I cambiamenti climatici sono già nel Tirreno

Grazie all’operazione “Mare Caldo”, Greenpeace Italia ha effettuato una serie di rilevamenti e misurato le temperature nel Mar Tirreno. In questo comunicato vengono descritte le conclusioni dello studio, tutt’altro che confortanti. Siamo tornati nelle acque dell’Isola d’Elba con la barca Bamboo della Fondazione Exodus di don Mazzi per la spedizione di ricerca “Difendiamo il Mare”: proprio qui, nel novembre scorso, avevamo posizionato, insieme all’Università di Genova, una stazione pilota per misurare le variazioni delle temperature del mare a diverse profondità. In poche parole, termometri per misurare la febbre del mare. Oggi pubblichiamo i primi risultati di questo progetto, che abbiamo chiamato “Mare Caldo” e la foto che scattiamo è preoccupante: sia dai termometri installati lo scorso inverno in mare a varie profondità, sia dalle osservazioni preliminari fatte durante i monitoraggi sugli ecosistemi marini a fine giugno, emergono chiaramente i segnali degli impatti dei cambiamenti climatici sui nostri mari. I primi dati registrati dai nostri termometri posizionati fino a 40 metri di profondità indicano, oltre a un aumento repentino delle temperature a inizio giugno che attorno ai 35 metri di profondità sono arrivate fino a 20°C, anche un aumento delle temperature invernali, con una temperatura media minima tra dicembre e marzo di 15°C, di ben un grado più alta delle medie registrate in superficie fino al 2006.

Foto di Greenpeace

Questo riscaldamento delle acque favorisce lo spostamento verso nord di tutte le specie termofile, cioè quegli organismi che normalmente vivono e si riproducono a temperature più elevate, fatto che è confermato da quanto osservato durante le nostre immersioni, abbiamo potuto rilevare la presenza di pesci normalmente abbondanti in aree più calde del Mediterraneo, come la donzella pavonina (Thalassoma pavo) o alcune specie di stelle marine (Hacelia attenuata) o specie considerate “aliene” come l’alga verde Caulerpa cylindracea, originaria delle coste occidentali dell’Australia.

Con le ricercatrici del DiSTAV dell’Università di Genova ci siamo immersi in vari punti intorno all’Isola d’Elba e all’Isola di Pianosa per monitorare gli impatti dell’aumento delle temperature del mare sugli organismi marini. Quello che abbiamo osservato è preoccupante, specie simbolo dei nostri fondali come la gorgonia gialla (Eunicella cavolini) e la gorgonia bianca (Eunicella singularis) presentano evidenti fenomeni di necrosi, con morie che in alcune aree arrivano fino al 50% delle colonie. Nel caso delle gorgonie rosse (Paramuricea clavata) il 10% circa di quelle osservate è risultata impattata, e la maggior parte delle colonie sono state trovate ricoperte da mucillagine. È proprio questo che preoccupa. Nei siti di immersione monitorati abbiamo registrato una copertura quasi totale dei fondali tra i 10 e i 30 metri da parte della mucillagine, fenomeno in parte correlato proprio all’aumento delle temperature e che provoca la morte degli organismi marini per soffocamento aggravando la situazione. Durante le immersioni abbiamo visto anche altri chiari impatti delle anomalie termiche pregresse, come lo sbiancamento o la morte di alcuni coralli (la madrepora a cuscino – Cladocora caespitosa, e alcune alghe corallineacee), nonché la morte di numerosi individui di nacchere di mare o Pinna nobilis, (specie ultimamente decimata proprio da malattie la cui diffusione è favorita dall’aumento delle temperature). Ma se alcuni di questi segnali si osservano anche a Pianosa, in generale la situazione su quest’Isola che è un’ area totalmente protetta è ben diversa: qui l’assenza di invasioni di campo da parte dell’uomo ha favorito il mantenimento di vere e proprie foreste algali, habitat ormai rari in quasi tutto il Mediterraneo e il proliferare della biodiversità – abbiamo incontrato tantissime specie di pesci, e si ha molto meno traccia della mucillagine, chiaro segnale che, laddove il mare è totalmente protetto, le specie hanno una maggiore resilienza a un cambiamento che è già in atto. Che fare per difendere il mare da questo destino “scottante”? Inutile girarci intorno: da un lato servono politiche urgenti per tagliare le emissioni di gas serra e fermare l’aumento delle temperature e dall’altro dobbiamo tutelare le aree più sensibili. I cambiamenti climatici sono solo l’ultimo tassello, che aggrava la crisi di un ecosistema già al collasso per via dell’inquinamento da plastica e della pesca distruttiva. Se l’Italia è seria rispetto all’impegno di tutelare un 30% dei propri mari entro il 2030, dovrà mettere in atto meccanismi precisi per fermare da un lato le attività più distruttive e inquinanti e dall’altro rafforzare la rete già esistente di aree protette. Fonte: https://www.italiachecambia.org/2020/07/rilevamenti-cambiamenti-climatici-tirreno/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

Il Mediterraneo in una trappola… di plastica

Il Mediterraneo è in una tragica e pericolosissima trappola… di plastica. Mare piccolo ma con una ricchissima biodiversità, è anche il mare maggiormente soffocato dala plastica. Vi si concentra infatti il 7% della microplastica globale. Un’impronta umana insostenibile.Plastic ocean pollution - plastic bag and rubbish floating in ocean.

Il Mar Mediterraneo si sta trasformando in una pericolosa trappola per la plastica e l’impatto grava sulle specie marine e sulla salute umana. A rilanciare la piena e assoluta emergenza è il rapporto stilato dal WWF dal titolo “Mediterraneo in trappola: salvare il mare dalla plastica”.

Occorrono azioni che possano ridurre significativamente l’inquinamento da plastica nelle città, negli ambienti marini e costieri sia nel Mediterraneo sia globalmente e a questo proposito è stata lanciata una petizione con 4 richieste rivolte alle istituzioni italiane affinché premano perché venga alla luce al più presto la Direttiva europea che vieta 10 prodotti di plastica monouso; introducano una cauzione sugli imballaggi di plastica monouso; vietino l’uso di microplastiche in tutti i beni di consumo e i prodotti plastici non biodegradabili; finanzino la ricerca e il recupero delle reti da pesca di plastica fantasma, abbandonate in mare.emergenzaglobale_plastica_med_finale_italia_pagina_06

In Europa si produce un enorme quantitativo di rifiuti plastici, di cui una parte consistente non viene correttamente smaltita. Il risultato è che centinaia di migliaia di tonnellate di rifiuti invadono ogni anno il Mediterraneo alterando pericolosamente gli equilibri ecosistemici e la biodiversità marina. La plastica è un nemico invasivo e spietato, difficile da quantificare e, quindi, da sconfiggere, e che ormai è entrato nella catena alimentare. Ad esempio, ogni singolo frammento di plastica può venire colonizzato da alghe, microrganismi e batteri, anche pericolosi come i vibrioni, tanto da creare un vero e proprio nuovo ecosistema chiamato ‘plastisfera’. Le plastiche del Mediterraneo trasportano tra le più alte concentrazioni di organismi diversi mai registrate capaci di avere forti impatti sugli habitat marini con cui entrano in contatto. L’ingente presenza di plastica oltre che per la biodiversità e la salute è una grave minaccia anche per importanti settori economici del Mediterraneo, soprattutto pesca e turismo. Il fenomeno costa al settore della pesca dell’Unione Europea circa 61,7 milioni di euro l’anno.specie_plastica_med_finale_italia_pagina_14

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L’INSOSTENIBILE IMPRONTA DELLA PLASTICA

Lungo le coste mediterranee vivono 150 milioni di persone, che producono tra i maggiori quantitativi di rifiuti solidi urbani pro capite, tra i 208 e i 760 kg l’anno. I turisti che ogni anno visitano il Mediterraneo generano un aumento del 40% dell’inquinamento estivo da plastica. I rifiuti plastici sono trasportati anche da fiumi come il Nilo, l’Ebro, il Rodano, il Po, i due fiumi turchi Ceyhan e Seyhan che sfociano tutti in mare dopo aver attraversato aree densamente popolate.
I grandi pezzi di plastica feriscono, strangolano e causano spesso la morte di animali come tartarughe marine e uccelli marini. Nel Mar Mediterraneo vivono 134 specie tra pesci, uccelli, tartarughe e mammiferi marini, tutti vittime dell’ingestione di plastica. Tutte le specie di tartarughe marine presenti nel bacino hanno ingerito plastica: in un esemplare sono stati trovati fino a 150 frammenti nello suo stomaco. Ma sono le microplastiche, frammenti più piccoli e insidiosi, che raggiungono nel Mediterraneo concentrazioni record di 1,25 milioni di frammenti per chilometro quadrato, quasi 4 volte superiori a quelle registrate nell’ “isola di plastica” del Pacifico settentrionale.europa_plastica_riciclomed_finale_italia_pagina_04

Le microplastiche, entrando nella catena alimentare,  minacciano un numero ancora maggiore di specie animali e mettono a rischio anche la salute umana. Inoltre la plastica galleggiante è una vera e propria spugna che assorbe  i contaminanti marini, come pesticidi e ftalati, che poi rilascia nello stomaco degli organismi che la ingeriscono. Il 78% di questi contaminanti è tossico, persistente e si accumula nei tessuti animali. La plastica rappresenta il 95% dei rifiuti in mare aperto, sui fondali e sulle spiagge del Mediterraneo e proviene principalmente da Turchia e Spagna, seguite da Italia, Egitto e Francia. Secondo quanto riportato nel report, tra le radici profonde dell’inquinamento da plastica ci sono ritardi e lacune nella gestione dei rifiuti nella gran parte dei paesi del Mediterraneo. Dei 27 milioni di tonnellate di rifiuti plastici prodotti ogni anno in Europa [1], solo un terzo è riciclato, mentre la metà in paesi come l’Italia, la Francia e la Spagna finisce ancora in discarica. È infatti ferma al 6% la domanda di plastica riciclata del mercato europeo.
Gli effetti dell’inquinamento da plastica nel Mediterraneo si ripercuotono su tutto il Pianeta, causando seri problemi tanto alla natura quanto alla salute umana. Tutto cio’ avrà ripercussioni negative anche sulla percezione globale del Mediterraneo sia per il turismo sia per la qualità del pescato, mettendo a rischio le comunità locali che dipendono da questi settori per il loro sostentamento. Il problema della plastica è un sintomo del declino dello stato di salute del Mar Mediterraneo e deve servire da monito per un’azione urgente e concertata.

[1] Europa si riferisce qui a: EU-28, Norvegia e Svizzera.

I dati da conoscere

L’Europa (EU-28, Norvegia e Svizzera) è il secondo maggiore produttore mondiale di plastica dopo la Cina. Questo determina che:

-27 milioni di tonnellate di rifiuti plastici prodotti ogni anno

-Tra le 70 e le 130 mila tonnellate di microplastiche (frammenti più piccoli di 5 mm) e tra le 150 e le 500 mila tonnellate di macroplastiche (equivalenti a 66.000 camion dei rifiuti) finiscono ogni anno nel Mar Mediterraneo e nei mari d’Europa;
-Il Mediterraneo rappresenta solo l’1% delle acque mondiali ma nelle sue acque si concentra il 7% della microplastica globale
-Sulle coste del Mediterraneo vivono 150 milioni di persone, che producono tra i maggiori quantitativi di rifiuti solidi urbani pro capite, tra i 208 e i 760 kg l’anno. I turisti che ogni anno visitano il Mediterraneo generano un aumento del 40% dell’inquinamento estivo da plastica. I rifiuti plastici sono trasportati anche da fiumi come il Nilo, l’Ebro, il Rodano, il Po, i due fiumi turchi Ceyhan e Seyhan che sfociano tutti in mare dopo aver attraversato aree densamente popolate.
-L’inquinamento da plastica costituisce una grave minaccia per importanti settori economici del Mediterraneo, soprattutto la pesca e il turismo. La presenza di plastica costa al settore della pesca dell’Unione Europea circa 61,7 milioni di euro l’anno in quanto determina minori catture (e quindi le minori entrate), danni alle imbarcazioni e agli attrezzi da pesca, riduzione della domanda da parte dei consumatori (preoccupati dalla presenza di plastica nelle carni del pesce).europa_plastica_med_finale_italia_pagina_03

Dati chiave su biodiversità e inquinamento da plastica:

-90% delle specie di uccelli marini del mondo presenta frammenti di plastica nello stomaco

Nel Mar Mediterraneo sono 134 le specie (pesci, uccelli, tartarughe e mammiferi marini) vittime dell’ingestione di plastica
-Tutte le specie di tartarughe marine del Mediterraneo hanno ingerito plastica. In un esemplare sono stati trovati fino a 150 frammenti nello stomaco

-La plastica in mare, inclusi i pellet, i frammenti anche microscopici, contiene di per sè additivi e in più assorbe dall’acqua altri contaminanti tra cui pesticidi, ftalati, PCB e bisfenolo A. Nel momento in cui i contaminanti della plastica entrano all’interno di un organismo vivente interferiscono con importanti processi biologici, causando danni epatici e alterando il sistema ormonale e riproduttivo.

-Il plancton del Santuario Pelagos (nel Mediterraneo nord-occidentale) presenta elevati livelli di contaminanti in primis ftalati. Le balenottere comuni di quest’area hanno concentrazioni di ftalati 4-5 volte più alte che in altre aree.

Fonte: ilcambiamento.it

Aumentano i tornado violenti nel Mediterraneo per il riscaldamento globale, uno studio ENEA – CNR

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Sempre più probabile il verificarsi di trombe marine e tornado intensi nei mari italiani a causa dell’innalzamento della temperatura superficiale dell’acqua dovuta al riscaldamento globale. È quanto emerge da una ricerca ENEA – CNRpubblicata su Scientific Report di Nature, una delle più antiche e autorevoli riviste scientifiche al mondo. Sempre più probabile il verificarsi di trombe marine e tornado intensi nei mari italiani a causa dell’innalzamento della temperatura superficiale dell’acqua dovuta al riscaldamento globale. È quanto emerge da una ricerca ENEA – CNRpubblicata su Scientific Report di Nature, una delle più antiche e autorevoli riviste scientifiche al mondo. Lo studio è stato condotto su un tornado che si è abbattuto su Taranto nel novembre del 2012, quando la temperatura in superficie del mar Ionio era superiore di 1 C° rispetto alla media del periodo.StudioENEACNR

“I tornado violenti sono generati da celle temporalesche, chiamate supercelle, che si formano solo in determinate condizioni meteorologiche. Attraverso un esperimento modellistico abbiamo dimostrato che 1 C° di variazione di temperatura è stato determinante per formare la supercella, quindi il tornado”, spiega il ricercatore ENEA Vincenzo Motola, uno degli autori dello studio. “Infatti, aumentando la temperatura del mare cresce anche la sua energia, che viene ‘ceduta’ alla supercella. Tuttavia, la proporzionalità tra il calore del mare e l’intensità del tornado non è lineare. Questo vuol dire che, superata una certa temperatura, la violenza di questi fenomeni aumenta in maniera più che proporzionale”.

In questo studio i dati numerici raccolti dal CNR sono stati elaborati dall’ENEA con il software ESRI-Arc-GIS, che ha prodotto una mappa capace di visualizzare  geograficamente il fenomeno ed evidenziare il ruolo dell’orografia nello sviluppo del tornado. Nel caso del tornado al largo di Taranto, la Sila, la catena montuosa che attraversa la Calabria, ha contribuito a creare le condizioni di vento per la formazione del fenomeno violento. Oltre ad aver fornito importanti risultati scientifici, questo studio ha anche dimostrato che unendo le competenze modellistiche previsionali del CNR, alle competenze GIS (Geographical Information System) del l’ENEA per la realizzazione delle mappe, si aprono nuove prospettive nella validazione di modelli per le previsioni meteo e lo studio di sistemi complessi che determinano la formazione di fenomeni meteorologici estremi.

Per maggiori informazioni: Lo studio completo pubbblicato su Scientific Report

Fonte: ecodallecitta.it

Perotti ci guida alla scoperta delle isole del Mediterraneo

Simone Perotti, scrittore/marinaio, un filosofo dell’esistenza, paladino del cambiamento vissuto in prima persona. È tutte queste cose e da qualche anno se ne va in giro per il Mediterraneo con la sua barca, accogliendo persone, raccontando storie, influenzando vite. Esce il 18 ottobre il suo ultimo libro: “Atlante delle isole del Mediterraneo”.9669-10444

Un libro da leggere e da vedere. Una mappa da seguire. Anzi, una mappa per seguirsi, ritrovarsi, dove siamo già. Il Mediterraneo. Il nuovo libro di Simone Perotti è già un “mattoncino” importante della sempre costruenda “casa del cambiamento”. È lui stesso a spiegarci da dove nasce e come nasce questa ultima fatica letteraria.

Come nasce l’idea dell’Atlante delle isole del Mediterraneo?

La storia è di quelle un po’ fatali, se vogliamo. Quando ebbi tra le mani, per la prima volta, l’”Atlante delle isole remote” di Judith Shalanski, edito in Italia da Bompiani, rimasi abbastanza di stucco. Quel libro era bellissimo, ma soprattutto era terribilmente simile a un libro scritto in gioventù, rimasto nei miei cassetti, che avevo intitolato “Atlante delle spiagge dell’immaginario”. immaginavo di scrivere di baie vere o immaginarie usando il registro letterario per comunicare ciò che, diversamente, sarebbe stato inesprimibile. Una sorta di “procedimento geosofico” ante litteram. Descrivere quelle baie, prevalentemente su isole remote, era impossibile, e ancor meno quelle che andavo sognando. Avevo in testa e nel cuore, suggestionato dalla navigazione a vela, un mondo di atmosfere, di voci, di volti, di luci, di stati emotivi. Vedere quel libro, tenerlo tra le mani, mi fece trasalire. Perché non avevano chiesto a me di scriverlo? Chi era questa tedesca dell’est che scriveva e pubblicava il mio libro? Seppi dopo che l’idea di quell’Atlante era stata la sua, che lei partiva dalla sua formazione grafica, etc. Ma mi rimase un profondo languore. Ricordo che andai a rileggere il mio Atlante, scritto forse più di due decenni fa. Poi un giorno, mentre navigavo a Kos, mi arrivò la telefonata di Marco Piani, editor di Bompiani, che mi chiedeva se conoscessi quel libro e se fossi interessato a scriverne uno per loro sul Mediterraneo. Un libro diverso, ma pure in continuità con quello che, nel frattempo, era diventato un cult, un piccolo grande caso editoriale. Trasalii ancora una volta. Stavo finendo di correggere le bozze di Rais. Chiesi un mese di tempo per finire il mio romanzo. Poi mi misi immediatamente a scrivere.

Si tratta di un atlante geografico? Una guida per chi vuole mettersi in mare e scoprirlo? Che cos’è esattamente l’Atlante delle isole del Mediterraneo?

È un testo geosofico appunto. Un viaggio alla ricerca del Mediterraneo attraverso lo strumento della geosofia, che non descrive geograficamente, e neppure specula filosoficamente, ma fonde queste due scienze, o discipline, o culture per comprendere davvero i luoghi, per entrare dentro la loro anima, per consentire a chi legge di vedere l’invisibile che li definisce. L’altro aneddoto interessante è che mentre scrivevo mi sono reso conto che quel che facevo era usare uno strumento meticcio, un metodo di indagine contaminato, nuovo, differente, e che se avessi dovuto definire tutto questo avrei dovuto coniare una parola nuova, mi venne in mente: psicografia, oppure geosofia. Mi accorsi che avevo inventato due parole, due neologismi, e questo mi parve bellissimo. Dopo qualche giorno mi accorsi tuttavia che le due parole esistevano già. E indicavano esattamente quello che stavo facendo. Rimasi impressionato. non capita tutti i giorni di fare qualcosa di nuovo (almeno per sé), di trovargli un nome, e di accogersi poi che esiste già tutto. Da un lato si resta delusi, dall’altro ero orgoglioso di aver raggiunto una parola da solo, averla vissuta, fatta nascere dentro di me autonomamente. Una sorta di viaggio pionieristico nei significati e nelle pratiche. Ecco cos’è il mio Atlante delle isole del Mediterraneo. Ma se ci pensi, ecco cos’è, in generale, la conoscenza, ecco cos’è il viaggio, cosa dovrebbe essere sempre il sapere, la vita stessa…

L’hai scritto da solo o con amici o collaboratori? In quanto tempo hai messo insieme i materiali necessari a scrivere l’Atlante?

Sono del tutto incapace di studiare e scrivere con chiunque, perfino uno sconosciuto che cammini a mezzo chilometro da me. Ci sono cose che vanno fatte da soli. Il percorso artistico di un autore è un viaggio solitario. In questo caso, tuttavia, il ruolo dell’editore, da Marco Piani a Marco Zung ai colleghi della Bompiani, è stato essenziale. Un libro così ricco, e consentimi, così bello, si fa in molte teste. Un grazie sentito va a loro.

Ci parli delle mappe? Che cos’hanno di diverso dalle cartine che possiamo trovare sui normali atlanti geografici? Chi le ha disegnate e secondo quali criteri?

Qui abbiamo dovuto immaginare tutto da capo. Non volevamo fare né straniamenti grafici né riproposizione pedissequa di carte nautiche. Nel primo caso avremmo banalizzato, nel secondo avremmo confuso. Leggere una carta nautica non è cosa che possa fare chi non è esperto di navigazione, e io volevo invece consentire al maggior numero possibile di lettori di immergersi nello splendore della cartografia, “vedere” attraverso i segni su un foglio, emozionarsi come i primi “pintori” genovesi che disegnavano carte del mondo allora sconosciuto. Rappresentare il mondo in modo veritiero, verosimile, addirittura indicativo su un foglio bianco, bidimensionale, è una magia. Ecco perché le carte nautiche ci affascinano così tanto. Sono una visione, una modalità di relazione col mondo. “Disegnare il mare”, disegnare il mondo, è una delle pratiche più antiche della creatività umana. E poi ero fresco del mio ultimo romanzo, Rais, dove tutto ruota intorno alla carta di Piri Rais, un ammiraglio cartografo ottomano del XVI secolo. Un mistero ancora oggi privo di risposte certe. Un fascino straordinario. La scelta fatta è stata quella, davvero enorme e onerosissima, di partire da zero, dal foglio bianco. Ho spiegato i maggiori rudimenti di cartografia, ho illustrato il senso della rappresentazione del mare, delle batimetriche, delle linee altimetriche sulla terraferma. Ci siamo interrogati su tutto quel che potevamo togliere, per non complicare la lettura ai non addetti ai lavori, e ciò che invece dovevamo lasciare sulle carte, perché serviva a rendere il fascino di quel mondo sospeso. Ne è emerso un lavoro dialettico lungo e ricco, anche complesso, Marco Zung è stato molto bravo a recepire tutti i miei racconti. Il risultato trovo che sia splendido.

Seguendo le indicazioni e le mappe dell’Atlante dove si può arrivare? 

Spero si arrivi a sentire. Sarebbe il risultato più ambizioso. Sentire il mare, sentire le baie, sentire i porti, viverci dentro, almeno per lo spazio minuto e inesauribile della letteratura. Conoscere le isole è possibile soltanto così. Non certo facendo i turisti o leggendo una guida.

Tutti i luoghi descritti sono reali?

Sì. Sono 42 isole del Mediterraneo inteso come area culturale, dunque anche del Mar Nero.

Dove si trova l’Isola che c’è?

L’isola che merita di essere menzionata c’è, è vera, sta lì, ti aspetta, basta andarci, assumersi la responsabilità di partire e andare per le vie che conducono ad essa, per mare. Ogni altra isola, costruita per non esserci, costruita per non esistere, è solo un alibi di chi non ha mai avuto il coraggio di sognare. Il concetto stesso di Isola che non c’è, ci ha rovinati. Così siamo autorizzati a non partire, e a sentirci perfino dei giusti non facendolo. Questa è ipocrisia, e irresponsabilità. Ogni desiderio di isola corrisponde a una carta, si può studiare, e raggiungere. Il resto è, sovente, una masturbazione dannosa. Andiamoci, sulle isole, le nostre, quelle vere, interiori, da toccare tuttavia, invece che pensare inutilmente a non partire per l’isola che non c’è.

Il calendario delle prime presentazioni?

Sono sul mio sito le prime fissate, all’agenda QUI

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Fonte: ilcambiamento.it

Referendum anti-trivelle, Mattarella firma: niente Election Day. Greenpeace: “Sottrazione di democrazia ingiustificabile”

Il referendum sarà il 17 aprile. Ufficializzata quindi la decisione del governo di non accorpare la consultazione con le elezioni amministrative ma la decisione della Consulta su due quesiti esclusi potrebbe impattare sulla data

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L’Election Day non ci sarà. Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha firmato il decreto sulle norme in materia ambientale che indice il referendum popolare anti-trivelle per il 17 aprile. Viene quindi ufficializzata la decisione del governo di non accorpare la consultazione referendaria con le elezioni amministrative, come chiedevano gli ambientalisti e i presidenti delle Regioni interessati dalle trivellazioni in Adriatico. Il Colle si giustifica dichiarando che la firma è avvenuta in base al decreto 98 del 2011, che prevede la possibilità di abbinare tra loro referendum o elezioni di diverso grado ma non elezioni con referendum. Per l’unico precedente di abbinamento referendum-elezioni, nel 2009, è servita un’apposita legge. Secondo Greenpeace, che aveva avviato una raccolta firme on line per chiedere un’unica data, lo spreco di risorse pubbliche che sarebbe stato possibile risparmiare con l’Election Day “coincide con una sottrazione di democrazia ingiustificabile”. Per l’associazione questa scelta costerà agli italiani ” tra i 350 e i 400 milioni di euro di soldi pubblici”. Inoltre viene sottolineato come “la durata della campagna elettorale risulta compressa al limite della legge: è possibile, ad esempio, che non vi siano i tempi tecnici per garantire almeno i 45 giorni previsti dalla legge sulla par condicio”.

Opinione condivisa anche dalla presidente di Legambiente Rossella Muroni, che alla vigilia della firma di Mattarella, scriveva che il Governo Renzi “non solo sta investendo 360 milioni dei nostri soldi per far fallire il referendum, ma vuole anche impedire che ci sia il tempo e il modo per realizzare una campagna referendaria che metta al centro del dibattito pubblico e politico quelle scelte energetiche, come rinnovabili ed efficienza energetica, che il nostro Paese deve compiere in modo strategico e in coerenza con gli accordi presi alla Cop 21 di Parigi”.

La scelta di non accorpare i due appuntamenti ha suscitato anche le proteste anche del presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano, che raggiunto da ilfattoquotidiano.it ha detto di essere “addolorato” per la decisione.
I cittadini sono chiamati a pronunciarsi sull’abrogazione della legge sulle trivellazioni limitatamente alle parole “per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale”. La Corte costituzionale il 19 gennaio ha infatti dichiarato ammissibile solo il sesto quesito tra quelli promossi da Basilicata, Marche, Puglia, Sardegna, Veneto,Calabria, Liguria, Campania e Molise. Si tratta di quello che si concentra sulla previsione che i titoli abilitativi già rilasciati debbano essere fatti salvi, appunto, fino a quando il giacimento si esaurisce.

La scelta del governo appare ancora più scellerata se si pensa che rimangono ancora in piedi due conflitti di attribuzione su altrettanti referendum esclusi dalla Cassazione a gennaio: quello sul piano delle aree per ricerca ed estrazione di idrocarburi e quello sul doppio regime per il rilascio dei titoli. La camera di consiglio della Corte Costituzionale dovrà valutare il 9 marzo la loro ammissibilità. Se dovesse essere riconosciuta le Regioni dovranno notificare alla controparte l’ordinanza di ammissibilità e poi dovrà pervenire alla cancelleria della Corte la documentazione dell’avvenuta notifica. Ci sono quindi dei tempi tecnici per l’espletamento di tutta la pratica che potrebbero impattare sulla data del 17 aprile decisa per il referendum.

 

Fonte: ecodallecitta.it

Mediterraneo a un passo dal collasso

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Il Mar Mediterraneo, il “mare nostrum” sul quale si affaccia una popolazione di 150 milioni di persone (+17% rispetto al 2000) è sull’orlo del collasso. Le cause sono tante: dall’esplosione demografica al turismo, dall’acquacoltura all’inquinamento. In questo mare che rappresenta l’1% delle acque marine mondiali sono presenti dal 4 al 18% delle specie marine conosciute, una biodiversità in pericolo secondo lo studio MedTrends, pubblicato la scorsa settimana dal WWF. Il Mediterraneo è a un passo dal burn out ovverosia del punto di non ritorno in cui la sua fauna non sarà più in grado di rigenerarsi. Il trasporto marittimo, la pesca, lo sfruttamento delle risorse minerarie, gli impianti eolici e la protezione dei cetacei sono le criticità con le quali occorre e occorrerà fare i conti. L’unico dato in diminuzione è quello della pesca professionale: nel Mediterraneo ci sono sempre meno pesci per alimentare l’approvvigionamento delle 73 imbarcazioni della regione. Cresce, invece, l’acquacoltura passata dalle 540mila tonnellate del 1990 al milione e 400mila tonnellate di oggi. Nell’ultimo mezzo secolo il numero delle città con più di 10mila abitanti situate lungo i 46mila chilometri di costa mediterranea è praticamente raddoppiato. Il Mediterraneo attira 300 milioni di turisti ogni anno ed è la seconda regione al mondo per il turismo delle crociere dopo i Caraibi. Fra le specie acquatiche maggiormente minacciate da questo ipersviluppo vi sono le foche monache, i tonni rossi e gli squali. E, secondo il rapporto di WWF, il raddoppio del Canale di Suez (97 navi al giorno nel 2023 contro le 49 attuali) farà letteralmente esplodere i rischi di collisioni, inquinamento, rumore sottomarino e gli ingressi di specie aliene in grado di alterare gli equilibri ecosistemici dei nostri mari.

Fonte:  WWF

Il silenzio, il presente, il senso delle cose

Simone Perotti è da maggio in navigazione sulla nave Mediterranea, con un progetto unico che lo porterà fino al 2018 nel Mediterraneo, nel Mar Nero e nel Mar Rosso. Dalla nave legge e vede quanto sta accadendo nel mondo. Ospitiamo le sue riflessioni. Grazie Simone.simone_perotti_gaza

Difficile trovare un senso alle cose, in questi giorni. Non bastava la burrasca interiore, quella che tiene impegnato ognuno di noi tra le onde del destino e il proprio piccolo scafo dell’anima. Le immagini che arrivano dal mondo fanno inorridire: quelle del jihadista che posta su facebook la foto del figlio con una testa mozzata tra le mani; i colpi secchi dei fucili che passano per le armi decine di giovani stesi nella polvere, in Iraq; ancora colpi, quelli delle pistole che freddano alla nuca altri “nazareni”. Ho rivisto Il Cacciatore, capolavoro di Michael Cimino. All’epoca parve di una durezza efferata. L’ho riguardato come uno splendido film sull’amicizia e sul dramma di occuparsi sempre degli altri (De Niro) e finire col ritrovarsi soli proprio per questo. Eppure quella solitudine del protagonista è la stessa che gli fa risparmiare il cervo, nelle scene finali, quando dopo un lungo inseguimento in una battuta di caccia è a tiro, ormai, lo punta, ma poi alza la canna del fucile. La solitudine ha a che fare con il nuovo modello di vita possibile? E ogni tragedia umana deriva dall’eccesso di promiscuità? Può darsi. O forse no. Leggo molto, in questi giorni, sui monaci sufi di Hajji Bektash Veli, e poi sui meteoriti ortodossi, o sulle mille storie di eremitismo. Uomini soli, che meditavano, che cercavano il senso dove solo era possibile trovarlo. Un amico caro, a cui confidavo i miei pensieri tortuosi, mi ha scritto un messaggio qualche giorno dopo: “Scusa se non ho saputo darti consigli. Però ho ripensato molto a quello che mi hai raccontato. Emergono in me due parole: silenzio e presente”. Nel silenzio e nel presente non c’è violenza, non c’è mai aggressione. Non ci aggrediamo verso l’interno, né violentiamo fuori di noi. Ne ha esperienza il marinaio. Cosa fa la burrasca, in fondo? Irrompe clamorosa nella quiete e lancia il cuore verso il futuro. I colpi dell’onda portano la mente del navigatore fino al porto che verrà, dove vorrebbe già trovarsi, a riparo, oppure al prossimo temuto peggioramento del vento, che si augura di non vedere di lì a poco. Quando il silenzio s’impadronisce nuovamente della scena il futuro scompare, gli istanti tornano a battere il ritmo del cuore. Allora, forse, si può tornare a vivere. A chi si intestardisce sulle scelte di vita, quelle che iniziano sempre dal tema dei soldi, del lavoro, della casa, mi trovo sempre più spesso a sorridere. Come sarebbe lungo il discorso che dovrei fargli. Sarebbe tutto incentrato sul tempo, sul silenzio, sulla solitudine. Ma credo che i più non vogliano ascoltarlo. Allora sto zitto, che non servirà forse a loro, ma fa bene a me.

Fonte: ilcambiamento.it

Mediterraneo, sulle coste italiane fino a 27 rifiuti plastici ogni kmq

Le cifre del monitoraggio di Goletta Verde sui rifiuti plastici richiamano alle proprie responsabilità gli stessi pescatori che buttano in acqua le cassette di polistirolo.

Il Mediterraneo è invaso dai rifiuti plastici e dopo 87 ore di osservazione nei mari italiani e il monitoraggio di 1700 km di mare da parte di Goletta Verde Accademia del Leviatano sono stati pubblicati i dati che certificano il grado di sporcizia delle nostre acque. Il report che ha visto Legambiente collaborare con Coou – Consorzio obbligatorio oli usati, Novamont e Nau! e con l’Accademia del Leviatano, in collaborazione con il Dipartimento Difesa della natura di Ispra e dal Dipartimento di Biologia dell’Università di Pisa. Nelle tratte costiere prese in considerazione nei mari Tirreno, Adriatico e Ionio sono stati trovati 700 rifiuti galleggianti con punte di ben 27 per ogni kmq nel Mare Adriatico che si distingue per il poco nobile primato dei rifiuti plastici connessi all’attività della pesca: le reti ma, soprattutto, i contenitori di polistirolo che, a frammenti o interi, galleggiano fino a raggiungere le nostre coste. I rifiuti provenienti dalla pesca rappresentano il 20% della sporcizia superati solamente dalle buste di plastica (41%) e dai frammenti di plastica (22%). Nel Mar Tirreno, “staccato” di poco con 26 rifiuti per kmq, il 91% dei rifiuti è rappresentato dalla plastica, di cui più di un terzo è rappresentato da bottiglie e contenitori per detergenti. Si tratta di dati che la dicono lunga sulla sconfitta culturale ed ecologiche di chi, come Legambiente e altre associazioni ambientaliste, si batte per la pulizia dei nostri mari. Il dato più paradossale è l’assoluta noncuranza da parte dei pescatori ovverosia della categoria di lavoratori che dovrebbero essere maggiormente interessati a mantenere il mare sano e pulito, poiché è il mare a garantire la loro sopravvivenza. Una maleducazione (nel senso più letterale del termine) che rischia di costare molto cara e il cui prezzo non verrà pagato solamente dai pescatori: una volta entrata nella catena alimentare, la plastica contamina i pesci che finiscono sulle nostre tavole. Per buttare la plastica cassonetti e cestini non mancano.Rubbish Litters UK Beaches

Fonte:  Legambiente

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