Cosa posso fare io per combattere i cambiamenti climatici?

Per contrastare il cambiamento climatico e gli effetti che colpiscono già molte comunità, i gruppi locali del movimento Fridays For Future di tutto il mondo hanno indetto uno sciopero. Tra le richieste, azioni concrete da parte dei poteri politici. Italia che Cambia ha stilato delle azioni da mettere in pratica quotidianamente, alla portata di tutti, a partire da subito.

Quanti di noi sono davvero consapevoli del disastro ambientale in atto? Quanti credono realmente alle parole di climatologi e scienziati che annunciano, purtroppo, tempi non proprio sereni per i prossimi decenni? E quanti di noi mettono in atto quotidianamente anche piccoli azioni per aiutare il Pianeta a non abbattersi del tutto contro il genere umano? La risposta a queste domande è un’altra domanda: “Cosa posso fare io?”.

Oggi è in atto uno sciopero globale per il clima indetto dai gruppi locali del movimento Fridays For Future di tutto il mondo. Azioni concrete per affrontare i cambiamenti climatici e proteggere le popolazioni più esposte dai loro effetti sono il cuore di questa manifestazione. 

Non si tratta di rinunce, ma di un modo diverso di concepire anche la nostra quotidianità, rimodulando stili di vita e abitudini non sempre sane per la nostra salute

Per molti giovani e cittadini sono molto chiari i presagi; per i politici invece sembra non essere così: essi preferiscono mettere in secondo piano o posticipare alcuni impegni già presi, determinanti per arginare, anche solo in parte, le difficoltà che via via sopraggiungeranno con maggiore frequenza.

Materie prime che scarseggiano, prezzi alle stelle, fabbisogno energetico sempre più minato da una geopolitica instabile, temperature folli in Antartide. La lista è interminabile e le conseguenze sociali, economiche e sanitarie saranno quasi ineluttabili. In questi ultimi due anni abbiamo visto scenari difficilmente ipotizzabili, anche per le generazioni che ci hanno preceduto: in nome della salute sono state attuate delle misure fortemente radicali.

Perché non contemplare misure ugualmente radicali per rispondere alle minacce ambientali e climatiche in atto? Sembra assurdo, nonostante le continue avvisaglie, ma ciò che muove i politici di tutti i paesi sono il potere e i profitti economici. Si paventano politiche efficaci e straordinarie, ma solo sulla carta. 

Tra gli obiettivi dello sciopero di oggi infatti c’è la richiesta di risarcimenti per le comunità più colpite dai danni provocati dai cambiamenti climatici ai paesi del sud del mondo, chiamati a intraprendere azioni concrete e reali, dando così un esempio a tutti gli abitanti della Terra. Fatti, dunque, non parole. 

Le loro azioni dovrebbero servire da monito e da esempio, ma purtroppo sono pochi i governi illuminati che hanno puntato completamente su una politica verde e sulla reale tutela dell’ambiente. Per fortuna sono tanti invece i giovani del mondo e i cittadini che, con perspicacia e consapevolezza, quotidianamente si impegnano e contribuiscono attraverso le loro azioni a un cambiamento che non ha precedenti nella storia dell’umanità.

Anche noi di Italia che Cambia abbiamo stilato una serie di azioni semplici e alla portata di tutti per affrontare i cambiamenti climatici, ma anche altre sfide della nostra epoca (le trovate nella sezione Visione 2040). Ecco quelle che vi suggeriamo oggi:

  • coibentare la tua abitazione;
  • abbassare di 1°C il termostato di casa: risparmierai il 10% dell’energia consumata per il riscaldamento e ridurrai le emissioni di anidride carbonica;
  • contribuire a uno spostamento concreto del carrello della spesa energetica verso le energie rinnovabili. Per la tua casa cambia la bolletta! Esistono progetti di cooperative energetiche che già danno a tutti la possibilità di spostare i propri approvvigionamenti da fonti fossili a fonti rinnovabili, come ad esempio ènostra e Trenta;
  • camminare, pedalare, usare i mezzi pubblici: in città la metà degli spostamenti in auto non supera i 3 chilometri, con un consumo sproporzionato di carburante;
  • spegnere gli apparecchi elettrici ed elettronici quando non si utilizzano, evitando lo stand-by;
  • compensare la propria impronta ecologica adottando una foresta oppure piantando alberi: si possono piantare e curare 20 alberi per ogni viaggio internazionale realizzato; piantarne uno per ogni 700 chilometri di strada in macchina. Dove? In città sarebbe meglio, in orti urbani, nel giardino di casa!
  • evitare prodotti usa e getta e con molti imballaggi;
  • sostituire le lampadine classiche della tua abitazione con lampade a basso contenuto energetico o a led;
  • risparmiare acqua, evitando gli sprechi e riusandola il più possibile (ad esempio con l’acqua di cottura della pasta si possono lavare i piatti);
  • preferire il treno alla macchina e all’aereo; in città spostarti con i mezzi pubblici;
  • in ufficio, evitare di mandare messaggi ed e-mail non necessari – anche lo scambio di dati via web inquina!– e, in caso non se ne possa fare a meno, prediligere lo scambio di file e ridurre al massimo la necessità di stampare, evitando così lo spreco della carta.

Solo alcune di queste azioni ripetute quotidianamente possono davvero fare la differenza. Non si tratta di rinunce, ma di un modo diverso di concepire anche la nostra quotidianità, rimodulando stili di vita e abitudini non sempre sane per la nostra salute. Immaginate se fossimo in tanti a farlo: così sì che potremmo dare vita a un mondo meno indebolito e affaticato da urgenze e catastrofi incombenti!

Fonte: https://www.italiachecambia.org/2022/03/cosa-posso-fare-io/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

Uso del suolo e cambiamenti climatici: nuovo studio CMCC sul settore zootecnico verso emissioni zero

I settori agricolo, forestale e zootecnico possono contribuire agli obiettivi globali di mitigazione e di sviluppo di un territorio, se vengono messe in atto delle attività sostenibili di uso del suolo. Lo dice un nuovo studio diretto dalla Fondazione Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici

Le emissioni di gas serra del settore agricolo, forestale e altri usi del suolo (il cosiddetto settore AFOLU, Agriculture, Forestry and Other Land Use), rappresentano il 24% delle emissioni globali; i principali driver sotto accusa sono le emissioni legate alla deforestazione, le emissioni di metano degli allevamenti o prodotte dalla fermentazione anaerobica di materia organica, principalmente dalle coltivazioni di riso, o di protossido di azoto (N2O) legate all’uso di fertilizzanti in agricoltura. Tale settore è pertanto uno dei principali responsabili del cambiamento climatico, secondo solo al settore energetico. Un nuovo studio diretto dalla Fondazione CMCC esplora come la gestione sostenibile del territorio possa contribuire agli obiettivi di mitigazione globali e di sviluppo sostenibile a livello locale. I ricercatori hanno identificato alcune possibili opzioni di mitigazione land-based per ridurre e compensare le emissioni del settore zootecnico, che rappresenta attualmente una delle principali fonti di gas serra dell’intero settore agricolo. Anche se a partire dagli anni ’90 le emissioni degli allevamenti sono infatti diminuite, con una riduzione del 20% in Europa nel 2018, ancora oggi a livello europeo rappresentano più del 60% del totale delle emissioni del comparto agricolo.

“Il settore agricolo”, spiega Maria Vincenza Chiriacò, ricercatrice CMCC e primo autore dello studio, “ha la caratteristica unica di essere sia parte del problema che della soluzione: da un lato genera emissioni di gas serra, dall’altro può riassorbirle, soprattutto con un’appropriata gestione sostenibile, grazie all’attività di fotosintesi e alla biodiversità dei suoli, rappresentando un importante sink di carbonio. Tutti gli altri settori (energia, edilizia, trasporti) possono impegnarsi per ridurre le proprie emissioni e farle tendere progressivamente a zero, ma non hanno possibilità di sottrarre dall’atmosfera quell’eccesso di CO2 ormai già presente. Il nostro approccio si articola in due fasi successive: per prima cosa realizziamo una stima delle emissioni di gas serra derivanti dalle attività delle aziende zootecniche, ovvero calcoliamo la loro impronta di carbonio, quindi valutiamo il potenziale di alcune attività nel settore agricolo e forestale per la mitigazione delle emissioni stimate nel passaggio precedente.”

I risultati dello studio hanno messo in luce come le opzioni di mitigazione prese in esame, basate sulle pratiche agricole maggiormente sostenibili, possano non solo compensare, ma persino arrivare a portare il settore zootecnico a zero emissioni, a raggiungere, cioè, la carbon neutralityI ricercatori CMCC si sono concentrati su un primo caso studio pilota in Italia centrale, in un’area della provincia di Viterbo con una forte vocazione agricola, con l’obiettivo di comprendere come e in che misura le emissioni di gas serra delle aziende zootecniche potevano essere ridotte o compensate attraverso rimozioni di carbonio nella stessa area. Con questo obiettivo in mente, i ricercatori hanno sviluppato e messo a punto un approccio land-based dato dalla combinazione di diverse metodologie, come elaborazioni GIS, misurazioni delle emissioni delle aziende zootecniche attraverso il metodo LCA (life cycle assessment) e altre metodologie dell’IPCC, per arrivare a una stima precisa delle emissioni di gas serra del comparto zootecnico e del potenziale di mitigazione di diverse opzioni d gestione agricola e forestale su scala locale, nelle immediate vicinanze della fonte emissiva (cioè in prossimità delle aziende zootecniche presenti nell’area analizzata).

“I risultati del nostro studio”, commenta il Prof. Riccardo Valentini (Fondazione CMCC e Università della Tuscia), mostrano la possibilità di una totale compensazione delle emissioni delle aziende zootecniche dell’area pilota, indicando i percorsi possibili per arrivare alla carbon neutrality, cioè a zero emissioni o persino a emissioni negative. Se opportunamente gestito il settore agricolo appare quindi un settore chiave, in grado di contribuire in maniera significativa agli obiettivi di mitigazione dei cambiamenti climatici a livello globale.”

“È importante sottolineare”, aggiunge Maria Vincenza Chiriacò, “il concetto di prossimità alla base di questo approccio. Esistono già molti meccanismi di compensazione delle emissioni, ma spesso seguono una logica di compensazione su scala globale, per cui l’assorbimento del carbonio emesso in atmosfera avviene in aree geograficamente molto distanti da quelle in cui sono state generate le emissioni da compensare. Nell’approccio di prossimità realizzato dal CMCC, la compensazione delle emissioni avviene vicino alla fonte emissiva. Questo, oltre a contribuire al raggiungimento degli obiettivi globali di mitigazione del cambiamento climatico, comporta un miglioramento ad ampio raggio dell’intero sistema agro-forestale su scala locale, fornendo tutta una serie di co-benefici ambientali e socio-economici per la comunità e il territorio.”

L’approccio land-based sviluppato dai ricercatori CMCC è diventato di recente anche un web tool. Ideato e sviluppato da CMCC e Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare (ISMEA), con il supporto finanziario del Programma “Rete Rurale Nazionale 2014–2020”, il tool è completamente gratuito e accessibile online. Strumento rigorosamente scientifico, basato su dati e informazioni scientificamente fondate, il web tool nasce con l’obiettivo di essere facilmente accessibile a tutti i suoi potenziali utenti. La piattaforma consente agli allevatori zootecnici italiani di fare una stima dell’impronta di carbonio della propria azienda zootecnica compilando un breve questionario: poche domande che prendono in considerazione le principali caratteristiche dell’azienda, dal numero di capi allevati, al consumo energetico, alla tipologia di allevamento e al foraggio e ai mangimi acquistati, etc. In questa prima fase si ottiene una stima delle emissioni generate dall’azienda zootecnica. Quindi si passa a una seconda fase dove sono ipotizzate tutta una serie di azioni, ciascuna con il suo protocollo, per ridurre e compensare le emissioni dell’allevamento. Il tool aiuterà pertanto i diversi portatori d’interesse a individuare le migliori opzioni per una gestione più sostenibile del territorio in Italia, in special modo a livello locale. I ricercatori CMCC stanno lavorando con ISMEA e il Programma “Rete Rurale Nazionale 2014–2020” alla creazione di un sistema di tracciabilità della sostenibilità dell’uso del suolo, basato sull’approccio sviluppato, attraverso un meccanismo volontario di incentivazione di pratiche agricole e forestali sostenibili per ridurre e compensare le emissioni zootecniche a livello locale. Il meccanismo utilizzerà dei crediti, che i ricercatori hanno soprannominato “crediti di sostenibilità”, per i molteplici benefici, non solo climatici, che porteranno alle comunità e ai distretti agricoli locali. L’approccio land-based presentato in questo studio è stato sviluppato nell’ambito delle attività del Programma “Rete Rurale Nazionale 2014–2020” grazie a uno specifico accordo tra Fondazione CMCC Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici (CMCC) e Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare (ISMEA) per il progetto Il distretto agricolo-zootecnico-forestale: un nuovo approccio territoriale per la mitigazione dei cambiamenti climatici

Leggi la versione integrale dell’articolo (scaricalo gratuitamente entro il 23 febbraio 2021):

Maria Vincenza Chiriacò, Riccardo Valentini, A land-based approach for climate change mitigation in the livestock sector, Journal of Cleaner Production, Volume 283, 2021,

124622, ISSN 0959-6526, https://doi.org/10.1016/j.jclepro.2020.124622.

Fonte: ecodallecitta.it

La sfida della gestione dell’acqua nelle mega città, la conferenza Unesco

Attraverso una conferenza on line Unesco, che anticipa quella vera e propria del 2021, Unesco ha avviato una discussione sulle sfide e soluzioni identificate relative all’acqua, alle megalopoli e al cambiamento globale. La seconda conferenza dell’Unesco sull‘Acqua, le Mega Città e i Cambiamenti Globali si sarebbe dovuta tenere a dicembre 2020, ma a causa del Covid è stata posticipata al 2021. Dal 7 all’11 dicembre è stata tuttavia organizzata una pre-conferenza on line, con cui l’Unesco ha cercato di rispondere risposto alla necessità di avviare una discussione sul tema. Parigi, Pechino, Mumbai, Tokyo, Mexico City, Lagos sono tutte mega città. In altre parole, centri urbani con più di 10 milioni di abitanti. Anche le loro sfide sono “mega” e tra queste ha assoluta priorità la fornitura di acqua a tutti gli abitanti, gestendo al tempo stesso i cambiamenti nell’ambiente e le risorse. In numerosi casi non è rischio solo la fornitura d’acqua, ma sono le stesse città ad essere minacciate dal cambiamento climatico, a causa dell’innalzamento del livello del mare, dell’aumento delle temperature o dell’intensa urbanizzazione. “Per raggiungere l’obiettivo di città resilienti è necessario agire ora”, dice l’Unesco. La formula individuata per trovare le soluzioni è la trasversalità sommata alla multidimensionalità. Una strategia che si basa sulla collaborazione tra gli scienziati, gli operatori del settore pubblico e di quello privato, che innovano sul piano socio-politico e tecnologico, e la politica locale. Quest’ultima è ritenuta fondamentale per rendere operativi i nuovi modelli, più equi e più efficienti, di governance dell’acqua in costante interazione con la società civile.

Nella pre-conferenza on line sono stati presentati temi e strumenti concreti per problemi già affrontati a vario grado da chi si occupa di gestione delle risorse idriche. Un esempio è l’ “Indice di integrità dell’acqua” di cui si è parlato giovedì 10 dicembre. Riunendo e analizzando una serie di parametri con gli strumenti di data-analytics per big data e autovalutazione, si mira a fornire una misura obiettiva dei rischi a cui va incontro il sistema idrico e igienico-sanitario urbano (W&S) in una data città. I parametri ruotano attorno ai tre i pilastri che determinano l’integrità idrica di un sistema urbano: investimenti in progetti per l’infrastruttura, la spesa corrente di lavoro per la gestione dell’acqua e l’interazione con il consumatore finale.

Il risultato è un rapporto con indicatori del rischio di integrità per città ottenuto grazie all’indice Water Integrity Risk Index (Wiri) che è replicabile, trasparente e scalabile e consente un confronto tra i livelli di rischio nel tempo e tra i vari centri urbani. Un esempio è lo scarto tra la città di Amsterdam che ha un punteggio 8,3 e quello di Bangui che non supera l’1,9.

Perché abbiamo bisogno di un indice di rischio di integrità idrica? Gli esperti intervenuti alla pre-conferenza Unesco spiegano che:

— è difficile rendere efficaci le riforme politiche e definire adeguatamente le politiche necessarie senza una misurazione valida e affidabile della corruzione;

— è importante produrre una panoramica scientifica e tecnica delle sfide che affrontano le megalopoli e delle soluzioni idriche che esse utilizzano per mitigare gli effetti dei cambiamenti climatici, per rendere concreto lo scambio delle loro competenze nel campo specifico dell’acqua;

— è indispensabile rafforzare il dialogo tra la scienza e gli attori politici a livello locale.

Un’altra iniziativa della pre-conferenza è stato il lancio ufficiale della Megacities Alliance for Water and Climate (Mawac) e della sua piattaforma di cooperazione basata sull’International Hydrological Programme dell’Unesco-Water Information System, IHP-Wins.

Mawac ha come obiettivo fornire una piattaforma alle mega città perché condividano le loro esperienze e sfide, propongano soluzioni e ottengano l’accesso a sostegno tecnico e finanziario per i loro programmi e progetti perché affrontino con successo le sfide del cambiamento climatico. La seconda conferenza internazionale su “Acqua, mega città e cambiamento globale” si svolgerà a dicembre 2021 presso la sede dell’Unesco a Parigi, a sei anni dalla prima edizione nel 2015.

Fonte: ecodallecitta.it

L’Onu afferma che l’umanità si sta suicidando ma… ci si preoccupa per la cena di Natale

Mentre l’Organizzazione Metereologica Mondiale, agenzia dell’Onu, ci dice che ci stiamo suicidando con la nostra inazione nei confronti dei cambiamenti climatici, governo e politici sono impegnati solo a disquisire sulle proibizioni di Natale…

Decenni di gossip, di intrattenimento nazional popolare, di siderali stupidaggini hanno riempito miliardi di ore di palinsesti televisivi, miliardi di pagine di giornali virtuali e non, occupando le giornate degli italiani. E con il coronavirus si è registrata l’apoteosi, un evento sul quale la quantità di assurdità ha raggiunto picchi mai toccati nella storia.

In questi giorni abbiamo l’ennesima conferma “dell’altissimo livello di dibattito su argomenti di vitale importanza”: sono in corso infatti frenetiche consultazioni per garantire la cena di Natale almeno con i parenti più stretti. Forse anche il cane o il gatto verranno fatti sloggiare dalle abitazioni, perché secondo le stime degli esperti potrebbero in qualche modo essere conteggiati come elementi viventi in più e quindi pericolosissimi per i potenziali contagi. Ovviamente per gli animali sfrattati che vagheranno per la città verranno predisposte apposite autocertificazioni in caso di controlli…

Qualche esperto, con immancabili titoli accademici, ha anche proposto di far mangiare uno in una stanza, uno in un’altra stanza, uno in bagno e se non ci sono abbastanza stanze, qualcuno si sacrificherà sul terrazzo; in mancanza di terrazzo, in cantina, in mancanza di cantina, in garage; in mancanza di tutto questo, la cuccia del cane, che nel frattempo sarà stato fatto sloggiare per i motivi di cui sopra. I più moderni e progrediti, cioè i fan dell’intelligenza artificiale, hanno proposto di passare il Natale in maniera virtuale, ovvero ci si collega sui vari schermi e si mangia ognuno da solo ma in fondo in compagnia. Tra l’altro questo anticiperebbe quello che sicuramente succederà nei prossimi anni dove non ci sarà più bisogno di alcun contatto fisico, si farà tutto in remoto; che problema c’è?

Insomma questi sì che sono temi fondamentali, e in effetti tutto l’emiciclo parlamentare e le maggiori menti del paese sono prese da uno sforzo congiunto affinché il sacro Natale in famiglia sia in qualche modo garantito. Quindi consultazioni fitte, dibattiti, riunioni, esperti, dotti, medici e sapienti, tutti intorno al capezzale per parlare, giudicare, valutare, provvedere e trovare dei rimedi per salvare il Santo Natale. Importante però è che nessuno si preoccupi minimamente di ciò che, oltre a noi che lo diciamo da anni, pure le fonti ufficiali ONU ormai affermano con allarme: l’umanità si sta suicidando accelerando la catastrofe climatica. Da sottolineare che in questo caso, pur trattandosi di informazioni ufficiali e scientifiche, non contano nulla; difatti praticamente sono state ignorate dal gossip mediatico e politico. Probabilmente questa è un tipo di scienza che non produce molti interessi economici, quindi non esiste. E questo comportamento è assai strano per chi da mesi dice di occuparsi della nostra salute, dato che le tragedie a cui andiamo incontro sono tali al cui confronto il coronavirus, o chi per lui, impallidiranno.

Comunque sia, abbiamo capito assai bene che i problemi ambientali, quindi la nostra sopravvivenza, non esistono, perché non sono nella hit parade delle preoccupazioni. Primo posto, leader indiscusso, il coronavirus, poi il Grande Fratello VIP e tutto il resto a seguire.

Ma cosa vuoi che ci importi a noi dell’ambiente, degli alberi, dei cambiamenti climatici, roba per ambientalisti rompiscatole che ci vogliono fare ritornare alle carrozze a cavallo!  La soluzione del resto è semplice: contro la catastrofe ambientale ci vaccineremo tutti. I vaccini infatti risolvono qualsiasi problema è risaputo, sono la salvezza del mondo, lo dicono alla televisione, quindi è vero, senza ombra di dubbio. E chi lo contesta, che lo si metta al rogo sulla pubblica piazza per dare l’esempio a tutti. Attendiamo con ansia quindi l’arrivo di un vaccino contro la follia criminale umana, anche se riteniamo sia una lotta impari. Come sarà festeggiato il Natale davvero importa poco di fronte al dramma climatico a cui andiamo incontro, ma ovviamente, anche in quel caso, si dirà che è colpa dei “complottisti”, degli anti moderni, degli anti scientifici, dei marziani, dei venusiani ma nostra di sicuro no. Ringraziamo quindi politici e media per averci aperto gli occhi sulle vere problematiche e brindiamo al Santo Natale!

Fonte: ilcambiamento.it

“Cerchiamo terreni incolti da assegnare in gestione”: l’appello dell’Associazione Fondiaria monregalese

Recuperare le superfici agricole e prendersi cura del territorio per garantire una produzione locale e sperimentare colture sostenibili: l’associazione Fondiaria monregalese è un esempio virtuoso della provincia di Cuneo e, attiva in più di una sessantina di comuni, aiuta a garantire la creazione di nuove attività di lavoro e lo sviluppo del territorio. Abbiamo intervistato il suo presidente Vittorio Camilla, che ci ha raccontato l’importante impegno delle associazioni fondiarie nella valorizzazione del territorio. Per mitigare i cambiamenti climatici viene spesso elogiato il ruolo degli alberi nel sequestrare anidride carbonica dall’atmosfera, e di conseguenza siamo portati a pensare che qualsiasi espansione del bosco sia da considerarsi positiva. Se così fosse, dovremmo celebrare il successo del nostro Paese nel ridurre le proprie emissioni climalteranti dato che la superficie boschiva italiana è aumentata addirittura del 75% negli ultimi 80 anni. Ma la realtà, in questo caso come in tutti quelli che riguardano gli ecosistemi in cui viviamo, è più complessa di quanto appare.

L’espansione del bosco evidenzia l’enorme perdita di superficie agricola utilizzata (SAU), ovvero la quantità di terra destinata alla produzione agricola in Italia. Solamente tra il 1990 e il 2016, ne è stata persa circa il 20%, corrispondente a circa 3 milioni di ettari di terreni coltivati. Non diversa è la situazione del Piemonte e della Provincia di Cuneo, dove l’agricoltura si è progressivamente concentrata in pianura, a discapito dei territori collinari (fatta eccezione per alcune colture specifiche come la vigna ed il nocciolo nelle Langhe e nel Roero) e di montagna. 

È quindi vero che ci sono più alberi a sequestrare anidride carbonica, ma se dobbiamo bruciare carburante per trasportare da lontano il cibo che non siamo più in grado di produrre localmente riduciamo davvero il nostro impatto ecologico? Evidentemente no. E la risposta è ulteriormente supportata dal fatto che l’abbandono del territorio causa un aumento del dissesto idrogeologico e del rischio di incendi, e il bosco d’invasione può diventare l’habitat naturale di alcuni parassiti. Recuperare almeno in parte la superficie agricola abbandonata risulta quindi fondamentale per ridurre i danni ambientali del nostro sistema economico. E risulta anche un’opportunità per sperimentare forme di agricoltura più giusta e sostenibile, un’agricoltura che si differenzi da quella industriale, causa principale dell’abbandono di terreni di collina e montagna difficili da lavorare con le grandi attrezzature moderne. Ritornare a coltivare in queste zone richiede però la possibilità di generare un ritorno economico per gli agricoltori, e la frammentazione fondiaria pone molto spesso un serio ostacolo su questo percorso.

Foto di Hans Braxmeier da Pixabay

Per ovviare a questo problema, a inizio 2019 la Regione Piemonte si è dotata di uno strumento innovativo nel panorama legislativo italiano: quello delle associazioni fondiarie. Queste sono libere unioni senza scopo di lucro fra proprietari di terreni pubblici o privati i quali, pur mantenendo la proprietà individuale del fondo decidono di affidarlo all’associazione affinché lo gestisca e lo valorizzi. Le associazioni permettono quindi di raggruppare aree agricole o boschi, abbandonati o incolti, che aumentano in valore economico e produttività nel momento in cui raggiungono una superficie sufficientemente ampia. Una delle ultime nate nel cuneese è l’Associazione Fondiaria Monregalese, che fin da subito si è distinta dalle altre per la notevole estensione territoriale sulla quale insiste. Sono infatti oggetto della sua attenzione tutti e 64 i comuni del monregalese, l’area prevalentemente collinare e montana circostante la città di Mondovì. L’Associazione Fondiaria monregalese è nata a fine 2019 e, come mi racconta il suo presidente Vittorio Camilla, «ambisce a contrastare la frammentazione di proprietà e lo scarso reddito agricolo che ha indotto ad un progressivo abbandono dei centri rurali e delle proprietà stesse, con effetto finora irreversibile».

L’aspirazione non è quindi limitata a recuperare terreni agricoli, ma ad influenzare tutti i comparti della zona. «A livello sociale, è infatti importantissimo l’aspetto di valorizzazione economica del territorio, l’avvio di pratiche virtuose che garantiscono la creazione di nuove attività di lavoro e da queste lo sviluppo di tutto l’indotto produttivo, sia commerciale che turistico», prosegue il presidente Camilla. 

Si tratta di un vero e proprio approccio di sistema grazie al quale l’associazione, essendo riuscita a coinvolgere un numero così alto di comuni, ha le potenzialità di ricevere in gestione un elevato numero di fondi da assegnare successivamente ad aziende agricole già presenti o di nuova costituzione. Di concerto con i comuni, l’associazione fondiaria ha inoltre il compito di mappare i terreni incolti e di redigere e attuare un piano di gestione del territorio che preveda un equilibrio tra le esigenze di produzione agricola e forestale e quelle di conservazione dell’ambiente e del paesaggio. Ma il percorso intrapreso non è stato finora semplice, come mi spiega ancora Vittorio Camilla. «Il progetto trova ostacolo nell’indifferenza, nella sfiducia, nei sospetti di coloro che dovrebbero impegnarsi in queste problematiche. Tra questi sospetti quello più ingiustificato riguarda la mancata restituzione del terreno se il proprietario lo desidera». La legge regionale infatti, prevede chiaramente il diritto di recesso del proprietario del terreno, nei limiti del rispetto del ritmo biologico delle annate agrarie e del capitale eventualmente investito sul fondo durante la gestione associata. In quest’ultimo caso, il proprietario che recede è tenuto a compensare la quota di capitale non ancora recuperata dall’associazione.

Foto di Daniel C da Piabay

Nonostante siano iniziate ad arrivare le prime disponibilità di terreni sia da parte di soggetti pubblici che di privati, sono necessari più conferimenti affinché l’associazione fondiaria monregalese possa esprimere al meglio le sua potenzialità di recupero di superficie agricola e di cura del territorio. Ed è proprio questo l’appello che il presidente Camilla fa a tutti i proprietari di terreni incolti nel monregalese, affermando che «occorre una mirata azione di accompagnamento e di informazione.  Anche per questi aspetti ci vuole impegno di quella minoranza attiva, consapevole che per progredire bisogna cambiare. L’Italia cambierà se noi riusciamo a cambiare».

E noi, che l’Italia che Cambia la vediamo e raccontiamo quotidianamente, non possiamo che rilanciare l’appello a tutti i proprietari di terreni incolti dell’area interessata: conferite i vostri terreni all’Associazione Fondiaria monregalese!

Per informazioni su come aderire, potete scrivere direttamente all’indirizzo mail: afmonregalese@gmail.com 

Fonte: https://www.italiachecambia.org/2020/10/cerchiamo-terreni-incolti-assegnare-gestione-appello-associazione-fondiaria-monregalese/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

Cambiamenti climatici: un impatto che vale l’8% del PIL

Vogliamo ragionare con il “metro” che anche il sistema mainstream comprende meglio? Bene, allora usiamo pure il PIL per capire quanto disastrosi sono i cambiamenti climatici dovuti alle attività umane. Il rapporto realizzato dalla Fondazione Centro Euro-Mediterraneo quantifica il “prezzo” da pagare: l’8% del PIL.

In Italia i rischi collegati ai cambiamenti climatici possono arrivare a incidere fino all’8% del Pil pro capite, contribuendo anche ad acuire le differenze tra Nord e Sud, tra fasce di popolazione piu’ povere e piu’ ricche, e arrivando ad insistere su una serie di settori strategici per l’Italia. Sono i risultati del rapporto “Analisi del Rischio. I cambiamenti climatici in Italia”.

Realizzato dalla Fondazione CMCC, Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici, e’ la prima analisi integrata del rischio climatico in Italia. Un documento che, a partire dal clima atteso per i prossimi anni, si concentra su singoli settori per fornire informazioni su cosa aspettarci dal futuro e fornire uno strumento a supporto di concrete strategie di sviluppo resiliente e sostenibile. L’analisi parte dagli scenari climatici che, attraverso un avanzato utilizzo di modelli climatici ad alta risoluzione applicati allo studio della realta’ italiana, forniscono informazioni sul clima atteso per il futuro del Paese. Queste informazioni sono poi applicate all’analisi del rischio in una serie di settori del sistema socio-economico italiano. Ne emerge un quadro in cui il rischio cresce, nei prossimi decenni, in molti ambiti, con costi economico-finanziari consistenti per il Paese e con impatti che interessano in maniera piu’ severa le fasce sociali piu’ svantaggiate e tutti i settori, con particolare riferimento alle infrastrutture, all’agricoltura e al turismo.

“Il rapporto- ha detto spiega Donatella Spano, membro della Fondazione CMCC e docente dell’Universita’ di Sassari, che ha coordinato i trenta autori che hanno redatto i 5 capitoli che compongono la ricerca – rappresenta il punto piu’ avanzato della conoscenza degli impatti e l’analisi di rischio integrato dei cambiamenti climatici in Italia”.

“L’analisi del rischio – ha aggiunto – e dei suoi effetti sul capitale ambientale, naturale, sociale ed economico, consentono di prendere in considerazione le opzioni di risposta individuate dalla ricerca scientifica e di sviluppare piani di gestione integrata e sostenibile del territorio valorizzandone le specificita’, peculiarita’ e competenze dei diversi contesti territoriali”.

I diversi modelli climatici sono concordi nel valutare un aumento della temperatura fino a 2 C nel periodo 2021-2050 (rispetto a 1981-2010). Nello scenario peggiore l’aumento della temperatura puo’ raggiungere i 5 C. Questo implica la diminuzione delle precipitazioni estive nelle regioni del centro e del Sud, aumento di eventi precipitazioni intense. In tutti gli scenari aumenta il numero di giorni caldi e dei periodi senza pioggia. Le conseguenze dei cambiamenti climatici sull’ambiente marino e costiero avranno un impatto su “beni e servizi ecosistemici” costieri che sostengono sistemi socioeconomici attraverso la fornitura di cibo e servizi di regolazione del clima. Anche se piu’ ricche e sviluppate le regioni del Nord non sono immuni agli impatti dei cambiamenti climatici, ne’ sono piu’ preparate per affrontarli. Per quanto riguarda gli eventi estremi, la probabilita’ del rischio e’ aumentata in Italia del 9% negli ultimi vent’anni. I costi degli impatti dei cambiamenti climatici in Italia aumentano rapidamente e in modo esponenziale al crescere dell’innalzamento della temperatura nei diversi scenari, con valori compresi tra lo 0,5% e l’8% del Pil a fine secolo.

I cambiamenti climatici aumentano la disuguaglianza economica tra regioni. Tutti i settori dell’economia italiana risultano impattati negativamente dai cambiamenti climatici, tuttavia le perdite maggiori vengono a determinarsi nelle reti e nella dotazione infrastrutturale del Paese, nell’agricoltura e nel settore turistico nei segmenti sia estivo che invernale. I cambiamenti climatici richiederanno numerosi investimenti e rappresentano un’opportunita’ di sviluppo sostenibile che il Green Deal europeo riconosce come unico modello di sviluppo per il futuro.

E’ il momento migliore in cui nuovi modi di fare impresa e nuove modalita’ per una gestione sostenibile del territorio devono entrare a far parte del bagaglio di imprese ed enti pubblici, locali e nazionali. In seguito all’incremento delle temperature medie ed estreme, alla maggiore frequenza (e durata) delle ondate di calore e di eventi di precipitazione intensa, bambini, anziani, disabili e persone piu’ fragili saranno coloro che subiranno maggiori ripercussioni. Sono attesi, infatti, incrementi di mortalita’ per cardiopatie ischemiche, ictus, nefropatie e disturbi metabolici da stress termico e un incremento delle malattie respiratorie dovuto al legame tra i fenomeni legati all’innalzamento delle temperature in ambiente urbano (isole di calore) e concentrazioni di ozono (O3) e polveri sottili (PM10). Dall’analisi combinata di fattori antropici e degli scenari climatici si evince che e atteso l’aggravarsi di una situazione di per se molto complessa. L’innalzamento della temperatura e l’aumento di fenomeni di precipitazione localizzati nello spazio hanno un ruolo importante nell’esacerbare il rischio. Nel primo caso, lo scioglimento di neve, ghiaccio e permafrost indica che le aree maggiormente interessate da variazioni in magnitudo e stagionalita’ dei fenomeni di dissesto sono le zone alpine e appenniniche. Nel secondo caso, precipitazioni intense contribuiscono a un ulteriore aumento del rischio idraulico per piccoli bacini e del rischio associato a fenomeni franosi superficiali nelle aree con suoli con maggior permeabilita’.

Gran parte degli impatti dei cambiamenti climatici sulle risorse idriche prospettano una riduzione della quantita’ della risorsa idrica rinnovabile, sia superficiale che sotterranea, in quasi tutte le zone semi-aride con conseguenti aumenti dei rischi che ne derivano per lo sviluppo sostenibile del territorio. I cambiamenti climatici attesi (periodi prolungati di siccita’, eventi estremi e cambiamenti nel regime delle precipitazioni, riduzione della portata degli afflussi), presentano rischi per la qualita’ dell’acqua e per la sua disponibilita’. I rischi piu’ rilevanti per la disponibilita’ idrica sono legati a elevata competizione settoriale (uso civile, agricolo, industriale, ambientale, produzione energetica) che si inasprisce nella stagione calda quando le risorse sono piu’ scarse e la domanda aumenta (ad esempio per fabbisogno agricolo e turismo). I sistemi agricoli possono andare incontro ad una aumentata variabilita’ delle produzioni con una tendenza alla riduzione delle rese per molte specie coltivate, accompagnata da una probabile diminuzione delle caratteristiche qualitative dei prodotti, con risposte tuttavia fortemente differenziate a seconda delle aree geografiche e delle specificita’ colturali. L’aumento delle temperature e la riduzione delle precipitazioni medie annue, la maggiore frequenza di eventi meteorologici estremi quali le ondate di calore o la prolungata siccita’, interagiscono con gli effetti dell’abbandono delle aree coltivate, dei pascoli e di quelle che un tempo erano foreste gestite, del forte esodo verso le citta’ e le aree costiere, e delle attivita’ di monitoraggio, prevenzione e lotta attiva sempre piu’ efficienti. Si prevede che i cambiamenti climatici esacerberanno ulteriormente specifiche componenti del rischio di incendi, con conseguenti impatti su persone, beni ed ecosistemi esposti nelle aree piu’ vulnerabili. Sono attesi incrementi della pericolosita’ di incendio, spostamento altitudinale delle zone vulnerabili, allungamento della stagione degli incendi e aumento delle giornate con pericolosita’ estrema che, a loro volta, si potranno tradurre in un aumento delle superfici percorse con conseguente incremento nelle emissioni di gas a effetto serra e particolato, con impatti quindi sulla salute umana e sul ciclo del carbonio.

Fonte: ilcambiamento.it

I cambiamenti climatici sono già nel Tirreno

Grazie all’operazione “Mare Caldo”, Greenpeace Italia ha effettuato una serie di rilevamenti e misurato le temperature nel Mar Tirreno. In questo comunicato vengono descritte le conclusioni dello studio, tutt’altro che confortanti. Siamo tornati nelle acque dell’Isola d’Elba con la barca Bamboo della Fondazione Exodus di don Mazzi per la spedizione di ricerca “Difendiamo il Mare”: proprio qui, nel novembre scorso, avevamo posizionato, insieme all’Università di Genova, una stazione pilota per misurare le variazioni delle temperature del mare a diverse profondità. In poche parole, termometri per misurare la febbre del mare. Oggi pubblichiamo i primi risultati di questo progetto, che abbiamo chiamato “Mare Caldo” e la foto che scattiamo è preoccupante: sia dai termometri installati lo scorso inverno in mare a varie profondità, sia dalle osservazioni preliminari fatte durante i monitoraggi sugli ecosistemi marini a fine giugno, emergono chiaramente i segnali degli impatti dei cambiamenti climatici sui nostri mari. I primi dati registrati dai nostri termometri posizionati fino a 40 metri di profondità indicano, oltre a un aumento repentino delle temperature a inizio giugno che attorno ai 35 metri di profondità sono arrivate fino a 20°C, anche un aumento delle temperature invernali, con una temperatura media minima tra dicembre e marzo di 15°C, di ben un grado più alta delle medie registrate in superficie fino al 2006.

Foto di Greenpeace

Questo riscaldamento delle acque favorisce lo spostamento verso nord di tutte le specie termofile, cioè quegli organismi che normalmente vivono e si riproducono a temperature più elevate, fatto che è confermato da quanto osservato durante le nostre immersioni, abbiamo potuto rilevare la presenza di pesci normalmente abbondanti in aree più calde del Mediterraneo, come la donzella pavonina (Thalassoma pavo) o alcune specie di stelle marine (Hacelia attenuata) o specie considerate “aliene” come l’alga verde Caulerpa cylindracea, originaria delle coste occidentali dell’Australia.

Con le ricercatrici del DiSTAV dell’Università di Genova ci siamo immersi in vari punti intorno all’Isola d’Elba e all’Isola di Pianosa per monitorare gli impatti dell’aumento delle temperature del mare sugli organismi marini. Quello che abbiamo osservato è preoccupante, specie simbolo dei nostri fondali come la gorgonia gialla (Eunicella cavolini) e la gorgonia bianca (Eunicella singularis) presentano evidenti fenomeni di necrosi, con morie che in alcune aree arrivano fino al 50% delle colonie. Nel caso delle gorgonie rosse (Paramuricea clavata) il 10% circa di quelle osservate è risultata impattata, e la maggior parte delle colonie sono state trovate ricoperte da mucillagine. È proprio questo che preoccupa. Nei siti di immersione monitorati abbiamo registrato una copertura quasi totale dei fondali tra i 10 e i 30 metri da parte della mucillagine, fenomeno in parte correlato proprio all’aumento delle temperature e che provoca la morte degli organismi marini per soffocamento aggravando la situazione. Durante le immersioni abbiamo visto anche altri chiari impatti delle anomalie termiche pregresse, come lo sbiancamento o la morte di alcuni coralli (la madrepora a cuscino – Cladocora caespitosa, e alcune alghe corallineacee), nonché la morte di numerosi individui di nacchere di mare o Pinna nobilis, (specie ultimamente decimata proprio da malattie la cui diffusione è favorita dall’aumento delle temperature). Ma se alcuni di questi segnali si osservano anche a Pianosa, in generale la situazione su quest’Isola che è un’ area totalmente protetta è ben diversa: qui l’assenza di invasioni di campo da parte dell’uomo ha favorito il mantenimento di vere e proprie foreste algali, habitat ormai rari in quasi tutto il Mediterraneo e il proliferare della biodiversità – abbiamo incontrato tantissime specie di pesci, e si ha molto meno traccia della mucillagine, chiaro segnale che, laddove il mare è totalmente protetto, le specie hanno una maggiore resilienza a un cambiamento che è già in atto. Che fare per difendere il mare da questo destino “scottante”? Inutile girarci intorno: da un lato servono politiche urgenti per tagliare le emissioni di gas serra e fermare l’aumento delle temperature e dall’altro dobbiamo tutelare le aree più sensibili. I cambiamenti climatici sono solo l’ultimo tassello, che aggrava la crisi di un ecosistema già al collasso per via dell’inquinamento da plastica e della pesca distruttiva. Se l’Italia è seria rispetto all’impegno di tutelare un 30% dei propri mari entro il 2030, dovrà mettere in atto meccanismi precisi per fermare da un lato le attività più distruttive e inquinanti e dall’altro rafforzare la rete già esistente di aree protette. Fonte: https://www.italiachecambia.org/2020/07/rilevamenti-cambiamenti-climatici-tirreno/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

LIFE Veneto ADAPT – Central VENETO Cities netWorking for ADAPTation to Climate Change in a multi-level regional perspective

DESCRIZIONE

Veneto ADAPT si propone, in generale, di individuare e testare metodi e strumenti operativi per un’Europa più resiliente ai cambiamenti climatici. Il progetto, in particolare, intende sviluppare una metodologia operativa replicabile per ottimizzare e rendere più efficace la capacità di risposta a livello regionale all’impatto dei cambiamenti climatici, con un’attenzione specifica al rischio idrogeologico (alluvioni/allagamenti e isole di calore). Le iniziative riguardano l’area del Veneto centrale e coinvolgono le città di Padova, in qualità di capofila, Vicenza, Treviso, l’area metropolitana di Venezia e l’Unione del Comuni del Medio Brenta (Cadoneghe, Curtarolo, Vigodarzere). Il progetto mira inoltre a sviluppare un sistema di governance multi-livello, sia orizzontale (tra città dell’area conurbata) che verticale (tra livelli di governance ed attori differenti) e a supportare gli enti locali nella transizione dal PAES (Piano d’Azione per l’Energia Sostenibile) al PAESC con l’ampliamento delle strategie ed azioni non solo di mitigazione ma anche di adattamento ai cambiamenti climatici.

 ATTIVITA’

La fase iniziale del progetto ha riguardato la realizzazione di una base di conoscenze comuni ed un inventario delle vulnerabilità e rischi relativi ai cambiamenti climatici attraverso l’implementazione della metodologia elaborata dall’Università Iuav. Tale quadro informativo è stato necessario per individuare una serie di misure di adattamento e la loro integrazione sia nei Piani d’Azione per l’Energia Sostenibile, in vista della transizione ai Piani d’azione per l’energia e il clima (PAESC), che nei Piani Urbanistici con l’integrazione di temi concernenti la gestione delle aree verdi e delle acque. Tra gli obiettivi specifici del progetto rientra anche la predisposizione di un sistema di monitoraggio che permetta di misurare realmente le azioni previste nei piani, e la redazione di linee guida regionali per gestire l’adattamento ai cambiamenti climatici nei piani e programmi. Sono infine inserite nel progetto azioni per promuovere e sviluppare le infrastrutture verdi con un approccio ecosistemico nell’area conurbata del Veneto Centrale e per aumentare la portata dei canali di scolo delle acque in eccesso e l’uso di aree di laminazione o raccolta polifunzionali, costruendo in questo modo una rete di aree protette. La percorribilità di queste soluzioni “Hard” e “Soft” per l’adattamento verrà dimostrata attraverso Azioni Pilota di sperimentazione condotte in apposite aree già individuate in cinque città partner.

RISULTATI/IMPATTI

Veneto ADAPT ha, ad oggi, concluso l’analisi dello stato attuale, che ha fornito due strumenti fondamentali per l’implementazione dei processi di adattamento al cambiamento climatico: l’indagine sulla capacità adattativa locale e l’analisi delle vulnerabilità del Veneto Centrale al cambiamento climatico. Il primo strumento consiste in una approfondita analisi della capacità del territorio veneto di confrontarsi con i propri rischi e con i cambiamenti in atto. Ogni partner ha verificato il proprio “modello di governance locale del rischio” e la presenza di misure utili all’adattamento all’interno degli strumenti pianificatori vigenti a diverse scale territoriali. L’analisi dei piani vigenti ha evidenziato 630 misure di adattamento utilizzabili per il PAESC da cui le altre città potranno prendere spunto. L’analisi delle vulnerabilità al cambiamento climatico svolta mediante nuove tecnologie dell’informazione ed incentrata sugli impatti di ondate di calore ed eventi meteorici estremi ha permesso di fornire delle adeguate basi scientifiche per censire e mappare le aree a rischio, consentendo di focalizzare i successivi interventi su porzioni di territorio particolarmente esposte. 1.714 kmq di territorio regionale sensibile ad alluvioni e allagamenti, 1.565 kmq di aree urbane sensibili a ondate e isole di calore. La combinazione di questi studi ha permesso di strutturare una raccolta di scenari e strategie di adattamento per gli enti locali, a cui il Comune di Padova, come ulteriore risultato di progetto, ha aggiunto la redazione del documento “Linee Guida per le strategie di adattamento al cambiamento climatico”, redatto negli ultimi mesi. Il progetto prevede inoltre azioni finalizzate a supportare gli enti nella transizione dai PAES ai PAESC secondo un approccio volto all’integrazione della mitigazione e dell’adattamento ai cambiamenti climatici, secondo quanto previsto dal nuovo Patto dei Sindaci 2030 della Comunità Europea. Lo scorso 19 maggio il Comune di Padova, dopo aver presentato i risultati del lavoro finora svolto, ha illustrato la struttura del PAESC in termini di inventario delle emissioni e misure di adattamento ai cambiamenti climatici suddivise per ambiti. Il momento di confronto ha fornito un’importante occasione per attivare partnership territoriali finalizzate alla definizione e attuazione di una coesa strategia di adattamento ai cambiamenti climatici. TRASFERIBILITA’

L’esperienza dei partner del progetto sarà arricchita da una rilevante attività di gemellaggio con altre città europee. I risultati raggiunti nel corso di Life Veneto ADAPT saranno condivisi con altre città che intendono intraprendere un simile percorso di adattamento nei loro territori. A tal riguardo il progetto prevede che 20 enti locali italiani e 5 città europee aderiscano al nuovo “Patto per l’Energia e il Clima” grazie all’utilizzo dell’approccio “Veneto ADAPT”. Il Comune di Padova ha raccolto le manifestazioni di interesse di città che intendono sottoscrivere un protocollo d’intesa con il progetto per poter impiegare la metodologia messa a punto da Veneto “ADAPT”

Fonte: www.sinanet.isprambiente.it

È il clima a mettere a rischio la salute dei bambini di oggi e di domani

I cambiamenti climatici stanno già danneggiando la salute dei bambini di tutto il mondo e il rischio è quello di conseguenze a lungo termine sulla loro vita, se niente cambierà. Ovvero se il mondo continuerà a seguire la rotta attuale senza perseguire l’obiettivo dell’Accordo sul Clima di Parigi. È quanto emerso da una tavola rotonda sul rapporto “The Lancet Countdown on Health and Climate Change”.

È il clima a mettere a rischio la salute dei bambini di oggi e di domani

Clima e salute, un binomio ormai indissolubile. Se ne è discusso all’Istituto superiore di Sanità in occasione di una tavola rotonda dedicata alla riflessione sul rapporto The Lancet Countdown on Health and Climate Change pubblicata su The Lancet, frutto della collaborazione tra 120 esperti di 35 istituzioni di tutto il mondo – tra cui l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), il University College di Londra e l’Università di Tsinghua – che ha analizzato 41 indicatori chiave, suggerendo quali azioni intraprendere per raggiungere gli obiettivi dell’accordo di Parigi. I cambiamenti climatici stanno già danneggiando la salute dei bambini di tutto il mondo e minacciano conseguenze a lungo termine sulla loro vita, se niente cambierà. Ovvero se il mondo continuerà a seguire la rotta attuale senza perseguire l’obiettivo dell’Accordo sul Clima di Parigi, ratificato da tutti i paesi UE: mantenere dal 2015 al 2100 l’aumento medio della temperatura globale al di sotto di 2 ̊C, sotto cioè ai livelli della prima rivoluzione industriale (1861-1880).

Ecco, in sintesi, come il clima potrebbe condizionare un’intera generazione secondo il rapporto.

-I neonati saranno più soggetti alla malnutrizione: con l’aumento delle temperature, infatti, il potenziale di resa media di mais (-4%), frumento (-6%), soia (-3%) e riso (-4%) è gradualmente diminuito negli ultimi 30 anni e, di conseguenza, i prezzi degli alimenti basati su questi cereali sono aumentati.

-I bambini saranno tra i più colpiti dalle malattie infettive: il 2018 è stato il secondo anno che climaticamente ha favorito la diffusione di batteri, causa di gran parte delle malattie diarroiche e delle infezioni da ferite a livello globale.
-Durante l’adolescenza, l’impatto dell’inquinamento atmosferico peggiorerà, con morti premature che nel 2016 hanno raggiunto i 2,9 milioni (oltre 440.000 dovute al solo carbone); l’approvvigionamento energetico globale da carbone è cresciuto dell’1,7% dal 2016 al 2018, invertendo una tendenza al ribasso.

-Da adulti vedranno intensificarsi gli eventi meteorologici estremi, con 152 dei 196 paesi che hanno registrato un aumento delle persone esposte agli incendi dal 2001-2004, e un record nel 2018 di 220 milioni di persone oltre i 65 anni esposte alle ondate di calore (63 milioni in più rispetto al 2017). Invece, percorrere fino in fondo il cammino tracciato dall’accordo di Parigi potrebbe consentire ai bambini nati oggi di crescere in un mondo in grado di raggiungere l’obiettivo zero emissioni entro il loro 31° compleanno e garantire un futuro più sano per le generazioni future. Solo un taglio del 7,4% l’anno delle emissioni di CO2 fossile dal 2019 al 2050, avvertono gli studiosi, limiterà il riscaldamento globale, secondo l’obiettivo più ambizioso di mantenere questo aumento entro 1,5°C.

Gli autori di The Lancet Countdown chiedono un’azione coraggiosa per invertire la tendenza in quattro aree chiave:

-fornire una rapida, urgente e completa eliminazione graduale dell’energia a carbone in tutto il mondo;
-garantire che i paesi ad alto reddito rispettino gli impegni internazionali di finanziamento per il clima di 100 miliardi di dollari l’anno entro il 2020 per aiutare i paesi a basso reddito;

-aumentare sistemi di trasporto pubblico e attivo, in particolare a piedi e in bicicletta, come la creazione di piste ciclabili e programmi di noleggio o acquisto di biciclette a prezzi accessibili ed efficienti;

-fare grandi investimenti nell’adattamento del sistema sanitario per garantire che i danni alla salute causati dai cambiamenti climatici non sopraffacciano la capacità dei servizi sanitari e di emergenza di curare i pazienti.

Fonte: ilcambiamento.it

Sostenibilità: un bando di 15 milioni per la cooperazione degli enti territoriali

L’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo (AICS) ha aperto un bando per finanziare attività di partenariato territoriale: l’iniziativa è tesa a contribuire al raggiungimento dei 17 SDGs delle Nazioni Unite nell’ambito di uno sviluppo economico, ambientale e sociale. Favorire le azioni degli Enti territoriali, soprattutto in partenariato, dirette a contribuire al concreto raggiungimento, nei territori, degli obiettivi previsti dall’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile: è questo l’obiettivo del nuovo bando Promozione dei Partenariati Territoriali e implementazione territoriale dell’Agenda 2030 dell’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo. All’iniziativa dell’AICS possono partecipare le Regioni e gli Enti territoriali nazionali che propongono azioni dirette volte al raggiungimento due obiettivi generali. Il primo è dedicato a contribuire allo sviluppo dei Paesi partner (Obiettivo 1), operando a sostegno della capacità di governo delle istituzioni locali, rimuovendo gli ostacoli che impediscono – a livello territoriale – i processi di sviluppo sostenibile; un percorso che è anche teso a promuovere lo sviluppo di servizi del territorio, socio-sanitari, anagrafici, educativi, di formazione professionale, che garantiscano un accesso inclusivo soprattutto per le donne, i minori, i giovani, gli anziani e le persone con disabilità.

https://www.italiachecambia.org/wp-content/uploads/2020/03/Bando-1024x681.jpg
Winding Road through a City Park

Foto tratta da Freepik

L’altro macro obiettivo prevede di contribuire alla promozione di uno sviluppo urbano/territoriale sostenibile e resiliente (Obiettivo 2), attraverso l’implementazione di misure di adattamento ai cambiamenti climatici in ambiente urbano,  con la riduzione degli effetti dell’inquinamento nelle città e/o in territori più ampi. Tutto senza dimenticare di sostenere l’aumento dell’efficienza dei servizi di pubblica utilità che possano impattare positivamente sull’ambiente. “Per entrambi gli Obiettivi Generali – si legge nel bando dell’AICS – sarà importante il trasferimento, da parte degli enti territoriali italiani, di esperienze e migliori pratiche sviluppate dagli stessi”.

Le proposte di progetto dovranno essere inviate via email – con l’opportuna documentazione – entro il 25 marzo 2020 all’indirizzo PEC bando.rel@pec.aics.gov.it. Il bando intende quindi favorire il coinvolgimento e valorizzare il ruolo di enti locali e soggetti no profit, presenti nel territorio di riferimento dell’Ente proponente; i beneficiari, a questo proposito, accederanno al fondo di 15 milioni di euro e potranno richiedere un contributo non superiore all’80% del costo totale dell’iniziativa.

Articolo tratto da: Journal Cittadellarte