Da impiegata a contadina: la nuova vita in natura di Elisa, tra alberi e maixei

Un rimorchio per cavalli riadattato a piccolo bar racchiude una storia di cambio vita e di riscoperta di felicità. Oggi vi parliamo di Elisa, che dopo aver lavorato per anni in un ufficio ha deciso di lasciarsi tutto alle spalle e coronare il suo sogno: ora la troverete nella sua oasi di pace, l’azienda agricola Maixei, un punto ristoro lungo il percorso dell’acquedotto storico di Genova.

Genova – Dopo aver gestito per secoli l’approvvigionamento idrico dell’intera città, l’acquedotto storico della val Bisagno oggi è una comoda passeggiata semi-urbana. Chi la percorre non può dimenticare il suono dei passi sulle lastre di pietra che rimbomba sul vuoto delle antiche condotte. Per parecchi chilometri il percorso asseconda a mezza quota il profilo delle colline, restando in buona parte al di sopra dei caseggiati costruiti nelle vicinanze e regalando insospettabili scorci rurali. Si cammina affiancando muretti a secco, i cosiddetti maixei, e fasce di ulivi; e poi si incontrano capre, pecore, galline e tartarughe che fanno emozionare i più piccoli lungo il percorso. Un luogo di storia e natura ancora poco conosciuto da chi non abita in zona che negli ultimi anni sta vivendo un progressivo aumento di interesse. Passeggiando in una domenica di sole, alla ricerca di un luogo dove mia figlia potesse collaudare il suo primo aquilone, ho scoperto l’azienda agricola Maixei. Sono stata attirata dal raglio dell’asino Roby, colui che dà il benvenuto a chiunque si avvicina all’ingresso, e ho passato il pomeriggio in compagnia degli animali dell’azienda agricola. Ecco perché ho voluto parlarvene oggi.

Le mascotte di Maixei

LA STORIA

L’idea di Maixei è nata nel 2020. «Era un momento buio della mia vita – racconta Elisa Pezzoli, la titolare – ed ero giù di morale perché avevo perso da poco entrambi i miei genitori. Conscia del fatto che nei periodi no la natura sa come venire in aiuto, mi sono decisa».

Lei e suo marito trovano in vendita un grande appezzamento di terreno vicino casa, inizialmente pensato come orto familiare, e lo acquistano: «Abbiamo impiegato diversi mesi a pulirlo, era ridotto a una discarica. Abbiamo trovato quintali di spazzatura, bottiglie di vetro e cinque carcasse di motorini. Più ci lavoravamo però più ci legavamo a quella terra. E in pochissimo tempo ci siamo letteralmente innamorati del posto».

Dopo qualche mese la coppia si rende conto che quell’appezzamento di terreno era troppo per la propria famiglia e lì arriva l’illuminazione. Elisa, dopo aver lavorato per diciotto anni nello studio di un commercialista, decide di cambiare vita e installa in una porzione di quel campo un chiosco di prodotti genuini. Che diventa subito un punto di ritrovo in natura.

L’AZIENDA AGRICOLA MAIXEI

«Abbiamo aperto la nostra azienda agricola – affiliata a Coldiretti – che abbiamo chiamato Maixei, il cui nome si ispira ai tanti muretti a secco che abbiamo recuperato qui. Abbiamo creato una società semplice, intestata a me e mio marito, che invece continua a lavorare come avvocato».

Così a fine maggio 2021 un rimorchio per il trasporto cavalli diventa il punto di ristoro dell’Acquedotto storico. «L’abbiamo trasformato in un piccolo bar, con un frigo e un lavandino su misura». E da qui escono taglieri di salumi del territorio, birre biologiche di Sassello, succhi di frutta prodotti da un’azienda agricola savonese, frizzantini al sambuco che arrivano da Vallombrosa, vicino a S. Olcese, così come marmellatine e tante prelibatezze tutte liguri. E ora Elisa vive nel suo sogno: «Ogni mattina alle 6 sono nell’orto, ma non mi pesa perché il contatto con la terra mi piace e mi diverte. E poi ci sono i miei figli di pomeriggio che mi aiutano tanto».

Elisa Pezzoli e suo figlio il giorno dell’inaugurazione di Maixei

L’azienda agricola produce olio, frutta e ortaggi biologici e nell’annessa fattoria ci sono conigli, galline, un asino e delle caprette, che fanno tutti parte del grande branco Maixei e moriranno di vecchiaia. «A parte quando è brutto tempo, sono in tanti che si fermano a fare merenda o aperitivo da noi. Nonostante questi anni duri, le persone che vengono qui sostengono la grande rivalutazione delle cose buone e genuine del territorio che stiamo vivendo in questo momento. E il profondo bisogno di natura che la gente sente».

Ogni mattina alle 6 sono nell’orto, ma non mi pesa perché il contatto con la terra mi piace e mi diverte. E poi ci sono i miei figli di pomeriggio che mi aiutano tanto

I PROGETTI FUTURI

Oltre ad aver restaurato tanti maixei – i muretti a secco del ‘600 crollati perché il terreno era abbandonato da tempo –, Elisa e suo marito hanno anche trovato un vecchio fienile a cui sognano di dare nuova vita: «Potrebbe diventare un laboratorio o una struttura chiusa dove poter lavorare in caso di maltempo. Non è grandissima, ma è su due piani… chissà!». Per ora hanno richiesto un finanziamento alla regione per poter restaurare i muretti rimasti. L’area verde che circonda il chiosco ogni weekend si riempie di bambini, perché Maixei diventa anche sede di laboratori educativi. Sì, perché mentre i genitori si rilassano, i più piccoli si avvicinano agli antichi mestieri di campagna: «Dalla raccolta delle uova nel pollaio alla preparazione dei biscotti, passando per le olive da portare al frantoio. Collabora con noi un’insegnante, maestra Serena, che accompagna i bambini – alcuni dei quali non hanno mai visto dal vivo una gallina – in questa realtà rurale e, per molti, sconosciuta». E si divertono tantissimo. Elisa mi confessa che sono tante le idee che le frullano in testa: non possiamo che augurarle buona fortuna nel portare avanti questo suo piccolo scrigno di autentica genovesità!

Fonte: https://www.italiachecambia.org/2022/04/maixei-elisa-contadina/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

Il Club Dei Cerca Cose: imparare ad amare e conoscere la Natura divertendosi

Dall’intuizione di una mamma che non si voleva adeguare agli stereotipi della letteratura classica per bambini e bambine, è nato un progetto educativo molto particolare: il Club Dei Cerca Cose. Fra le varie proposte, un gioco per posta che avvicina i più piccoli alla Natura, insegnando il rispetto per l’ambiente.

TarantoPuglia – «Celebriamo con il nostro lavoro l’arte di porsi una montagna di domande e la curiosità di provare a rendere il mondo un posto più giusto, equo e sostenibile. Il nostro spirito guida è Pippi Calzelunghe: la prima cerca cose al mondo!», raccontano la ragazze del Club Dei Cerca Cose. Ma di cosa si tratta?

È nata a Taranto la casa editrice Il Club Dei Cerca Cose, una startup tutta al femminile specializzata in giochi per i più piccoli sulla natura che insegnano a cambiare il mondo con consapevolezza, attenzione e, soprattutto, divertimento. Quest’estate il Club ha ideato un gioco che arriva a bussare alla porta di chi desidera riceverlo. Si chiama “Avventura per posta” ed è il primo format sostenibile che puoi trovare direttamente nella buchetta postale di casa.

«Il kit con le missioni e le avventure da portare a compimento si sviluppa attraverso una storia, una mappa con adesivi, degli oggetti misteriosi, dei tesserini e dei distintivi di fine missione così i bambini potranno scoprire come prendersi cura del pianeta e di chi lo abita», inizia a raccontarci Anna Delli Noci, ideatrice del Club Dei Cerca Cose. «Ogni avventura è autoconclusiva, ma le tre del 2021 sono legate da una storia e insieme formano la prima serie delle “avventure del Club Dei Cerca Cose”».

Come vi è venuto in mente un gioco del genere?

I temi delle avventure sono ispirati all’Agenda 2030 dell’Onu per sviluppare pensiero critico, consapevolezza e competenze chiave per il futuro, puntando sulla difesa dell’ambiente, la lotta alle diseguaglianze, la pace, la giustizia e l’educazione. Il gioco è realizzato con materiali sostenibili ed è​ stampato su carta certificata riciclata con inchiostro ecologico in Italia.

Quando e com’è nata la vostra startup?

Il Club Dei Cerca Cose è nato da una mia vicenda personale. Mio padre si è ammalato e in quel momento aveva bisogno delle cure della sua famiglia. I bambini, mia figlia e gli altri nipoti avevano però la necessità di trascorrere il tempo che noi dedicavamo al nonno occupati in qualche attività che non prevedesse lo stare davanti allo schermo per molte ore. Andavo alla ricerca di giornali, libri, giochi, che intrattenessero i più piccoli, ma qualcosa saltava sempre ai miei occhi: mi sono resa conto che gran parte di ciò che si trovava in giro era nella maggior parte dei casi intriso di stereotipi. Da una parte i contenuti per le bambine, tutti dedicati alla bellezza e alla cura di sé, dall’altra quelli per i bambini, con un focus sulla forza e senza accenno alle emozioni. Una narrazione quasi sempre legata a quella delle principesse in opposizione a quella dei supereroi. Nessun cenno alle sfide del nostro presente. Così mi sono detta che avrei creato io ciò di cui avevo bisogno.

Quali sono i progetti a cui questa tua intuizione ha dato vita?

Stiamo portando avanti l’attività della nostra casa editrice, la divulgazione sui social e “Avventure per posta: kit di storie, curiosità, sfide, missioni e giochi per imparare il rispetto dell’ambiente, divertendosi”. I genitori e gli insegnanti che acquistano le nostre avventure ci scrivono spesso raccontandoci come abbiano finalmente trovato un materiale che coinvolge tutti, piccoli e grandi, e che possa aiutarli ad affrontare le sfide ambientali in modo giocoso e divertente.

“Avventure per posta” è stato lanciato in occasione della Giornata per l’Ambiente 2021.

Esatto, abbiamo pensato che fosse significativo presentarlo in concomitanza con questa celebrazione, visto che “Avventure per posta” è il primo gioco postale per imparare il rispetto dell’ambiente per bambine e bambini dai 5 anni in su. Quest’anno abbiamo lanciato tre Avventure: api, alberi e orto. Le Avventure arrivano direttamente casa, le bambine e i bambini sono le eroine e gli eroi del gioco, dovranno portare a termine le missioni contenute all’interno delle avventure. Così facendo imparano divertendosi a prendersi cura del nostro pianeta!

Cos’altro avete in mente per il futuro?

Stiamo lavorando a nuovi progetti, ma al momento non possiamo dire molto… sono top secret! Fonte: https://www.italiachecambia.org/2021/12/club-dei-cerca-cose-natura/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

Satish Kumar: “Gli italiani si ribellino alle monocolture intensive di nocciole”

Le campagne italiane sono ostaggio delle multinazionali e delle loro monocolture intensive finalizzate alla massimizzazione dei profitti e fonte di gravi minacce alla biodiversità. Ecco la denuncia dell’attivista e saggista indiano Satish Kumar, fondatore della storica rivista The Ecologist.

«Si fa un gran parlare di ridurre il nostro impatto sulla terra e di ridurre le emissioni climalteranti. È dal modello di agricoltura che dobbiamo ripartire. La terra non può essere utilizzata per fare profitti perché ci sono impatti per tutto il pianeta e i suoi abitanti. L’agricoltura si deve basare sui bisogni reali non sull’ingordigia delle multinazionali. Gli italiani dovrebbero ribellarsi a questo utilizzo del loro territorio».

È questo il giudizio sulla questione dell’espansione delle monocolture di nocciole in Italia di Satish Kumar, editore emerito e fondatore di riviste ecologiste come The Ecologist e Resurgence. Intervistato da Manlio Masucci per il numero di dicembre della rivista Terra Nuova, Satish Kumar, attivista in grado di ispirare generazioni di ambientalisti, ha detto così la sua su una questione che sta suscitando sempre più interesse nei media nazionali e internazionali, a partire dagli stessi articoli di The Ecologist, per passare dall’ultimo approfondimento di Report e per finire con lo stesso reportage pubblicato da Terra Nuova e intitolato, per l’appunto, “Noccioland”.

L’attacco di Kumar alle multinazionali della nocciola, ree di impedire lo sviluppo di un modello di agricoltura sostenibile nell’area, è forte e diretto. Parlando in particolare della Tuscia, Kumar ha detto: «Le multinazionali sono interessate a investire in quest’area non per nutrire le persone ma per ricavarne profitti. Un vasto impero che si basa sulla coltivazione intensiva della nocciola per produrre beni di consumo che non sono essenziali, non sono nutrienti. La terra non è un semplice contenitore dove piantare monocolture ma un suolo vivente, con una biodiversità. Questo modello di business non è compatibile con la biodiversità. E tutto ciò per raggiungere quale obiettivo? Fare più soldi».

Secondo Satish Kumar, esperto di comunicazione ambientale, la causa del dissesto ambientale è dovuta primariamente proprio alle campagne ingannevoli delle multinazionali: «Molte persone che vivono in città, lontane dalle zone di produzione, sono indotte a pensare che abbiamo bisogno di produrre sempre più cibo e che gli agrochimici sono essenziali per assicurare questa abbondanza. Questa della necessità di aumentare la produzione è una propaganda alimentata dalla stessa industria che lucra sulle vendite. L’industria punta alla maggiore quantità non alla qualità».

«Questo sistema produttivo intensivo basato sugli agrochimici non solo non è benefico per la salute delle persone ma neanche per quella del suolo», prosegue Satish Kumar. «Ma questa confusione non è colpa delle persone, perché l’industria alimenta campagne di comunicazione miliardarie. È importante allora fare più informazione e comunicazione, raggiungere più persone per spiegare come funziona l’economia della natura, spiegare i concetti di mutualità e reciprocità. Produrre cibo organico con metodi rigenerativi è possibile. Dobbiamo costruire una cultura della rigenerazione».

Satish Kumar non lesina critiche anche quando viene informato dei reiterati tentativi del Governo italiano di dare il via libera agli Ogm di nuova generazione nel nostro paese: «Dobbiamo comprendere la natura, non manipolarla. Gli Ogm e le nuove tecniche di manipolazione genetica non rispettano l’integrità della natura che viene piegata a interessi particolari. Queste manipolazioni e questa corsa ai brevetti non nascono da reali bisogni ma, ancora una volta, da un modello di business che pensa solo al profitto».

«Non c’è alcuna necessità di modificare geneticamente gli organismi vegetali se non per acquisire la proprietà delle stesse varietà modificate e trarne profitto. Non abbiamo alcun bisogno di organismi geneticamente modificati. Pensare il contrario è semplicemente stupido», conclude il fondatore dell’Ecologist.

Fonte: https://www.italiachecambia.org/2021/12/satish-kumar-monocolture/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

Seminatrice di Creatività: Valentina e la sua Oficina Salvaj che mescola arte e natura

Oficina Salvaj in piemontese significa “laboratorio selvatico” ed è proprio in questa casa-laboratorio che la passione per l’acquerello, l’amore per la natura e la scoperta interiore raccontano la storia di Valentina Bollo. Possiamo considerarla una “Seminatrice di Creatività” che dalla città si è trasferita nel paesino di Vaie, in Val di Susa, per dedicarsi alla sua più grande passione: l’arte.

Torino – Dopo aver trascorso la sua vita in città, a Torino, Valentina Bollo decide di lasciare un lavoro sicuro e una comfort zone che conosceva per cercare sé stessa e dedicarsi alle sue passioni: gli acquerelli e la natura. Questa è una delle varie storie di chi trova il coraggio di cambiare, voltare pagina e inseguire la sua strada. Ma quali sono le motivazioni che hanno portato Valentina a questo cambio di vita? Perché si fa chiamare Seminatrice di Creatività? Cos’è Oficina Salvaj e come è nata? Ne parliamo direttamente con lei per farci raccontare la sua storia e quella del suo progetto.

Dove sei nata e cosa ti ha spinto a cambiare vita?

Mi chiamo Valentina Bollo e sono una quarantenne nata e cresciuta in città, a Torino, ma che da sempre ha due passioni: il mondo naturalistico e l’arte in tutte le loro sfaccettature. Ho fin da piccola avuto visioni della vita un po’ alternative o quantomeno non legate alla massa. Il mio obiettivo è sempre stato quello di fare ciò per cui sono portata e avere molto tempo per me e per le mie passioni. Lavorare il giusto seguendo un ritmo più stagionale e naturale.

Com’è iniziato questo cambiamento?

Il primo passo è stato ormai otto anni fa, dopo aver fatto chiarezza su cosa realmente desideravo nel profondo, ovvero reiscrivermi a un corso di pittura, ma scegliendone uno specifico: ho deciso di studiare disegno naturalistico e in particolare china e acquerello presso lo studio di una importante artista del Piemonte. Da lì mi si è aperto un mondo e ne ho costruito uno mio.

Prima parlaci un po’ della tua “vita precedente”.

Facevo la responsabile di un bellissimo negozio di giocattoli full time. Ho iniziato a chiedere una riduzione ore al lavoro, per poi arrivare nel corso di tre anni circa a licenziarmi definitivamente e creare la mia attività di formatrice creativa. Non volevo più vendere oggetti, seppur di qualità, ma dar sfogo alla mia missione: aiutare le persone a esprimersi attraverso canali creativi legati da un filo conduttore, quello della saggia natura. In questi anni anche i ritmi e lo stile di vita consumistico della città non erano assolutamente in linea con il mio essere, da qui il desiderio di andare a vivere in un luogo con più “verde” è stata una conseguenza naturale.

Dove e quando hai deciso di iniziare questa nuova vita?

Ci ho messo quasi due anni nella ricerca della casa, sia perché l’investimento che volevo fare aveva un budget limitato, sia perché nel mentre c’è stato il primo lockdown. Finalmente a maggio del 2020, appena hanno riaperto, ho incentivato la mia ricerca e, in pochi mesi, ho trovato la casa giusta per me. A luglio mi sono trasferita a Vaie, in bassa Val di Susa. È stato in realtà un po’ un caso, ma penso che questo piccolo paesino abbia tanti lati perfetti per me: è il paese dell’acqua e io lavoro con medium artistici acquosi; è sotto la montagna e questo mi permette di avere i boschi dietro casa; inoltre ci posso andare 365 giorni l’anno! In più ha 1.400 abitanti circa e una comunità che mi ha sempre fatto sentire supportata.

Perché ti senti così attratta dalla natura e in particolare dal bosco?

Sento che il bosco è il mio ambiente. Accogliente se lo si rispetta, generoso con chi sa osservare. È un’entità a tutto tondo che pullula di vita e che mi fa sentire viva. Oltre all’ispirazione continua per i miei laboratori, mi regala tanto materiale che trasformo in inchiostri e pennelli selvatici e in altri prodotti. Quando sono triste la natura mi cura, mi calma e mi consiglia. Basta conoscerla, ringraziandola sempre.

Quando nasce Seminatrice di Creatività?

Seminatrice di Creatività nasce dopo aver aperto nel 2018 la famosa partita iva forfettaria e aver ultimato il percorso gratuito della regione Piemonte del  M.I.P (mettersi in proprio), per dare un nome e una definizione a me e al mio progetto: far riconnettere le persone a un ambiente naturale attraverso proposte laboratoriali/esperienziali pittorico/creative.

Come sono organizzati i tuoi laboratori e che cos’è Oficina Salvaj?

La programmazione dei laboratori è definita mensilmente ed è stagionale, anche in autunno e inverno propongo laboratori con passeggiata annessa. La parte pratica la realizzo in Oficina Salvaj (“laboratorio selvatico” in piemontese) che è il nome che ho voluto dare alla mia casa/laboratorio. Mensilmente comunque ci sono sempre come minimo quattro proposte laboratoriali, sia online che in presenza, con anche almeno una proposta in città.

Ti senti arricchita da questa tua nuova scelta di vita?

Assolutamente sì. In questi anni di sviluppo della mia attività ho potuto creare tante interconnessioni con persone e dar vita a una rete di contatti con gente affine a me. Ho sperimentato e implementato diversi linguaggi artistici, cugini degli acquerelli, come gli inchiostri e la calligrafia usata in termini espressivi e gestuali. Utilizzo e inserisco nelle mie proposte anche la scrittura e la profondità delle parole. Amo molto scrivere e comporre poesie, dove ancora di più la scelta delle parole deve essere fatta con cura. È così che ho autopubblicato due anni fa circa il mio libro “Haiku resilienti”, una raccolta di mie poesie, utilizzando la metrica giapponese, unite a una raccolta di miei acquerelli. Ora sto scrivendo il secondo libro.

Perché ti definisci Seminatrice di Creatività?

Mi definisco Seminatrice di Creatività perché la semina è il primo atto per la vita, ma nel mio caso sono semi creativi e io la contadina che li “sparge” fra la gente. Creo così esperienze che ci si porta dentro e offrono spunti artistici che aiutano a vedere il mondo con occhi diversi. Le persone, soprattutto nei laboratori in presenza qui nei boschi della Valsusa, arrivano in un modo e ritornano a casa cambiate, tutto ciò è magico e mi riempie di gioia.

Fonte: https://www.italiachecambia.org/2022/01/seminatrice-di-creativita-oficina/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

Coalizione CambiamoAgricoltura: la politica agricola italiana distrugge natura e biodiversità

L’impatto ecologico dell’agricoltura italiana è troppo elevato e le misure allo studio in questi giorni da parte del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali sembrano non tenerne conto. Ecco l’appello che le associazioni facenti parte della Coalizione CambiamoAgricoltura rivolgono al ministro Patuanelli. Nell’ultima bozza del Piano Strategico Nazionale della PAC post 2022 inviata dal Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali (MIPAAF) alle Regioni è assente l’eco-schema dedicato alle aree naturali per la tutela della biodiversità e le infrastrutture verdi per la conservazione del paesaggio e i nuovi cinque eco-schemi proposti prevedono impegni che ignorano le necessarie ricadute positive sulla Natura all’interno delle aziende agricole. Per la Coalizione CambiamoAgricoltura questa sarebbe una pessima decisione, che ignora i dati forniti dall’ISPRA nel suo ultimo rapporto sulla transizione ecologica nel nostro Paese che confermano l’agricoltura come prima causa della perdita della biodiversità naturale e che mina uno dei nove obiettivi della PAC “salvaguardare il paesaggio e la biodiversità”, nonché l’obiettivo del 10% di aree naturali per la conservazione della biodiversità entro il 2030 all’interno delle aziende agricole indicato dalla Strategia UE Biodiverstà 2030. Le Associazioni della Coalizione CambiamoAgricoltura evidenziano che “gli importanti passi in avanti sul biologico, annunciati dopo l’incontro del Ministro Patuanelli con le Associazioni dell’agricoltura biologica, vengono sviliti dalla cancellazione dell’eco-schema dedicato alle aree per la tutela della biodiversità e agli elementi naturali del paesaggio“.

“Si tratta di una proposta contro la Natura e il Paesaggio che rende evidente la mancanza di consapevolezza nel MIPAAF dello stretto legame tra i sistemi naturali ed i sistemi agroalimentari, ignorando l’ampia documentazione scientifica che dimostra la relazione tra la biodiversità naturale e la resilienza degli agroecosistemi, nonostante la stessa Corte dei Conti europea abbia rilevato nel rapporto del maggio 2020 l’incapacità della PAC di porre un freno alla perdita di biodiversità negli ambienti agricoli”.

Nel documento inviato la settimana scorsa dal MIPAAF alle Regioni gli iniziali 7 eco-schemi vengono ridotti a 5 con la scomparsa dell’eco-schema sull’agricoltura biologica (compensata però dalla previsione del trasferimento di 1 miliardo di euro dal primo al secondo pilastro nel periodo 2023-2027) e la cancellazione dell’eco-schema per il pagamento del mantenimento delle infrastrutture verdi per la tutela della biodiversità e del paesaggio, sostituito da un eco-schema per gli impollinatori che prevede impegni inadeguati e parziali e con una percentuale di budget estremamente ridotta (solo il 5%). Anche la presenza di divieto di diserbo chimico negli impegni, seppur lodevole, non basta a compensare questa grave lacuna. Inadeguato anche l’eco-schema dedicato alla zootecnia, dove gli impegni per la riduzione dell’uso degli antibiotici non sono né chiari né sufficienti e dove non sono indicati il numero massimo di capi ad ettaro, gli impegni per la conservazione della qualità dei prati-pascoli e la salvaguardia di flora e fauna. I nuovi eco-schemi proposti rispondono essenzialmente alla logica della compensazione della riduzione dei contributi alle grandi aziende agricole determinata dalla riforma dei titoli storici e della convergenza interna, mettendo in secondo piano gli impegni efficaci per la tutela dell’ambiente e il contrasto ai cambiamenti climatici.

Un approccio che trova conferma nell’ipotesi della distribuzione delle risorse del primo pilastro per gli eco-schemi, con 360 milioni di euro, corrispondenti al 41% del budget, per l’eco-schema dedicato alla zootecnia e 102 milioni di euro, pari al 12% del budget, per il nuovo eco-schema dedicato agli olivi, i due settori che subiscono la maggiore riduzione dei pagamenti diretti per effetto della convergenza interna e riforma dei titoli storici (che l’Italia attua comunque nella modalità più blanda).

Per la Coalizione CambiamoAgricoltura, la proposta del Piano Strategico Nazionale della PAC post 2022 del Ministro Stefano Patuanelli non solo mette all’ultimo posto l’importante obiettivo della tutela del paesaggio e della biodiversità, ma utilizza la maggior parte delle risorse (il 53%) destinate agli impegni per l’ambiente e il clima essenzialmente per attenuare uno dei pochi effetti positivi della riforma della PAC che dovrebbe garantire una distribuzione più equa delle risorse pubbliche destinate all’agricoltura. La Coalizione CambiamoAgricoltura sottolinea infine che le informazioni sul Piano Strategico Nazionale arrivano al partenariato sociale in modo parziale, frammentato e non ufficiale. Ad oggi non si hanno informazioni sulla programmazione del secondo pilastro e non si conoscono gli interventi previsti nello Sviluppo Rurale per fermare il cambiamento climatico, la perdita della biodiversità e la conservazione del paesaggio rurale. Le Associazioni della Coalizione CambiamoAgricoltura inviano un appello al Ministro Patuanelli: “Siamo ancora in tempo per correggere il grave errore della cancellazione dell’eco-schema dedicato alla Natura e al Paesaggio. Un Piano Strategico Nazionale contro Natura sarebbe insostenibile per il Paese con la maggiore biodiversità in Europa e inaccettabile per chiunque abbia a cuore l’ambiente e il nostro comune futuro”.

Fonte: https://www.italiachecambia.org/2022/01/coalizione-cambiamoagricoltura/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

Manuela e la sua nuova vita da guida di forest bathing

Il forest bathing è una pratica sempre più diffusa anche in Italia, grazie anche a reti di professionisti che promuovono questa attività favorendo un approccio alla Natura consapevole e profondo, capace anche di apportare notevoli benefici tanto al corpo quanto allo spirito di chi vi si avvicina.

Trentino Alto Adige – Forest bathing si può tradurre dall’inglese con “bagno di foresta”. Questi due termini trasmettono una sensazione di immersione, avvolgimento e coinvolgimento totali. Armonia, scambio, osmosi e interazione. E questo fa bene a tutti: non solo alla persone che vive questa esperienza, ma anche alla Natura, che vede l’essere umano tornare fra le sue braccia come un figliol prodigo, in cerca di riconciliazione con il mondo a cui appartiene, anche se a volte sembra dimenticarselo.

Per svolgere questa attività c’è però bisogno di una guida. È anche per questo che il forest bathing si sta diffondendo velocemente, strutturandosi sempre di più e attirando l’interesse di persone intraprendenti che vogliono trasformare questa passione in un lavoro. Una di esse è Manuela, che da qualche anno ha rivoluzionato la propria vita dedicandosi a questa attività.

Manuela, raccontaci il tuo percorso di vita.

Ho 44 anni, sono divorziata con tre figli e vivo in Trentino. Dopo anni di crisi profonde e cambiamenti, ho deciso di prendere in mano la mia vita e di dedicarmi a ciò che più amo: la natura. Ho a cuore il suo benessere, ma anche quello delle persone. Con mille peripezie e sacrifici, sono diventata quindi Naturopata e Guida di forest bathing: porto le persone nel bosco a ritrovare una relazione con la natura e con se stessi, migliorando la qualità della loro vita. Da un po’ di tempo sono trainer e tutor di guide di forest bathing per l’istituto Forest Therapy Hub, che si occupa di formare professionisti in 40 paesi sparsi in tutto il mondo, diffondendo con serietà una pratica che promuove benessere e amore per la natura.

Dicci qualcosa di più sul forest bathing.

Il forest bathing è una pratica di benessere composta da diverse attività proposte in una sequenza attentamente progettata, incentrata sui sensi, che abbassa i livelli di stress, ripristina una connessione con la natura e, grazie alla risposta emozionale delle persone, sviluppa atteggiamenti pro ambientali. Ma ha anche altri effetti benefici: aumenta la concentrazione e la memoria, sostiene il buonumore, abbassa i livelli del cortisolo (ormone dello stress), aumenta la produzione dei linfociti NK e quindi aumenta le difese immunitarie, migliora le funzioni dell’apparato respiratorio.

In pratica, di cosa si tratta?

É una pratica che si sta diffondendo molto anche in Italia, in quanto consiste in attività semplici, adatte a tutti, e alcune di esse, una volta apprese, possono essere praticate anche in autonomia, negli spazi verdi a propria disposizione, in modo completamente gratuito. In questo modo le persone imparano a prendersi cura di loro stesse e a integrare pratiche sane nella loro vita quotidiana, migliorandola di molto. Come formatore, inoltre, creo nuove possibilità di lavoro in un momento di crisi globale in cui può essere utile avere l’opportunità di reinventarsi. Il forest bathing è una pratica sempre più conosciuta e richiesta perché le persone sentono sempre di più il bisogno di ritornare alla natura, di rallentare e di ritrovare spazi per loro stesse. Quindi la richiesta di professionisti in questo settore è sempre in aumento. Ovviamente, questa pratica si svolge all’aperto, dove si è liberi di respirare aria fresca e pulita. La guida di forest bathing non solo rende un servizio utile alla comunità, ma si trova egli stesso a vivere esperienze benessere ogni giorno, preservando così anche la propria salute.

Qual è il ruolo di una guida?

La guida di forest bathing è un operatore del benessere che ha come compito quello di creare un ambiente sicuro da un punto di vista sia fisico che psicologico, in modo da poter facilitare la connessione tra partecipanti e natura e permettere la libera espressione di questi. Così facendo la persona può, almeno per il tempo del forest bathing – circa due ore –, staccare dalla sua routine quotidiana e immergersi in un momento di pace e silenzio. Ciò favorisce inoltre l’introspezione e la consapevolezza favorendo la crescita personale. Il forest bathing si può praticare ovunque vi sia uno spazio verde, dai boschi alle coste marine, dai giardini ai parchi urbani. Quindi la guida di forest bathing può potenzialmente proporre la sua pratica a tutti, sia in città che in campagna, sia a famiglie che ad aziende, adulti e piccini. Si tratterà di scegliere la giusta location e le giuste attività da proporre. I settori dove questa pratica sta guadagnando spazio sono in particolare quello turistico, benessere outdoor, scuole, team building, eventi e ritiri. Ma si può trovare anche nei parchi di città o nei giardini botanici, dove piccoli gruppetti approfittano dello stacco dal lavoro per rigenerarsi un po’ di tempo nel verde.

Qual è la differenza tra forest bathing e forest therapy?

La prima è una pratica di benessere che mira a promuovere la salute ed è adatta a perseguire finalità legate alla prevenzione. Composta da attività semplici, si può proporre a tutti. La seconda invece è un intervento che mira al supporto di pratiche convenzionali per migliorare la salute di persone con difficoltà specifiche. Generalmente l’operatore di forest therapy collabora con figure sanitarie come medici o psicologi. Non si può essere operatore di forest therapy senza essere prima guida di forest bathing.

Come si diventa guide di forest bathing?

Il lavoro dell’operatore del benessere, in Italia, viene regolamentato dalla legge nazionale 4/2013. Non è richiesta nessuna esperienza particolare pregressa, anche se è ben accetta. Occorre seguire un corso professionalizzante che include teoria e pratica e un periodo di tirocinio. L’istituto con cui collaboro, composto da un team di formatori con pluriennale esperienza, forma guide in tutto il mondo ed è possibile frequentare corsi in presenza oppure online. Il metodo che viene insegnato si basa su numerose ricerche scientifiche. Sul sito dell’istituto Forest Therapy Hub è inoltre possibile verificare il numero di guide certificate che ad oggi lavora in Italia e che regolarmente accompagna decine e decine di persone in natura, supportando il loro benessere e risvegliando l’amore per essa. In ultimo, il Forest Therapy Hub collabora con enti e istituzioni che si occupano di riforestazione e di protezione ambientale. Cambiare vita si può.

Fonte: https://www.italiachecambia.org/2021/12/manuela-guida-forest-bathing/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

Cascina Rapello rinasce: sarà una casa nella natura per educare piccoli e grandi

È attiva la campagna di raccolta fondi per sostenere il bellissimo progetto di riqualificazione della settecentesca Cascina Rapello portato avanti dalla cooperativa sociale Liberi Sogni. L’obiettivo? Ristrutturare lo stabile e renderlo adatto a ospitare laboratori, concerti, dibattiti, lezioni e numerose altre attività incentrate sull’educazione ambientale e sulla valorizzazione del territorio e delle sue tradizioni.

LeccoLombardia – «Il mondo è grande, ma partiamo da qui», scrivono da Liberi Sogni. Per loro il “qui” è il progetto Cascina Rapello, un luogo in cui convivialità e armonia abbracciano la natura, sul Monte Di Brianza, in provincia di Lecco. Liberi Sogni ha lanciato il 16 ottobre 2021 la raccolta fondi “Vivi e sostieni Cascina Rapello” – di cui Italia Che Cambia è media partner – per la ristrutturazione di questo cascinale settecentesco immerso nel bosco e incorniciato da imponenti castagni secolari che caratterizzano il panorama. Cascina Rapello è un generatore di consapevolezza, un ritorno alla terra e alla cura dei prodotti che consumiamo sulle nostre tavole, alla creatività e alle relazioni umane da coltivare con lentezza, al di là della frenesia quotidiana che ci travolge. Quando rinascerà ospiterà al suo interno diversi ambienti da vivere e condividere: un’aula didattico-formativa, un laboratorio di trasformazione dei prodotti della terra e del bosco, un magazzino per i prodotti agricoli, un’aula polifunzionale in cui si terranno concerti, conferenze, spettacoli, uno spazio di ospitalità per il pernottamento e uno dove pranzare e cenare. Sarà tutto accessibile anche a persone con disabilità, realizzato in gran parte con materiali naturali ed ecologici. Adriana Carbonaro, responsabile dell’ufficio stampa della cooperativa sociale Liberi Sogni, mi ha fatto varcare la porta di Cascina Rapello raccontandomi questo sogno che sta prendendo forma diventando realtà.

Com’è nata l’idea di Cascina Rapello?

In questi anni la nostra Cooperativa ha sviluppato progetti educativi, sociali e culturali in diversi contesti del lecchese: scuole, comuni, musei. Ancora oggi continua a farlo, ma sentivamo forte il bisogno di un luogo tutto nostro che non dipendesse dal tal bando o dall’incarico di turno. Cercavamo un posto sul Monte di Brianza, luogo a noi molto caro perché è qui che dal 2010 realizziamo progetti di educazione in natura e tutela ambientale per minori, ma anche per giovani e adulti, in connessione con le associazioni locali, le amministrazioni comunali e le scuole: i campi estivi residenziali, il crazy-bosco, la libera università del bosco.

Parlaci del luogo che avete individuato.

Così dopo mesi di ricerche, nell’estate del 2020 abbiamo scoperto la settecentesca Cascina Rapello, una cascina abbandonata e da ristrutturare, raggiungibile a piedi e incastonata tra 9 ettari di terrazzamenti e boschi di castagno. Ci è parso subito il luogo ideale per accogliere tutte le nostre progettualità in una dimensione più quotidiana. La Cascina e i terreni sono stati acquistati con un mutuo dalla Cooperativa, mentre per la ristrutturazione e lo sviluppo del progetto contiamo su una comunità di persone che ci credano insieme a noi e che, in varie forme e secondo le proprie possibilità, possano partecipare a questo percorso di ritorno alla natura e alla terra.

Avete già qualche idea su come impiegare la cascina?

Il primo lockdown è stata l’occasione per ripensarci come cooperativa e ridiscutere i nostri sogni e obiettivi. Più tempo passavamo imprigionati in casa, più cresceva la voglia di uscire, di stare all’aria aperta, di compiere quel salto che coltivavamo nei cuori da tempo. Abbiamo sempre lavorato a contatto con il verde tra torrenti, boschi e sentieri di montagna, ma volevamo che il nostro rapporto con la natura assumesse un carattere quotidiano e non solo settimanale o stagionale, perché l’agricoltura richiede una relazione quotidiana, così come la cura degli animali – abbiamo trovato quattro asine sul posto, che abbiamo adottato con amorevolezza e rispetto per chi abitava questo luogo prima del nostro arrivo. Questa è oggi la nostra nuova casa. Qui è dove abbiamo scelto di tornare alla terra e dove trovano e troveranno dimora tanti progetti sociali, culturali e ambientali per grandi e piccini. Cascina Rapello, diventerà sempre più un polo sperimentale e accogliente di ritorno alla natura e alla terra, con linguaggi e forme sempre nuove, di riscoperta di saperi e tradizioni antiche ma anche un incubatore che darà spazio e sostegno a tanti sogni e nuove idee.

A chi si rivolgeranno le attività che svolgerete qui?

Ci rivolgiamo in primo luogo a minori: bambin* e ragazzi*. Ma, come in tutte le nostre progettualità, adottiamo un approccio intergenerazionale e inclusivo, costruendo contesti accoglienti in cui ciascuno possa stare bene e trovare la sua dimensione, senza creare ghetti. A Cascina Rapello quindi puoi trovare l’anziano volontario che, insieme a giovani adulti con disabilità accompagnati dai loro educatori, si dedica alla cura dell’orto; giovani tirocinanti con fragilità, impegnati nella manutenzione del verde e a supporto degli eventi culturali per famiglie; gruppi di studenti delle scuole superiori che con i loro insegnanti partecipano ad attività di team building in natura; giovani di comunità minori e famiglie con bambini e ragazzi che in una domenica di ottobre autocostruiscono le porte da calcio con i pali di castagno e poi si cimentano in un torneo di calcio “selvaggio” sulle balze. È proprio una cascina per tutti e tutte, ciascuno con le proprie esperienze, carattere, talenti e peculiarità. Tutti accomunati dalla voglia di trasformazione, di riscoprire le cose buone, le relazioni genuine. Alla ricerca di amore, bellezza e felicità.

In che modo natura e uomo si incontrano qui?

Ci piacerebbe che la relazione con questo spazio fosse il più possibile ecocentrica, in punta di piedi: vogliamo gradualmente ristrutturare la cascina, prenderci cura del bosco attorno, tornare a coltivare quei terrazzamenti che probabilmente risalgono al 18esimo secolo, per dialogare con la natura senza offenderla. L’approccio che ci guida e ci ispira è quello dell’agroecologia, un modello molto antico che si basa su tecniche maturate nella connessione profonda tra le comunità e i territori, i luoghi e soprattutto i limiti che segnano i luoghi. Oggi il concetto di limite viene comunemente considerato con un’accezione negativa, in realtà è bene ricordare sempre che ogni cosa ha un limite. Hanno un limite la velocità, la confidenza, la vita stessa, tutto quello che facciamo. Ivan Illich parla di “austerità”, ma con un’accezione positiva, che significa esattamente tornare al cuore di ciò che ci rende felici: recuperare il tempo per noi stessi, per i nostri figli e per le nostre passioni, come una sorta di “allenamento di ritorno all’essenza”. In una dimensione di austerità positiva e low-tech possiamo ripensare gli equilibri tra ambiente, lavoro dell’uomo e tecnologie sostenibili per coltivare una visione migliore del mondo e dei sistemi di produzione.

Quali progetti nasceranno in cascina?

Alcuni progetti sono già partiti: “Io nel bosco”, un percorso articolato in cinque incontri per avvicinarsi alla natura attraverso diverse discipline artistiche per persone con disabilità e non solo; l’orto sociale-didattico, che ora ospita gli ortaggi invernali e in cui è possibile autoraccogliere i prodotti; gli eventi nei week end sportivi, culturali, artistici per bambini e ragazzi con un’attenzione ai soggetti fragili; un corso sul tema della transizione ecologica, e uno esperienziale di relazione e avvicinamento all’asino in partenza a novembre; le gite con attività e laboratori in natura per le scuole, le comunità minori, i centri estivi; la campagna di raccolta fondi per la ristrutturazione della Cascina. Altri progetti sono in cantiere o vorremmo ampliarli e svilupparli, ad esempio l’attività agricola e forestale per la quale stiamo costituendo un gruppo di lavoro di giovani del territorio interessati a sperimentarsi e cimentarsi in questo ambito con un taglio sociale, inclusivo ed educativo, l’addestramento e lo sviluppo di una proposta educativa e didattica con l’impiego delle nostre quattro asinelle. Sarà fondamentale, per rendere possibile tutto questo durante tutto l’arco dell’anno, avere un luogo fisico al chiuso e ben attrezzato che possa ospitare tutte le progettualità.

Un ritorno alla natura e alla terra dove i sentieri si tracciano insieme, secondo le possibilità di ognuno.

La raccolta fondi è attiva qui. Sognare insieme è magia.

Fonte: https://www.italiachecambia.org/2021/11/cascina-rapello-rinasce-natura/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

La storia di Carlotta: dall’amore per la natura alla nudge theory e all’economia circolare

La nudge theory può essere applicata a processi economici e commerciali per favorire buone pratiche ispirate all’economia circolare e al riuso dei materiali. Approfondiamo questo concetto insieme a una giovane ricercatrice con la passione per l’ambiente, che l’ha portata a collaborare con un progetto che sul suo territorio vuole abbassare l’impatto ecologico in particolare del settore floro-vivaistico. Un percorso di studio e di vita che lega le prime uscite con gli scout nella natura dietro casa a un progetto di consapevolizzazione dei consumatori, l’amore per l’ambiente e il rispetto per chi lo tutela con la nudge theory – per chi non sapesse cos’è dopo ne parleremo in modo più approfondito. Attraverso il racconto di Carlotta Bergamelli, ricercatrice che collabora con il progetto SUSFLO – di cui abbiamo parlato pochi giorni fa in questo articolo – parliamo di alcuni aspetti variegati e apparentemente distanti che però riconducono tutti alla grande idea di sostenibilità.

Ti puoi presentare?

Mi chiamo Carlotta e sono nata e cresciuta in un paesino nella provincia di Bergamo. Ricordo fin da piccola di essere stata sempre a contatto con la natura. A otto anni ho iniziato a frequentare il gruppo scout della mia zona: questo mi ha formato molto al rispetto e amore nei confronti del territorio e della natura. Il motto degli scout è “Lascia sempre il posto in cui vai migliore di come lo hai trovato”. Credo che sia nata proprio da qui la mia passione per l’ambiente e la sua salvaguardia. Spesso durante le uscite fatte nei fine settimana incontravamo persone del mestiere: ricordo una guardia forestale che ci ha portati per due giorni in giro in lungo e largo per i terreni facenti parte del Parco dei Colli di Bergamo a osservare le peculiarità naturalistiche che lo caratterizzano e per cui esso è nato (ci sono più di 126 specie di orchidee selvatiche nei boschi del parco). Ed è proprio qui che circa dieci anni dopo ho svolto il mio tirocinio di laurea triennale. Questo è stato il primo passo che mi ha permesso effettivamente di avvicinarmi ad un ambito specifico del mondo agricolo.

Di cosa ti sei occupata durante il tirocinio?

Il mio lavoro consisteva nello studio delle figure presenti nel Parco che collaborano per mantenere il territorio integro e per la sua promozione: impiegati, guardie forestali e aziende agricole. Conoscere tutti gli aspetti e gli attori che costituiscono questo ente mi ha permesso di comprendere la sua importanza, sia per quanto riguarda la salvaguardia della natura in tutte le sue forme, sia come figura promozionale e di supporto per le aziende agricole.

Hai continuato a seguire questo filone anche nel prosieguo degli studi?

Sono stata molto fortunata anche per quanto riguarda la mia tesi magistrale perché ho potuto continuare il percorso iniziato in triennale: ho avuto la possibilità di approfondire il legame tra istituzioni e aziende agricole presenti in territori particolari. In questo caso mi sono spostata in Valle Camonica. La Valle Camonica è una delle valli più ampie e antiche della Lombardia orientale, con una lunghezza di circa 100 km e una superficie poco superiore di 1270 km2.

Si tratta di un’area svantaggiata, così come definita dal PSR 2014-2020 della Regione Lombardia, caratterizzata prevalentemente da territori boscati e ambienti semi-naturali, con una straordinaria ricchezza naturalistica e paesaggistica oltre alla presenza di numerose aree protette. In questo luogo particolare, la presenza di aziende agricole risulta importante per la salvaguardia dell’ambiente, la conservazione e il mantenimento di beni naturali presenti oltre che per la diffusione e la valorizzazione delle risorse della valle.

Qual è stato l’oggetto della tua testi?

Il lavoro di tesi è stato svolto a partire da una collaborazione tra il CREA-PB, responsabile del Working Package 5 del progetto “Il Biodistretto come modello di policy per lo sviluppo sostenibile”, e l’Università degli studi di Milano.

Puoi raccontarci nel dettaglio cos’è e cosa fa un biodistretto?

Il biodistretto è un ente nato per diffondere il metodo biologico e supportare le piccole aziende agricole, ma oggi ha assunto diverse funzioni anche nella valorizzazione ambientale e nel supporto dello sviluppo locale territoriale. Lo scopo della mia tesi è stato quello di analizzare le caratteristiche del Biodistretto della Valcamonica e l’impatto della sua adozione sulla soddisfazione degli agricoltori e sulla sostenibilità dell’agricoltura biologica di montagna.

In che modo sei poi entrata in contatto con il mondo dell’economia circolare e, in particolare, con il progetto SUSFLO?

In seguito alla laurea mi si è aperta una nuova possibilità nel mondo accademico: quella di studiare realtà presenti nel territorio e impegnate a livello di sostenibilità ambientale grazie al progetto SUSFLO-Sustainable Flowers. Questo progetto coinvolge diversi enti e organizzazioni Fondazione Minoprio, Distretto Florovivaistico Alto-Lombardo e i centri vivaistici Agricola Home & Garden, Idealverde, Viridea Garden Center, Flover Garden, Azienda floricola Donetti dislocati in Lombardia, oltre ovviamente all’Università degli studi di Milano, nella figura della Dott.ssa Chiara Mazzocchi. Il progetto SUSFLO-Sustainable Flowers vuole spingere per un cambiamento del comportamento di acquisto del consumatore attraverso l’applicazione e la valutazione delle tecniche di comunicazione della nudge theory, proponendo un nuovo packaging compostabile venduto nei garden e, parallelamente, spingere il consumatore al recupero e riutilizzo delle confezioni in plastica dei prodotti tradizionali.

Che cos’è la nudge theory?

È un concetto che, nel campo dell’economia comportamentale e della filosofia politica, sostiene che “stuzzicando”, ”pungolando” con messaggi positivi il consumatore questi possa assumere comportamenti virtuosi. Nel nostro caso riguardo la riduzione dell’acquisto di vasi in plastica e l’aumento del loro riutilizzo.

Com’è strutturato il percorso?

Nel dettaglio il progetto si divide in tre fasi: la prima prevede che attraverso cartellonistica “nudge” sul punto vendita si promuova l’acquisto di un ECOPOT, cioè un vaso completamente biodegradabile nel terreno. Questa fase è basata sulla comunicazione diretta ai consumatori legata al richiamo delle norme sociali, al senso di appartenenza ad una comunità virtuosa, che permettono il miglioramento dell’ambiente. La seconda si basa su un altro pannello associato a un bin, che vuole stimolare il consumatore alla riconsegna di vasi in plastica acquistati precedentemente con all’interno piantine di basilico, prodotte appositamente per il progetto. In questo caso la comunicazione si basa sulla fornitura di informazioni relative al consumo di vasi in plastica e promossa dal claim: vuoto a rendere. La terza fase si avvale della tecnica dei Choice Experiments: raccoglieremo interviste agli acquirenti dei garden che partecipano al progetto. Il questionario sarà incentrato sulla predisposizione del consumatore a rinunciare al vaso in plastica, anche a costo dell’aumento di prezzo del prodotto di acquisto.

A che punto siete adesso?

In questo momento ci troviamo nel pieno della seconda fase del programma. Già da ora posso dire di aver imparato moltissime cose nuove, sia a livello pratico di partecipazione a un progetto multi-ente e quindi di gestione e organizzazione delle fasi, sia a livello accademico/teorico riguardo l’utilizzo di particolari software e tecniche di raccolta e analisi dei dati.

Fonte: https://www.italiachecambia.org/2021/09/carlotta-nudge-theory/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

TeFFIt, alla scoperta del potere curativo delle nostre foreste

Gli effetti benefici del contatto con la natura, con i boschi e con gli alberi sono noti e documentati e sono tante le organizzazioni che favoriscono questa pratica. Oggi vi parliamo di una rete chiamata TeFFIt, che connette e unisce competenze trasversali in diversi campi per sfruttare la meglio le terapie forestali.

«I due ecosistemi più completi e autonomi presenti sul nostro pianeta sono le foreste e le barriere coralline. La foresta è il modello più evoluto al quale tende la vita emersa e tornare ad essa vuol dire tornare ad una conoscenza più profonda dei meccanismi e persino dei significati che regolano la vita stessa sul nostro pianeta». Con queste parole la dottoressa Fiammetta Piras e Raoul Fiordiponti, mi introducono in un mondo per me nuovo e affascinante. Mi riferisco a quello della rete TeFFIt – Terapie Forestali in Foreste Italiane e di Outdoor Education APS, nata grazie alla sinergia intellettuale di Università in campo medico, biologico e forestale da soggetti pubblici e privati. L’obiettivo è andare a integrare le conoscenze reciproche per realizzare azioni di studio sugli effetti benefici della fruizione di ambienti boschivi sani italiani, ma anche cercare di ottenere il riconoscimento delle Terapie Forestali come promozione della salute nel sistema sanitario italiano. Grazie a una chiacchierata con la portavoce del CTS, la dott.ssa Piras, e con il presidente dell’associazione, Raoul Fiordiponti, il quadro diventa molto più chiaro in merito a questa attività, che non ha niente a che vedere con l’escursionismo o la meditazione guidata in natura. Partiamo dal principio.

Una diversa prevenzione e promozione della salute

Le terapie forestali sono delle pratiche di prevenzione e promozione della salute, ma anche un intervento sanitario che supporta le terapie convenzionali soprattutto per malattie croniche non trasmissibili. In alcuni stati queste vengono già prescritte dai medici curanti e in paesi come Giappone, Svezia, Norvegia, Germania e Stati Uniti se ne raccomanda la pratica alla popolazione. Gli studi scientifici degli ultimi quarant’anni stanno dimostrando i benefici sulla salute psicofisica umana grazie a una regolare frequentazione di ambienti forestali maturi e ricchi di biodiversità.

«La TeFFIt è l’unica realtà in Italia a integrare i punti di vista del mondo forestale, medico, ecologico e della conduzione in ambiente naturale, creando un rapporto sinergico al fine di sviluppare ricerche finalizzate a strutturare metodi innovativi di promozione della salute e prevenzione delle malattie croniche», mi raccontano. L’Associazione promuove infatti percorsi finalizzati al benessere, studiati e sperimentati in foreste italiane sane ed evolute. 

I boschi sono detti sani quando si auto-organizzano rispetto a una serie di elementi che li caratterizzano, in particolare la quantità e diversità di organismi che li abitano – biodiversità – e le relazioni che questi instaurano tra loro – biocomplessità. I fitoncidi, ad esempio, sono segnali che emettono tutte le piante: se una di loro soffre, essendo in comunicazione con le altre, cambierà linguaggio, il quale verrà così captato da tutta la rete che si auto-organizzerà. Dopo esperienze in diverse foreste italiane, la dottoressa Piras e Raoul Fiordiponti, in contesti e situazioni diverse, si sono accorti che le esperienze vissute nelle foreste insieme ai gruppi accompagnati le reazioni positive erano sorprendenti, soprattutto per alcune patologie croniche. Anche bambini con deficit dell’attenzione hanno registrato netti miglioramenti con percorsi di terapie forestali. «Ogni persona trarrà un diverso beneficio che deve essere reciproco. Non si va nel bosco per usarlo e consumarlo, il beneficio deve continuare nel tempo e dei boschi bisogna avere cura e rispetto», sottolineano. 

La relazione tra uomo e foresta

«Tutto passa attraverso il contatto fisico con il fitto dialogo fisico chimico della foresta – spiegano la dott.ssa Piras e Raoul Fiordiponti – fatto di odori, colori, luci, suoni, forme, ma anche spore, pollini, persino microbi alleati e salutari che ci avvolgono quando ci immergiamo in essa. Quando la foresta è ricca e sana, questo “chiacchiericcio” è perfettamente orchestrato e il nostro corpo ne viene attratto e viene indotto a partecipare e adattarsi. I nostri ritmi finalmente rallentano e la foresta ci dà il “la”, come un abile direttore d’orchestra, perché anche le nostre funzioni tornino a risuonare in modo armonioso tra loro e con l’ambiente che ci circonda».

Ovviamente tutto questo è vero solo se al corpo e alla mente non viene imposto di impegnarsi in esercizi o altre attività, ma sono lasciati liberi di abbandonarsi agli stimoli che ricevono. Allora una foresta integra può trasformarsi in uno specchio che riflette un’immagine di noi più sana e serena come modello di benessere che sentiamo nostro e che possiamo raggiungere, ispirandoci anche ad adottare stili di vita migliori. Ciò non può essere vero se si va, invece, in un bosco malamente gestito, impoverito, “mutilato” del suo sottobosco, disturbato da una presenza umana indelicata e invadente, e la cui “sinfonia” risulterà inevitabilmente scarna e stonata.
«È pur vero che le persone poco abituate alla natura selvatica – continuano a raccontare – all’inizio possono sentirsi disturbate e persino infastidite o spaventate dall’apparente disordine delle foreste integre, e vanno introdotte ad esse con delicatezza e attenzione».

«Ma via via che il contatto con la Natura si approfondisce, esso evolve in una relazione sempre più stupefacente, gratificante e salutare. E le persone cominciano a percepire anche le differenze tra un bosco e l’altro, come sia diversa una pineta da una macchia mediterranea o da una faggeta. E ciascuno impara a muoversi in sintonia con foreste differenti, rispettandole e traendo da ognuna il beneficio migliore per sé. Scoperte e meraviglie non finiscono mai, basta comprendere con correttezza i dati forniti dalla scienza sul potere terapeutico delle foreste come ecosistemi e non ostinarsi a vederle come semplici luoghi dove fare attività prestabilite o assorbire qualche ingrediente terapeutico».

La TeFFIt organizza diversi corsi rivolti alle persone che vogliono capire come creare questa relazione e migliorare da soli la propria salute frequentando foreste sane, autodeterminate, biodiverse, biocomplesse. Sono corsi di Auto immersione in Foresta, di Conduttori in Immersione in Foresta e corsi relativi all’Outdoor Education basati su studi scientifici. Tutti vengono erogati da professionisti, medici, forestali e professori universitari, online, dal vivo e con parte pratica in presenza. L’obiettivo è velocizzare il ritorno alla relazione con la foresta, percepire i canti degli uccelli, ma anche ritrovare il significato dei profumi e dei colori come linguaggi che variano a seconda che si tratti di un allarme, di un richiamo o di un vero e proprio canto di gioia di vivere. Si cominciano a comprendere i diversi meccanismi esistenti, ad interpretare il significato di “parole” e “frasi” per noi esseri umani inconsuete, ma non solo perché si sono imparate cognitivamente, ma perché si è finalmente entrati in relazione con il popolo delle foreste.

Obiettivi generali

TeFFIt è l’unica realtà italiana con il registro nazionale dei conduttori iscritti all’elenco del Mise – Ministero dello Sviluppo Economico. L’idea non è fornire solo una formazione, ma individuare persone con cui sviluppare questa rete e continuare a fare ricerca, a capire come funziona questo meccanismo, ad avere più dati. Ai conduttori viene chiesto di svolgere un lavoro certosino che metta in evidenza il tipo di bosco in cui si sono fatte le immersioni, la stagione, la temperatura e altri dati scientifici che servono a rendere sempre più preciso il quadro. È improbabile, infatti, che una macchia mediterranea funzioni tal quale a una foresta di sequoie. Anche il tipo di relazione è preferibile che venga fatta da chi conosce molto bene un territorio. Nel Nord Europa sono abituati al cattivo tempo e a vivere la natura in tutte le condizioni metereologiche. Chi abita al Sud, invece, farà più fatica ad adattarsi a condizioni che nella sua quotidianità non vive. Anche le linee guida europee in merito agli studi sulle terapie forestali tengono molto in riferimento la localizzazione geografica perché la relazione con la foresta cambia in base al proprio ambiente, alle proprie necessità, alla propria realtà geografica e al proprio sistema sanitario, persino alla propria cultura, sottolineano. La rigidità, il riduzionismo o un approccio solo basato sull’intuito non aiutano molto in questo processo di relazione. Solo attraverso un metodo corretto che interseca più saperi si permetterà alle persone di trovare nel bosco quello che nei lavori scientifici viene chiamato il “luogo preferito”, inteso come quello in cui ciascuno si trova più a suo agio e ne trae il massimo beneficio per sé. Dimenticate le escursioni in natura, esercizi di meditazione o le varie forme di jogging, le attività proposte da TeffIt consistono nell’entrare in contatto con la natura attraverso sensazioni fisiche e non è richiesto neanche un impegno mentale. Al contrario, l’attenzione involontaria che usiamo quando siamo in natura non necessita di alcuno sforzo. Vagare in natura, con la mente e con il corpo, sarà la sensazione più stimolante e curativa mai provata!

Fonte: https://www.italiachecambia.org/2021/10/teffit-potere-foreste/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

Serafina e Maurizio di Urbebnb: “Non lavoriamo più per vivere, viviamo lavorando”

Lasciare la città per trasferirsi in Appennino, circondati dalla natura: quello che per molti è un sogno nel cassetto, per Serafina e Maurizio è diventato realtà. A Urbe, tra “le montagne del mare”, hanno rallentato il ritmo della loro vita, aperto un b&b diffuso e sono felici.

Savona – Aria e acque pure, inquinamento acustico e luminoso inesistenti. Addentrandosi nei boschi o camminando lungo i ruscelli, la natura offre esperienze sensoriali sconosciute allo sguardo cittadino. Ci troviamo a Urbe, in alta Val d’Orba: è proprio qui che Serafina e Maurizio hanno scelto di trasferirsi per assecondare le proprie aspirazioni di vita. Hanno lasciato l’ufficio e la città per rifugiarsi in un angolo incontaminato dell’entroterra savonese tra l’Alta via dei Monti liguri e il Monferrato, in cui è ancora possibile vivere seguendo i ritmi della natura dedicandosi a ospitalità, agricoltura e autoproduzione. Hanno restaurato un vecchio casale che, a eccezione di qualche ritocco, è rimasto com’era. Hanno però ripulito il bosco e ridato vita a orti in campi che un tempo erano coltivati e che da chissà quanto tempo erano stati abbandonati: piccoli ma grandi interventi per dare la priorità alla cura di ciò che la natura ha messo a disposizione. Nell’estatico turbinio delle decisioni, ha bussato alla porta anche il desiderio di condividere con altre persone questo spazio di libertà che Serafina e Maurizio si stavano costruendo. Da qui la scelta di aprire la propria casa, dedicando due camere agli ospiti. Nasce il loro B&B La Scellana, che, insieme al B&B Andrè, fa parte di Urbebnb, l’ospitalità diffusa a Urbe che già da quest’estate ha visto coinvolti anche altri proprietari del paese, i quali hanno affittato le proprie case che, diversamente, vengono occupate solo poche settimane all’anno.

La Scellana – Urbe

IL BISOGNO DI UN CAMBIO VITA

«Avevamo bisogno di staccarci da un modello di vita basato basato solamente su lavoro e consumi», raccontano Serafina e Maurizio. «Un lavoro che solitamente ti detta dei tempi sempre più dilatati che tendono a sconfinare anche nella vita privata. Allora ti manca l’aria, non c’è spazio per i tuoi sogni, ti senti in trappola e molto insoddisfatto. Cerchi di appagare l’insoddisfazione cedendo alle lusinghe dell’ultimo gadget tecnologico, del viaggio last minute, del ristorantino sul mare». Così, però, si aggiungono spese su spese e si evidenzia ulteriormente la necessità di lavorare ancora di più per riuscire a sostenere il ritmo.

«Quando si è insoddisfatti della propria vita non bisogna pensare a cosa aggiungere, bensì a cosa togliere. Da qui la scelta di lasciare la città per andare a vivere in campagna: così saremmo riusciti ad abbassare i costi della vita di ogni giorno». Serafina e Maurizio si trasferiscono a Urbe, mettendo in atto quella che loro chiamano “una piccola rivoluzione del pensiero”: non più lavorare per vivere, ma vivere lavorando. Iniziano, quindi, a dedicarsi alla produzione di beni essenziali e a una vita di semplicità, bypassando la grande distribuzione. Poche necessità: un orto da coltivare, prati e boschi in cui raccogliere erbe selvatiche, un forno a legna dove preparare il pane. L’obiettivo? Sviluppare nuove capacità per fare da sé. «Ma davvero pensate che siamo venuti al mondo per prestare il nostro tempo di vita (magari 40 anni) a un lavoro puntiforme avaro di soddisfazioni? Davvero pensiamo di non essere capaci di fare altro? No, non è così», sottolineano.

IL NUOVO QUOTIDIANO

La quotidianità di Serafina e Maurizio è cambiata radicalmente. «Ci siamo ripresi il nostro tempo, così tutto il tempo perso è diventato tempo per noi. Abbiamo sempre parecchie cose da fare, ma con i tempi che nella gran parte dell’anno sono dettati da noi. Nei periodi di maggior flusso turistico ovviamente cresce l’impegno, ma l’ospitalità è un’esperienza appagante sia per noi che per gli ospiti, a cui cerchiamo di far percepire il distacco dai frenetici tempi della città, per offrire loro una vera pausa di tranquillità».

E raccontano che i benefici in termini di benessere fisico e psicofisico a seguito di questa scelta sono notevoli: poter portare avanti attività che piacciono, con i propri tempi, fa bene sia al corpo che allo spirito. «Dal punto di vista economico, il tenore di vita comunemente inteso si è ridotto drasticamente, ma quello che non abbiamo è quello che non ci manca».

URBEBNB E LA RISCOPERTA DEL TURISMO LENTO

Chi si avvicina all’alta Val d’Orba? «Chi giunge qui è spesso attratto dalle bellezze naturali di Urbe e della sua valle e dalla possibilità di scegliere tra le diverse opzioni di attività outdoor da praticare»: dal trekking alla mountain bike, passando per le ciaspolate sulla neve, il nordic walking e il kajak.

«Certo, ci sono anche quelli che vengono qui perché siamo in Liguria, che è comunque una regione di mare. I grandi portali di prenotazione online tendono a portare in valle ospiti che cercano strutture vicine al mare, soprattutto nei periodi di picco. Questo, secondo noi, potrebbe essere evitato se da parte degli enti interessati si intraprendesse una politica turistica mirata a far conoscere anche l’entroterra. D’altronde, la Liguria non è solo mare: noi abbiamo le montagne del mare!».

E sono tanti i turisti nordeuropei che, finiti quasi casualmente in Val d’Orba, restano colpiti dalle peculiarità di un luogo in cui è facile raggiungere uno stato meditativo. «Qui il verde e l’aria ricca di ossigeno ci aiutano a disintossicarci dalle tossine. Il respiro si allunga e il battito del cuore rallenta. Il silenzio permette di sentire finalmente noi stessi. In riva ad un torrente si ascolta la vita che scorre, immaginando di sciacquare la mente dai pensieri stagnanti. Ci si lascia rinvigorire dagli spruzzi d’acqua di una gelida cascata o si gioca con i riflessi di luce di un laghetto color smeraldo».

La storia di Serafina e Maurizio racconta una verità semplice, ma che spesso non vediamo: a volte basta semplicemente chiudere gli occhi e ascoltare i suoni della natura per prendere consapevolezza di chi siamo e di dove vogliamo andare.

La tua visione diventa chiara solo quando guardi dentro il tuo cuore. Chi guarda fuori, sogna. Chi guarda dentro, si sveglia”. Carl Gustav Jung

Fonte: https://www.italiachecambia.org/2021/09/urbebnb-vivere/?utm_source=newsletter&utm_medium=email