Cambiamo approccio e facciamo in modo che il contagio si diffonda!

La radice etimologica del termine contagio ci fa scoprire un’accezione di questo concetto che per noi è nuova e decisamente diversa da quella che, soprattutto in questi ultimi mesi, siamo abituati ad attribuirgli. Eppure essa è estremamente familiare alla maggior parte degli esseri viventi che popola il Pianeta insieme all’homo sapiens. Ancor prima che esseri viventi, siamo stati il sogno di un uomo e una donna che sono poi diventati padre e madre. Ancor prima di essere chioma, l’albero è stato solo fusto, seme e ancor prima del seme è stato l’albero da cui quel seme è caduto. Ancor prima che abbiano un significato, le parole nascono da suoni e radici che hanno altri significati e possono portare luce su ciò che creano nelle nostre vite. Iniziamo con queste sfumature poetiche poiché il linguaggio nasce da processi di creatività, musicalità e anche poesia, intesa come la capacità di celebrare il bello, cosa intangibile, in parole che possano rendercene una immagine osservabile. E lo facciamo per concentrarci sul tema attuale del Contagio. La parola Contagio nasce dall’unione di due termini latini che sono: con (insieme) + tangere (toccare). In questo periodo storico di contagio inteso come trasmissione di malattia, che cosa accade in ognuno di noi dall’incontro di “insieme” e “toccare”? “Insieme” ha a che fare con una dimensione sociale, di condivisione, di presenza, con la dimensione di esseri relazionali che ci appartiene. “Toccare” ha a che fare col tatto, stare a contatto, con la sensorialità, con la fisicità, con ciò che ha risonanza con le sensazioni e la materia fisica.

La riflessione viene dal fatto che quando siamo insieme a un essere vivente di specie diversa e lo tocchiamo, traiamo da questo gesto una sensazione di piacevolezza che è immediata. Accade altrettanto negli abbracci sentiti tra esseri umani: essere insieme e toccarsi, stare a contatto, col corpo. Allo stesso modo, quando siamo insieme a qualcuno e tocchiamo, stiamo a contatto con le sue informazioni, con le sue emozioni, in un processo che è altro da quello razionale, ne usciamo diversi. Arricchiti o depotenziati.

Il punto è: cosa ne facciamo, di tutto questo? Stare insieme con ciò che ci tocca è il ponte per la passare da una vita fatta di incertezze e automatismi a una vita di percezioni coscienti e sensazioni di qualità. Stare insieme anziché giudicare o etichettare, toccare anziché capire. Lo sanno benissimo gli esseri non umani che trasformano ogni cosa da cui vengono toccati, ogni loro esperienza, in materia prima di cognizione, emozione, esperienza con cui stare insieme, da cui costruire. Permettere a quella materia di diventare personalità e storia accolta, anziché lottarci, ignorarla, fare finta che non esista e persino ripudiarla, azioni che danno vita a quella profonda dis-connessione che ci impedisce di stare veramente insieme a ciò che ci accade, di lasciarci toccare e da qui soffriamo perché perdiamo pezzi della nostra stessa storia e della storia di chi amiamo. E allora, in questo tempo di contagio inteso come trasmissione di malattia, da cosa potremo farci contagiare per riportare connessione ed equilibrio? Potremmo affidarci a un contagio emozionale. Quest’ultimo, come quello fisico, genera un cambiamento. Questo processo avviene in noi umani, così come nelle altre specie animali, a prescindere dalla nostra volontà di accettazione e non è arrestabile. Un cambiamento che avviene grazie a un contagio emozionale può intraprendere la strada della nostra accoglienza, del desiderio di crescita, di trasformazione e di evoluzione. Altresì può intraprendere la strada della nostra resistenza: avviene quando cerchiamo in ogni modo di esercitare un controllo su ciò che proviamo, quando cerchiamo di gestirlo come se fosse una parte svincolata da un processo più ampio, come se fosse una semplice appendice di noi stessi, una parte aggiunta e non integrata, non determinante rispetto a una dinamica di sviluppo.

Il pavor, il timore, che da un punto di vista evolutivo è uno strumento fondamentale ai fini della sopravvivenza, diventa un grande vallo capace di farci arretrare quando parliamo di relazioni e di cambiamenti. Le nostre resistenze si agganciano a eventi passati e subiti, non necessariamente traumatici, che tuttavia portano alla costruzione di schemi e sovrastrutture, sotto i quali ci celiamo per sentirci accettati, per proteggere i nostri sentimenti. Rimanere nascosti dentro le nostre sovrastrutture certamente ci permette di non andare incontro, temporaneamente, a giudizi che innescano insicurezze e reazioni in noi stessi e conseguentemente nei rapporti con gli altri, ma a che costo? Il costo è duplice e davvero molto alto. Per cominciare ci costringiamo a subire una grave perdita: perdiamo noi stessi e la nostra capacità di sperimentare ciò che veramente ci appaga e le nostre peculiarità. In secondo luogo, facciamo perdere agli altri la possibilità di confrontarsi con soggetti rimasti coerenti con la voglia di sperimentarsi ed evolvere, che rivelano una strada percorribile libera dal giudizio, mostrandosi dialoganti con sé stessi e non assoggettati alle convinzioni altrui. Se, al contrario, ci permettiamo di osservare senza giudicare le nostre e le azioni ed emozioni altrui, ci doniamo la possibilità di riuscire a vedere – come fanno ad esempio gli animali non umani che accompagnano la nostra vita – come sia possibile continuare a percorrere la strada dei nostri reali bisogni, sentendoci desiderosi di contagiarci con ciò e chi ci circonda o scegliendo di allontanarci con grande consapevolezza da ciò che non ci appartiene.

Osservando i nostri compagni non umani e abbandonando la presunzione antropocentrica di conoscere meglio di loro i loro stessi bisogni, possiamo tornare a vedere questi individui come soggetti attivi della propria esistenza, capaci di ibridarsi senza perdersi, liberi pensatori. Gli stessi occhi dovremmo rivolgere a noi stessi affinché ogni esperienza vissuta diventi tessuto funzionale al benessere, allo scambio, alla crescita, a nuove aperture e a nuove contaminazioni.

Ecco che la paura del contagio non può che lasciare spazio alla capacità di rimanere connessi con i nostri bisogni e con gli altri – umani e non –, con l’ambiente di cui facciamo parte integrante, potenziando la capacità di evolverci in aderenza a quel che siamo, ai nostri profondi desideri, riconoscendo, e al contempo rispettando, quelli degli altri esseri viventi. Anche in questi tempi – soprattutto in questi tempi – un virus di consapevolezza che genera un’epidemia di benessere diventa possibile abbandonando la paura di non essere abbastanza, disfunzionale al nostro benessere emotivo, e godendo di relazioni con noi stessi e con gli altri, liberi dalle imposizioni e dai giudizi.

Fonte: https://www.italiachecambia.org/2021/05/cambiamo-approccio-contagio/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

Leggere in libertà, la rivoluzione si fa anche a suon di libri e (belle) parole

C’era tantissima gente lunedì sera alla Casetta Rossa, nel quartiere Garbatella di Roma, ad assistere all’incontro “Letture Partigiane” con Paco Ignacio Taibo II, Paloma Saiz, Jek Tessaro, Pino Cacucci, Erri De Luca, Gianni Minà e Federico Mastrogiovanni. Un’occasione per presentare il progetto della “Brigada para leer en libertad”, associazione nata con lo scopo di regalare libri e diffondere cultura in Messico. C’era tantissima gente ma, comunque, ne mancavano quarantatré…

Viviamo in una società dominata da analfabeti funzionali…”, sono le prime parole di Paco, scrittore, giornalista, attivista politico, “ma grazie ai libri e alla lettura un giorno torneremo liberi”. “E quel giorno tutti questi liberali, imperialisti, neocolonialisti, li vedremo scappare a gambe levate, in aereo, verso Miami”. Ci crede davvero Paco, perché lui è un ottimista, “a differenza di voi italiani, che siete sempre pessimisti! Ma sapete qual è la vera differenza tra un pessimista e un ottimista? Il dopo. Un ottimista si dispiace dopo. Un pessimista si dispiace prima, durante e dopo”.
Del resto, deve essere ottimista per forza chi decide di mettere in piedi un progetto come quello della Brigada para leer en libertad. Un’associazione nata con lo scopo di regalare libri e diffondere cultura nei luoghi più periferici, abbandonati e degradati di città del Messico.IlCambiamento_IMG_7701

Pensavamo di non durare più di quindici giorni – racconta Paloma Saiz – e invece, attraverso i nostri programmi di fomento alla lettura, abbiamo stampato e regalato più di 500mila libri, abbiamo messo in circolazione più di 4milioni e mezzo di testi, abbiamo creato 39 biblioteche, con 18mila volumi a disposizione“. Tutto questo in cinque anni.
Cinque anni dedicati a sviluppare programmi di fomento alla lettura: presentazioni e festival letterari indipendenti; laboratori per la condivisione dei saperi; “tianguis”, ovvero bancarelle di libri nei luoghi pubblici di tutta Città del Messico; conferenze gratuite nei quartieri popolari e periferici; un progetto chiamato “Para Leer de boleto del metro” che ha messo in circolazione sulla metro di città del Messico 250mila testi che i viaggiatori possono prendere, leggere durante il tragitto e poi riporre alla fine della corsa.IlCambiamento_IMG_7700

E ancora, ci sono gli stendini di poesia: “Abbiamo degli stendini in cui appendiamo fogli di poesie, la regola è di prendere solo quella che si preferisce. Ovviamente, per scegliere prima si devono leggere tutte”, ci spiega Paloma. “Un giorno una signora quasi analfabeta impiegò un pomeriggio intero per leggere tutte le poesie appese – prosegue Paco – alla fine ne scelse una: M’illumino d’immenso. Sorrisi pensando che la scelta era stata fatta perché era la più corta. No, mi disse lei, è quella che mi è piaciuta di più”. Il riscontro che ha ottenuto questa associazione è incredibile: “Si formano code lunghissime alla fine di ogni presentazione, per avere libri gratis. Spesso ci tocca dire che non ci sono libri per tutti. Ma le persone si mettono in fila comunque – spiega Paco –una volta  mi sono accorto che una signora aveva in mano due testi. Avevamo detto massimo uno a famiglia! Non potevo permetterlo. Cercai di farmene ridare uno. Mi morse un dito!“.
Il potere della scrittura!IlCambiamento_IMG_7705

PS: Quei quarantatré sono gli studenti della Escuela Normal Rural “Raul Isidro Burgos” del municipio di Ayotzinapa, a Iguala nello stato del Guerrero, in Messico, che dal 26 settembre scorso sono desaparecidos. Sono i protagonisti dell’ultimo libro di Federico MastrogiovanniNi vivos ni muertos, presentato proprio ieri sera. Ma sono anche tutte quelle persone sparite all’ombra di una strategia del terrore funzionale a troppi interessi. 30.000 negli ultimi nove anni.

Fonte: ilcambiamento.it

Dizionario eretico. Per una critica della parola vilipesa

Perché parliamo nel modo in cui parliamo? Perché per significare una certa cosa, un pensiero, un’emozione scegliamo una parola piuttosto che un’altra? Perché mentre parliamo riteniamo che proprio quella parola pronunciata sia perfetta per esplicitare esattamente ciò che pensiamo? E perché mentre comunichiamo agli altri le nostre intenzioni crediamo che chi ci ascolta dia alle parole il medesimo senso che gli attribuiamo noi? Ma su tutte le questioni sollevate, spicca l’interrogativo originario, senza di cui nessuna di queste domande avrebbe senso: cos’è il linguaggio? Qual è la sua definizione, la sua essenza?letters-wallpapers-free-download1-1024x663

Generalmente per linguaggio si intende la facoltà propria dell’uomo di esprimersi e comunicare tramite un sistema di simboli, in particolare di segni vocali e grafici. Ora, che questa sia una prerogativa esclusivamente umana io non mi sentirei di sostenerlo, e dal mio angolo prospettico, di scettico radicale, sospendo il giudizio. D’altronde non è questo il momento di disquisire sulle modalità con cui tutti gli animali comunicano fra loro. Qui si tratta di capire cosa sia il linguaggio per noi, animali umani, e quali trasformazioni abbia subito negli ultimi secoli. Se accettiamo l’idea che il linguaggio sia la facoltà con cui l’uomo si esprime, è chiaro che le parole, alla base del linguaggio, assumono il ruolo di legante relazionale fra chi parla e chi ascolta. La parola che costituisce il linguaggio è quindi un vettore sociale, politico, interpersonale. Non esiste di per sé, non potrebbe essere pronunciata senza un ascoltatore: chi parla da solo, infatti, non sta parlando, ma ragiona ad alta voce. La parola pronunciata diventa linguaggio solo nella relazione interpersonale e comunitaria: si parla a qualcuno, si parla per qualcuno e con qualcuno. Proviamo a pensare alle parole come a dei legami che tengono insieme due o più persone. Quando ci si riconosce all’interno di un medesimo orizzonte, entro una stessa comunità, si finisce per parlare la stessa lingua. Anche perché le parole che abitano un luogo, abitano anche la relazione che si costituisce fra i parlanti di quel luogo e la realtà circostante. Ciò sta anche a significare che ogni luogo ha le sue parole, ogni luogo costituisce un linguaggio e i concetti con cui gli abitanti si esprimono e si comprendono a vicenda. Per esemplificare il ragionamento potrei ricorrere ad un aneddoto riferitomi da un mio amico nigeriano, il quale, tornato al suo paese natale, non riusciva a spiegare ai bambini del villaggio cosa fosse la neve. Ad un certo punto, per risolvere la difficoltà e per placare la curiosità dei suoi piccoli amici, li condusse vicino ad un congelatore, raschiò dall’interno del ghiaccio secco, lo lanciò in aria e disse: «Ecco la neve!». Il motivo per cui i bambini nigeriani non riuscivano a capire cosa fosse la neve è chiaro: non ne avevano i concetti. La neve è un «frammento» di realtà con cui i popoli africani non si trovano ad aver relazione e quindi questa mancata relazione non dà luogo a un legame costitutivo, non dà luogo alla parola neve.ws_Letters_1920x1080-1024x576

Da questo punto di vista, allora, ha molto ragione Ludwig Wittgenstein quando afferma che «i limiti del mio linguaggio significano i limiti del mio mondo». Il mondo che abitiamo consiste nella totalità dei fatti che accadono, e il linguaggio è la totalità delle proposizioni che significano i fatti stessi. Ciò vuol dire che se la neve non «accade» come fatto, quella parola esula dal mio linguaggio, non ne fa parte, sicché diventa un concetto estraneo alla mia lingua, tanto che non la capisco e non riesco ad associare alla parola neve alcuna immagine. Ora, se quanto detto sin qui ha una pur minima plausibilità, per cogliere il senso profondo della nostra lingua (e quando parlo di «nostra lingua» non intendo la sola lingua italiana, bensì la lingua occidentale, i concetti occidentali) dovremmo indagare i concetti che colonizzano il nostro immaginario e la nostra cultura, e che costituiscono l’orizzonte entro cui ci riconosciamo e abitiamo come parlanti. Lo spazio culturale, sociale e politico in cui siamo immersi da almeno duemila e cinquecento anni è quello economico. Nel mio libro Dall’economia all’eutéleia (Edizioni per la decrescita felice, 2014) spiego in che senso ritengo che l’oikonomia sia il luogo del dominio dispotico in cui dal VI secolo avanti Cristo le relazioni comunitarie si sono strutturate verticalmente. Sono cioè state relazioni di dominio esercitato da qualcuno su qualcun altro. Mi riferisco al VI secolo avanti Cristo perché quello è il momento in cui il concetto di economia viene codificato per la prima volta da Senofonte. Con questo non voglio dire che prima di allora si vivevano relazioni orizzontali e conviviali, ma semplicemente che con il saggio intitolato Economico, Senofonte mette in chiaro cosa sia per il mondo greco l’economia.ws_Typewriters_Letters_1920x1080-1024x576

Non è questo il momento di riprendere il discorso, che ci porterebbe troppo lontano. Questo accenno l’ho fatto solo per dire che nel considerare il linguaggio occidentale dobbiamo fare i conti con l’orizzonte economico, che da millenni esprime il senso del dominio di qualcuno su qualcun altro. Questa caratterizzazione culturale ha prodotto una trasformazione radicale del nostro modo di parlare. I termini legati alla solidarietà, alla convivialità, al reciproco rispetto, alla pace sono progressivamente spariti. Negli ultimi due secoli, con il capitalismo – prima – e la razionalità tecnologico-capitalista – poi – le parole che usiamo abitualmente hanno subito una torsione semantica in senso violento. L’obiettivo che mi propongo in questo dizionario eretico è di rimettere al centro le parole comunitarie, da troppo tempo dimenticate e celate sotto una coltre d’indifferenza, e le parole che liberano l’uomo dalla violenza e dal dispotismo, mostrando di volta in volta le trasformazioni a cui abbiamo costretto il nostro linguaggio, senza forse neppure accorgercene.

1. Anche le proposizioni, a loro volta, sono fatti del mondo, ma godono della particolare proprietà di essere fatti che significano altri fatti, che sono invece muti. Mi spiego: la parola neve è una parola pronunciata, e poiché la si è pronunciata, la parola neve diventa un fatto. Ma questo fatto è un fatto verbale, parlante. La neve che cade, invece, è un fatto muto. È un fatto che può essere raccontato, ma che non racconta.

Fonte : italiachecambia.org

Maestri di strada per la “scuola di tutti”. Costruire

Tre settimane sono volate e ciò che ho vissuto anche solo in questi giorni è qualcosa che mi ci vorrà molto tempo per poter comprendere fino in fondo. La voglia di narrare è tanta e ogni giorno appunto un’immagine indelebile che mi servirà in un futuro per raccontare questa incredibile esperienza di vita. Tutta l’intensità che stiamo vivendo ha bisogno di una pausa di riflessione e quale migliore luogo per riposarsi durante una camminata se non una panchina?

10717517_10205007298403278_1186308499_n

Uno dei nostri ragazzi vorrebbe fare il muratore e abbiamo colto l’occasione per realizzare un’opera all’interno della scuola. Grazie al maestro Pietro che ha messo a disposizione il suo talento manuale e il dono meraviglioso della sua pace interiore eccoci intenti nella costruzione con calce e mattoni di una panchina. Solo un valutatore distratto e approssimativo rimarrebbe stupefatto nel vedere ragazzi che in matematica erano prossimi allo zero, riescano a fare a mente un preventivo di diversi materiali “sbagliando” di pochissimo. Abbiamo disegnato, preso misure, fatto calcoli, disegnato piantine esercitando matematica, geometria, disegno.10719177_10205007291523106_1389977778_n

Scaricando la merce abbiamo fatto educazione motoria: quando si prende un oggetto pesante si piegano le ginocchia! Con gli strumenti di lavoro abbiamo dato cenni di storia e potremmo continuare ancora a lungo ponendo l’accento sugli aspetti legati all’autostima e al lavoro sul gruppo… Ma vi assicuro che una delle scene più belle è stata quando i piccoli si sono avvicinati con sentimento di venerazione per quello che i grandi stavano facendo: vedere quei ragazzi riempirsi d’orgoglio e riuscire a trattenere qualche parola di troppo davanti ai bambini è stato emozionante. I ragazzi tengono un diario e dopo il secondo giorno di lavoro quando la panchina stava prendendo forma, abbiamo fatto il nostro esercizio poetico. I nostri esercizi consistono nel trovare insieme delle parole da associare al nostro punto di partenza e poi da lì individualmente ognuno scrive qualcosa.

 

“In Autunno cadono le fogli ma noi dalla panchina non cadremo mai”

“Poro Barbone non cia na casa ed e costretto a dormire sulle panchine”

 

 

Alla fine, prima di uscire a camminare tra le strade del quartiere ho letto quello che qualcun altro prima di loro aveva scritto. Qualcuno ha detto “bello!”, altri “è matta come na zucchina”, ma le parole attraversando un inaspettato e profondo silenzio, si sono sedute sui cuori di chi aspettava solo qualcuno che credesse che i loro pensieri e le loro emozioni fossero non soggette a giudizio ma degne di essere condivise a prescindere.

 

“Le panchine non assorbono il sudore di nessuno, su di esse non si dovrebbe mai andare a morire.  Eppure il mio ultimo amore è morto là, trascurato da tutti. Su di lui si è riversato l’odio dell’uomo. Il mio amore è morto solo. 

L’uomo è un orrendo composto di appetiti malsani e di egoismi sdruciti, ciò che Spagnoletti definiva la considerazione del privato.  La carità fatta a Titano non era soltanto per lui, perchè in lui è nella sua povertà cadeva la mano divina . Questa non l’ha capita nessuno. Baciare un povero significa baciare Dio, lo diceva anche padre Davide.

Ma Dio è presente anche nel ricco, anche la ricchezza è un dono divino e allora perchè gli uomini bestemmiano uno contro l’altro? La panchina è un pezzo di legno e in una panchina può inaspettatamente trasformarsi l’eterno Pinocchio che vi dorme sopa. Pinocchio non avrà mai una carne, nè un diavolo in corpo perchè non ha una casa e per questo non potrà essere considerato un civile. Ma nessuno pensa che la vera casa dell’ uomo è il mondo”.

 

Alda Merini

 

Fonte:  italiachecambia.org

Il potere delle parole e delle immagini

Partendo dalle sue esperienze con bambini ed adolescenti, l’insegnante di lingue Claudia Bousquet sottolinea l’importanza di selezionare in maniera adeguata il linguaggio e le immagini da offrire ai più piccoli affinché questi possano trarne nutrimento per l’immaginazione e per la loro esistenza, nonché per costruire solide radici per il loro divenire.bambino_tv

Sono un’insegnante di lingue che sviluppa anche progetti basati sul racconto, la poesia e le immagini (foto, video, disegni). Da alcune esperienze fatte con bambini ed adolescenti, mi sono accorta di quanto sia importante selezionare sempre in maniera adeguata il linguaggio ed altresì, le immagini da offrire. A tal proposito, molte trasmissioni televisive non rappresentano un buon esempio da seguire. Troppo spesso infatti, esse ci propongono modelli negativi di relazioni umane, non più basate sul rispetto reciproco e sulla gentilezza, ma sull’arrivismo e sulla prevaricazione del più forte. Generalmente quindi, i media non offrono una sana educazione (non solo visiva) ai nostri figli e non collaborano alla realizzazione di un’umanità migliore. Purtroppo proprio quella “scatola animata” esercita una grande influenza “culturale”, sui più giovani, ed in special modo sui più piccoli, i quali, nudi davanti allo schermo (privi cioè di protezioni mentali ed emotive), s’impregnano di quel “sapere”. Frequentemente a scuola, mentre ascolto gli scambi verbali dei miei alunni di 14-18 anni (spesso volgari anche in presenza degli insegnanti) mi sembra di rivivere in classe la trasmissione di “Uomini e donne”. Infatti , anziché esprimere con calma i propri pareri, troppo spesso discutono in forma accesa, infuocandosi e usando, con poca consapevolezza, espressioni sin troppo intense e colorite. Questi tipi di scambi non denotano alcun interesse e rispetto per se stessi e per gli altri; si tratta di conversazioni prive di vero ascolto, in cui la mente e la parola non sono più a stretto contatto con il cuore, dando così vita a una forma di squilibrio interiore. Gli spot televisivi, i cartoni animati, molti film di fatto invadono il nostro mondo immaginario, spesso influenzandolo a tal punto da causare persino dipendenza.bambini8

Ciò significa che quel rapido susseguirsi di immagini e parole, può sostituirsi alle nostre immagini interiori, a quelle immagini cioè che tessono il filo sacro dell’esistenza. Questo magico filo, se non tutelato, spesso rischia di spezzarsi, ostacolando la comprensione e la scoperta del vero significato della nostra stessa vita. E noi quanto di tutto questo “materiale invasivo ” selezioniamo giornalmente per i nostri figli, nipoti e ragazzi? Perché misurare e usare bene le parole e perchè non sovraccaricare i bambini di immagini esterne eccessive lo spiega bene la scrittrice A.Sepilli, nel suo libro “Poesia e magia” (p.52): “Esprimere parole equivale a suscitare immagini nella fantasia anche senza corrispondenza con una realtà esteriore… Le parole come il sogno o la visione, quando siano accompagnate da forte carica emozionale , possono apparire forme intensificate di realtà, o di una ‘soprarrealtà’, misteriosa, esistente in un qualche modo o in qualche dove”. Se le parole possono avere questo potere e, insieme alle immagini, possono creare una “realtà altra” nel individuo, chi controlla questa realtà? Che forme prenderanno certe fantasie? Che esseri simbolici diverranno certi personaggi nella mente del bambino? Noi questo non possiamo saperlo, allora ecco perchè tutelare i minori, selezionando accuratamente il materiale visivo e sonoro da offrire loro. Proponendolo come se fosse un pasto, considerando che proprio di questo si tratta: di offrire ai più piccoli nutrimento per l’immaginazione e per la loro esistenza; affinchè semplicemente possano vivere più sereni e riescano ad avere delle radici solide su cui poggiare il loro divenire. “Ogni parola che proferiamo va scelta con cura, perchè il prossimo la udrà e ne sarà influenzato, nel bene o nel male” Buddha[1] Ed ancora Emily Dickinson scriveva: “Una parola è morta quando è pronunciata, dicono alcuni. Invece io dico che inizia a vivere proprio in quel momento” [2].

1. Dal testo “ I dieci comandamenti della saggezza” di Hal Urban (pag 62)

2. Tratto da : “L’incanto di un prato fiorito”

Tratto da EcoInArte

Fonte: il cambiamento

 

Rosso di sera

“La natura, insomma, non è l’àncora che tiene ferma una barca ma il mare stesso: tentare di chiuderla nelle tranquille baie di rigorosi sistemi scientifici o morali è impossibile”.

cielo_rosso

Anche se siamo abituati al ripetersi dei fenomeni naturali, al punto di averli tradotti nel linguaggio statico dei proverbi, non possiamo evitare di ammettere che il loro puntuale verificarsi non è certo. Le scoperte della fisica contemporanea hanno messo in crisi il nostro concetto di ‘natura’, e di ‘natura delle cose’. Per quanto ai nostri occhi non sembri, l’intelligenza dei fatti ci mostra complessità e casualità più interessanti e inquietanti della sicurezza che come esseri finiti cerchiamo di garantirci. La natura, insomma, non è l’àncora che tiene ferma una barca ma il mare stesso: tentare di chiuderla nelle tranquille baie di rigorosi sistemi scientifici o morali è impossibile. Non lo hanno capito alcuni politici e uomini di fede che fanno appello a una presunta ‘naturalità’ per negare a quel che vive di prendere strade nuove e con diritto. Dicono, questi difensori della specie, che non è ‘naturale’ il matrimonio tra omosessuali, e che una questione del genere non va risolta con le leggi dello Stato; che anzi questo Stato non possa lasciare alle persone la responsabilità della scelta migliore per se stesse, perché farlo significherebbe violare i criteri della natura, e l’abuso diventerebbe un abominio. Le leggi di uno Stato laico, però, dovrebbero consentire ai cittadini di sviluppare il movimento dei corpi e dello spirito non in base a una rigida concezione della civiltà opposta alla natura (per cui norme, vincoli e restrizioni servano a impedire lo sbranamento reciproco e l’arbitrio del potere) ma piuttosto riconoscendo che la natura degli uomini coincide con la loro fluida, sorprendente, terribile, gioiosa evoluzione, che ne è essenza e destino. E pure che le parole con cui la esprimono non sono definitive, per quanto tentino con sforzo e perizia di definire la realtà. Le parole sono piuttosto un territorio da inventare, allargare, abitare con i propri bisogni e bisogno di significato. Ciascun essere umano combatte per esse e insieme ad esse giorno dopo giorno; non lascia che un termine importante come ‘naturale’ passi nella conversazione senza che la sua pertinenza venga contestata e giocata contro chi chiede di veder riconosciuto nel proprio l’unico corretto vocabolario; oppone al tono assertivo e confortevole con cui si esprimono anche i proverbi l’ipotesi lieve e disarmante che una mattina -nonostante succeda al tramonto del sole infuocato- nevicherà.

Fonte:il cambiamento