Un garante del verde per difendere gli alberi delle città italiane

Il gruppo Difensori della Natura e Giacomo Castana di Prospettive vegetali lanciano una campagna per promuovere il Garante del verde, del suolo e degli alberi, una figura indipendente da istituire a livello comunale al fine di proteggere il verde pubblico e promuovere la cultura ambientale.

Gli esseri umani sono le sole creature sulla terra che tagliano degli alberi per fare della carta su cui scrivere “salvate gli alberi” (anonimo).

Vieste, Riccione, Bresso, Peschiera Borromeo,.. sono solo alcuni. Ogni giorno leggiamo di abbattimenti incontrollati – spesso giustificati da patologie degli alberi e dal solito criterio della pericolosità –, capitozzature estreme, mancata manutenzione, potature drastiche, scelte ingiustificate delle Amministrazioni pubbliche nella gestione degli alberi e del verde pubblico. Parlano di riqualificazione, termine equivoco e pericoloso per giustificare le continue mattanze di alberi a livello nazionale. Serve una svolta! Per questo – prendendo spunto dall’iniziativa del Comune di Milano, dove il consiglio comunale ha istituto la figura del “garante del verde” –, stiamo lavorando per promuovere l’istituzione in ogni Comune/città del Garante del verde, del suolo e degli alberi.

Una figura di riferimento imparziale, competente e soprattutto indipendente dalle Amministrazioni, da istituire in ogni Comune da Nord a Sud, che suggerisca soluzioni tecniche alternative e garantisca la corretta manutenzione e gestione del suolo e del patrimonio arboreo. Perché la tutela e la cura del verde devono diventare un bene comune.

L’idea sta attecchendo e in questa iniziativa non siamo soli: diversi comitati, esperti, associazioni, singoli cittadini si stanno attivando per invertire questa drammatica tendenza. Non esiste la formula giusta per delineare la figura del Garante e ogni Comune dovrà cucirla sul misura rispetto alla propria realtà.

Sappiamo però che dovrà

  • vigilare a livello cittadino sulla corretta applicazione delle normative di riferimento in materia di consumo del suolo e di tutela del verde
  • ricevere segnalazioni e reclami e promuovere azioni volte a consentire l’ascolto e la partecipazione della cittadinanza, comprese iniziative di sensibilizzazione pubblica
  • formulare proposte per il miglioramento del verde urbano
  • contribuire a garantire la salvaguardia del consumo di suolo e l’incremento del verde e degli alberi esistenti
  • attivare adeguate forme di pubblicità, diverse da quelle già stabilite dalle norme vigenti, per progetti di interventi, pubblici e privati, anche nel caso in cui sia prevista l’adozione di una variante allo strumento urbanistico vigente
  • proporre e discutere, con il supporto della Sezione Urbanistica, le eventuali modificazioni al PGT vigente
  • monitorare e verificare i dati forniti dagli uffici comunali relativi all’evoluzione del consumo di suolo e alla quantità e qualità del verde nel territorio comunale utilizzando gli strumenti di gestione degli uffici comunali e regionali di controllo
  • vigilare sull’evoluzione del consumo di suolo e sulla dotazione di superfici verdi, di alberi e sul loro incremento
  • interfacciarsi con altri Enti preposti alla tutela del verde pubblico

È arrivato il momento di essere protagonisti del nostro futuro! Per fare il punto, dare voce a chi, da tempo, a diversi livelli, si sta occupando del tema e condividere esperienze, ne parleremo in diretta Facebook sulla pagina del gruppo ambientalista Difensori della Natura in Italia il 4 marzo dalle 18:00.

Modera: Jék Castana, Giardiniere, Garden Designer e Video Maker, autore di “Botanica per tutti”, una ricerca etnobotanica che conta sulla voce di 260 esperti di tutti i rami della conoscenza, frutto di un viaggio che ha attraversato l’Italia). Considerato dall’inserto de “Il Sole 24 Ore” il più “anticonvenzionale tra i biofili” nella lista degli “Under 35” che stanno cambiando il volto all’ambientalismo italiano grazie al progetto Prospettive Vegetali.

Intervengono Rodolfo Luffarelli, avvocato, creatore ed amministratore del gruppo pubblico e della pagina Difensori della Natura in Italia; Daniele Zanzi, agronomo varesino di fama internazionale e Vicesindaco di Varese; Paolo Rava e Gabriele Mannino, Presidente e Segretario di ANAB Associazione Nazionale Architettura Bioecologica; Carlo Monguzzi, Consigliere comunale e Presidente Commissione Ambiente del Comune di Milano; Claudio Bondioli Bettinelli, Per Mantova; Maurizio Marrese di WWF di Foggia, laureato in Scienze agrarie.

Fonte: https://www.italiachecambia.org/2021/03/garante-del-verde-difendere-alberi-citta-italiane/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

Uso del suolo e cambiamenti climatici: nuovo studio CMCC sul settore zootecnico verso emissioni zero

I settori agricolo, forestale e zootecnico possono contribuire agli obiettivi globali di mitigazione e di sviluppo di un territorio, se vengono messe in atto delle attività sostenibili di uso del suolo. Lo dice un nuovo studio diretto dalla Fondazione Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici

Le emissioni di gas serra del settore agricolo, forestale e altri usi del suolo (il cosiddetto settore AFOLU, Agriculture, Forestry and Other Land Use), rappresentano il 24% delle emissioni globali; i principali driver sotto accusa sono le emissioni legate alla deforestazione, le emissioni di metano degli allevamenti o prodotte dalla fermentazione anaerobica di materia organica, principalmente dalle coltivazioni di riso, o di protossido di azoto (N2O) legate all’uso di fertilizzanti in agricoltura. Tale settore è pertanto uno dei principali responsabili del cambiamento climatico, secondo solo al settore energetico. Un nuovo studio diretto dalla Fondazione CMCC esplora come la gestione sostenibile del territorio possa contribuire agli obiettivi di mitigazione globali e di sviluppo sostenibile a livello locale. I ricercatori hanno identificato alcune possibili opzioni di mitigazione land-based per ridurre e compensare le emissioni del settore zootecnico, che rappresenta attualmente una delle principali fonti di gas serra dell’intero settore agricolo. Anche se a partire dagli anni ’90 le emissioni degli allevamenti sono infatti diminuite, con una riduzione del 20% in Europa nel 2018, ancora oggi a livello europeo rappresentano più del 60% del totale delle emissioni del comparto agricolo.

“Il settore agricolo”, spiega Maria Vincenza Chiriacò, ricercatrice CMCC e primo autore dello studio, “ha la caratteristica unica di essere sia parte del problema che della soluzione: da un lato genera emissioni di gas serra, dall’altro può riassorbirle, soprattutto con un’appropriata gestione sostenibile, grazie all’attività di fotosintesi e alla biodiversità dei suoli, rappresentando un importante sink di carbonio. Tutti gli altri settori (energia, edilizia, trasporti) possono impegnarsi per ridurre le proprie emissioni e farle tendere progressivamente a zero, ma non hanno possibilità di sottrarre dall’atmosfera quell’eccesso di CO2 ormai già presente. Il nostro approccio si articola in due fasi successive: per prima cosa realizziamo una stima delle emissioni di gas serra derivanti dalle attività delle aziende zootecniche, ovvero calcoliamo la loro impronta di carbonio, quindi valutiamo il potenziale di alcune attività nel settore agricolo e forestale per la mitigazione delle emissioni stimate nel passaggio precedente.”

I risultati dello studio hanno messo in luce come le opzioni di mitigazione prese in esame, basate sulle pratiche agricole maggiormente sostenibili, possano non solo compensare, ma persino arrivare a portare il settore zootecnico a zero emissioni, a raggiungere, cioè, la carbon neutralityI ricercatori CMCC si sono concentrati su un primo caso studio pilota in Italia centrale, in un’area della provincia di Viterbo con una forte vocazione agricola, con l’obiettivo di comprendere come e in che misura le emissioni di gas serra delle aziende zootecniche potevano essere ridotte o compensate attraverso rimozioni di carbonio nella stessa area. Con questo obiettivo in mente, i ricercatori hanno sviluppato e messo a punto un approccio land-based dato dalla combinazione di diverse metodologie, come elaborazioni GIS, misurazioni delle emissioni delle aziende zootecniche attraverso il metodo LCA (life cycle assessment) e altre metodologie dell’IPCC, per arrivare a una stima precisa delle emissioni di gas serra del comparto zootecnico e del potenziale di mitigazione di diverse opzioni d gestione agricola e forestale su scala locale, nelle immediate vicinanze della fonte emissiva (cioè in prossimità delle aziende zootecniche presenti nell’area analizzata).

“I risultati del nostro studio”, commenta il Prof. Riccardo Valentini (Fondazione CMCC e Università della Tuscia), mostrano la possibilità di una totale compensazione delle emissioni delle aziende zootecniche dell’area pilota, indicando i percorsi possibili per arrivare alla carbon neutrality, cioè a zero emissioni o persino a emissioni negative. Se opportunamente gestito il settore agricolo appare quindi un settore chiave, in grado di contribuire in maniera significativa agli obiettivi di mitigazione dei cambiamenti climatici a livello globale.”

“È importante sottolineare”, aggiunge Maria Vincenza Chiriacò, “il concetto di prossimità alla base di questo approccio. Esistono già molti meccanismi di compensazione delle emissioni, ma spesso seguono una logica di compensazione su scala globale, per cui l’assorbimento del carbonio emesso in atmosfera avviene in aree geograficamente molto distanti da quelle in cui sono state generate le emissioni da compensare. Nell’approccio di prossimità realizzato dal CMCC, la compensazione delle emissioni avviene vicino alla fonte emissiva. Questo, oltre a contribuire al raggiungimento degli obiettivi globali di mitigazione del cambiamento climatico, comporta un miglioramento ad ampio raggio dell’intero sistema agro-forestale su scala locale, fornendo tutta una serie di co-benefici ambientali e socio-economici per la comunità e il territorio.”

L’approccio land-based sviluppato dai ricercatori CMCC è diventato di recente anche un web tool. Ideato e sviluppato da CMCC e Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare (ISMEA), con il supporto finanziario del Programma “Rete Rurale Nazionale 2014–2020”, il tool è completamente gratuito e accessibile online. Strumento rigorosamente scientifico, basato su dati e informazioni scientificamente fondate, il web tool nasce con l’obiettivo di essere facilmente accessibile a tutti i suoi potenziali utenti. La piattaforma consente agli allevatori zootecnici italiani di fare una stima dell’impronta di carbonio della propria azienda zootecnica compilando un breve questionario: poche domande che prendono in considerazione le principali caratteristiche dell’azienda, dal numero di capi allevati, al consumo energetico, alla tipologia di allevamento e al foraggio e ai mangimi acquistati, etc. In questa prima fase si ottiene una stima delle emissioni generate dall’azienda zootecnica. Quindi si passa a una seconda fase dove sono ipotizzate tutta una serie di azioni, ciascuna con il suo protocollo, per ridurre e compensare le emissioni dell’allevamento. Il tool aiuterà pertanto i diversi portatori d’interesse a individuare le migliori opzioni per una gestione più sostenibile del territorio in Italia, in special modo a livello locale. I ricercatori CMCC stanno lavorando con ISMEA e il Programma “Rete Rurale Nazionale 2014–2020” alla creazione di un sistema di tracciabilità della sostenibilità dell’uso del suolo, basato sull’approccio sviluppato, attraverso un meccanismo volontario di incentivazione di pratiche agricole e forestali sostenibili per ridurre e compensare le emissioni zootecniche a livello locale. Il meccanismo utilizzerà dei crediti, che i ricercatori hanno soprannominato “crediti di sostenibilità”, per i molteplici benefici, non solo climatici, che porteranno alle comunità e ai distretti agricoli locali. L’approccio land-based presentato in questo studio è stato sviluppato nell’ambito delle attività del Programma “Rete Rurale Nazionale 2014–2020” grazie a uno specifico accordo tra Fondazione CMCC Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici (CMCC) e Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare (ISMEA) per il progetto Il distretto agricolo-zootecnico-forestale: un nuovo approccio territoriale per la mitigazione dei cambiamenti climatici

Leggi la versione integrale dell’articolo (scaricalo gratuitamente entro il 23 febbraio 2021):

Maria Vincenza Chiriacò, Riccardo Valentini, A land-based approach for climate change mitigation in the livestock sector, Journal of Cleaner Production, Volume 283, 2021,

124622, ISSN 0959-6526, https://doi.org/10.1016/j.jclepro.2020.124622.

Fonte: ecodallecitta.it

Il cambiamento climatico rispecchia la nostra relazione con la terra

Un’ode alla terra e un invito a riparare la nostra relazione con essa. È così che potremmo definire l’ultimo rapporto IPCC sui cambiamenti climatici dal quale emerge lo stretto legame tra l’uso del suolo ed il riscaldamento globale. Le previsioni cupe del report non rappresentano però una sentenza definitiva e gli esperti tracciano la strada da seguire per fronteggiare la crisi ambientale in atto. “Né le nostre identità individuali o sociali, né l’economia mondiale esisterebbero senza le molteplici risorse, servizi e sistemi di sostentamento forniti dagli ecosistemi terrestri e dalla biodiversità. Il valore annuale dei servizi ecosistemici terrestri totali del mondo è stato stimato a 75-85 trilioni di dollari nel 2011. Ciò supera sostanzialmente il PIL annuale mondiale. La terra e la sua biodiversità rappresentano anche benefici essenziali e immateriali per l’uomo, come l’arricchimento cognitivo e spirituale, il senso di appartenenza e i valori estetici e ricreativi. Valorizzare i servizi ecosistemici con metodi monetari spesso trascura questi servizi immateriali che modellano le società, le culture e la qualità della vita e il valore intrinseco della biodiversità. L’area terrestre della Terra è limitata. L’uso sostenibile delle risorse della terra è fondamentale per il benessere umano”.

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Si apre così, quasi con un’ode al nostro pianeta, il Rapporto speciale “Il cambiamento climatico e la terra” del gruppo intergovernativo di esperti sui cambiamenti climatici (IPCC) delle Nazioni Unite. L’anno scorso l’IPCC ha pubblicato il famoso “Rapporto speciale sul riscaldamento globale di 1,5° C”, in cui ci dice che abbiamo 12 anni per scongiurare il peggio. Questa è la prima volta nella storia dei rapporti dell’IPCC che la maggior parte degli autori – 53% – proviene da paesi in via di sviluppo. Il team degli autori ha attinto al contributo di 96 autori partecipanti; ha incluso oltre 7000 riferimenti citati nel rapporto; e considerato un totale di 28.275 commenti di esperti e dei governi. I rapporti dell’IPCC contengono solo dati e previsioni su cui c’è accordo nella comunità scientifica, e sottolineano anche il grado di consenso esistente sulle singole affermazioni contenute nel rapporto.  

“Con l’aumento del riscaldamento, si prevede che la frequenza, l’intensità e la durata degli eventi legati al calore, comprese le ondate di calore, continueranno ad aumentare nel corso del 21° secolo (alta fiducia). Si prevede che la frequenza e l’intensità della siccità aumenteranno in particolare nella regione mediterranea e nell’Africa meridionale (media fiducia). Si prevede che la frequenza e l’intensità degli eventi con precipitazioni estreme aumenteranno in molte regioni (elevata sicurezza)”. La probabilità che l’onda calda della scorsa estate si ripeta nelle prossime è praticamente certa. Meno sicuro è che in Europa faremo esperienza di siccità, seppure anche questo resta mediamente probabile. In generale, nel mondo, circa 500 milioni di persone vivono in aree soggette a desertificazione. Cosa c’entra la terra con tutto questo? Non sono solo le emissioni di gas serra a causare il riscaldamento globale? Sembra di no. Il modo in cui utilizziamo la terra, ha un impatto sul riscaldamento globale. Questo per due motivi, ci spiega il rapporto. La deforestazione dovuta all’agricoltura e le pratiche agricole industriali impoveriscono il terreno, diminuisce l’umidità e la biodiversità, e quindi la naturale capacità della terra di mitigare il clima, produrre precipitazioni e assorbire anidride carbonica dall’atmosfera.

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Contemporaneamente, però, azioni come la riforestazione, l’agricoltura rigenerativa, la protezione e il restauro degli ecosistemi, possono aumentare la capacità della terra di prelevare carbonio e immagazzinarlo nel terreno. Mentre noi esseri umani lo estraiamo dal sottosuolo e lo rilasciamo nell’atmosfera, le piante e i microrganismi del suolo lo riportano a terra. “L’agricoltura, la silvicoltura e altri tipi di utilizzo del suolo rappresentano il 23% delle emissioni umane di gas serra. Allo stesso tempo, i processi naturali terrestri assorbono l’anidride carbonica equivalente a quasi un terzo delle emissioni di anidride carbonica da combustibili fossili e dall’industria ”, spiega Jim Skea, copresidente del terzo gruppo di lavoro dell’IPCC. Ci siamo indignati per il disboscamento dell’Amazzonia voluta dal Governo Bolsonaro per soddisfare gli appetiti della lobby agricola. Ma circa tre quarti della superficie terrestre libera dai ghiacci a livello globale è utilizzata dall’uomo per attività produttive. E non basta. Si legge nel rapporto che se la dieta media dei paesi ricchi fosse consumata a livello globale, “la superficie agricola necessaria per fornire queste diete aumenterebbe di 14 volte”. 

Ultimamente si parla molto di piantare alberi per contrastare l’innalzamento delle temperature, e recentemente è stata lanciata una campagna anche in Italia. Il Rapporto dedica molte pagine agli effetti dei programmi di forestazione e riforestazione. Tuttavia non tutto è così semplice. Piantare alberi dove ci sono praterie o pascoli, per esempio, può addirittura ridurre la capacità di assorbimento di carbonio del terreno. Può anche portare a un consumo maggiore di acqua. Le foreste di monoculture a rapida crescita, purtroppo diffusissime, hanno un impatto negativo sulla biodiversità, e alcune specie come il pino e l’acacia risultano spesso invasive e dannose per le specie autoctone. Se si guarda ai “potenziali effetti collaterali di tali misure su larga scala, in particolare per i paesi a basso reddito, si potrebbero verificare aumenti dei prezzi dei prodotti alimentari causati dall’aumentata concorrenza per la terra”.

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Riscaldamento atmosferico, aumento di eventi climatici estremi, spostamento degli ecosistemi stanno già causando instabilità nell’approvigionamento di cibo. “I modelli previsionali globali – si legge nel rapporto – prevedono un aumento mediano del 7,6% (intervallo dall’1 al 23%) dei prezzi dei cereali nel 2050 a causa dei cambiamenti climatici, portando a un aumento dei prezzi dei prodotti alimentari e a un aumento del rischio di insicurezza alimentare e fame (media fiducia). Le persone più vulnerabili saranno maggiormente colpite (alta sicurezza)”. 

Ma le previsioni cupe contenute nel rapporto non sono una sentenza definitiva. Infatti, si legge, “esistono molte opzioni di gestione del territorio sia per ridurre l’entità delle emissioni sia per aumentare l’assorbimento di carbonio. Queste opzioni migliorano la produttività delle colture, lo stato dei nutrienti del suolo, il microclima o la biodiversità e quindi supportano l’adattamento ai cambiamenti climatici (elevata fiducia)”.  

Il bello è che queste opzioni coincidono con quanto sostenuto da quelli che fino a poco tempo fa apparivano come sognatori utopici. C’è infatti, scrive il rapporto, “un elevato accordo su (una combinazione di) scelte come l’agroecologia, l’agricoltura conservativa e le pratiche forestali, la diversità delle specie vegetali e forestali, adeguate rotazioni di colture e foreste, agricoltura biologica, gestione integrata dei parassiti, conservazione e protezione dei servizi di impollinazione, raccolta delle acque piovane, gestione della gamma e dei pascoli e sistemi di agricoltura di precisione. L’agricoltura e la silvicoltura conservativa utilizzano pratiche di gestione con un minimo disturbo del suolo come nessuna lavorazione del terreno o minima lavorazione, copertura del suolo permanente con pacciamatura combinata con rotazioni per garantire una superficie del suolo permanente o rapida rigenerazione della foresta dopo il raccolto”. Sono queste le pratiche agricole del futuro, perché sono le uniche che possono sia mitigare i cambiamenti climatici, che facilitare l’adattamento ad essi. Inoltre, queste opzioni “possono contribuire a sradicare la povertà eliminando la fame, promuovendo nel contempo buona salute e benessere, acqua pulita e servizi igienico-sanitari, azione per il clima e vita sulla terra”.

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Per implementare queste opzioni nella scala e rapidità necessarie, tuttavia, servono sistemi di governance innovativi, in grado di coinvolgere i diversi stakeholder, consultare le popolazioni locali, creare processi decisionali deliberativi, costruire istituzioni policentriche e multilivello e attingere alle conoscenze indigene.  “La natura, la fonte e le modalità di generazione della conoscenza sono fondamentali per garantire che le soluzioni sostenibili siano di proprietà della comunità e completamente integrate nel contesto locale. L’integrazione della conoscenza indigena e locale con le informazioni scientifiche è un prerequisito per tali soluzioni di proprietà della comunità”. 

Nel parlare dei sistemi di pensiero indigeni il Rapporto specifica che “la conoscenza indigena locale è anche olistica dal momento che gli indigeni non cercano soluzioni volte ad adattarsi ai soli cambiamenti climatici, ma cercano invece soluzioni per aumentare la loro capacità di resistenza a una vasta gamma di shock e stress”. 

Come ha scritto la biologa nativa americana Robin Wall Kimmer nel suo meraviglioso libro “Braiding Sweetgrass”, sottotitolato “Saggezza indigena, conoscenza scientifica e gli insegnamenti delle piante”, occorre integrare le antiche conoscenza indigene con le moderne indagini scientifiche. Come emerge dal Rapporto dell’IPCC, infatti, abbiamo un vitale bisogno di entrambe. Come scrive Kimmer, “antiche e nuove storie che possano essere medicina per la nostra relazione spezzata con la terra, una farmacopea di storie curative che possano consentirci di immaginare una relazione diversa, nella quale gli esseri umani e la terra siano buona medicina gli uni per l’altra”.

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2019/09/cambiamento-climatico-rispecchia-nostra-relazione-terra/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni

Il suolo? Ce lo “mangiamo”!

Com’è cambiato l’utilizzo del suolo negli ultimi 25 anni in Europa? Dal rapporto pubblicato dall’Agenzia Europea per l’Ambiente si evince chiaramente che lo sfruttamento ha superato abbondantemente i limiti della sostenibilità, erodendo e consumando ampie superfici, che si trasformano in cemento o in terreni aridi. Il campanello d’allarme è già suonato; queste sono le campane!suolo

Secondo le modalità e l’intensità dello sfruttamento del suolo, cambiano anche paesaggi e ambienti. E per conoscere, dati alla mano, l’evoluzione dell’utilizzo del suolo negli ultimi 25 anni in Europa è a disposizione il rapporto Landscapes in transition: an account of 25 years of land cover change in Europe, pubblicato a settembre 2017 dall’Agenzia europea per l’ambiente. Il rapporto prende in esame le tendenze emergenti negli ultimi 25 anni nell’uso del suolo ed i conseguenti impatti ambientali. Il cambiamento più consistente risulta la persistente conversione di terreni agricoli in superfici artificiali (aree urbane ed infrastrutture), a causa principalmente delle attività economiche e delle esigenze dello stile di vita urbano, come l’elevata mobilità e i modelli di consumo.

Le principali tendenze osservate e i conseguenti impatti ambientali sono questi:

  • l’espansione delle aree urbane ed infrastrutturali continua a consumare terreni con suoli produttivi e a frammentare la struttura paesaggistica esistente. Le aree artificiali sono aumentate sia in termini di superficie netta che in percentuale. Si tratta di una tendenza costante che è stata osservata dal 1990, sebbene l’aumento del periodo 2006-2012 sia stato inferiore di quello del periodo 2000-2006;
  • il terreno agricolo dell’Europa, che era spesso di buona qualità e in posizioni favorevoli, continua a diminuire a un tasso medio di 1000 km quadrati all’anno;
  • l’area forestale rimane stabile (foreste coprono 42% del territorio UE), ma si nota un’intensificazione nell’uso del territorio a tal scopo e ciò può portare alla diminuzione della qualità degli ecosistemi forestali.

Per studiare questi cambiamenti e comprenderne gli impatti, come spiega il rapporto, risulta fondamentale monitorare la copertura del suolo ed il suo cambio di utilizzo, attraverso strumenti che combinino l’osservazione terrestre, il campionamento statistico e gli inventari tematici. Copernicus, il programma europeo di osservazione della Terra per il monitoraggio dell’ambiente e la sicurezza, risulta uno strumento fondamentale per la precisione e la pertinenza con cui monitora il territorio. Il rapporto sottolinea anche l’inadeguatezza delle attuali politiche e norme a livello europeo: la protezione del suolo è infatti affrontata indirettamente o all’interno di politiche settoriali (agricoltura, silvicoltura, energia, acqua, cambiamenti climatici, protezione della natura, rifiuti, sostanze chimiche), con la conseguenza di un approccio frammentato ed una scarsa disponibilità di dati armonizzati sul tema a livello comunitario. Una risposta normativa e politica si rende però necessaria, soprattutto se si vogliono raggiungere gli obiettivi ONU al 2030 per lo sviluppo sostenibile, in particolare il numero 15 (proteggere, ripristinare e promuovere l’uso sostenibile degli ecosistemi terrestri, gestire in modo sostenibile le foreste, combattere la desertificazione e arrestare e invertire il degrado delle terre e arrestare la perdita di biodiversità). Il rapporto ricorda come la gestione della risorsa terrestre sia dunque fondamentale per una più ampia transizione sociale verso la sostenibilità.

Fonte: ilcambiamento.it

Più alberi e cura dei suoli per combattere il cambiamento climatico

Quando si parla di tecnologie che possano risolvere il problema del cambiamento climatico, si invocano chissà quali meraviglie ancora da inventare o aeroplani che disseminano sostanze chimiche in atmosfera o ancora enormi grattacielo che riescano ad inghiottire l’anidride carbonica. Eppure, secondo il nuovo rapporto dei ricercatori dell’università di Oxford, la migliore delle soluzioni non è così complessa. Ci sono due cose che abbiamo già a disposizione: gli alberi e il terreno.riforestazione

Per combattere il cambiamento climatico le soluzioni migliori arrivano dagli alberi e dal miglioramento delle condizioni dei suoli: a dirlo il nuovo rapporto dei ricercatori dell’università di Oxford (clicca qui per leggere il rapporto). I costi sarebbero estremamente contenuti, non ci sarebbero rischi. Nello specifico, le due tecniche suggerite dal rapporto sono quelle della afforestazione – piantare alberi anche dove prima non ce n’erano – e l’utilizzo del biochar, un ammendante del suolo che si produce utilizzando carbone di legna. Secondo i ricercatori di Oxford, percorrendo questa strada si riuscirebbe a far invertire la rotta ai cambiamenti climatici, mentre le tecnologie cosiddette ad emissioni negative servirebbero soltanto ad evitare il peggioramento delle attuali condizioni. D’altra parte il quinto recente rapporto dell’IPCC, Intergovernmental Panel on Climate Change, non lascia àdito a dubbi : il cambiamento climatico è in corso ed è di origine antropogenica, senza più alcun dubbio. Le opportunità di mantenere l’aumento della temperatura media terrestre entro i +2° si stanno inesorabilmente erodendo. La partita non è persa ma il tempo per agire è di pochi anni. Il Rapporto riconosce gli straordinari progressi fatti dalle tecnologie low-carbon, ma i dati pubblicati dicono che le emissioni globali continuano a crescere e che si è arrivati già a +0,7 °C di riscaldamento globale rispetto al periodo preindustriale. Progetti di afforestazione estesa cominciano a vedersi, anche se occorre senza dubbio che questa scelta rappresenti il cambio di paradigma globale. Face the Future sta portando avanti nella sierra dell’Ecuador un progetto di afforestazione comunitario che coinvolge, oltre al governo, le comunità locali. Sono inoltre in corso un progetto di riforestazione nella zona delle mangrovie sul delta del Sine-Saloum in Senegal e uno nel parco nazionale di Kibale in Uganda. In Australia è partita la Carbon Farming Initiative che garantisce agevolazioni ai proprietari di terreni che creano e mantengono foreste e boschi; in Tanzania vengono recuperati terreni agricoli in via di desertificazione piantando alberi con il Bagamoyo Afforestation Project e la lista è lunga, inclusi progetti di forestazione anche nel nostro paese. Non di rado si è di fronte a progetti pensati per utilizzare i meccanismi di compensazione volontaria delle emissioni introdotti dalla comunità internazionale, parallelamente al Protocollo di Kyoto. E’ nato quindi un mercato volontario di acquisto e scambio di certificati e crediti, originato da progetti di riduzione delle emissioni di gas serra in paesi terzi. Naturalmente, il passo auspicabile è che quello della afforestazione e riforestazione e del freno al consumo di suolo e al degrado del territorio divenga un modus operandi e una finalità, non solo un’azione frutto di un calcolo.

Fonte: ilcambiamento.it

Suolo e paesaggio, Puglia prima regione ad avere un Piano Paesaggistico. E le altre regioni?

Ecomostri e speculazioni edilizie nel paesaggio più difficili grazie al piano paesaggistico. Vendola: “Lì c’è la chiave per aprire le porte del futuro. Il ministro Franceschini: “Con un buon piano regionale sono più veloci e trasparenti autorizzazioni e atti amministrativi”. Toscana e Piemonte si muovono nella stessa direzione381617

(comunicato Regioni.it n. 2642 del 16/01/2015)

Firmato il Piano Paesaggistico della regione PUGLIA, prima regione italiana a sottoscriverlo. “Sono molto orgoglioso – ha dichiarato Nichi Vendola, presidente della Regione Puglia – di rappresentare quella parte del Sud che vuole essere più avanti, che vuole cimentarsi nelle buone pratiche, che vuole ragionare sul proprio territorio, sul proprio paesaggio”. Nella cura del paesaggio, sottolinea Vendola, “lì c’è la chiave per aprire le porte del futuro”, riqualificando il territorio. Con orgoglio il presidente della regione Puglia afferma: “siamo all’avanguardia, abbiamo voltato pagina e diamo un esempio per tutta l’Italia”. Il ministro dei Beni culturali e del Turismo, Dario Franceschini, evidenzia che pur “con tanto ritardo, ma finalmente si firma un Piano paesaggistico sulla base di una norma del Codice dei Beni culturali del 2004. E’ uno strumento fondamentale che aiuta a salvaguardare il territorio e aiuterà anche a rendere più veloci e trasparenti le diverse autorizzazioni e i diversi atti amministrativi. E’ importante che le altre Regioni prendano esempio dalla Puglia”. Ci sono Regioni – ha detto Franceschini – che sono avanti, come la Toscana, insieme a noi in questo lavoro, e altre Regioni che invece sono ferme. Io spero che la giornata di oggi serva come stimolo, e noi lavoreremo perché serva come stimolo, e anche come riferimento perché i contenuti di questo piano sono molto positivi e innovativi”.

In TOSCANA è stato raggiunto l’accordo con gli agricoltori sul Piano paesaggistico regionale. Il presidente della Regione, Enrico Rossi, ha sottolineato come “grazie a queste modifiche il Pit riuscirà a valorizzare ancora meglio il ruolo dell’agricoltura, soprattutto sul piano della multifunzionalità, che oggi viene enfatizzato dalle politiche europee e si riuscirà ad ottenere anche uno snellimento delle procedure, che andrà a beneficio di tutti”. Così sarà possibile anche “il recupero di aree ex agricole invase dal bosco negli ultimi decenni, dando così impulso allo sviluppo dell’agricoltura e dando opportunità anche ai giovani ‘senza terra’ che vogliono dare  avvio ad imprese agricole”.
Il piano paesaggistico rivolge una nuova attenzione alla qualità dei paesaggi rurali. “Entro la fine della legislatura, grazie all’approvazione definitiva del Piano e alla nuova Legge sul governo del territorio – ha spiegato Rossi – porteremo a termine un lavoro che pone la Toscana all’avanguardia nelle politiche di difesa del territorio, contro un degrado le cui conseguenze sono sotto gli occhi di tutti e riusciremo a coniugare tutela e sviluppo, regole certe e semplificazione, salvaguardia del paesaggio e valorizzazione economica, a partire dall’agricoltura”.  Mentre il PIEMONTE provvederà con una apposita legge alla tutela del suolo “in modo che non possa più diventare oggetto di speculazioni edilizie”, ha dichiarato l’assessore all’Agricoltura, Giorgio Ferrero. Oggi tutelare il suolo – afferma Ferrero – non significa solo difendere il settore agricolo e il peso che ha nell’economia piemontese. Significa anche salvaguardare il paesaggio, tutelarne la bellezza, agire dunque anche in chiave turistica. Significa svolgere una funzione di prevenzione di fronte al dissesto idrogeologico”.

 

Fonte: ecodallecitta.it

Carbon farming: l’agricoltura bio sequestra carbonio nel suolo

Secondo esperimenti condotti in California, l’uso dei compost nei campi permette di immagazzinare piu’ carbonio nel suolo, sequestrandolo dall’atmosfera. Gli agricoltori che usano queste pratiche sono ricompensati con crediti di carbonio.

Il suolo agricolo assorbe naturalmente il carbonio e di conseguenza sequestra anidride carbonica dall’atmosfera. L’uso di pratiche biologiche, come l’uso del compost come fertilizzante, puo’ fare una grande differenza e aumentare la enormemente la quantita’ sequestrata. E’ cio’ che ha dimostrato un allevatore della California, John Wick, che ha effettuato per diversi anni una ricerca in collaborazione con l’Universita’ di Berkeley; uno strato di compost di poco piu’ di un centimetro di spessore e’ stato disperso sui pascoli e dopo tre anni il suolo ha un contenuto di carbonio significativamente piu’ alto dei pascoli di controllo. Parte di questo carbonio extra proviene dal compost e parte dalla crescita dell’erba che e’ stata stimolata dal compost. Secondo la ricerca di Berkeley, se il compost fosse applicato al 5% dei pascoli californiani, il suolo potrebbe immagazzinare l’equivalente  di un anno di emissioni dell’agricoltura industriale californiana; se cio’ fosse esteso al 25% dei pascoli, il suolo potrebbe assorbire il 75% delle emissioni della California. Si tratta di cifre impressionanti, che potrebbero dare un impulso straordinario all’agricoltura biologica,  visto che gli agricoltori bio verranno ricompensati con crediti di carbonio nel meccanismo cap and trade.Carbon-farming

Fonte: ecoblog.it

35 milioni di ettari divorati dalle multinazionali in 6 anni

Le multinazionali si accaparrano ettaro su ettaro, erodendo il patrimonio naturale e divorando i terreni soprattutto nel sud del mondo. Dal 2006 al 2012, secondo Grain.org, si sono assicurate 35 milioni di ettari sottratti ai piccoli coltivatori. Questo è il land grabbing e se i governi non mettono uno stop, allora che sia la gente a farlo con i movimenti dal basso.land_grabbing_africa

Con il land grabbing le multinazionali si sono accaparrate nel mondo almeno 35 milioni di ettari dal 2006 al 2012 in 66 paesi e questo rappresenta solo ciò che l’associazione Grain è riuscita a documentare. Ma le vittime del land grabbing possono unirsi; spesso nemmeno immaginano quanto potente ed efficace sia l’unione tra forze “dal basso”, quindi l’informazione anche in questo caso può fare la differenza. Per lottare contro l’accaparramento dei terreni «bisogna creare forti movimenti sociali e cercare di cambiare le leggi. Questa è l’unica soluzione» dice Eric Holt-Giménez di Food First. La raccolta dei dati fornisce un’istantanea di come l’agribusiness sia in rapida espansione in tutto il mondo e come tutto ciò stia sottraendo la produzione di cibo dalle mani degli agricoltori e delle comunità locali. L’Africa è l’obiettivo primario dei land grabbers, ma sono ingenti anche i veri e propri saccheggi in America Latina, Asia ed Europa dell’Est, a dimostrazione che questo è un fenomeno globale. Chi sono i land grabbers? Nella maggior parte dei casi si tratta di società del settore agroalimentare, ma ci sono anche società finanziarie e fondi sovrani,  responsabili di circa un terzo delle offerte. Investitori europei, soprattutto da Regno Unito e Germania, e asiatici, da Cina e India, rappresentano i due terzi dei land grabber. In corsa anche gli Stati Uniti, gli Emirati Arabi Uniti e l’Arabia Saudita. Il Mozambico è uno dei Paesi che maggiormente sta subendo il land grabbing, con un totale di 25 investimenti da parte di ben 13 nazioni (Brasile, Cina, Francia, India, Italia, Libia, Mauritius, Portogallo, Singapore, Sud Africa, Svezia, Regno Unito e Stati Uniti) di cui 21 portati a termine e 5 in via di definizione per un totale di 1 milione e 583.149 ettari di terreno espropriati ai contadini. «Abbiamo una legge che difende la terra, ma non è osservata» dice Ana Paula Tauacale, vicepresidente dell’UNAC, Unione Nazionale di Contadini del Mozambico. Insieme a una rete di cooperative e associazioni ha fatto partire una petizione contro ProSavana, progetto che ha come obiettivo di trasformare un’area di 14,5 milioni di ettari, 145mila chilometri quadrati, in un territorio di scorribanda per imprese nippo-brasiliane interessate alla monocoltura da esportazione. «Noi vogliamo portare avanti la nostra agricoltura familiare tradizionale e non abbiamo nessuna terra da regalare alle multinazionali». Il concetto fondamentale è quello di resistenza sul campo, come spiega Themba Chauke di Landless Peoples Movement del Sud Africa. «La resistenza si fa sul campo ma anche con l’educazione dei contadini, insegnando loro che è possibile coltivare sementi sane e creando una rete di scambio tra gli agricoltori». La lotta deve continuare anche nell’opposizione alle scelte sbagliate dei governi, che troppo spesso svendono le terre in nome del profitto. «Vogliamo continuare a essere contadini, indigeni e persone affezionate alla terra», afferma María Luisa Albores González della cooperativa Tosepan Titataniske del Messico. «Molto spesso siamo intimoriti di fronte a queste difficili battaglie, ma sappiamo che vale la pena combattere perché non siamo soli e, anzi, abbiamo qualcuno che ci sostiene». Poi, non solo land grabbing, ma ocean grabbing, l’attacco ai nostri mari. «La privatizzazione delle zone di pesca, dovuta all’ossessione della crescita economica dei Governi, ha permesso il proliferare del fenomeno», dichiara Naseegh Jaffer, segretario generale del World Forum of Fisher Peoples. «È ora non solo di parlare di queste cose, ma di agire, e tutti noi possiamo fare la differenza. È sufficiente cambiare il nostro stile di vita e abbracciare una filosofia più ecosostenibile per arrivare all’obiettivo finale: la sovranità alimentare dei popoli».

Fonte: ilcambiamento.it

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Consumo di suolo: in tre anni persi 720 kmq di terreno libero

Il rapporto “Basta case di carta” mette a nudo le incongruenze di un’economia fondata sul cemento

di ripresa? Dopo aver incontrato Domenico Finiguerra negli scorsi giorni, noi di Ecoblog torniamo sul tema della cementificazione selvaggia nella giornata in cui Legambiente ha presentato i dati sul consumo del suolo del rapporto Basta case di carta e ha lanciato il portale stopalconsumodisuolo.crowdmap.com per mappare “dal basso” l’Italia minacciata da progetti edilizi, lottizzazioni e autostrade. Il dato più contradittorio riguarda l’incongruenza fra l’“epidemia cementificatoria” che in tre anni ha sottratto ai campi 720 kmq di suolo (una superficie doppia rispetto alla provincia di Prato) e l’emergenza casa che riguarda ormai 650mila famiglie. Il tasso di consumo di suolo era del 2,9% negli anni Cinquanta, del 7,3% oggi. Dei 22mila chilometri quadrati urbanizzati del nostro paese il 30% è occupato da edifici e capannoni, il 28% da strade asfaltate e ferrovie.

Basta case vuote, fragili, dispendiose e insicure come castelli di carta che ha portato avanti alcuni blitz a Milano, Agrigento, Codevigo, Umbertide. Servono subito provvedimenti per fermare il consumo di suolo e la rigenerazione urbana. Passa da qui la risposta per uscire dalla crisi,

ha spiegato il presidente di Legambiente, Vittorio Cogliati Dezza durante la presentazione del rapporto.

Le città maggiormente cementificate sono Napoli e Milano che superano il 60% della superficie totale, seguite da Pescara e Torino, quindi da MonzaBergamoBrescia e Bariche vanno oltre il 40% di superficie urbana impermeabilizzata. Ma il dato più importante è quello che riguarda i 2,5 milioni di edifici residenziali sui quali sarebbe urgente intervenire per una riqualificazione che darebbe lavoro senza consumare altro suolo e contribuendo al risparmio energetico. A tutt’oggi sono 865mila gli edifici residenziali in aree ad alto rischio sismico, per un totale di circa 1,6 milioni di abitazioni, mentre il totale degli edifici residenziali a rischio medio e alto raggiungono i 4,7 milioni con punte di 1,2 milioni in Sicilia e di 800mila in Campania. Gli edifici a rischio frane e alluvioni – in gran parte proprio a causa della cementificazione – sono 1,1 milioni (2,8 milioni di abitazioni e 5,8 milioni di persone che ci abitano), in particolar modo in Campania ed Emilia-Romagna.Partial view of "Cretto di Burri" a big

Fonte:  Legambiente

Foto © Getty Images

Consumo del suolo: una legge contro l’edificazione selvaggia

Legambiente preme per una legge sul contenimento del consumo del suolo e per la rigenerazione urbana1585088461-586x390

Mai come in questi giorni di forti piogge e di drammi causati, in maniera indiretta, dall’impermeabilizzazione di interi territori, il dibattito sul consumo del suolo diventa di strettissima attualità. Le problematiche connesse alla lenta erosione dei territori agricoli sono molteplici e non limitate, esclusivamente, alla riduzione degli spazi riservati a coltivazioni e allevamento. Il problema del consumo del suolo è anche problema di “manutenzione” del territorio e di sicurezza del medesimo e dei suoi abitanti. Legambiente porta avanti da tempo la battaglia dello stop al consumo del suolo e oggi lancia un nuovo appello al presidente del Consiglio Enrico Letta per chiedere a Parlamento e Governo una corsia preferenziale affinché venga al più presto approvata una legge che fermi il consumo di suolo e premi (attraverso incentivi e un fisco più “morbido”) la riqualificazione edilizia, energetica e antisismica del patrimonio edilizio esistente. Il punto di partenza è il Disegno di Legge approvato dal Governo il 15 giugno di quest’anno in materia di “Contenimento del consumo di suolo e riuso del suolo edificato”. A questo disegno di legge Legambiente vorrebbe affiancare alcune integrazioni e modifiche normative che rafforzino l’efficacia dei controlli e accentuino l’attenzione verso la rigenerazione urbana.

Le nostre idee e proposte vogliono tenere insieme gli obiettivi di tutela e di riqualificazione del territorio ed incrociare alcune questioni come la grave crisi che sta vivendo il settore delle costruzioni. E’ indispensabile lanciare un segnale chiaro al mondo dell’edilizia attraverso una Legge che sposti l’attenzione sulla rigenerazione urbana,

spiega Edoardo Zanchini, vice-presidente di Legambiente. Come conciliare lo stop al consumo del suolo con la crisi dell’edilizia? Semplice: rigenerando le tante aree urbane abbandonate o sotto utilizzate. Invece di allargare le aree cementificate, valorizzare e ristrutturare gli edifici preesistenti. Una trasformazione che non si potrà realizzare senza un cambiamento di prospettiva delle imprese edili. Perché come ricorda Damiano Di Simine di Legambiente

Il suolo è un bene comune e una risorsa limitata e non rinnovabile.

Lo Stato può intervenire sulle cause che determinano il consumo del suolo favorendo la rigenerazione urbana e sfavorendo invece una nuova ondata espansiva della cementificazione. Quello che Legambiente chiede è

un nuovo equilibrio tra fiscalità e incentivi che renda attraente, efficace e più semplice l’investimento nella città, impedendo che i capitali in fuga dalla città producono anonime urbanizzazioni e piastre commerciali ai danni di campagne, coste e spazi aperti.

Fondamentali, in questo iter, sono le indicazioni fornite in sede comunitaria. Nella comunicazione della Commissione Europea “Tabella di marcia verso un’Europa efficiente nell’impiego delle risorse” [COM(2011)571] uno specifico capitolo è riservato alla terra (Land) e ai suoli (Soils). Per queste risorse viene fissato un obiettivo molto ambizioso e di vasta portata per quanto comporta a livello urbanistico e territoriale: entro il 2020, le politiche comunitarie dovranno tenere conto dei loro impatti diretti e indiretti sull’uso del territorio, a scala europea e globale, e il trend del consumo di suolo dovrà essere sulla strada per raggiungere l’obiettivo del consumo netto di suolo zero (no net and take) nel 2050. Una formula che non significa che non si potranno più occupare territori e spazi liberi, ma lo si potrà fare a saldo zero, cioè liberando e disigillando una superficie equivalente di terreno da restituire all’utilizzo agricolo o semi-naturale.

Fonte: Legambiente