È necessario cambiare e dipende solo da noi

Durante l’estate che sta ormai per terminare, gli eventi estremi che hanno lacerato molte parti del nostro pianeta, compresi quelli in paesi quali l’Europa, la Cina e l’area del Pacifico nord-occidentale, hanno lasciato i governi locali, in particolare le città, con un chiaro richiamo all’azione: agire adesso o soffrire domani.

Durante l’estate che sta ormai per terminare, gli eventi estremi che hanno lacerato molte parti del nostro pianeta, compresi quelli in paesi quali l’Europa, la Cina e l’area del Pacifico nord-occidentale, hanno lasciato i governi locali, in particolare le città, con un chiaro richiamo all’azione: agire adesso o soffrire domani. Anche se siamo ben consapevoli che a soffrire lo facciamo già adesso e non da poco tempo, anche se la poca attenzione ai temi ambientali ci ha sempre distratto e portato ad occuparci di cose in alcuni casi assolutamente inutili, se non dannose.

Le città costruite per resistere al caldo sempre più torrido e ai nubifragi del XX secolo hanno ricevuto un “bel” segnale, o meglio, un brusco monito per adattarsi rapidamente. Nonostante la continua esposizione, le città continuano a essere le principali responsabili delle emissioni sia di gas climalteranti che inquinanti, emettendo più del 60% dei gas serra a livello mondiale, sebbene occupino meno del 2% della superficie terrestre. Entro il 2030, sei persone su dieci vivranno in aree urbane e la richiesta di nuove abitazioni aumenterà ancor più velocemente rispetto ad oggi. Visto che gli edifici rappresentano almeno il 40% del consumo globale di energia, l’enorme potenziale di efficienza non sfruttato si presenta mettendo a prova di futuro le nostre città. Gli obiettivi di riduzione delle emissioni inquinanti, così come in generale quelli climatici, spesso si evidenziano e sviluppano a livello nazionale. La pianificazione delle azioni, e la loro attuazione, sembra essere più efficace e veloce quando guidata dalle città.  Sarebbe quindi opportuno dedicare spazio ed attenzione, oltre che risorse, per indirizzare misure urbane che trasferiscano le proprie esperienze attraverso i confini delle diverse città. Da qui è nata l’idea di una partnership globale ove i pianificatori, gli innovatori e i governi locali si confrontino partendo dalla condivisione delle conoscenze e mettendo a fattor comune obiettivi ed ambizioni: questo è l’obiettivo di Access Cities – l’alleanza globale per lo sviluppo urbano sostenibile. Attraverso questa rete, innovatori e pianificatori di città come Monaco, Singapore, New York, Aarhus e Copenaghen hanno collaborato per sviluppare risposte innovative e, soprattutto, fattibili e scalabili alle sempre maggiori esigenze di città che evolvono rapidamente. La fondazione che ne è nata (The Foundation),  sebbene sostenuta dall’industria, si pone l’obiettivo di spingere sui confini dell’eccellenza urbana. Dopo aver condiviso conoscenze in tre diversi continenti sin dal 2018, attualmente la collaborazione spazia su varie aree della sostenibilità ove l’efficienza degli edifici riveste un ruolo primario. Sebbene il programma sia entrato nella fase finale, l’impegno non diminuisce visto che sempre più innovatori risultano esposti alle diverse opportunità offerte dalle città che hanno capito l’importanza di un vivere sempre più sostenibile. Un esempio che seguiremo con attenzione (il green-washing è sempre dietro l’angolo) riguarda la collaborazione tra la Confederazione industriale danese (Danish Cleantech Hub, cleantech-hub.dk),  l’Ente di ricerca energetica dello Stato di New York e l’Autority per lo sviluppo che hanno lanciato un progetto con l’obiettivo, tra gli altri, di decarbonizzare i grattacieli della Grande Mela. Il fatto che ormai sia scontato, almeno nel nord Europa, che ci siano paesi che spingono più di altri sui temi della sostenibilità non ci deve illudere che tutto sarà sempre facile, soprattutto perché, non dimentichiamolo mai, sono sempre aziende che devono far profitto e se riescono a farlo senza peggiorare le cose sarebbe ideale. Il ruolo del cittadino, di noi tutti, è e rimarrà sempre fondamentale, sia come attori protagonisti del cambiamento che come stimolatori verso le altre diverse realtà della nostra società moderna.

Fonte: ilcambiamento.it

La Danimarca verso il 100% di elettricità da energie rinnovabili: un esempio per l’Italia

La Danimarca sempre più lanciata nella transizione verde con un progetto ambizioso: tagliare le emissioni di gas climalteranti del 70% entro il 2030. Praticamente il doppio dell’obiettivo che si è posto l’Italia…

La Danimarca verso il 100% di elettricità da energie rinnovabili: un esempio per l’Italia

Pochi giorni fa, il 30 ottobre, è accaduto un fatto in Danimarca ormai entrato nella routine di un governo che si impegna seriamente nella lotta al cambiamento climatico: l’incontro a Copenaghen tra Dan Jørgensen, Ministro per il clima, l’energia e i servizi pubblici e i giornalisti stranieri presso la sede di State of Green, un’organizzazione molto attiva in Danimarca sui temi della transizione energetica.

Prima di raccontare cosa il Ministro ha riportato, due considerazioni: la prima è che mi ha colpito il nome del dicastero da lui presieduto che indica chiaramente l’approccio danese al tema dell’energia, non slegato dall’emergenza climatica in corso e dal ruolo dei servizi pubblici. La seconda, mi domando: tra i giornalisti stranieri ve ne erano di italiani? Non credo, in quanto non mi sembra che la stampa nazionale ne abbia parlato, sebbene delle cose interessanti siano state dette.

Oggetto dell’incontro era illustrare alla stampa straniera (in quanto quella nazionale è ben edotta) le politiche su energia e clima che la Danimarca intende perseguire in futuro. Quindi discutere sulla transizione verde, gli obiettivi climatici e il ruolo internazionale della Danimarca nella lotta al cambiamento climatico. Ve la immaginate una cosa del genere in Italia? Fantascienza! Tanto che nel nostro Paese, senza che minimamente la stampa nazionale se ne (pre)occupi si sta finalizzando il Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (PNIEC) che, secondo le raccomandazioni giunte dalla Commissione Europea, dovrebbe subire una notevole rivisitazione, ma sembra che per il nostro Governo vada bene così come è uscito in prima bozza, a parte qualche lieve correzione da apportare.

Tornando alla Danimarca, il Ministro ha riportato l’ambizioso obiettivo che il Paese si è posto: tagliare le emissioni di gas climalteranti del 70% entro il 2030. Avete letto bene, praticamente il doppio di quanto si è posta al momento l’Italia. Questo obiettivo numerico è parte di una ben definita strategia che mira a far diventare la Danimarca una “super-potenza verde” con obiettivi ambiziosi a livello nazionale ed una consistente leadership a livello internazionale. Il Ministro danese ha sottolineato l’importanza strategica di un approccio alla transizione verde che sia sistemico in quanto consapevole dell’elevata impronta carbonica del suo Paese, ad oggi, circa il 20% in più della media europea, sebbene di rilevanza marginale in quanto pari a solo lo 0,1% delle emissioni globali di CO2.

”L’Occidente ha inquinato per centinaia di anni – ha detto il ministro – Adesso, economie emergenti e paesi in via di sviluppo stanno iniziando ad inquinare di più e nonostante questo possiamo veramente condannarli? La responsabilità è più sulle nostre spalle che sulle loro e ci dovremmo sentire obbligati ad aiutare questi Paesi affinché possano percorrere la strada verso uno sviluppo sostenibile”.

Il Ministro ha sottolineato anche che la transizione verde della Danimarca terrà conto delle eventuali conseguenze sociali al fine di evitare ripercussioni come accaduto in Francia con i “gilet gialli”.

Attualmente la Danimarca ha accordi di partenariato con 15 paesi che in totale sono responsabili di oltre il 60% delle emissioni globali, inclusi Paesi come gli Usa, la Cina, la Germania e l’India. L’ultimo, in ordine di tempo, tra gli accordi di collaborazione sottoscritti è quello con il Governo vietnamita che contribuirà alla riduzione delle emissioni nel Paese asiatico stimate, in totale, a 370 milioni di tonnellate annue. Non c’è bisogno di specificare che, sebbene si dia enfasi alla riduzione delle emissioni climalteranti, dietro ci sono accordi commerciali per lo sviluppo e la promozione di tecnologie a basso impatto ambientale. Giusto per ricordarlo a coloro che, per pura ignoranza o malafede, ancora tengono separati i concetti di “sviluppo industriale”, “sostenibilità ambientale” e “nuovi posti di lavoro”. 

Sembra paradossale ma proprio mentre il Presidente Usa Donald Trump annuncia l’uscita del suo Paese dagli Accordi di Parigi, facciamo il tifo per Paesi come la Danimarca che, seppur non paragonabili in termini dimensionali, possono assumere un nuovo ruolo di leader a livello mondiale. A titolo di esempio, secondo le proiezioni dell’Agenzia Danese per l’Energia, l’elettricità in Danimarca sarà 100% rinnovabile entro il 2028. E la Danimarca non ha nemmeno il sole di cui è baciata l’Italia, quindi a rigor di logica noi potremmo arrivare tranquillamente a risultati simili. Perché non lo si fa?

Fonte: ilcambiamento.it