Le associazioni ambientaliste: per scongiurare nuove crisi puntiamo sulla transizione ecologica dell’agricoltura

17 associazioni ambientaliste scrivono al Governo rimarcando le cause della crisi in corso e indicando la strada per risolverla. La sicurezza alimentare in Europa e in Italia si difende infatti puntando sulla transizione ecologica dell’agricoltura, non indebolendo le norme della nuova PAC post 2022 e le Strategie UE “Farm to Fork” e “Biodiversità”.

 “Indebolire le Strategie UE Farm to Fork e Biodiversità 2030 dell’Unione Europea e rivedere le norme ambientali della nuova PAC post 2022 sarebbe un grave errore e non risolverebbe i problemi collegati all’aumento dei prezzi e disponibilità di materie prime, problemi ulteriormente aggravati dalla guerra in Ucraina che stanno mettendo in grave difficoltà le aziende agroalimentari europee e nazionali. Serve, invece, accelerare la transizione ecologica della nostra agricoltura rivedendo i modelli di produzione e consumo del cibo”.

È quanto sostengono 17 associazioni ambientaliste, dei consumatori e dei produttori biologici, in una lettera inviata al Presidente del Consiglio, Mario Draghi, e ai Ministri Patuanelli e Cingolani. Una lettera che fa seguito a un analogo appello in difesa della transizione ecologica dell’agricoltura inviato il 10 marzo scorso alla Commissione Europea da quasi 100 Associazioni europee. Con questa lettera le associazioni nazionali rispondono agli argomenti con cui le lobby dell’agricoltura industriale sostengono la necessità di rivedere gli obiettivi del Green Deal per affrontare la crisi dei prezzi e delle materie prime causata, solo in parte, dalla guerra in Ucraina. Le strategie europee che le lobby contestano puntano a tutelare la biodiversità e a ridurre l’impatto che le pratiche agricole intensive determinano su clima e ambiente, con obiettivi al 2030 che riguardano la riduzione dell’utilizzo di pesticidi e sostanze chimiche nei campi e nelle stalle e il mantenimento di uno spazio per la biodiversità nel paesaggio agrario. Le 17 associazioni, nella loro lettera, stigmatizzano la strumentalità e l’inadeguatezza di un dibattito che utilizza la drammatica contingenza della guerra in Ucraina per attribuire alla transizione ecologica la responsabilità delle crisi in corso in Europa. Nel quadro di drammatica incertezza che affligge l’agricoltura occorre invece concentrarsi proprio su interventi che garantiscano un futuro sostenibile per il settore agricolo, anche dal punto di vista economico. È surreale che invece si sposti la discussione sulle strategie della transizione ecologica che si proiettano su scadenze di medio e lungo periodo. La nuova PAC infatti entrerà in vigore dal 2023 e sarà pienamente operativa dal 2025, mentre per molte aziende agricole la sopravvivenza è questione di giorni o settimane. È pertanto urgente intervenire a sostegno delle aziende agricole in grave difficoltà per l’aumento dei prezzi delle materie prime con interventi tempestivi e mirati, tenendo anche conto delle speculazioni finanziarie in atto. Allo stesso tempo però, è necessario accelerare le risposte alle grandi sfide della sostenibilità ambientale e climatica dell’agricoltura, a partire dall’attuazione delle strategie Farm to Fork e Biodiversità 2030 e della nuova PAC post 2022, proprio per rendere i sistemi agroalimentari meno vulnerabili a questi shock. Senza provvedimenti adeguati ed efficaci per la soluzione di questi problemi globali i rischi di nuove crisi saranno sempre maggiori in futuro.

La guerra in Ucraina sta evidenziando la vulnerabilità dell’Europa nella dipendenza da importazioni di materie prime e di energia. Ma il conflitto è l’ultimo di una serie di eventi avversi, iniziati con la pandemia di Covid e proseguiti con la siccità in Nord America che ha dimezzato i raccolti, innescando dinamiche speculative e una pericolosa ascesa dei prezzi. In un mondo sempre più esposto a shock globali e a conflitti, abbiamo bisogno di una radicale riforma dei nostri sistemi agroalimentari per promuovere modelli produttivi e di consumo più resilienti e sostenibili”, sottolineano le 17 Associazioni.

“I timidi passi verso una transizione agroecologica attesi con la riforma della PAC non possono essere vanificati dalla conservazione degli stessi sistemi produttivi e modelli di consumo che ci hanno condotto in questa situazione. Non è aumentando la produzione attraverso un ulteriore degrado dell’ambiente naturale o aumentando la dipendenza da energie fossili che si risolveranno i problemi. Occorrono politiche che favoriscano la sicurezza alimentare, sostengano pratiche estensive e rispettose del benessere degli animali, valorizzino il ruolo degli agricoltori e promuovano diete più sane, con una riduzione e una qualificazione del consumo di prodotti di origine animale”.

Evidenze scientifiche supportano queste posizioni, come il recente rapporto IPCC secondo cui “mentre lo sviluppo agricolo contribuisce alla sicurezza alimentare, l’espansione agricola insostenibile, guidata in parte da diete squilibrate, aumenta la vulnerabilità dell’ecosistema e la vulnerabilità umana e porta alla competizione per la terra e/o le risorse idriche”.

L’ISMEA, nell’analizzare i problemi attuali di disponibilità del mais in Italia, evidenzia come sia divenuta “ormai strutturale la dipendenza degli allevamenti dal prodotto di provenienza estera”: si tratta di un grosso segmento della nostra produzione agroalimentare che si dichiara Made in Italy, ma si basa su importazioni di mangimi, spesso prodotti in Paesi che hanno norme, ad esempio in materia di OGM e pesticidi, molto meno rigorose di quelle europee.

Gran parte dell’insicurezza dei sistemi agroalimentari dipende dalla espansione della zootecnia intensiva, se si considera che il 70% dei terreni agricoli europei è destinato all’alimentazione animale e a questi si sommano le terre coltivate al di fuori della UE da cui importiamo mangimi per alimentare un settore produttivo divenuto ipertrofico e inquinante, oltre che non rispettoso del benessere animale. Per le 17 associazioni, “la risposta in grado di garantire una maggiore sicurezza ai sistemi agroalimentari in Europa passa pertanto dalla riduzione del numero degli animali allevati, che richiede una contemporanea riduzione dei consumi di carne e prodotti di origine animale e consentirebbe di liberare terreni per colture alimentari, capaci di soddisfare meglio diete diversificate e a basse emissioni, garantire il diritto di accesso al cibo locale e biodiverso a prezzi sostenibili”.

In un mondo sempre più esposto a shock globali e a conflitti, abbiamo bisogno di una radicale riforma dei nostri sistemi agroalimentari per promuovere modelli produttivi e di consumo più resilienti e sostenibili

Arare più terreni trasformando i prati-pascoli e le aree naturali in seminativi – come si sta proponendo di fare per incrementare superfici agricole destinate a produrre mangimi, usando ancora più pesticidi e fertilizzanti – aumenterebbe pericolosamente il rischio di collassi degli ecosistemi, riducendo la capacità dell’agricoltura di reagire agli shock esterni.

Una revisione al ribasso degli obiettivi della nuova PAC e delle Strategie UE Farm to Fork e Biodiversità 2030 cancellerebbe ogni residua prospettiva di transizione ecologica della nostra agricoltura, che invece può sganciarsi dalle dinamiche speculative dei mercati globali – come ha già saputo fare in gran parte il settore dell’agricoltura biologica – e puntare su qualità e sostenibilità.

Fonte: https://www.italiachecambia.org/2022/03/transizione-ecologica-agricoltura/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

Il Green Deal parte dalla Sicilia: approvata la legge sull’Agroecologia

La Sicilia è la prima in Europa a recepire gli obiettivi del Green Deal europeo. L’Assemblea Regionale ha infatti approvato il ddl con cui la regione si dota di una legge sull’Agroecologia, riconoscendo non solo questo sistema, ma anche prevedendo quella conversione capace di tutelare biodiversità e salute.

Sicilia – Il 21 luglio l’Assemblea Regionale ha approvato all’unanimità il ddl 533. La Sicilia adesso ha una Legge sull’Agroecologia: “Disposizioni In materia di agroecologia, di tutela della biodiversità e dei prodotti agricoli siciliani e di innovazione tecnologica in agricoltura”. 

È una legge che, per prima in Europa, recepisce, all’interno del Green Deal, gli obiettivi congiunti del Farm to Fork e della strategia dell’UE sulla biodiversità per il 2030; obiettivi che prevedono, tra gli altri, la riduzione del 50% dell’uso di biocidi e il rischio che rappresentano entro il 2030, la riduzione del 50% dell’uso dei pesticidi più pericolosi entro il 2030, la tutela e l’incremento della biodiversità naturale ed agricola e il miglioramento ed incremento della rete di zone protette.

Nel lungo dibattito in III Commissione all’ARS, sono emerse le indicazioni e i contributi da parte delle associazioni e delle reti che in questi anni hanno coniugato la difesa dell’ambiente e la valorizzazione delle aziende agricole locali, le associazioni di categoria, la ricerca universitaria e l’assistenza tecnica, le organizzazioni dei consumatori critici, le aziende agricole che hanno già iniziato buone pratiche e percorsi agroecologici e il tavolo istituzionale su Agroecologia e Colture Biologiche che ha tenuto conto del dibattitto che si sta affrontando a Bruxelles sulla nuova PAC. 

La Sicilia, prima in Italia per l’agricoltura biologica, oggi aggiunge un nuovo tassello: quello di vedere il riconoscimento del sistema agroecologico, un sistema in cui si integrano la produzione agricola in biologico, le pratiche a favore della tutela del territorio e della fertilità del suolo, della qualità dell’acqua, della gestione degli scarti, della valorizzazione e tutela della biodiversità, di tutta la filiera sostenibile dei consumi (farm to fork); la legge prevede inoltre attività di formazione e di educazione verso queste pratiche, perché sia attuato (principio di precauzione) il diritto alla salute e la certezza della sanità di ciò che mettiamo in tavola. 

Con l’entrata in vigore di questa legge si attuerà quella conversione agroecologica necessaria per la salvaguardia:

  • delle produzioni locali e del reddito degli agricoltori;
  • della biodiversità agricola e naturale;
  • per la riduzione dei prodotti di sintesi (quali insetticidi, diserbanti, ecc.) molto dannosi non solo per l’ecosistema ma anche per la salute dei cittadini. 

Per avviare questa conversione vengono adottate una serie di misure che, in sintesi, prevedono:

  • Incentivi e premialità, anche all’interno del prossimo PSR, per le aziende che introducono in azienda specie, varietà e razze autoctone;
  • il riconoscimento di “azienda agroecologica” con le relative regole;
  • una forte riduzione dell’uso dei biocidi tossici per tutti gli utilizzi in aree pubbliche;
  • corsi di aggiornamento per i nostri agricoltori;
  • un sistema di controlli e verifiche nelle importazioni e nelle produzioni; 
  • ed altre misure per agevolare la transizione agroecologica come indicato dalla Farm to Fork strategy (dal produttore al consumatore) dell’Unione Europea del maggio 2020.

Dopo questa approvazione, si continuerà a lavorare per costruire le norme attuative al decreto e per avviare il necessario processo di diffusione e conoscenza delle disposizioni legislative della legge (vedi indicazioni del Trattato di Lisbona) nel territorio dell’isola. Si hanno notizie che già a livello parlamentare, sulla scorta delle legge approvata, è in procinto di essere avviato l’iter per una legge, che avrà, per la sua valenza nazionale, l’opportunità di declinare incentivi ed agevolazioni fiscali per tutte le aziende che volessero intraprendere percorsi agroecologici.


Redatto da Nino Lo Bello – Fa’ la Cosa Giusta! Sicilia con il contributo di Guido Bissanti e Valentina Palmeri

Fonte: https://www.italiachecambia.org/2021/08/green-deal-sicilia-agroecologia/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

Valdibella: il “chilometro etico” per combattere l’agricoltura industriale

Per proporre un’alternativa sostenibile ed etica al modello di produzione e consumo dell’agribusiness bisogna creare reti nazionali di piccoli agricoltori consapevoli che costituiscano un’opportunità praticabile per chi non vuole rifornirsi presso la Grande Distribuzione. È questa la direzione su cui sta lavorando Valdibella, cooperativa agricola pioniera del biologico in Sicilia, che ha coniato il concetto di “chilometro etico”. Negli anni ’90 la Sicilia era ancora un territorio vergine per chi parlava di biologico, di agricoltura sostenibile, di filiera corta. Vergine e fertile. Tant’è che il percorso avviato da Massimiliano Solano – giovane laureato che aveva dato vita a una piccola rete produttiva invitando amici e colleghi agricoltori a convertirsi al bio – ebbe subito un riscontro positivo. Erano quelli i primi vagiti di ciò che nel 1998 si sarebbe trasformato in Valdibella, una cooperativa agricola che ancora oggi è un punto di riferimento per chi – produttore o acquirente finale – è alla ricerca di alternative al circuito della grande distribuzione, dei supermercati e di un mercato “drogato” da politiche agricole studiate su misura per le multinazionali dell’agro-industria.

Per proporre un’alternativa sostenibile ed etica al modello di produzione e consumo dell’agribusiness bisogna creare reti nazionali di piccoli agricoltori consapevoli che costituiscano un’opportunità praticabile per chi non vuole rifornirsi presso la Grande Distribuzione. È questa la direzione su cui sta lavorando Valdibella, cooperativa agricola pioniera del biologico in Sicilia, che ha coniato il concetto di “chilometro etico”. Negli anni ’90 la Sicilia era ancora un territorio vergine per chi parlava di biologico, di agricoltura sostenibile, di filiera corta. Vergine e fertile. Tant’è che il percorso avviato da Massimiliano Solano – giovane laureato che aveva dato vita a una piccola rete produttiva invitando amici e colleghi agricoltori a convertirsi al bio – ebbe subito un riscontro positivo. Erano quelli i primi vagiti di ciò che nel 1998 si sarebbe trasformato in Valdibella, una cooperativa agricola che ancora oggi è un punto di riferimento per chi – produttore o acquirente finale – è alla ricerca di alternative al circuito della grande distribuzione, dei supermercati e di un mercato “drogato” da politiche agricole studiate su misura per le multinazionali dell’agro-industria.

La scintilla che ha generato l’esplosione fu accesa dall’istituto salesiano di Camporeale, che gestiva una comunità di minori in affido. «Il direttore di allora – ricorda Massimiliano – ci propose di partecipare chiedendoci di aiutarli nella gestione dei ragazzi, attuando un metodo educativo diverso da quello tradizionale, con l’obiettivo di creare una sinergia con una realtà produttiva che da un lato accompagnasse gli ospiti della comunità in un percorso riabilitativo attraverso il lavoro nei campi e dall’altro portasse un beneficio a favore del territorio».

Nacque così Valdibella, realtà agricola biologica fra le prime in Sicilia e con una spiccata vocazione per il sociale. Vocazione che mantiene ancora oggi, tastando di continuo il polso del territorio e di chi lo vive, creando occasioni di lavoro per disoccupati e persone in difficoltà «senza alcun tipo di programmazione particolare: ci guardiamo intorno, vediamo di cosa c’è bisogno e ci attiviamo», specifica Massimiliano. Con il passare del tempo, le attività e le intuizioni iniziali si sono affinate e sviluppate anche attraverso numerosi contatti e Valdibella ha modulato una sua idea, portando avanti il concetto di un’agricoltura libera dai condizionamenti come politiche agricole, filiere della grande distribuzione, attività bancaria e così via.« Quello che cerchiamo di fare è svincolarci da questi sistemi favorendo delle filiere tutte nostre. L’agricoltura è un’attività che utilizza parte delle risorse dell’ambiente per produrre cibo e interessa due soggetti, chi mangia i prodotti e chi li coltiva. Noi vogliamo creare filiere in cui esistano solo questi due soggetti».

La scintilla che ha generato l’esplosione fu accesa dall’istituto salesiano di Camporeale, che gestiva una comunità di minori in affido. «Il direttore di allora – ricorda Massimiliano – ci propose di partecipare chiedendoci di aiutarli nella gestione dei ragazzi, attuando un metodo educativo diverso da quello tradizionale, con l’obiettivo di creare una sinergia con una realtà produttiva che da un lato accompagnasse gli ospiti della comunità in un percorso riabilitativo attraverso il lavoro nei campi e dall’altro portasse un beneficio a favore del territorio».

Nacque così Valdibella, realtà agricola biologica fra le prime in Sicilia e con una spiccata vocazione per il sociale. Vocazione che mantiene ancora oggi, tastando di continuo il polso del territorio e di chi lo vive, creando occasioni di lavoro per disoccupati e persone in difficoltà «senza alcun tipo di programmazione particolare: ci guardiamo intorno, vediamo di cosa c’è bisogno e ci attiviamo», specifica Massimiliano. Con il passare del tempo, le attività e le intuizioni iniziali si sono affinate e sviluppate anche attraverso numerosi contatti e Valdibella ha modulato una sua idea, portando avanti il concetto di un’agricoltura libera dai condizionamenti come politiche agricole, filiere della grande distribuzione, attività bancaria e così via.« Quello che cerchiamo di fare è svincolarci da questi sistemi favorendo delle filiere tutte nostre. L’agricoltura è un’attività che utilizza parte delle risorse dell’ambiente per produrre cibo e interessa due soggetti, chi mangia i prodotti e chi li coltiva. Noi vogliamo creare filiere in cui esistano solo questi due soggetti».

Il punto di riferimento rimane il rapporto diretto fra produttore e acquirente finale, che deve essere anche lui protagonista del processo, se necessario acquistando al di fuori del prezzo di mercato, che non può più essere stabilito da entità astratte ed estranee al processo produttivo, ma deve essere deciso da chi sta ogni giorno nel campo e conosce il reale valore di ciò che produce. Per raggiungere questo obiettivo sono due gli aspetti centrali: «Il rapporto diretto e l’autonomia rispetto a logiche esterne – fra cui la PAC –, sono questi i due filoni su cui lavoriamo».

Ed ecco che si arriva a un concetto chiave che Massimiliano definisce “chilometro etico”, giocando un po’ con il più noto slogan “chilometro zero”. Ci facciamo spiegare perché: «Stiamo sviluppando una rete con alcune realtà in giro per l’Italia. Con ciascuna di esse avviamo una collaborazione che “unisce” i rispettivi territori e i loro prodotti. Ad esempio, in Piemonte abbiamo creato una sinergia con Agricoltori Consapevoli, una cooperativa locale con cui abbiamo condiviso i panieri di prodotti in modo che i loro clienti possano acquistare anche ciò che produciamo noi e viceversa. Lo stesso stiamo facendo anche in altri territori, come l’Emilia, dove collaboriamo con Retebio. Siamo molto attivi anche nel mondo dei gruppi d’acquisto solidali, di cui non siamo solo fornitori, ma ai quali offriamo supporto anche con consigli e indicazioni organizzative».

L’obiettivo di questa rete di sinergie è istituire un’alternativa concreta e praticabile alla Grande Distribuzione: «Molte realtà offrono prodotti a chilometro zero – spiega Massimiliano –, ma per forza di cose non possono garantire una gamma di prodotti molto ampia e quindi l’acquirente finale è indotto ad andare al supermercato. Noi vogliamo creare delle reti con altre realtà per unire le forze e ridurre al minimo la necessità di ricorrere alla GDO». Naturalmente tutti i nodi di questa rete sono costituiti da piccoli produttori di prossimità etici e consapevoli.

In questa direzione va anche il progetto di Timilìa, un grano antico recuperato con grande passione e abnegazione da Valdibella con l’intento di creare una filiera interamente interna che copra tutto il percorso dal campo alla tavola. «La nuova legge sulle sementi ha sbloccato una situazione davvero difficile; oggi abbiamo la possibilità di inaugurare una filiera che sottragga dalle logiche commerciali. Valdibella è “agricoltore custode” riconosciuto dal ministero, produce il seme e lo conserva in purezza. Da Timilìa nascono poi prodotti lavorati come farine, grissini, pasta, couscous e tanto altro».

Fonte: https://www.italiachecambia.org/2021/04/valdibella-chilometro-etico-combattere-agricoltura-industriale/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

Cambiamo Agricoltura: il nuovo Ministro delle Politiche agricole punti a transizione agroecologica

CambiamoAgricoltura è una coalizione nata nel 2017 per chiede una riforma della PAC che tuteli tutti gli agricoltori, i cittadini e l’ambiente. Sostenuta da oltre 70 sigle della società civile è coordinata da un gruppo di lavoro che comprende le maggiori associazioni del mondo ambientalista e del biologico italiane. E’ inoltre supportata dal prezioso contributo di Fondazione Cariplo

La Coalizione CambiamoAgricoltura augura buon lavoro al nuovo Ministro alle politiche agricole, alimentari e forestali, Stefano Patuanelli, ed auspica che il cambio alla guida del Ministero di Via XX Settembre determini un rilancio della transizione agro-ecologica della nostra agricoltura.

Nella sua agenda il Ministro Patuanelli avrà alcuni appuntamenti importanti, primo fra tutti l’avvio del tavolo di concertazione con le parti sociali ed economiche e la società civile per la redazione del Piano Strategico Nazionale della PAC (Politica Agricola Comune) post 2020, atteso da oltre un anno. Il Trilogo UE dovrebbe completare l’iter della riforma della PAC entro il mese di maggio e la partita della prossima programmazione, che sarà operativa dal gennaio 2023, si sposterà completamente nel terreno dei singoli Stati membri. Molti Stati hanno già avviato da tempo il confronto con le Associazioni agricole e ambientaliste, mentre il nostro paese è rimasto fermo al palo, nonostante ripetuti solleciti inviati dalla Coalizione #CambiamoAgricoltura, rimasti inascoltati. Le Strategie UE “Farm to Fork” e “Biodiversità 2030”, con i loro obiettivi sfidanti (riduzione del 50% dei pesticidi e antibiotici, riduzione del 20% dei fertilizzanti chimici, aumento della superficie in agricoltura biologica fino al 25% a livello europeo, aumento fino almeno al 10% delle aree agricole destinate alla conservazione della biodiversità) impongono un cambio di rotta all’agricoltura italiana, per fare della sostenibilità ambientale e sociale un punto di forza delle produzioni “Made in Italy”.

Per la Coalizione #CambiamoAgricoltura l’Italia ha le carte in regola per puntare ad obiettivi più ambiziosi, come il 40% di superficie agricola utilizzata certificata in agricoltura biologica entro il 2030, e l’utilizzo degli aiuti PAC condizionati alla ristrutturazione delle filiere della zootecnia intensiva, per affrontare la crescente insostenibilità di questo comparto, in particolare in Pianura Padana, e scegliendo senza remore la strada  della transizione agroecologica per tutta l’agricoltura, l’unica in grado di coniugare la salute dell’uomo con quella dell’ambiente, nell’ottica di “One Health”.

Per questo sarà importante l’imminente approvazione da parte del Parlamento della nuova Legge sull’agricoltura biologica e il Ministero dovrà assicurare il massimo impegno per la sua rapida e concreta attuazione. Un altro impegno prioritario per il nuovo Ministro, condiviso con i suoi colleghi della Salute e della Transizione Ecologica, è l’approvazione del nuovo Piano di Azione Nazionale per l’uso sostenibile dei prodotti fitosanitari, ormai scaduto dal febbraio 2018. Si tratta del principale strumento per l’attuazione della Direttiva UE sui pesticidi, 2009/128/CE, fondamentale per poter raggiungere gli obiettivi delle Strategie UE “Farm to Fork” e “Biodiversità 2030”.

La Coalizione #CambiamoAgricoltura è disponibile su tutti questi temi e sul futuro dell’agricoltura italiana ad un confronto e collaborazione costruttiva con il nuovo Ministro ed invierà per questo nei prossimi giorni una richiesta d’incontro.

CambiamoAgricoltura è una coalizione nata nel 2017 per chiede una riforma della PAC che tuteli tutti gli agricoltori, I cittadini e l’ambiente. Sostenuta da oltre 70 sigle della società civile è coordinata da un gruppo di lavoro che comprende le maggiori associazioni del mondo ambientalista e del biologico italiane (Associazione Consumatori ACU, Accademia Kronos Onlus, AIDA, AIAB, Associazione Italiana Biodinamica,CIWF Italia Onlus, FederBio, ISDE Medici per l’Ambiente, Legambiente, Lipu, Pro Natura, Rete Semi Rurali, Slow Food Italia e WWF Italia). E’ inoltre supportata dal prezioso contributo di Fondazione Cariplo.

Fonte: ecodallecitta.it

“Adotta” un agricoltore per sostenere gli antichi borghi e i territori italiani

I Borghi più belli d’Italia e Coltivatori di Emozioni lanciano una campagna per sostenere i piccoli agricoltori che valorizzano i territori italiani. Uno degli obiettivi, grazie anche alla collaborazione con lo chef Simone Rugiati, è anche quello di proporre uno stile alimentare sano, locale e biologico. Valorizzare i borghi della nostra Penisola sostenendo i piccoli produttori e le loro tradizioni agroalimentari: è questo l’obiettivo della partnership siglata dall’associazione I Borghi più belli d’Italia e Coltivatori di Emozioni, la piattaforma di Social Farming creata per sostenere e supportare fattivamente i piccoli produttori dell’agro-alimentare. Grazie a questa collaborazione nasce una nuova iniziativa che punta a valorizzare ulteriormente I Borghi più belli d’Italia attraverso uno degli elementi comuni alle due realtà: l’agricoltura. L’Italia custodisce un patrimonio prezioso, fatto di tradizioni ed eccellenze enogastronomiche senza eguali. Ogni territorio che circonda i piccoli borghi conserva una porzione di questo tesoro inestimabile, il più delle volte tramandato di padre in figlio. Da oggi sarà possibile “sostenere” una di queste piccole realtà produttive, contribuendo così a preservare il territorio, il paesaggio culturale e dare un sostegno all’economia dei Comuni aderenti alla rete dei Borghi più belli d’Italia.

L’iniziativa è stata lanciata nel periodo natalizio – segnato dalla preoccupazione e dall’incertezza – con l’intento di dare un segnale di speranza e tenere alta l’attenzione sulla bellezza e la ricchezza del nostro Paese. Per tutto il 2021 sarà, infatti, possibile sostenere “a distanza” uno dei piccoli agricoltori e produttori dei Borghi più belli d’Italia e diventare così un Azionista della Bellezza e del Gusto!

Inoltre, per raggiungere l’ambizioso obiettivo di dare voce ai piccoli produttori italiani e promuovere quei borghi, Coltivatori di Emozioni e i Borghi più belli d’Italia hanno deciso di affidarsi a un rappresentante eccezionale della cucina di qualità, lo chef Simone Rugiati. Un’iniziativa che lo chef ha sposato fin da subito, grazie alla condivisione di valori e intenti: portare in tavola prodotti naturali, provenienti da un’agricoltura sostenibile e/o biologica, che rispetti la biodiversità e il benessere del consumatore

Cliccando qui è possibile selezionare il produttore e il borgo che si vuole sostenere e ricevere in cambio prodotti tipici direttamente dal territorio. Dalla fagiolina del Trasimeno di Castiglione dal lago al farro di Abbateggio passando per il Giglietto Prenestino di Castel San Pietro ai vini di Sambuca di Sicilia. Ma non solo: ogni adozione genererà un buono lavoro da un’ora interamente destinato al produttore adottato, che potrà usarlo per le varie attività lavorative (semina, vendemmia, raccolta, lavorazione ecc.), dando un’occupazione ai giovani che risiedono nel borgo e inserendoli così nel tessuto produttivo del territorio, contribuendo a conservare la tradizione di quel luogo. Un Certificato di adozione suggellerà il legame fra il sostenitore e il territorio e/o produttore “adottato”.

Attraverso aggiornamenti stagionali i sostenitori avranno anche modo di conoscere “a distanza” borghi meravigliosi e tradizioni agroalimentari poco conosciute che meritano di essere riscoperte. Per viverle, poi, da vicino non appena si potrà tornare a viaggiare. Le tipologie di adesione all’iniziativa sono tre: più alta sarà la donazione e più saranno le ricompense in prodotto che si potranno ricevere e le ore-lavoro donate ai produttori. Inoltre uno dei pacchetti sarà impreziosito dalla nuovissima guida dei Borghi più belli d’Italia 2020/2021 composta da 792 pagine, circa 2.500 foto e la realtà aumentata con 100 filmati che accompagneranno il sostenitore alla scoperta dei gioielli dell’Italia nascosta. Per il Presidente dei Borghi più belli d’Italia, Fiorello Primi, «l’accordo fra I Borghi più belli d’Italia e Coltivatori di Emozioni permette alle persone di entrare a far parte di una rete di appassionati, agricoltori e aziende che vogliono dar vita a un nuovo ciclo di produzione responsabile, che recupera le buone tradizioni, sostiene le microeconomie locali e crea opportunità di lavoro nei piccoli borghi italiani, contribuendo a combattere il loro spopolamento».

«La protezione dei nostri patrimoni e la riscoperta delle coltivazioni tradizionali delle aree rurali italiane costituiscono l’energia che anima il nostro progetto. Tutti noi abbiamo il dovere di salvaguardare le tradizioni e le tipicità italiane», spiega Paolo Galloso, founder di Coltivatori di Emozioni. «Crediamo che attraverso la collaborazione con I Borghi più belli d’Italia possiamo coinvolgere tutti quei piccoli produttori italiani che con coraggio hanno deciso di portare avanti produzioni in territori unici ma difficili». Fonte: https://www.italiachecambia.org/2021/01/adotta-un-agricoltore-sostenere-antichi-borghi-territori/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

Una specie che si autodistrugge in nome di una “scienza” distorta non è intelligente

Il libro “Cibo e salute”, che vede tra gli autori anche Vandana Shiva e Franco Berrino, edito dalla casa editrice Terra Nuova, è un libro completo per quello che riguarda dati e possibili soluzioni circa l’impatto che ha l’agricoltura industriale sul pianeta e sulla salute delle persone.

Il libro “Cibo e salute”, che vede tra gli autori anche Vandana Shiva e Franco Berrino, edito dalla casa editrice Terra Nuova, è un libro completo per quello che riguarda dati e possibili soluzioni circa l’impatto che ha l’agricoltura industriale sul pianeta e sulla salute delle persone. Con documentazioni precise, studi e esperienze pratiche si dimostra l’assoluta insostenibilità e pericolosità di un sistema come quello dell’agrobusiness che non ha altro scopo che fare soldi attraverso il cibo, scopo da raggiungere con ogni mezzo. Da un simile obiettivo  la qualità dello stesso cibo e le conseguenze sulla terra non possono che essere devastanti per persone e ambiente. Ed in tempi di pandemie vere o presunte, è interessante notare come la stessa OMS definisce le malattie non trasmissibili come la nuova epidemia globale

Ma diamo alcuni dati ed esempi tratti dal libro che rendono bene la situazione.

Cibo, malattie e agroindustria

«Come dicevano gli antichi Veda: “In questa manciata di terra c’è il tuo futuro. Prenditene cura ed essa ti sosterrà e ti darà cibo, vesti, riparo e bellezza. Distruggila ed essa ti distruggerà”».

«L’industria agrochimica e l’agrobusiness, l’industria del cibo spazzatura e quella farmaceutica ottengono grandi profitti, mentre la natura, le nazioni e le popolazioni diventano sempre più deboli e malate».

«Quando tutto il sistema dell’agroindustria assume una posizione di dominio, cominciano a diffondersi su larga scala malattie croniche  legate all’alimentazione. I nativi americani chiamano questo fenomeno powaqqatsi “un essere, uno stile di vita, che consuma le forze viventi a proprio vantaggio esclusivo”».

«Il cibo che si ottiene usando sostanze chimiche rovina la salute in tre modi. Prima di tutto, contribuisce alla fame e alla malnutrizione perché si concentra su poche materie prime, gran parte delle quali è destinata a diventare biocarburante e mangime per animali. E’ ciò che accade al 90% del mais e della soia, che non va ad alimentare gli esseri umani. Solo il 30% del cibo che mangiamo proviene  dalle grandi aziende agricole industriali. Il 70% proviene da piccole fattorie che usano solo il 20% della terra agricola. In secondo luogo, poiché l’agricoltura industriale produce monoculture uniformi e omogenee, contribuisce alla diffusione delle malattie correlate alla carenza di nutrienti vitali e variati nella nostra dieta».

«Il terzo punto riguarda le sostanze chimiche usate in agricoltura, che penetrano nel nostro cibo e contribuiscono all’insorgere di malattie come il cancro. Sono state create per uccidere e continuano ad uccidere».

«Le malattie non trasmissibili causano il 70% dei decessi a livello mondiale, per un totale di 40 milioni di morti all’anno, di cui circa 15 milioni di età inferiore ai 70 anni. Le principali malattie non trasmissibili  comprendono le malattie cardiovascolari, il diabete, i tumori e le malattie respiratorie croniche . Gran parte delle malattie non trasmissibili  sono legate alla dieta e causate da fattori biologici di rischio quali:pressione sanguigna, zucchero nel sangue, lipidi nel sangue e grasso corporeo, aterosclerosi dei vasi sanguigni, trombosi».

«In Italia ci sono 365 mila diagnosi di tumori in Italia in anno, esclusi quelli della pelle. 1000 al giorno».

«La stessa manciata di multinazionali vende sia le sostanze agrochimiche tossiche per l’agricoltura industriale, che compromettono la salute, sia i prodotti farmaceutici pensati con lo stesso paradigma per somministrarli alle persone che si ammalano».

Pesticidi

«Un cittadino medio ha in corpo dalle 300 alle 500 sostanze chimiche in più rispetto a 50 anni fa».

«In particolare, il cervello in via di sviluppo è estremamente sensibile e i pesticidi sono tra le cause più importanti di quella che si può definire una “pandemia silenziosa”».

«L’ammasso di animali, spesso provenienti da varie parti del mondo per ricostruire la scorta delle stalle, può creare una bomba ecologica considerando che i virus  di cui sono portatori, modificati dalle molecole chimiche presenti nei vari medicinali, possono dar vita, attraverso ignote ricombinazioni, a imprevedibili e devastanti epidemie».

«Il paradigma industriale agricolo, ancora oggi dominante e radicato nell’ideologia meccanicistica e riduzionista, non è in grado di affrontare l’attuale crisi sanitaria che ha contribuito a creare, poiché occuparsi dei legami fra cibo e salute è inconciliabile con i suoi principi essenziali».

Agroindustria e ambiente

«Quasi il 50% dei gas di serra è prodotto dall’agricoltura industriale e globalizzata».

«Globalmente l’agricoltura industriale è responsabile per il 75% della distruzione ecologica della biodiversità, terra e acqua, e contribuisce al 50% delle emissioni di gas di serra che causano inquinamento atmosferico e caos climatico. Quasi il 75% delle malattie croniche non trasmissibili è correlato al cibo».

Distruzione di cultura e biodiversità

«La sostituzione e lo sterminio delle cultura va a braccetto con lo sterminio e l’estinzione della biodiversità delle piante. Le specie sono spinte all’estinzione una velocità 100 – 1000 volte superiore al normale».

«In agricoltura il 93% della biodiversità vegetale è scomparsa. Le piante come gli esseri umani, sono manipolate violentemente per il profitto dell’1% degli uomini».

«Il 75% della diversità genetica è scomparso in soli cento anni. Dalle diecimila specie originarie, oggi si è arrivati a coltivarne poco più di 150 e la stragrande maggioranza del genere umano si ciba di non più di dodici specie di piante».

«Nel 2016 il mercato mondiale di semi, con un giro di affari di miliardi di dollari, risultava per il 55% nelle mani di cinque grandi multinazionali, in confronto al 10% del 1985, alcune delle quali controllano contemporaneamente una altro mercato multimiliardario, cioè quello dei pesticidi (erbicidi, insetticidi e anticrittogamici)».

«A causa del sistema produttivo industriale, le colture dal dopoguerra ad oggi, hanno perso il 25/70% delle loro sostanze nutritive».

Chi sono i veri scienziati

«Un agricoltore conosce i suoi semi, la sua terra, i suoi prodotti, gli aniamli, gli alberi, le stagioni, la comunità.  E’ quindi uno scienziato».

«In realtà, tutta l’agricoltura  tradizionale e la selezione delle sementi poggiano sul sapere dei contadini. Il sistema industriale ha da offrire solo veleni all’agricoltura».

«Una nonna, una madre, una ragazza che sanno come trasformare il cibo proveniente dai nostri campi in un pasto delizioso e nutriente sono scienziate dell’alimentazione. Un medico ayurvedico è uno scienziato, così come lo sono i popoli indigeni  e le donne. Incarnano il sapere interattivo e dinamico. Il loro sapere è la capacità di vivere nell’unità, sapendo che siamo uno. Gli insegnamenti di un universo interconnesso, vibrante  e abbondante, si ritrovano nelle culture indigene, oltre che in tutti gli insegnamenti spirituali».

L’agricoltura biologica conviene a tutti

«I redditi netti degli agricoltori che praticano l’agricoltura biologica aumentano ulteriormente perché è eliminato, evitato e risparmiato l’uso di apporti esterni costosi, come semi , fertilizzanti, pesticidi e irrigazione intensiva. Se consideriamo il beneficio netto per la società, oltre al reddito degli agricoltori, l’agricoltura biologica si dimostra ancora di molto superiore all’agricoltura convenzionale».

Chi sfama davvero il mondo

«L’agricoltura industriale, nonostante l’ingente consumo di risorse, non è in grado di garantire la sicurezza alimentare dei popoli. Al contrario la maggior parte del cibo che mangiamo è ancora prodotta da piccoli e medi agricoltori, mentre la stragrande maggioranza delle colture provenienti dal settore industriale, come mais e soia, è utilizzata principalmente come mangime per gli animali o per produrre biocarburanti».

«La pretesa che l’agricoltura industriale sia necessaria a risolvere il problema della fame nel mondo è totalmente priva di fondamento, oltre che smentita nei fatti».

«I piccoli agricoltori sono in proporzione più produttivi delle grandi aziende industriali: pur avendo a disposizione solo il 25% della terra arabile, riescono a fornire il 70% del cibo a livello mondiale».

«La presunta  maggiore produttività dell’agricoltura industriale richiede una quantità di input dieci volte superiori in termini di energia rispetto a quanto produca successivamente in termini di alimenti. Il sistema agricolo industriale ha dunque una produttività negativa, e non potrebbe sostenersi senza le enormi sovvenzioni pubbliche».

Il cibo chimico non conviene

«Si sostiene spesso che i prodotti alimentari abbiano il vantaggio di essere “economici”. I costi di produzione, trasformazione e distribuzione sono in realtà molto elevati e la convenienza è solo apparente. Questa impressione di convenienza è ottenuta artificialmente sopratutto grazie a ingenti sussidi pubblici, all’esternalizzazione dei costi sociali, ambientali e sanitari, e attraverso la manipolazione dei mercati».

«L’industria rifiuta sistematicamente di assumersi le responsabilità dei danni causati dalla malnutrizione, dai pesticidi e dalle malattie croniche».

Chi paga i danni

«I cittadini di tutto il mondo stanno pagando di tasca loro miliardi di sovvenzioni che si trasformano in profitti per le stesse società che causano l’aumento delle malattie attraverso la produzione di cibo tossico e vuoto dal punto di vista nutrizionale. Con questo sistema i redditi delle piccole e medie aziende agricole crollano, i profitti dell’industria aumentano e la qualità del cibo crolla. Lo scopo del sistema attuale non è quindi quello di garantire una adeguata nutrizione e il benessere umano, ma quello di massimizzare i profitti di Big Food».

La transizione necessaria

«Una transizione verso un sistema alimentare sano richiede un cambiamento di paradigma, da una scienza riduzionista a una scienza dei sistemi. Richiede un cambiamento dell’agricoltura industriale ad alta intensità chimica all’agricoltura biologica ad alta intensità ecologica. Necessitiamo tutti di un passaggio dalle economie estrattive  a quelle circolari e di solidarietà, da un’economia riduzionista basata sui prezzi a una vera contabilità dei costi. Occorre abbandonare le regole inique del libero scambio, basate su rivendicazioni non scientifiche, per passare ad un commercio equo, basato su di una economia democratica. E’ necessario fermare e regolare la macchina del potere delle multinazionali dell’agroindustria che realizza i suoi straordinari profitti speculando sul bisogno essenziale dell’alimentazione per affermare invece il diritto ad un cibo per tutti gli abitanti del pianeta, che sia sano per le persone e la natura».

Fonte: ilcambiamento.it

Adotta il tuo Orto, scegli quali verdure seminare e aspettale a casa!

Un nuovo e innovativo modo di acquistare verdure è quello proposto da Dario de “L’Orto di Sole”. Grazie a questa proposta gli interessati possono adottare un orto famigliare, decidendo quali verdure seminare, per poi vedersele recapitate direttamente a casa, fresche e genuine. È l’una e un quarto. Forse non il miglior momento per chiamare per la prima volta e intervistare Dario, giovane agricoltore e architetto paesaggista de L’Orto di Sole, che prende il nome di sua figlia nata da poco. E invece mi dice che per lui è il miglior momento della giornata per sentirci, in quanto è appena tornato dal suo campo, per fare una meritata pausa pranzo. Così parliamo del suo nuovo progetto, chiamato “Adotta il tuo Orto”. Fin da subito noto con piacere il suo entusiasmo nel presentarlo. Si tratta di un nuovo modo di acquistare verdure per avvicinare i consumatori direttamente ai produttori. Grazie a questa proposta, infatti, gli interessati possono adottare un orto famigliare, decidendo quali verdure seminare, per poi vedersele recapitate direttamente a casa, fresche e genuine. Ed il costo è di 300 euro per un orto estivo o invernale.

Dario e il suo Orto di Sole

Il progetto nasce alle porte di Torino, per la precisione a Rivalta. In pochi giorni, da quando ha aperto le pagine Facebook e Instagram dell’Orto di Sole, ha ricevuto tanti messaggi di apprezzamento e richieste per avere in adozione un orto. «Mi ha sorpreso questa reazione – ammette Dario – e mi dà tanta energia per continuare in questo progetto».

Dall’idea alla realizzazione, quanto tempo è passato? «È un’idea che avevo in testa da circa un anno, ma le giornate erano sempre molto impegnate e per questo l’avevo accantonata». E così la quarantena diventa un momento importante per strutturarsi e organizzarsi per iniziare questa nuova avventura. “«La quarantena mi ha obbligato a rallentare. E lì ho pensato: se non lo faccio adesso, quando? Dato che sono più tranquillo e ho un’età (33 anni, ndr) per la quale posso portare avanti questo progetto». Attività che richiede tanta fatica, ma che viene compensata dalla grande soddisfazione di veder concretizzato un suo piccolo grande sogno. Anche a costo di diversi sacrifici, come arrivare a casa la sera alle nove, e non poter cenare con la sua piccola Sole.

Le persone interessate possono scegliere fino a 10 tra le varietà di verdura disponibili, nonché la dimensione dell’orto (20, 40 o 60 mq) e contare sull’esperienza di agricoltori professionisti ed esperti del settore. «Le diverse specie sono consociate tra loro seguendo i principi dell’agricoltura biologica e sinergica – ci dice Massimo Pugliese, docente in Agraria all’Università di Torino nonché fondatore di altre startup nel settore (AgriNewTech) – così come la difesa delle piante da attacchi di patogeni e fitofagi è svolta con metodi naturali e rispettosi dell’ambiente. Progetti come questo intendono recuperare le tradizioni agricole, facendo presente al consumatore che ogni verdura ha il suo periodo di semina e raccolta».

Una volta seminato, il proprietario può seguire l’evolversi dell’orto a distanza attraverso foto e video, oppure recarsi di persona in azienda il sabato mattina. Sempre in azienda è possibile anche fare semplicemente la spesa, attingendo ai prodotti che l’azienda produce.

Ad oggi la capacità è di 50 orti, ma il prossimo obiettivo è di dare spazio ad oltre 500 famiglie entro 2 anni, espandendo l’area adibita a coltivazione, installando tunnel e sistemi automatizzati per l’irrigazione, oltre che digitalizzando completamente i processi produttivi e prevedendo forme alternative di partecipazione al progetto, quali ad esempio la possibilità di regalare un orto a qualcuno oppure ancora di dare l’opportunità alle aziende di utilizzare l’Orto di Sole come benefit per i propri dipendenti. Insomma, molte cose bollono in pentola, non resta altro che provare anche voi, le prenotazioni per gli orti invernali sono aperte.

Fonte: https://www.italiachecambia.org/2020/06/adotta-tuo-orto-scegli-quali-verdure-seminare-arrivano-casa/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

“Dal campo alla tavola”: la transizione ecologica dell’agricoltura europea (speriamo!)

Si chiama “Farm to Fork” (Dal campo alla tavola) ed è la strategia della Commissione Europea che era stata annunciata e che ieri è stata presentata ufficialnente, allo scopo di incentivare l’avvio di una politica agroalimentare integrata. La Coalizione #CambiamoAgricoltura plaude all’iniziativa, ma sottolinea: «Mancano le misure operative».

La Commissione Europea ha reso nota ieri i contenuti della strategia che ha chiamato “Farm to Fork” ( F2F) [dal campo alla tavola]. La Coalizione #CambiamoAgricoltura ha commentato positivamente l’iniziativa, il cui scopo dichiarato è di avviare la transizione verso un sistema agro-alimentare più sostenibile. «Adesso è necessario concentrare gli sforzi sugli strumenti per la sua concreta applicazione, a partire dalla riforma della Politica Agricola Comune post 2020» ha detto la Coalizione.

«Il documento dichiara che “i sistemi alimentari devono urgentemente diventare sostenibili e operare entro i limiti ecologici del pianeta” e che “la sostenibilità deve ora diventare l’obiettivo chiave da raggiungere” – spiega la Coalizione – Le associazioni ambientaliste e del biologico italiano guardano fiduciose all’impegno dell’Unione Europea, ma non nascondono anche una parte di delusione per la carenza di misure operative, nonché di target vincolanti di riduzione delle emissioni dei gas climalteranti».

Tra gli obiettivi della Strategia F2F, che la Coalizione #CambiamoAgricoltura valuta positivamente per le ambizioni ambientali, «si evidenziano in particolare il ruolo positivo attribuito all’agricoltura biologica con l’impegno al raggiungimento del 25% della superficie agricola europea (SAU) in biologico, e il 10% delle aree agricole destinate ad infrastrutture verdi per la conservazione della natura, in coerenza con l’altra importante Strategia 2030 per la Biodiversità, presenta sempre oggi dalla Commissione UE, sottolineando la dipendenza dell’agricoltura dalla tutela della biodiversità».

Positivo, anche se non del tutto soddisfacente, «l’impegno alla riduzione del 50% del rischio e della quantità dei pesticidi utilizzati in agricoltura. Questo obiettivo dovrà essere chiarito e rafforzato nel corso dell’iter di condivisione della strategia da parte del Parlamento europeo, arrivando ad una reale messa al bando dei pesticidi di sintesi entro il 2050, insieme al bando dei fertilizzanti di sintesi e degli antibiotici».

Positiva viene giudicata anche «la volontà di agire sul versante della maggior consapevolezza dei consumatori e delle imprese di trasformazione, affinché si riduca sia lo spreco alimentare che l’alimentazione a base di zuccheri, grassi e prodotti di origine animale. Del resto, i dati sulla salute degli europei sono eloquenti: oltre il 50% della popolazione adulta è in sovrappeso, e l’obesità sta dilagando nell’infanzia, specie nei Paesi mediterranei».

Per le Associazioni della Coalizione #CambianoAgricoltura, «il principale punto debole di questa strategia riguarda il settore zootecnico per il suo contributo alle emissioni climalteranti, non fissando obiettivi di riduzione vincolanti, insieme alla necessaria promozione della progressiva riduzione e qualificazione dei consumi di prodotti di origine animale. La Commissione fornisce i dati che danno la misura della sfida: a partire dal ‘peso’ del sistema agro-alimentare nel bilancio delle emissioni climalteranti (il 29% sul totale) di cui ben la metà rappresentato dalla sola filiera zootecnica, che utilizza oltre i 2/3 dei terreni agricoli europei, risultando così la maggior beneficiaria di sussidi PAC».

«Le ambizioni della Farm to Fork saranno praticabili solo con una energica revisione della PAC per incidere sui sussidi perversi che oggi premiano la sovrapproduzione degli allevamenti intensivi e delle grandi superfici a monocoltura» affermano le Associazioni della Coalizione. «La PAC, impegna oggi il 38% dell’intero budget UE, oltre 60 miliardi l’anno, ed è per questo tra le politiche europee la più importante e maggiormente finanziata. Solo modificando profondamente le regole della PAC sulla base dei contenuti positivi di questa strategia F2F si potrà avviare concretamente una transizione ecologica della nostra agricoltura».

La stessa Strategia F2F raccomanda una «particolare attenzione per lo sviluppo di Piani Strategici nazionali in linea con il Green Deal», insistendo sugli eco-schemi come importante flusso di finanziamenti a favore di pratiche ecologiche.

«La Strategia Farm to Fork riconosce “il ruolo chiave di agricoltori, pescatori e acquacoltori nel rendere i sistemi alimentari sostenibili”, come sempre sostenuto dalle Associazioni di CambiamoAgricoltura, ma proprio per questo la nuova PAC dovrà, a differenza del passato, valorizzare questo ruolo di protagonisti del mondo agricolo promuovendo gli investimenti per l’ambiente, la difesa e restauro degli spazi naturali, aiutando le piccole aziende familiari che garantiscono il presidio dei territori, sostenendo maggiormente l’agricoltura  biologica e spostando risorse per la zootecnia dalla produzione intensiva a quella estensiva e di qualità, con il miglioramento del benessere animale e la riduzione delle importazioni delle materie prime per i mangimi dai Paesi extraeuropei, causa principale della deforestazione».

La Coalizione #CambiamoAgricoltura auspica poi che «il percorso della Strategia F2F porti l’Unione Europea a diventare un modello positivo di riferimento per la sostenibilità dei sistemi agroalimentari, una sfida molto complessa, quanto necessaria, e confida sull’impegno dei Parlamentari europei per rafforzare ulteriormente questo processo di transizione verso l’agroecologia, in coerenza con il Green Deal».

Fonte: ilcambiamento.it

Non ci salvano i supermercati ma chi coltiva e chi raccoglie

Avere meno del 4% degli occupati in agricoltura è una pistola costantemente puntata alla tempia del nostro paese, che un giorno lontano era chiamato il Giardino d’Europa. E ora con l’emergenza coronavirus manca anche chi raccoglie. Cosa mangeremo?

Non ci salvano i supermercati ma chi coltiva e chi raccoglie

Avere meno del 4% degli occupati in agricoltura è una pistola costantemente puntata alla tempia del nostro paese, che un giorno lontano era chiamato il Giardino d’Europa. Nel settore primario (sarà un caso che si chiama così?) agricolo che determina la nostra sopravvivenza lavora una percentuale ridicola di lavoratori, se paragonata agli altri settori. E come se ciò non fosse già molto pericoloso, si tratta in grandissima parte di una agricoltura che dipende totalmente dalle fonti fossili. Basta una qualsiasi crisetta di approvvigionamento e ci ritroviamo alla fame. Questo perchè i nostri decisori politici sono così lungimiranti che per rendere le cose ancora più eccitanti, hanno deciso di farci dipendere energeticamente per più del 75% dall’estero e dai combustibili fossili. Qualsiasi cosa succede o decide chi all’estero ha la mano sui nostri rubinetti energetici, noi siamo spacciati. E per non farci mancare proprio nulla in fatto di rischio, l’agricoltura dipende molto dalla manodopera di persone che spesso vengono da paesi esteri e per questo più facilmente sfruttabili. Con la cosiddetta emergenza coronavirus, mancano o sono bloccati molti dei lavoratori che raccolgono gli alimenti nei campi, soprattutto in un periodo come quello primaverile/estivo che, per chi pensa che il cibo cresca direttamente negli scaffali dei supermercati, è fondamentale. Improvvisamente si è scoperta la dipendenza da quei lavoratori che qualcuno vorrebbe ributtare a mare quando fa comodo per avere voti elettorali ma che poi sono quelli senza i quali i raccolti delle campagne sono a rischio. E quei lavoratori fanno comodo anche alle aziende prive di scrupoli, alle mafie, ai caporali, ai supermercati e al consumatore perché senza di loro, che lavorano pesantemente per qualche spicciolo l’ora, non potremmo comprare il cibo a prezzi irrisori.

La nostra politica ora si è accorta che lasciare marcire il cibo nei campi potrebbe essere un problemino che nessun supermercato può risolvere. Quindi si cercano come sempre soluzioni di corsa che non possono che essere delle non soluzioni dove vige l’improvvisazione e l’ipocrisia. Si invocano sanatorie, regolarizzazioni temporali o fisse, anche per quei lavoratori dalla carnagione più scura della nostra che ci servono per raccogliere gli alimenti. Oppure si invocano i lavoratori rumeni che però sembra ci stiano facendo il gesto dell’ombrello, visto che non si può prima creare il panico, fare scappare tutti, chiudere in casa la gente e poi quando fa comodo, chiedere l’aiuto di chi si è terrorizzato. Altri vogliono mandare nei campi quelli che percepiscono il reddito di cittadinanza o i disoccupati in genere. Ottima idea ma se ci mandiamo i nostri ariani italici (ammesso che ci vogliano andare), mica possiamo dare loro qualche spicciolo all’ora come percepiscono ad esempio quei lavoratori dalla carnagione più scura della nostra; mica li possiamo fare vivere ammassati nelle baracche, senza acqua, senza servizi igienici, senza nulla; mica li possiamo trattare come bestie nei furgoni del trasporto della mafia e dei caporali. Qualche diritto e una paga dignitosa gliela si deve pure garantire, se non altro perché sono appunto della nostra stessa razza ariana italica e assai difficilmente accetterebbero le condizioni disumane che invece non ci turbano se sono sottoposte ai non italici.

Ma se succede tutto questo, poi gli alimenti quanto ci verranno a costare? Di sicuro non il poco che costano adesso grazie proprio a chi viene sfruttato in maniera vergognosa. E chi sarebbe poi disposto a pagare quel cibo il giusto prezzo?

In questa fase suggerirei a gente come Salvini di combattere la sua personale battaglia del grano e di andare lui a torso nudo modello Papeete a raccogliere gli alimenti nei campi, magari nel sud Italia, così da dare il buon italico/padano esempio alle masse. Lo faccia come campagna elettorale anche solo per un mesetto di seguito, farà un figurone.

Oppure ora mi rivolgerei a tutti i fanatici invasati della supertecnologia chiedendogli di mandare eserciti di droni e robot vari a raccogliere nei campi in un attimo tutto quello che serve e consegnarcelo direttamente sull’uscio di casa. Immagino che sia tecnicamente fattibilissimo, non costi nemmeno nulla e così risolviamo tutti i problemi. Attendo istruzioni in merito dai suddetti fanatici, anzi mi chiedo come mai non ci sia già una task force che stia risolvendo la situazione nel tempo di un click. Ma chissà, forse se si aggrava il problema si deciderà di accelerare la fine dell’emergenza corona virus perché senza mangiare si muore davvero come mosche.

In ogni caso la soluzione per non ritrovarsi più in simili assurde e pericolose situazioni è ritornare a coltivare la terra ovunque sia possibile e per favore non si tiri fuori la solita insostenibile scusa che i terreni costano, perché per farsi almeno un orto, non servono di certo ettari. Inoltre ci sono gli usi civici e ovunque terre incolte, abbandonate, di chi non sa cosa farci e che possono essere chieste in affitto, in comodato d’uso, ecc. Poi ci sono gli orti collettivi comunali, di quartiere, di circoscrizione e se non ci sono, fondateli voi. Queste sono tutte strade percorribilissime senza essere ricchi o spendere chissà quali soldi.

Quindi è bene aumentare l’autoproduzione e per il resto si può acquistare direttamente dai piccoli produttori biologici locali che sono strangolati dalla grande distribuzione, quella che ci dicono che ci sta salvando, quando l’unica cosa che sta facendo sono affari giganteschi. Per fare ciò è possibile anche creare o rivolgersi ai gruppi di acquisto collettivo che sono sparsi in tutta Italia e che da anni fanno un lavoro prezioso come ad esempio qui dalle nostre parti è molto attivo il gruppo storico di acquisto collettivo Pulmino contadino . Sempre in questa ottica si può guardare all’attività encomiabile di strutture come il movimento wwoof che supporta da sempre proprio il mondo agricolo di prossimità. Ma queste sono solo alcune delle tante soluzioni a portata di mano per qualsiasi persona di buona volontà.

Fonte: ilcambiamento.it

Comunità, autosufficienza, ritorno alla terra e resilienza: questo è quello che ci serve

Non poteva andare in altro modo, lo sapevamo perfettamente e lo diciamo da sempre: una società che adora il dio denaro, alla prima crisi, crolla miseramente.

Comunità, autosufficienza, ritorno alla terra e resilienza: questo è quello che ci serve

Non poteva andare in altro modo, lo sapevamo perfettamente e lo diciamo da sempre: una società che adora il dio denaro, alla prima crisi, crolla miseramente. La gente ha così fiducia in se stessa e nello Stato in cui vive, che svuota i supermercati presa dal panico; del resto, se si costruisce una società basata sulla dipendenza energetica e alimentare in primis, i risultati non potevano che essere questi catastrofici in cui veniamo privati anche delle libertà fondamentali.

E perché siamo arrivati a questo punto? Per fare contenti i mercanti che ci vendono qualsiasi cosa e attraverso la pubblicità ci hanno fatto credere di essere nel paese dei balocchi dove tutto si può comprare all’infinito senza nessun problema di approvvigionamento, di inquinamento, di esaurimento risorse. Poi arriva una crisi qualsiasi, vera o presunta che sia, e l’intera Italia si ferma. E questa sarebbe la sicurezza, la modernità, il progresso tanto decantato?   

Se fossimo in un paese che ha a cuore i propri abitanti, la prima cosa da fare da tempo sarebbe stata di garantire il più possibile proprio l’autosufficienza alimentare e energetica; ma, al contrario, nonostante l’Italia sia un paese dalle ricchezze immense in questi settori, siamo fortemente dipendenti sia dal punto di vista energetico che alimentare.

Invece di darci più sicurezza ed autonomia, continuiamo a creare dipendenza e insicurezza. Costruiamo il metanodotto TAP riempiendoci di gas che viene dall’estero e scoppiamo di sole, facciamo arrivare cibo scadente e di bassissima qualità da tutto il mondo, quando in Italia, paese fertilissimo e baciato da una posizione geoclimatica eccezionale, si potrebbe produrre di tutto. Si spera quindi che non ci sia bisogno di ulteriori drammi per capire che la vera soluzione sta nell’aumentare il più possibile l’autosufficienza energetica e alimentare, ricostruendo i legami comunitari distrutti da un sistema che per guadagnare ci vuole tutti individualisti e dipendenti, con i pessimi risultati che si vedono in questi giorni. Ovvio quindi che bisogna collaborare e anche ripensare un graduale ma deciso ritorno alla terra, non solo per la pura e semplice sopravvivenza ma anche per la tutela, salvaguardia del territorio e delle basi della vita. E speriamo che finalmente la si smetta di dire che non è realistico coltivare la terra e ripopolare le campagne.

Ma elenchiamo ancora una volta il perché è necessario e possibile.

1) L’Italia è strapiena di posti abbandonati e campagne che vanno in rovina e i luoghi sono così tanti che sono ormai molte le proposte degli stessi Comuni per fare ritornare le persone, anche dando contributi, vendendo le case a un euro, ecc. E spesso chi ne approfitta? Gli stranieri che apprezzano ben più di noi le nostre meravigliose ricchezze.

2) Anche in città è possibile creare le condizioni di resilienza diminuendo drasticamente gli sprechi e creando orti ovunque sia possibile; certo bisognerà smettere di cementificare per speculare producendo edifici vuoti ma invece ridare alla città spazi verdi e coltivabili. Del resto non stiamo dicendo nulla di fantascientifico, dato che ormai già varie città al mondo si stanno orientando in questa inevitabile direzione.

3) In Italia si continua a cementificare e ci sono milioni di alloggi vuoti e tantissimi sono proprio in zone di campagna; non si può certo dire che non ci sia posto.

4) Per avere una buona produzione agricola non servono chissà quanti ettari e coltivare la terra non è più il massacro di fatica che ci raccontano i nonni. Con le varie tecniche e conoscenze di agricoltura biologica e naturale di tutti i tipi che stanno nascendo come funghi,  la fatica si è ridotta di molto e le rese sono migliori dell’agricoltura chimica, soprattutto nei piccoli appezzamenti. Su questi aspetti si veda il bellissimo libro Abbondanza miracolosa che sfata tutti i falsi miti che dicono che l’agricoltura chimica sia più produttiva di quella biologica.

5) In Italia meno del 4% delle persone lavora nel campo agricolo e la stragrande maggioranza di questo 4% esercita una agricoltura di dipendenza totale dai combustibili fossili.  L’inversione di tendenza è quindi inevitabile se si pensa che fino agli anni sessanta (non mille anni fa), le persone impegnate in agricoltura erano il 30%.

In merito all’autosufficienza energetica, un paese pieno di sole, dalle potenzialità geoclimatiche immense, è agonizzante, ancora attaccato alla flebo dei combustibili fossili che generano costi, rischi enormi, inquinamento e ci tengono dipendenti dall’estero. Sarà il caso di cambiare rotta? Ognuno di noi può ridurre drasticamente gli sprechi a parità di confort e potenzialmente autoprodursi l’energia che gli serve e anche in città si possono fare moltissimi passi avanti in questa direzione. Quindi agendo così non solo ridurremmo dipendenza, inquinamento e spese ma daremmo da lavorare a milioni di persone nei settori che sono per noi vitali come quelli agricoli ed energetici. Ritrovare poi il senso di comunità è la soluzione alla disperazione, solitudine, paura e senso di dipendenza. Ricostruire i legami comunitari significa anche far fiorire lo scambio, la conoscenza, la cultura e la resilienza cioè la capacità di reagire efficacemente a cambiamenti improvvisi. E tutto questo si può fare senza limitare le libertà di nessuno anzi esaltando la libertà, le qualità e l’intelligenza di ognuno. I soldi, e le carte di credito potranno ben poco in situazioni di emergenza dove se non sai coltivare, se non sai produrti energia, rimani con i tuoi soldi in mano senza farci granchè. Puoi provare a mangiarli o ad accenderci un fuoco ma non si avranno grossi risultati. E vista la situazione attuale, non sarà il caso di rivedere tutte quelle sicurezze che si stanno dimostrando totalmente illusorie e smettere di credere a coloro che ci dicono che bisogna crescere a tutti i costi? Ma quale crescita? Qui l’unica cosa importante che deve crescere sono le piante dei propri orti. Deve crescere la  collaborazione, l’aiuto reciproco, devono crescere le idee, le soluzioni affinché tutti si possa vivere dignitosamente, liberi, in pace, salvaguardando l’ambiente e i nostri simili.

Fonte: ilcambiamento.it