiamo quando siamo in natura non necessita di alcuno sforzo. Vagare in natura, con la mente e con il corpo, sarà la sensazione più stimolante e curativa mai provata!

Fonte: https://www.italiachecambia.org/2021/10/teffit-potere-foreste/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

L’agricoltura chimica e gli allevamenti intensivi hanno spazzato via 4 milioni di aziende agricole in Europa

L’uso massiccio della chimica di sintesi e di premi alle tecniche intensive di produzione agricola e di allevamento hanno ottenuto non solo il risultato di inquinare l’ambiente, ma anche quello di spazzare via 4 milioni di aziende agricole in Europa.

L’approvazione definitiva della legge sul bio diventa ogni giorno più urgente. Perché ogni giorno arriva una conferma dei guasti prodotti da una lunga stagione di uso massiccio della chimica di sintesi e di premi alle tecniche intensive di produzione agricola e di allevamento. I danni prodotti da queste scelte sono stati profondi. Spaziano dall’impatto sulla biodiversità a quello sulle falde idriche, dalla salute del suolo a quella dei consumatori. Passando per il contributo importante all’aggravarsi della crisi climatica. Ma c’è un altro danno, economico, che ora viene evidenziato: la conseguenza di decenni di queste politiche è stata l’emorragia delle piccole aziende, spazzate via dall’industrializzazione del settore agricolo. Il problema emerge da un’inchiesta del Guardian: il numero di allevamenti di pollame e bestiame nell’Ue, esclusa la Croazia, è diminuito di 3,4 milioni tra il 2005 e il 2016, attestandosi a 5,6 milioni. Il numero totale di tutti i tipi di aziende agricole nell’Ue è sceso nello stesso periodo da 14,5 milioni a 10,3 milioni”.

Una moria di imprese determinata dal meccanismo della Pac, la politica agricola europea che ha finito per premiare l’intensificazione dei processi agricoli, cioè i sistemi a maggior impatto ambientale: l’80% dei finanziamenti continua ad andare al 20% delle aziende, le più grosse. In particolare l’impatto sulla biodiversità è stato impressionante. Come ricorda il Guardian, il numero di uccelli dei terreni agricoli nell’Ue si è dimezzato in tre decenni, secondo l’European Bird Census Council. Nel territorio dell’Unione europea solo un quarto delle specie gode di un buono stato di conservazione e l’80% degli habitat chiave è in modeste o cattive condizioni. Per questo l’Europa ha scelto di puntare con decisione sul biologico, cioè sulle tecniche di coltivazione che permettono di ridurre sensibilmente l’impatto ambientale della produzione, di tutelare il suolo e di proteggere la biodiversità. Il target europeo al 2030 è 25% di campi bio e 10% di aree destinate alla protezione della biodiversità all’interno dei terreni agricoli.

Fonte: ilcambiamento.it

Fondo Forestale Italiano: compriamo boschi per salvarli dall’abbattimento

Oggi vi parliamo di un progetto di tutela ambientale che utilizza la proprietà privata per diffondere il bene comune. Il Fondo Forestale Italiano, infatti, acquista o affilia alla propria rete aree boschive allo scopo di evitare che gli alberi che le popolano vengano abbattuti a scopi commerciali. Ci ha raccontato i dettagli il presidente del fondo Emanuele Lombardi.

Attraversare la campagna del viterbese fino a Manziana per andare a incontrare Emanuele Lombardi, presidente del Fondo Forestale Italiano, è un privilegio che solo una freelance di Italia che Cambia può permettersi. Il sole è alto, i borghi incontrati lungo la strada sono antichi ma pieni di vita e il verde domina nei campi sterrati tutto intorno la strada Braccianese. La nostra meta è il Bosco di San Lorenzo, nel paesino omonimo, una delle prime proprietà del Fondo Forestale.

«La chiamiamo “la nostra oasi” – mi dice Emanuele – ed è per tutelarne il terreno che stiamo raccogliendo fondi. Vogliamo ampliarla di altri cinque ettari, oltre all’ettaro abbondante che già possediamo. Solo così potremmo proteggere tutti gli alberi impedendone il taglio».

Emanuele Lombardi

È proprio questa, infatti, la mission principale del Fondo Forestale: preservare la biodiversità conservando e creando boschi. La Onlus utilizza la proprietà privata come mezzo per garantire che nessuno taglierà mai nei boschi: «Noi compriamo o riceviamo in dono terreni boschivi e ne manteniamo intatta la vegetazione, cosicché diventino una risorsa a vantaggio dei locali o di chi li attraversa», mi spiega il presidente di questa giovane associazione che aspira a diventare, un giorno, una Fondazione. Il Fondo Forestale Italiano ha scritto nello statuto costitutivo che in tutti i terreni di sua proprietà è vietato il taglio degli alberi. Viene praticata piuttosto un’attività di avviamento ad alto fusto, ovvero i membri del Fondo s’impegnano a tutelare i boschi cedui affinché in futuro diventino foreste di alberi da alto fusto, cioè alberi nati da seme piuttosto che dai polloni. Tutte le attività hanno come unico scopo quello di far sì che il bosco ritorni ad assumere la sua funzione originaria, «essere luogo di natura fine a sé stessa piuttosto che luogo di divertimento umano».

Solo così i boschi potranno riacquisire il loro valore e, di conseguenza, anche le persone che li attraversano o li vivono da vicino ne beneficeranno. Perché, tra i moltissimi benefici, il bosco è il motore della pompa biotica, è il primo agente della cattura di CO2 ed è fautore di numerosi benefici per la salute grazie alle particelle volatili (BVOC) emesse dalle piante. Per non parlare della loro bellezza e del valore storico-culturale.

«La nostra è una scommessa nata da un’intuizione», prosegue il presidente mentre raggiungiamo il Bosco di San Lorenzo. «L’idea era semplicemente quella di comprare i boschi per impedirne il taglio. Io non ho fatto altro che renderla pubblica creando un sito web per cercare soci interessati. A pochi anni dalla nostra nascita siamo 12 soci e abbiamo una rete di terreni sparsa in tutta Italia, alcuni di nostra proprietà, altri affiliati».

Per entrare nella rete del FFI, infatti, è possibile sia vendere che donare o affiliare il proprio terreno boschivo superando un’analisi di idoneità fatta sulla base soprattutto delle dimensioni. Una volta entrato in rete, il bosco viene tutelato mantenendone intatta la biodiversità e impedendo il taglio degli alberi. Inoltre, tra le attività principali del Fondo, c’è anche quella di riforestare e prendersi cura dei nuovi alberi.

«Comprare boschi non è facile come può sembrare», prosegue Emanuele mentre ci godiamo un cappuccino e una spremuta on the road. «È molto dispendioso avere delle proprietà. Oltre al costo del terreno, sono elevatissime anche le spese notarili. Ma ne vale la pena perché mantenere i boschi nel loro stato naturale, senza tagli a scopo economico, è una questione etica fondamentale e imprescindibile se vogliamo salvaguardare l’ambiente e noi esseri umani».

Questa piccola, ma grandissima associazione va avanti grazie alle donazioni dei molti che ne condividono la mission, ma dovrebbe essere un impegno di tutti se vogliamo assumerci la responsabilità di preservare l’ambiente e le future generazioni. Se anche voi volete entrare in questa meravigliosa e fertile rete, potete dare un vostro contributo o, se ne avete, è possibile donare e affiliare il vostro bosco al FFI. A beneficiarne, oltre che gli alberi sottratti al taglio, saremo soprattutto tutti noi esseri umani, così dipendenti dalle attività benefiche delle piante. Aiutare il fondo è un atto etico, non una carità.

Le attività del Fondo Forestale Italiano sono possibili solo grazie a donazioni di denaro e di terreni. Se vuoi dare il tuo contributo contatta Emanuele Lombardi : tel. 3517801288, Mail : info@fondoforestale.it. E per aiutare il FFI senza spendere un euro puoi devolvergli il 5×1000. Basta che scrivi il CF 91030740608 nel tuo 730, CU o UNICO.

Fonte: https://www.italiachecambia.org/2021/05/fondo-forestale-italiano-compriamo-boschi/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

IT.A.CÀ: il tema dell’edizione 2021 sarà il diritto a respirare

Dopo l’edizione virtuale del 2020, conclusasi lo scorso novembre, IT.A.CÀ migranti e viaggiatori, il Festival del Turismo Responsabile, si sta preparando per il 2021, raccogliendo i preziosi spunti offerti da questo difficile anno e incentrando la rinascita sul tema del Diritto e Respirare. Dopo aver raggiunto oltre 2 milioni e mezzo di utenti nella prima parte completamente online dell’evento, che da maggio a giugno ha virtualmente accolto 165 esperti del turismo, IT.A.CÀ ha appena concluso anche la sua seconda parte ‘live’: da agosto a novembre, infatti, il festival che per primo ha raccontato in Italia i temi legati al turismo responsabile è tornato ad organizzare gli eventi sui territori.

Con la sua rete composta da oltre 700 realtà nazionali e internazionali, formata da 21 tappe presenti in 12 regioni italiane, il festival ha potuto raccontare, dal punto di vista di ciascun territorio, il tema 2020 – Bio-diversità: paesaggio e umana bellezza – attraverso l’organizzazione di oltre 200 eventi dal vivo (nel pieno rispetto delle norme anti-Covid19). Ma lo ‘stop’ del festival è solo apparente. IT.A.CÀ infatti con la sua rete non si è mai fermata e, dopo aver salutato gli ultimi eventi di novembre, è già al lavoro per l’edizione 2021.

«Puntiamo maggiormente a fare del turismo il volano di sviluppo delle aree interne, che offrono quel benessere ormai compromesso nei centri urbani, impegnandoci a realizzare un programma capace di coniugare il diritto di respirare dei visitatori con la qualità della vita degli abitanti», afferma Pierluigi Musarò, Direttore di IT.A.CÀ.

Foto di Sonjita Brez tratta dalla pagina facebook Itaca migranti e viaggiatori

Ed è proprio Diritto di Respirare il tema portante di quella che nel 2021 sarà la XIII edizione del festival: un pensiero che trae ispirazione da Achille Mbembe, filosofo camerunense considerato uno dei più importanti teorici del post-colonialismo. IT.A.CÀ già in questi giorni sta accogliendo le numerose richieste di nuove realtà del nostro Paese, a riprova di un interesse verso le tematiche del festival che cresce sempre di più.

Territori e regioni che intendono proporre percorsi, itinerari, piccoli eventi nel rispetto della natura e dell’ambiente. E nel pieno rispetto del respiro: il tema 2021 è una riflessione sul respiro non solo come bisogno, ma come diritto. Un fluire lento e fondamentale, una presenza e un ascolto di ciò che c’è intorno e dentro di noi. Il respiro che manca dal corpo malato, il respiro che non c’è nella natura quando la si inquina. Diritto di respirare è la risposta della rete del festival all’emergenza in atto: per ricordare a tutti che esistere non è avere o possedere, ma significa semplicemente respirare. Ed è un diritto fondamentale della Terra, degli esseri che la abitano, delle nostre esistenze.

«La pandemia ci ha messo di fronte alla cruda realtà dei fatti, ovvero che l’attuale sistema economico non è più sostenibile: è giunta l’ora di fare veramente un cambio di paradigma per rimettere al centro delle nostre vite l’ambiente in cui viviamo e la cura delle comunità», dichiara Sonia Bregoli, co-fondatrice del festival. L’azione della rete del festival su nuovi modelli di viaggio continua da sempre e, in un anno segnato dalla pandemia, ora più che mai l’intero settore del turismo deve fare i conti con la necessità di ridisegnare il proprio futuro verso scelte sostenibili e più attente alle comunità e ai territori.

Fonte: https://www.italiachecambia.org/2021/04/itaca-edizione-2021-diritto-a-respirare/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

Un frutteto comunitario per sostenere l’agricoltura locale

A Genova nasce un frutteto comunitario aperto a tutti cittadini, che potranno “adottare” un albero: un’iniziativa che sostiene le aziende agricole locali e diversi progetti di riforestazione nel sud del mondo. Ogni albero porta con sé un impatto duplice, sia ambientale che sociale, che ricade sulla vita delle comunità a cui vengono affidati.

La Tabacca è un’azienda agricola ecologica che si trova sulle alture di Voltri, nell’estremo ponente del comune di Genova. Qui, negli anni, la permacultura è diventata strumento di progettazione e l’agricoltura sociale un’opportunità di costruzione di reti locali. Il risultato è tangibile: grazie al costante impegno delle due donne che l’hanno fondata, Giorgia Bocca e Francesca Bottero, in questo luogo fioriscono ciclicamente opportunità sempre nuove, di sviluppo sostenibile e di inserimento lavorativo di persone fragili. Ed è proprio in questi giorni che in Tabacca si festeggia un lieto evento: la nascita di un frutteto comunitario. Di cosa si tratta? Ne abbiamo parlato con Giorgia, che ci ha parlato di questo ultimo progetto di agricoltura sociale.

A Genova nasce un frutteto comunitario aperto a tutti cittadini, che potranno “adottare” un albero: un’iniziativa che sostiene le aziende agricole locali e diversi progetti di riforestazione nel sud del mondo. Ogni albero porta con sé un impatto duplice, sia ambientale che sociale, che ricade sulla vita delle comunità a cui vengono affidati.

La Tabacca è un’azienda agricola ecologica che si trova sulle alture di Voltri, nell’estremo ponente del comune di Genova. Qui, negli anni, la permacultura è diventata strumento di progettazione e l’agricoltura sociale un’opportunità di costruzione di reti locali. Il risultato è tangibile: grazie al costante impegno delle due donne che l’hanno fondata, Giorgia Bocca e Francesca Bottero, in questo luogo fioriscono ciclicamente opportunità sempre nuove, di sviluppo sostenibile e di inserimento lavorativo di persone fragili. Ed è proprio in questi giorni che in Tabacca si festeggia un lieto evento: la nascita di un frutteto comunitario. Di cosa si tratta? Ne abbiamo parlato con Giorgia, che ci ha parlato di questo ultimo progetto di agricoltura sociale.

Giorgia, parlaci del frutteto: dove si trova e in che senso è “comunitario”?

Sorge su un terreno condiviso con una famiglia del piccolo borgo vicino alla Tabacca: insieme a loro ci prenderemo cura degli alberi e della frutta che raccoglieremo. Il frutteto entrerà a far parte dei progetti sociali della nostra azienda agricola e verranno impiegate tecniche agro-ecologiche che comprenderanno anche interventi per aumentare la biodiversità, migliorare la fertilità del terreno con sostanze naturali.

Com’è nato il progetto?

Siamo stati coinvolti da due imprese benefit: ZeroCo2, un’azienda italiana che da tempo si occupa di riforestazione ad alto impatto sociale, e da Flowe che hanno deciso di destinare proprio a noi, come Tabacca, cento alberi da frutta. Cachi, meli, peri, noci e ciliegi sono stati impiantati secondo principi ecologici e ci occuperemo di farli crescere con cura e attenzione. Quando saranno più grandi, potranno essere “adottati” da persone che, con il proprio contributo, sosteranno parallelamente anche progetti comunitari nel sud del mondo.

Giorgia, parlaci del frutteto: dove si trova e in che senso è “comunitario”?

Sorge su un terreno condiviso con una famiglia del piccolo borgo vicino alla Tabacca: insieme a loro ci prenderemo cura degli alberi e della frutta che raccoglieremo. Il frutteto entrerà a far parte dei progetti sociali della nostra azienda agricola e verranno impiegate tecniche agro-ecologiche che comprenderanno anche interventi per aumentare la biodiversità, migliorare la fertilità del terreno con sostanze naturali.

Com’è nato il progetto?

Siamo stati coinvolti da due imprese benefit: ZeroCo2, un’azienda italiana che da tempo si occupa di riforestazione ad alto impatto sociale, e da Flowe che hanno deciso di destinare proprio a noi, come Tabacca, cento alberi da frutta. Cachi, meli, peri, noci e ciliegi sono stati impiantati secondo principi ecologici e ci occuperemo di farli crescere con cura e attenzione. Quando saranno più grandi, potranno essere “adottati” da persone che, con il proprio contributo, sosteranno parallelamente anche progetti comunitari nel sud del mondo.

Quale valore può portare un progetto come questo in un momento storico come quello che stiamo attraversando?

Desideriamo che il momento del trapianto diventi un vero e proprio percorso di partecipazione. In questo senso, come Tabacca, abbiamo deciso di aggiungere un “pezzo” in più: vogliamo dedicare a ogni albero un pensiero, una poesia o un nome, perché in un momento così delicato pensare di trasferire empatia tramite un albero significa provare a colmare il vuoto che si è creato tra la natura e gli umani. In questo modo, ognuno diventa testimone del proprio messaggio, da diffondere e raccontare. Naturalmente vista la situazione sanitaria se non sarà possibile farlo fisicamente lo faremo noi, “dedicandolo” ad amici, famigliari, sostenitori e organizzazioni con cui lavoriamo da tempo e condividiamo i valori dell’inclusione, della solidarietà e della difesa dell’ambiente.

Così un semplice frutto racchiude i valori di un progetto capace di generare un impatto sociale a tutto tondo.

Fonte: https://www.italiachecambia.org/2021/03/frutteto-agricoltura-locale/?utm_source=newsletter&utm_medium=email