Scenari del mondo post-virus: Cristiano Bottone e la Transizione

Quale società ci aspetta quando torneremo ad uscire di casa? Una società del controllo e della sorveglianza oppure una società della collaborazione e della solidarietà? Sarà più ecologica o torneremo a fare gli stessi errori del passato? Quali carte abbiamo in mano come individui, comunità e genere umano, per orientare il corso degli eventi? Ne parliamo con Cristiano Bottone del Movimento della Transizione.Quasi la metà degli esseri umani che abitano il pianeta ha smesso da settimane di uscire di casa. Le relazioni sociali tradizionali sono ridotte ai minimi termini e le persone scoprono forme creative per soddisfare la sete di socialità. Molte cose stanno cambiando: la nostra psiche, il modo di pensare e di relazionarci, la nostra economia. Cadono alcuni tabù, si sfatano molti luoghi comuni, si fanno più grosse le crepe nel sistema. Intanto là fuori, la natura torna a fiorire con velocità impressionante, persino dove sembrava spacciata. Stiamo vivendo, come umanità, il cambiamento più profondo da molti decenni a questa parte. E lo stiamo vivendo da spettatori.  Quale società ci aspetta quando torneremo ad uscire di casa? Una società del controllo e della sorveglianza oppure una società della collaborazione e della solidarietà? Sarà più ecologica o torneremo a fare gli stessi errori del passato? Quali carte abbiamo in mano come individui, comunità e genere umano, per orientare il corso degli eventi? Per capirci qualcosa ci siamo rivolti a chi di cambiamento si occupa da molti anni. Cristiano Bottone, testa (cuore e mani) del movimento della Transizione in Italia.

Cristiano Bottone

L’inquinamento sta calando in molte zone del mondo per via dell’interruzione di molte attività umane e la natura riprende i suoi spazi. Quali insegnamenti possiamo trarre nell’osservare questo fenomeno? 

Questa è una conseguenza utile di un evento drammatico, conferma ancora una volta il peso dell’impatto umano all’interno degli ecosistemi. In verità non è che vi fosse tanto da scoprire, ma a volte toccare con mano può aiutare anche i meno attenti: mai visto un cielo così terso in Pianura Padana, tanto per fare un esempio. Sembra confermare inoltre la capacità di una parte della biosfera di riprendersi velocemente una volta terminate le pressioni negative. La vita reagisce e rifiorisce in fretta, evolve, lo avevamo visto in mare, laddove sono stati istituiti parchi marini protetti, o in zone forzatamente abbandonate come Chernobyl.  Speriamo di non sprecare questa occasione e che l’umanità prenda nota. C’è poi l’aspetto più prettamente scientifico, molti dati relativi alle emissioni in atmosfera sono frutto di modelli ed elaborazioni statistiche, mentre ora si possono misurare certi effetti in modo diretto. Questo significa che avremo molte più informazioni reali e consapevolezza. Già si sta discutendo, ad esempio, delle varie componenti inquinanti del bacino padano e alla luce di questo grande “esperimento” forse alcune dei modelli in uso saranno da rivedere. Non sopravvalutiamo invece gli effetti di questa breve pausa sul processo relativo al surriscaldamento globale è probabile che alla fine risultino irrilevanti se torneremo a fare tutto come prima.

Molte cose cambieranno. Alcuni pensano che in questa crisi si celi l’opportunità di mettere in atto una rapida transizione ecologica. Secondo altri invece molti dei fondi immaginati per il green deal potrebbero essere reindirizzati verso una ripresa economica tradizionale. Cosa ne pensi? C’è uno scenario che ritieni più probabile?

Ormai da parecchi anni cerco di pensare sistemico e nel farlo si impara una cosa: inutile cercare di fare previsioni. Ci sono delle tendenze generali che rimangono chiare: gli umani sono tanti, le risorse sempre più scarse e mal distribuite, non abbiamo sistemi di governo dei gruppi, dei popoli, degli stati, che si stiano rivelando efficaci. Facile immaginare scenari piuttosto negativi in queste condizioni. L’intero sistema economico è modellato sull’idea di crescita e si scontra evidentemente con l’atteggiamento impietoso dei sistemi fisici in cui siamo immersi. Quando una risorsa fisica finisce è finita, non si può discutere con lei e trovare un accordo. Se la CO2 in atmosfera renderà la terra inabitabile alle forme di vita che la popolano oggi – e ci siamo quasi – se continueremo a fare finta di non capire che la crisi del 2008 ha profonde radici energetiche, se non comprenderemo che il collasso degli ecosistemi porterà via anche noi… beh non sarà finita bene. Poco utile quindi chiederci quale scenario sia più probabile, più interessante, forse, chiederci per quale altro possibile scenario dovremmo lavorare impiegando tutte risorse rimaste.

Bene, chiediamocelo allora. Possiamo fare qualcosa per sfruttare al meglio le opportunità di cambiamento che si celano in questa drammatica situazione?

Assolutamente sì. Un evento così traumatico e che colpisce contemporaneamente tutto il mondo è davvero (non in modo retorico) una incredibile occasione. Mostra in tempi rapidissimi, purtroppo in modo crudele, la fragilità dei nostri sistemi, l’inconsistenza di molte delle “storie” che regolano le nostre vite. Pensiamo alle mascherine, giusto per fare un esempio: non basta tutto il denaro del mondo a comprare mascherine che non esistono. Così come non si possono impiegare medici che non ci sono. Dove la nostra fantasia incontra gli atomi, la realtà diventa palese. Migliaia di aziende falliranno, mentre altre fallite rinascono, l’immensa macchina del superfluo di cui ci circondiamo è stata messa alla corda in un attimo e fa spazio a dimensioni produttive di maggior buon senso, pensiamo ai laboratori di moda che ora cuciono camici e mascherine. E così via.

Anche il mondo della finanza è in subbuglio…

Interessante vedere le banche centrali reagire nei primi giorni al solo scopo di mantenere lo status quo per poi passare allo “stamperemo tutto il denaro necessario”. Possono farlo? Sì il denaro non esiste, come dice Harari – ma non è certo il primo -, è “solo” la storia di maggior successo inventata dall’umanità. Da questo all’idea del reddito universale il passo non è tanto lungo e potrebbe essere ampiamente facilitato da una situazione come questa. È una condizione interessante e porta con sé l’idea che la riconversione industriale ecologica non può più essere fermata dalla storia delle persone che “sennò perdono il lavoro”: quel lavoro magari sì, ma con un reddito universale il salario no. E se la sopravvivenza è garantita, allora si può imparare altro e magari mettersi a produrre in modo sostenibile cose utili e di lunga durata eliminando tante produzioni totalmente superflue ed effimere.

Quali altri aspetti hai visto emergere?

L’egoismo degli stati che sequestrano i presidi sanitari perché non passino il confine mette in luce il problema delle produzioni locali, della mancanza di resilienza nei sistemi vitali. Forse così il concetto di bio-regione, in un futuro ormai non tanto lontano, potrebbe essere più interessante e protettivo di quello di Nazione. Questo è interessante. Ora l’inadeguatezza della classe dirigente appare più nitida e anche quella degli strumenti a nostra disposizione per selezionarla. Questo è interessante, che non sia ora di occuparsi davvero di profonde riforme della nostra inadeguata democrazia rappresentativa?

C’è spazio per cambiare e cambiare in fretta. Certo si può cambiare in meglio, ma anche in peggio. La tentazione di irrigidire autoritarismi e culti della personalità è ancor più presente e probabilmente già in corso in vari angoli del mondo. Ma si apre potente anche uno spazio per soluzioni davvero differenti da quelle viste e riviste fin qui. Penso all’introduzione di una moneta complementare globale come quella immaginata da Bernard Lietaer e chiamata “Terra”, ancorata a un paniere di commodities invece che alle nostre fantasie o a schemi di compensazione tra stati come il protocollo Bancor (solo per fare degli esempi). A nuovi modelli di gestione democratica che cambino radicalmente la qualità delle decisioni prese ricorrendo in modo ragionato a meccanismi di democrazia deliberativa e alle forme più avanzate della sociocrazia (sempre per fare esempi praticabili da subito). A nuovi modelli di organizzazione sociale, forme di impresa, e tanto altro.

Siamo pronti a cogliere l’occasione? 

Ecco questo non lo so, un’enorme percentuale della popolazione rimane passiva. La maggior parte dei movimenti, degli attivismi e dei sistemi politici ed economici che conosco sono molto lontani dal raccontare nuove storie. Utilizzano approcci profondamente figli di questo sistema e faticano ad esplorare dinamiche realmente alternative. Questo vale per quelli che tentano di conservare a tutti i costi quello che c’è e per quelli che vorrebbero cambiarlo, ma sembrano non accorgersi di lavorare solo una versione differente dello stesso racconto. Vedere come in Italia si sia potuto immaginare di emendare la fiacchezza dell’attuale democrazia rappresentativa con “uno vale uno” fa capire con quale atteggiamento disinformato e naive si affrontano queste cose. Da poco ho partecipato ad un lungo workshop a Bruxelles e uno dei partecipanti era un giornalista che si occupa di evoluzione democratica. Il suo sgomento riguardava appunto il fatto che questo tema sembra non interessare a nessuno, c’è una specie di analfabetismo nascosto che riguarda questa materia e un costante ricorrere alle poche cose note o all’inseguire l’ultima moda per ritinteggiare la facciata di un palazzo che rimane vecchio e non più adeguato ai tempi. È una cosa che fa riflettere e che oggi, con un’opportunità come questa che ci investe, potrebbe impedirci alcuni passaggi evolutivi che potrebbero farci uscire dalla crisi “coronavirus” in un mondo ricco di nuove potenzialità. Come sempre accade nella vita, tocca a noi cogliere le opportunità. C’è tutto quello che serve per farlo tranne, forse, la nostra convinzione.

Fonte: https://www.italiachecambia.org/2020/04/scenari-mondo-post-virus-cristiano-bottone-transizione/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

Cristiano Bottone e Transition Italia: perché la transizione può salvare le città in crisi

“Tra vent’anni non sarete delusi delle cose che avrete fatto, ma di quelle che non avrete fatto”. Con queste parole di Mark Twain ci accoglie il blog della prima città in transizione italiana in ordine cronologico, Monteveglio. Qui, in un comune della Valsamoggia in provincia di Bologna, il cambiamento è iniziato nel 2008 appena due anni dopo la fondazione della prima Transition Town al mondo, Totnes Town, città che sorge sulla punta Sud Ovest della Gran Bretagna. Da questo primo esperimento sociale, brillantemente teorizzato da Rob Hopkinsteorico e fondatore del movimento, vengono gettate le basi in Italia. L’inizio non è stato facile perché molte teorie risentono della specifica realtà inglese, ma per definizione la transizione è un esperimento in costante evoluzione e con l’impegno della rete coinvolta si è arrivati a consolidare prima la realtà di Monteveglio, poi altre città dell’hinterland bolognese e infine a valicare i confini regionali raggiungendo il numero totale (per ora) di trentacinque città in transizione in tutto il paese, riunite nel “Nodo italiano della rete internazionale di Transizione“.

https://www.youtube.com/watch?v=YOd1kVudCOI

“La transizione dell’hinterland bolognese è ormai una realtà ben visibile e non più puntiforme” racconta con soddisfazione Cristiano Bottone, una delle prime guide del movimento che ha portato al cambiamento di Monteveglio (città in cui risiede) e attuale referente del movimento Transition Town in Italia. “Tanto è stato fatto dal meccanismo del buon esempio”, continua a spiegare, “alcuni sindaci che vedono il buon funzionamento delle iniziative organizzate si avvicinano alla transizione”. Molto è dipeso anche dalle caratteristiche culturali di questa regione, terra originaria delle cooperative, dove il concetto del “fare rete insieme” è radicato a tutti i livelli.

Monteveglio (Bo)

Monteveglio è la prima Transition Town italiana

 La voglia di agire per il meglio non basta, spesso le migliori intenzioni amministrative sono ostacolate dalle leggi di un paese fortemente burocratizzato, ma molte delle difficoltà incontrate sono state superate grazie ai tavoli di lavoro e confronto preparati dall’ANCI utili anche per aggirare questo tipo di ostacoli giudiziari. “I sindaci che aderiscono al progetto di transizione hanno capito che bisogna uscire dal gioco della politica competitiva”, chiarisce Cristiano, “io ho visto amministratori accapigliarsi sulle modalità di tassazione ma poi convergere sull’importanza indiscutibile della qualità dell’aria e dell’acqua“. Dal presupposto di fondo del movimento di Transizione non si scappa insomma: il raggiungimento del Picco del petrolio e il surriscaldamento globale devono portare necessariamente al ripensamento dei modelli abitativi e produttivi tradizionali, riportando l’uomo e le sue esigenze all’interno di un sistema molto più ampio con cui deve interagire rispettando le regole dei processi che fanno funzionare l’intero ingranaggio. E la buona notizia è che tutto questo è convenuto e conviene ancora. La transizione di Monteveglio ha preceduto di pochissimo lo scoppio della crisi e andare nella direzione dell’autosufficienza energetica e produttiva ha aiutato molto l’amministrazione a fronteggiare la scure dei tagli governativi che si è abbattuta anche sui comuni più virtuosi.

bottone

Cristiano Bottone, attuale referente del movimento Transition Town in Italia

 Parlare di una comunità in transizione, ovviamente,  non significa che tutti sono coinvolti ma Cristiano Bottone e il gruppo Guida – le persone che cercano di traghettare i cittadini verso il cambiamento – sono stati facilitati dalla collaborazione con le amministrazioni locali. Cominciando dai due temi chiave per il territorio, il cibo e l’energia, hanno avviato la pratica dell’agricoltura degli orti sinergici e hanno aperto un gruppo di acquisto del fotovoltaico slegato dalla logica della redditività e degli incentivi statali. Il nuovo approccio ha ispirato gli amministratori per modificare il piano di edificazione del nuovo edificio scolastico che oltre ad essere dotato di pannelli fotovoltaici è anche scollegato dalla rete gas metano e quindi energeticamente autosufficiente. E proprio sulla scuola il movimento Transition di Monteveglio ha continuato a puntare la propria attenzione, per piantare il seme dell’educazione ambientale, dell’importanza dell’autosufficienza energetica e dell’alimentazione sostenibile. Proprio da quest’ultimo elemento è nata una realtà associativa molto importante per il territorio, non solo di Monteveglio ma anche dei comuni limitrofi, l’”Associazione Streccapogn“, organizzazione che deve il suo nome al termine dialettale con cui si indica il radicchio selvatico, prodotto tipico di quest’area. La “Streccapogn” ha l’obiettivo di creare un rete rurale di contadini e utilizzatori sensibilizzati al concetto di agricoltura e distribuzione sostenibili, per produrre lavoro, per favorire lo sviluppo di un’agricoltura sostenibile e per creare una rete sociale e umana intorno al proprio territorio.Transition-Town

Oltre ai numerosi risultati raggiunti nel corso degli anni, Cristiano Bottone annovera tra le sue maggiori soddisfazioni l’espansione territoriale dell’esperimento di transizione. “Da Biella, dove stanno nascendo numerose iniziative su un territorio in transizione sempre più consolidato, fino alla Transition Appio Latino di Roma, dove stanno germogliando iniziative e progetti nuovi”, chiosa Cristiano, “arriva forte il messaggio di una cittadinanza in movimento, verso il cambiamento.”

Fonte :italiachecambia.org

Transition Towns a quota 2000: «Ma è solo l’inizio»

In dieci anni le cosiddette Transition Towns hanno toccato quota duemila. «Ma è solo l’inizio, è un esperimento che ha un grande potenziale». A fare il punto su questa esperienza è Cristiano Bottone portavoce del movimento Transition Italia: «È arrivato il momento di aprire una fase nuova volta a coinvolgere segmenti sempre più ampi della popolazione».transition1

Duemila Transition Towns in trenta paesi del mondo: è la fotografia di un movimento che sta acquistando una dimensione planetaria e che rappresenta un grande esperimento di innovazione sociale. A fare il punto sull’esperienza è Cristiano Bottone, portavoce di Transitions Italia. «Sono passati circa 10 anni da quando, in una piccola cittadina dell’Inghilterra, è germogliato il seme delle Transition Towns, un esperimento di innovazione sociale che ha ormai raggiunto una  dimensione planetaria e sembra continuare a esprimere un potenziale molto interessante». Il movimento è presente in quattro continenti, si va dal piccolo villaggio al quartiere della megalopoli e si spazia in contesti culturali molto diversi, dalle favelas in Brasile ai quartieri metropolitani della vecchia Europa, alle Filippine. «Cerchiamo sempre di coinvolgere le istituzioni e le amministrazioni – spiega Bottone – la rete e le iniziative di Transizione collaborano generalmente con i governi locali, altre organizzazioni, università, centri di ricerca, imprese e nascono sempre più frequentemente nuove imprese che si ispirano all’approccio transizionista». «In Italia possiamo contare una trentina di comunità attive (mappa della rete italiana) – aggiunge – una interessante risposta e attenzione delle amministrazioni locali specialmente in Emilia Romagna dove le esperienze sono in fase più avanzata, collaborazioni con università, centri di ricerca e altre istituzioni». Si tratta quindi di ottimi risultati che, se aggiunti ad altre esperienze di questo tipo (ad es. www.comunivirtuosi.org ), danno prova dell’esistenza di molte piccole realtà impegnate nella difesa della sostenibilità ecologica che non vengono rilevate dai media tradizionali e spesso vengono ignorate e ostacolate dal potere politico.  «Tuttavia – dice Cristiano –  è evidente che siamo solo all’inizio di un percorso, l’evoluzione sociale richiede tempi lunghi e le sorprese sono sempre dietro l’angolo. Si può dire però che gli effetti sono per ora piuttosto incoraggianti e questo viene ormai notato anche in certi “piani alti”. Ad esempio il Comitato Economico e Sociale Europeo ha premiato nel 2012 il Transition Network proprio per la sua capacità di innovazione sociale in collegamento all’economia».
Poi Bottone entra nel merito di come funzionano le Transition Towns. «L’idea è semplice: si tratta di creare le condizioni perché una comunità locale possa attivarsi per rispondere alle crisi in corso riorganizzando la propria struttura relazionale ed economica. Niente di troppo nuovo. È almeno dagli anni Settanta, dal momento in cui emerge più vigorosa la coscienza ecologica e si comincia a ragionare sull’impatto che “la crescita” produce sull’ecosistema, che si fanno tentativi per cambiare strada. Nulla è però riuscito fino a ora a convincerci che un pensiero di lungo respiro potrebbe essere migliore di un rapido e immediato accaparramento di risorse basato sul “qui e subito”. Nel momento in cui Rob Hopkins comincia pensare al concetto di Transizione, ha bene in mente la lunghissima teoria di tentativi andati a vuoto che ci ha condotti fino sull’orlo dell’attuale baratro. Oggi, con una crisi climatica che può diventare senza ritorno entro pochi anni, con un’economia completamente artificiale che ci si sgretola tra le mani, con miliardi di persone che premono per uscire dalla povertà, con il timone della nave in mano a un “mercato” che si è dimostrato ampiamente incapace di produrre i tanto attesi “benefici per tutti”, oggi serve qualcosa di diverso da quello che abbiamo tentato fino a ora. Forse proprio grazie a tutti questi tentativi e al merito di tutti quelli che li hanno compiuti abbiamo accumulato informazioni e consapevolezza sufficiente per sperimentare altre vie». Parlando di obiettivi e idee fondanti si capisce che fin dal principio nella Transizione ci si è sempre concentrati sul come e non sul cosa, mettendo al centro dell’attenzione la cura del processo che si vuol vedere crescere nella comunità (o in una rete di comunità) e lasciando che il cosa ne divenisse una conseguenza.  «Si tratta di un salto di paradigma – afferma Bottone – non è facile da afferrare fin da subito, tanto che per ogni Transition Town è previsto un piccolo gruppo di persone che in qualche modo prenda dimestichezza con questo approccio e poi funga da gruppo di facilitazione per il resto della comunità fino al momento in cui questo ruolo diventa inutile perché il processo diventa autonomo. I principi guida sono inizialmente ispirati alla permacultura valorizzandone un concetto chiave: lavora con e non contro. Nel tempo la cassetta degli attrezzi culturale della Transizione è andata arricchendosi di tantissimi contributi provenienti da discipline diverse e che nel processo di Transizione vengono messi a sistema: facilitazione, sociocrazia, teoria dei sistemi, open source, ecologia profonda ecc.»
Paradossalmente le Transition Towns arrivano agli onori della cronaca per le cose che si fanno nelle comunità coinvolte. Bottone parla di «un movimento “ambientalista” che non protesta, non fa campagne, non si lamenta dei governi, è disinteressato a ogni approccio ideologico, ma semplicemente comincia a piantare alberi, costruire orti, attivare imprese ecc.». Concentrato sulla riduzione dell’impronta ecologica e dei consumi, è sempre stato un movimento molto attivo nella pratica e questo aspetto fattivo e concreto ha attratto molti, contribuendo notevolmente alla prima fase di allargamento dell’esperimento da Totnes, la piccola città del Devon in cui tutto è cominciato, a decine e decine di altre comunità nel Regno Unito in Australia, Nuova Zelanda e poi nel resto del mondo. «Poi – continua Bottone –  approfondendo l’argomento con calma, si arriva a capire la profondità della struttura teorica e operativa del processo che la Transizione sta sperimentando. Tutto quel fare così pragmatico ha radici profonde e tutt’altro che banali, tanto che oggi molti ricercatori stanno lavorando all’analisi di quanto emerge dalle esperienze delle Transition Towns. Anche in Italia, l’Università di Bologna ha un gruppo di Transizione interno alla facoltà di Ingegneria Ambientale e l’ateneo ha varato un gruppo di ricerca interdisciplinare denominato Alma Low Carbon al quale aderiscono più di cento ricercatori. Sono segnali davvero incoraggianti». Parlando dell’ampiezza della rete del movimento, concentrato in questi primi 10 anni su esperienze in piccola scala, Bottone afferma che «si apre ora una fase nuova, quella in cui il movimento comincia a esplorare lo scaling-up del processo, l’idea è quella di renderlo disponibile su scala molto più vasta e di arrivare a coinvolgere segmenti molto più ampi della popolazione. Un passaggio non semplice per una macchina pensata per progettare “piccolo e lento” e che cerca di basare tutto sulla qualità delle relazioni tra le persone. Allo stesso tempo sappiamo che i processi esponenziali posso essere sorprendenti e distruttivi, come per l’ennesima volta vediamo in questa crisi, ma potrebbero essere meravigliosamente rigenerativi se si arriva a passare il giusto punto di soglia. I prossimi dieci saranno dunque decisivi, l’importante è che l’esperimento della Transizione e molti altri in corso non si fermino: più tentativi facciamo più aumentano le probabilità di finire a vivere in un mondo bellissimo».

Fonte: ilcambiamento.it

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