Ma se i cambiamenti climatici e l’emergenza ecologica fanno molti più morti del coronavirus, a quando allora i lockdown e i DPCM per salvare il genere umano che rischia di non sopravvivere al disastro del Pianeta? Rischiamo una previsione: mai.
Non entriamo nel merito se siano giustificate o meno le pesantissime restrizioni della libertà a cui siamo costretti ormai da un anno ma, anche ammettendo che lo siano, se tanto ci dà tanto, visto che a livello ambientale il pericolo è molto più grande del coronavirus e le conseguenti vittime sono molte di più, da chi dice di proteggere la nostra salute ci aspetteremmo un “lockdown ambientale” e DPCM con misure rigidissime e capillari perchè in gioco c’è la sopravvivenza dell’intero genere umano. E invece niente di questo accade. Circa la catastrofe ambientale nessuna misura drastica è stata presa, niente è stato chiesto di fare ai cittadini, figuriamoci imporglielo come oggi si impongono mascherine, gel, coprifuochi, chiusure, distanziamenti, con tanto di pesanti multe e nonostante ci siano sempre più perplessità che tutte queste misure abbiano una reale efficacia. E pensare che invece per salvare l’ambiente e conseguenti vite umane, le misure che dovrebbero essere prese sarebbero di immediata e indubbia efficacia.
Ci si chiede allora: ma della salvaguardia di quale salute e di quali vite si sta parlando? Perchè per proteggere alcune vite si agisce e per altre no? Ma come può essere possibile questa incredibile e macroscopica disparità? E se fosse vero che tutte queste misure sono necessarie per proteggere la nostra salute, allora non si capisce come mai, ad esempio, gli allevamenti intensivi, autentiche bombe ecologiche e sanitarie produttrici di sofferenza e cibo malsano, non vengano chiusi all’istante. Se si agisse così si tutelerebbe la salute di persone e animali ma ciò paradossalmente non sembra essere affatto un obiettivo di chi ci dice che sta facendo di tutto per la nostra salute e questo la dice lunga sulla sua credibilità. Una ulteriore prova della “inspiegabile” situazione di disparità in cui si adottano due pesi e mille misure ce la dà una voce ufficiale come quella del neo ministro per la transizione ecologica Cingolani (quindi non certo un “complottista”) in un suo articolo scritto recentemente per il quotidiano la Repubblica, dove cita dati da ecatombe ed emergenza gravissima.
«…il riscaldamento climatico è causa di siccità, con un impatto enorme sulla fauna e l’agricoltura; lo scioglimento dei ghiacciai diminuisce le risorse di acqua dolce mentre l’innalzamento del livello dei mari porta all’erosione delle coste. I continui scambi di calore tra una terra surriscaldata e la stratosfera, più fredda, generano eventi metereologici estremi, come tifoni e nevicate improvvise, che devastano i territori. Se si eccettuano i terremoti, dal 1980 ad oggi il numero di eventi naturali catastrofici è aumentato in maniera costante di anno in anno; ciò ha causato la perdita di 400.000 vite umane e la spesa di più di un trilione di dollari, pari all’1,6% del PIL mondiale».
«E mentre la terra si riscalda, peggiora anche la qualità dell’aria che respiriamo, con un impatto sulla salute di Sapiens e sul suo ecosistema. L’emissione di particolati carboniosi (Black Carbon), idrofluorocarburi e metano, inquina l’atmosfera e provoca il rilascio di sostanze tossiche, con gravi conseguenze sociali ed epidemiologiche. Ogni anno, l’inquinamento dell’aria causa tra i sei e i sette milioni di decessi nel mondo».
E questo senza contare i milioni di morti che si hanno per l’inquinamento di terra, cibo e acqua, laddove i cibi che mangiamo e l’acqua che beviamo sono pieni di ogni tipo di inquinante che determina malattie letali.
Dove sono i lockdown, dove sono i dpcm, dove sono le imposizioni drastiche immediate, necessarie per far fronte a questa immane catastrofe? Spieghino politici, esperti, task force varie, che tanto sembrano prodigarsi per la nostra salute, perché niente si fa in questa direzione, ma proprio niente, nemmeno lontanamente paragonabile a quello che si è fatto e che si continua a fare per il Covid. Ci spieghino il perché, ci spieghino come si fa a non vedere l’ovvio, ci spieghino perché non agiscono con la stessa solerzia, la stessa sicumera, la stessa drammaticità come quando ci snocciolano quotidianamente le cifre dei morti di serie A, cioè quelli da Covid, gli unici che per loro contano. Perchè per gli altri morti non si fanno bollettini quotidiani, aperture di telegiornali, articoli e servizi a non finire, speciali di ogni tipo, reportage chilometrici, ecc. ? Chi invoca lockdown a tutto spiano, alimentando un terrore mediatico martellante, ci chiediamo perché non faccia lo stesso per una situazione molto più grave come quella ambientale. Finché non avremo risposte o interventi in questo senso, non potremmo che continuare a dare credibilità zero per chi divide salute e morti di serie A e salute e morti di serie Zeta. E il perché lo faccia, speriamo che venga a galla presto, prima che la catastrofe ambientale si aggravi diventando ancora più irrefrenabile visto che continuiamo a non fare nulla preoccupandoci di tutt’altro. E intanto in pochi giorni a febbraio siamo passati da temperature sottozero a temperature quasi estive, ma come disse il comandante del Titanic: andiamo avanti tranquillamente…..
Ricoveri ospedalieri, perdita di benessere, riduzione dell’aspettativa di vita: questi i fattori che fanno la somma del costo sociale, una spesa che per gli italiani ammonta a 1.400 euro per ogni cittadino. La stima da uno studio europeo a cui collabora Legambiente. I costi dell’inquinamento dell’aria connessi all’alto numero di automobili in circolazione e alla carenza del trasporto pubblico incidono sul portafoglio degli italiani più che nel resto d’Europa. Ricoveri ospedalieri, perdita di benessere, impatti indiretti sulla salute e, quindi, riduzionedell’aspettativa di vita. Sono questi i fattori che fanno la somma del costo sociale, una spesa che per gli italiani ammonta a un costo medio di 1400 euro per ogni cittadino, equivalente a circa il 5% del PIL. Il peso che ogni cittadino è costretto a sobbarcarsi per far fronte ai danni derivanti dall’inquinamento atmosferico. In Europa, invece, la stima è più bassa e si aggira intorno a quota 1250 euro per una percentuale del 3,9%. A far emergere questi dati è lo studio “Costi sanitari dell’inquinamento atmosferico nelle città europee, connesso con sistema dei trasporti”, diffuso nella giornata di oggi dalla società di consulenza CE Delf, che ha preso in esame 432 città europee, in 30 paesi (27 paesi UE più Regno Unito, Norvegia e Svizzera). Lo studio si riferisce a dati raccolti per l’anno 2018 ed è commissionato dall’Alleanza europea per la salute pubblica, una ONG di interesse pubblico presente in 10 paesi dell’Unione Europea (European Public Health Alliance – EPHA). Per quanto riguarda l’Italia è Legambiente a collaborare al progetto.
Roma, Milano e Torino sono tra le prime 25 città europee per costi sociali in assoluto, mentre ben 5 città italiane sono nella top ten per costi pro capite, di cui due lombarde (Milano seconda dopo Bucarest, seguita dal terzo posto di Padova, al sesto Venezia, al settimo Brescia e al nono posto Torino). E maggiore è il numero di automobili in strada e più aumenta il tempo trascorso nel traffico più si alzano i costi sociali dell’inquinamento. “Un aumento dell’1% del tempo medio di percorrenza per recarsi al lavoro aumenta i costi sociali delle emissioni di PM10 dello 0,29% e quelli delle emissioni di NO2 anche dello 0,54%. Un incremento dell’1% del numero di autovetture in una città aumenta i costi sociali complessivi di quasi lo 0,5%”, è quanto viene evidenziato dallo studio diffuso oggi da CE Delf.
Quindi, nonostante le difficoltà oggettive di valutazione, lo studio riesce a stimare la diretta connessione tra costi dell’inquinamento dell’aria (dovuta a smog, emissioni PM10 e N20) e l’aumento dei costi sociali per gli italiani. «Secondo i risultati dello studio Milano ha perso poco meno di tre miliardi e mezzo di euro in un anno in welfare e costi sociali, superata soltanto da Roma» dichiaraBarbara Meggetto, presidente di Legambiente Lombardia. «L’inquinamento continua a sprofondare i bilanci già gravemente compromessi delle nostre città. Milano è seconda in Europa dopo Bucarest per costo pro capite, con oltre 2800 €/anno, una cifra sottratta al benessere e alla capacità di spesa dei cittadini. Gli scienziati indicano chiaramente la responsabilità dei trasporti nell’emissione dei diversi inquinanti presi in esame. È ora di scelte coraggiose e convinte, basta con indulgenze e mezze misure, si deve uscire velocemente dal fossile e incentivare multimodalità e sharing».
E i costi calcolati potrebbero essere ancora più alti se – citando lo studio – “si includessero adeguatamente i costi correlati alla pandemia COVID-19. Le comorbilità sono un elemento preponderante nella mortalità di pazienti affetti da COVID-19 e fra le più importanti vi sono quelle associate all’inquinamento atmosferico. Da diversi documenti di ricerca si evidenzia che la scarsa qualità dell’aria tende ad aumentare la mortalità di pazienti affetti da COVID-19. Pertanto, i costi sociali di una scarsa qualità dell’aria potrebbero essere maggiori rispetto a quanto stimato in questa ricerca”. Secondo Andrea Poggio, responsabile mobilità Legambiente «il costo dell’inquinamento, aggravato quest’anno alla pandemia Covid19, è particolarmente pesante per i redditi più bassi: l’inquinamento, come il Covid colpisce tutti, ma chi è più povero fatica a mitigarne gli effetti ed accedere alle cure. I governi nazionale e regionali devono adottare al più presto politiche pubbliche per mobilità e riscaldamento ad emissioni zero, per tutti, ma soprattutto per chi è meno abbiente. Servono mezzi pubblici elettrici, bici e auto elettriche condivise, serve in città agevolare e promuovere subito la mobilità ciclo-pedonale. Serve il superbonus (110%) se ben speso per ridurre l’inquinamento da riscaldamento. Non servono invece proroghe ai permessi di circolazione dei veicoli diesel più inquinanti, non servono bonus per l’acquisto di auto di proprietà a combustione. Iniziare a ridurre a zero, o quasi, l’inquinamento deve divenire una priorità nazionale del Recovery plan italiano».
Matteo e Chiara, giovanissimi ma con un sogno che stanno già realizzando: un’azienda agricola biodinamica rispettosa dell’ambiente e della salute. Una scelta meditata e consapevole. In bocca al lupo!
È un piccolo paradiso terrestre in collina, a Badia Calavena, dove ci sono galline di razze ormai introvabili, asinelli, una sessantina di arnie, parcelle di grani antichi, alberi da frutto, un orto con vegetali di cui altrove si sono persi sapori e profumi. E a contrada Trettene, poco sopra l’abitato di Sant’Andrea ci sono anche loro, Matteo Caloi, 19 anni e la sua fidanzata Chiara appena maggiorenne, ma entrambi con un sogno che stanno realizzando: avviare un’azienda agricola biologica e biodinamica, rispettosa dell’ambiente, del lavoro di uomini e animali e del giusto habitat delle piante. Non è un colpo di testa di un giovane appena diplomato che si immagina imprenditore: Matteo ha frequentato l’Istituto tecnico agrario Stefani Bentegodi di Buttapietra e ora è al secondo anno di un corso post diploma di specializzazione in agricoltura biologica e biodinamica. I tecnici di Avepa, l’agenzia regionale che controlla le domande per i bandi del Piano di sviluppo rurale ammessi a contributo, sono usciti a verificare la sua richiesta di partecipazione e gli hanno fatto i complimenti, sorpresi di trovare in un giovanissimo tanta passione e altrettanta competenza. Chiara, pur arrivando dalla città e con un diploma di parrucchiera che sta mettendo a frutto con un tirocinio in un salone dove si usano solo preparati vegetali per la cura dei cappelli, è stata trascinata dall’entusiasmo di Matteo e oggi è lei che cura il pollaio, con la razza antica della Cucca Veneta, una gallina che pareva estinta, ma di cui i due sono riusciti a recuperare qualche esemplare. I grani antichi sono una specialità che Matteo coltiva in parcelle fin dal tempo della scuola media; ora ha ben una ventina di varietà e l’obiettivo è fare una miscuglio di grani che sia un piatto ricco per le loro galline: più l’alimentazione sarà buona, più le uova saranno uniche. Dietro casa c’è l’orto, anche questo con varietà rare e 700 metri quadrati coltivati a zafferano. Dei 7mila metri quadrati di proprietà, a cui si aggiungono circa due ettari in affitto, ha predisposto le zone per le piante da frutto antiche che si è innestato, quelle per il pascolo e quelle per la fienagione. Ci sono infatti tre asinelli che forniscono ottimo concime e in un angolo del podere è allestito il cumulo per il compostaggio. «Devo un grazie ai miei genitori che mi hanno allevato fin da piccolo con questa attenzione per la natura e orientato a un sistema di coltivazione biologico – ha raccontato Matteo a Vittorio Zambaldo de L’Arena – non riesco a vedere per me altra strada diversa da questa», dice. Chiara lo guarda e sorride, ma non si sente affatto spaesata: «Vengo dalla città ma mi trovo benissimo. Anche i miei genitori condividono questa scelta che diventerà anche scelta di vita: vogliamo essere indipendenti in tutto con le nostre produzioni e il nostro lavoro», conclude. Fonte: ilcambiamento.it
I cambiamenti climatici stanno già danneggiando la salute dei bambini di tutto il mondo e il rischio è quello di conseguenze a lungo termine sulla loro vita, se niente cambierà. Ovvero se il mondo continuerà a seguire la rotta attuale senza perseguire l’obiettivo dell’Accordo sul Clima di Parigi. È quanto emerso da una tavola rotonda sul rapporto “The Lancet Countdown on Health and Climate Change”.
Clima e salute, un binomio ormai indissolubile. Se ne è discusso all’Istituto superiore di Sanità in occasione di una tavola rotonda dedicata alla riflessione sul rapporto The Lancet Countdown on Health and Climate Change pubblicata su The Lancet, frutto della collaborazione tra 120 esperti di 35 istituzioni di tutto il mondo – tra cui l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), il University College di Londra e l’Università di Tsinghua – che ha analizzato 41 indicatori chiave, suggerendo quali azioni intraprendere per raggiungere gli obiettivi dell’accordo di Parigi. I cambiamenti climatici stanno già danneggiando la salute dei bambini di tutto il mondo e minacciano conseguenze a lungo termine sulla loro vita, se niente cambierà. Ovvero se il mondo continuerà a seguire la rotta attuale senza perseguire l’obiettivo dell’Accordo sul Clima di Parigi, ratificato da tutti i paesi UE: mantenere dal 2015 al 2100 l’aumento medio della temperatura globale al di sotto di 2 ̊C, sotto cioè ai livelli della prima rivoluzione industriale (1861-1880).
Ecco, in sintesi, come il clima potrebbe condizionare un’intera generazione secondo il rapporto.
-I neonati saranno più soggetti alla malnutrizione: con l’aumento delle temperature, infatti, il potenziale di resa media di mais (-4%), frumento (-6%), soia (-3%) e riso (-4%) è gradualmente diminuito negli ultimi 30 anni e, di conseguenza, i prezzi degli alimenti basati su questi cereali sono aumentati.
-I bambini saranno tra i più colpiti dalle malattie infettive: il 2018 è stato il secondo anno che climaticamente ha favorito la diffusione di batteri, causa di gran parte delle malattie diarroiche e delle infezioni da ferite a livello globale. -Durante l’adolescenza, l’impatto dell’inquinamento atmosferico peggiorerà, con morti premature che nel 2016 hanno raggiunto i 2,9 milioni (oltre 440.000 dovute al solo carbone); l’approvvigionamento energetico globale da carbone è cresciuto dell’1,7% dal 2016 al 2018, invertendo una tendenza al ribasso.
-Da adulti vedranno intensificarsi gli eventi meteorologici estremi, con 152 dei 196 paesi che hanno registrato un aumento delle persone esposte agli incendi dal 2001-2004, e un record nel 2018 di 220 milioni di persone oltre i 65 anni esposte alle ondate di calore (63 milioni in più rispetto al 2017). Invece, percorrere fino in fondo il cammino tracciato dall’accordo di Parigi potrebbe consentire ai bambini nati oggi di crescere in un mondo in grado di raggiungere l’obiettivo zero emissioni entro il loro 31° compleanno e garantire un futuro più sano per le generazioni future. Solo un taglio del 7,4% l’anno delle emissioni di CO2 fossile dal 2019 al 2050, avvertono gli studiosi, limiterà il riscaldamento globale, secondo l’obiettivo più ambizioso di mantenere questo aumento entro 1,5°C.
Gli autori di The Lancet Countdown chiedono un’azione coraggiosa per invertire la tendenza in quattro aree chiave:
-fornire una rapida, urgente e completa eliminazione graduale dell’energia a carbone in tutto il mondo; -garantire che i paesi ad alto reddito rispettino gli impegni internazionali di finanziamento per il clima di 100 miliardi di dollari l’anno entro il 2020 per aiutare i paesi a basso reddito;
-aumentare sistemi di trasporto pubblico e attivo, in particolare a piedi e in bicicletta, come la creazione di piste ciclabili e programmi di noleggio o acquisto di biciclette a prezzi accessibili ed efficienti;
-fare grandi investimenti nell’adattamento del sistema sanitario per garantire che i danni alla salute causati dai cambiamenti climatici non sopraffacciano la capacità dei servizi sanitari e di emergenza di curare i pazienti.
Di inquinamento da PFAS in Veneto si è iniziato a
parlare nel 2013, quando è scoppiata quell’emergenza che ha ora oltrepassato I
confini della “zona rossa” ed è stata dichiarata nazionale. Eppure sappiamo
oggi che il più grave inquinamento delle acque della storia italiana ha avuto
origine anni prima a causa di una pericolosa gestione del territorio che ha
determinato negli anni contaminazioni e reazioni a catena. Tra queste la
mobilitazione di mamme, cittadini e associazioni che lottano nel tentativo di
limitare le conseguenze ambientali e sanitario di questo “veleno invisibile”.
Eppure, oggi più che mai, la via d’uscita da questo disastro appare lontana. I PFAS sono composti chimici industriali
utilizzati per rendere i prodotti impermeabili all’acqua e ai grassi. Sono
usati nella produzione di molti oggetti di uso quotidiano come padelle di
teflon, carta da forno sbiancata, packaging per fast food, abbigliamento reso
impermeabile o isolante e lubrificanti. Da almeno 60 anni queste sostanze si
diffondono e avvelenano le falde acquifere, acque superficiali e acquedotti del
Veneto occidentale ma ormai sono diffusi nel fiume Po e quindi anche nel mare
Adriatico. L’Ispra ha stimato per il solo danno ambientale 136,8 milioni di
euro. Per il secondo anno il Consiglio dei Ministri ha dichiarato lo stato
di emergenza da contaminazione delle falde idriche di Verona, Vicenza e
Padova. Man mano che la regione Veneto aggiorna i dati, aumentano i comuni
contaminati oltre a quelli già presenti nella zona “rossa” attorno a Trissino
dove ha sede l’incriminata azienda Miteni Spa. A sempre più persone vengono
riscontrati valori elevati nel sangue di PFAS e si allargano gli screening anche alla
popolazione pediatrica. Queste sostanze rappresentano un grave pericolo sia per la salute
umana che per l’ambiente, sono catalogate nelle liste internazionali di
sostanze estremamente preoccupanti (SVHC) perché tossiche, persistenti e
bio-accumulabili cioè il nostro corpo le integra e le accumula; esse sono
particolarmente subdole perché inodori, incolori e insapori.
La gestione del
caso Miteni
La Miteni Spa,
un’azienda chimica specializzata in produzione di intermedi fluorurati per
agrochimica, farmaceutica e chimica fine, dal 1977 ha scaricato sostanze
altamente tossiche nei corsi d’acqua ma l’inquinamento da tali sostanze è stato
constatato solo nel 2013. Questo evento ha portato alla luce un intero sistema
di pericolosa gestione del territorio. Il 20 marzo di quest’anno i
carabinieri del NOA (Nucleo Operativo Ecologico) in 270 pagine certificano, con
13 rinvii a giudizio tra i dirigenti aziendali, che la Provincia di Vicenza ha
nascosto l’inquinamento per 13 anni: “C’è stata la volontà di non far
emergere la situazione, colpevole anche l’Agenzia Ambientale regionale,
l’organo di controllo, Arpav”.
L’attività
industriale
Le attività
industriali che usano questi prodotti sono quelle per la lavorazione delle
pelli, del tessile, le cartiere e le produzioni con inchiostri e tinture. Le industrie
rilasciano questi composti come fanghi, scarichi e contaminanti del suolo. Ma
sono soprattutto le concerie le industrie incriminate. L’ltalia rappresenta il
66% della produzione conciaria europea, il Veneto il 52% della produzione italiana
del settore. Ne consegue che la sola industria della pelle del Veneto consuma
ogni anno, secondo i dati dell’agenzia europea ECHA che disciplina l’uso delle sostanze chimiche,
circa 160 tonnellate di sostanze che rilasciano PFOA e che non sono mai state
oggetto di analisi negli scarichi industriali perché precursori dei PFAS. A
questi vanno ad aggiungersi 30 tonnellate di PFOA e sali di PFOA puri o
utilizzati in miscele vendute in Europa. In Italia la chiusura delle indagini
preliminari della procura di Vicenza sull’azienda Miteni ha sollevato gravi
responsabilità di Istituzioni Pubbliche ed enti di controllo per il più
grave inquinamento delle acque della storia italiana con interessamento,
per ora, di 350 mila persone e più di 90.000 abitanti da sottoporre a controllo
clinico. Già dal 2010 la Provincia di Vicenza era a conoscenza dell’incremento
della contaminazione da PFAS dovuta alla Miteni e così l’Arpav Veneto, l’organo
di controllo.
La diffusione dei
PFAS si sarebbe potuta arginare 10 anni fa.
Eppure la regione
Veneto si è inserita nel fallimento della Miteni per essere risarcita di 4,8
milioni di euro. Inoltre il Ministero delle politiche economiche ha messo a
disposizione fondi al Commissario Delegato, Nicola Dell’Acqua, per una quota
complessiva di 56,8 milioni con il compito di iniziare, e portare avanti, gli
interventi urgenti. Ulteriori 80 milioni saranno stanziati dal Ministero dopo
un un Accordo di programma da sottoscrivere con la Regione Veneto. Quindi l’onere
della bonifica è a carico dello Stato ma gestita dalla Regione.
Contaminazioni a
catena
L’acqua è la base
di ogni forma di vita e si distribuisce in ogni parte dell’ecosistema. Oltre
che nei rubinetti dell’acqua potabile i PFAS sono entrati nella catena
alimentare, nell’agricoltura, negli allevamenti e nella pesca. Infatti l’acqua
è responsabile solo per il 20% della contaminazione, il restante 80% è dovuto
agli inquinanti presenti nella catena alimentare e nell’aria (EFSA, 2017). Nessuna
iniziativa, fino ad ora, è stata adottata nei confronti dell’origine alimentare
della contaminazione. Infatti le Istituzioni hanno diffuso segnali rassicuranti
basandosi su parametri dose/giornaliera vecchi di 10 anni quando ancora gli studi
sull’impatto della contaminazione erano appena cominciati. Mentre in
America già molte persone sono state risarcite per avvelenamento da PFAS, in
Italia si attendono le prove causa-effetto non bastando il “probabile
collegamento” che già emerge dagli studi epidemiologici. Dagli studi del Prof.
Carlo Foresta dell’Università di Padova, endocrinologo e andrologo si prospetta
una crescita esponenziale di infertilità nelle future generazioni,
soprattutto maschile. Infatti i PFAS, interferenti endocrini, per la loro
natura chimica si sostituiscono all’ormone testosterone nei tessuti dove questo
dovrebbe agire. Questo determina grave insufficienza del sistema riproduttivo
ma anche problematiche ormonali a lungo termine.
I valori guida di
riferimento
Leggiamo dal documento/inchiesta pubblicato dal Comitato di Redazione PFAS.land che la
pubblicazione dei nuovi valori guida per la salute umana indicati
dall’EFSA(organo di controllo europeo) è per ora stata sospesa per la pressione
delle lobbies chimiche sulle Istituzioni Europee. Ma sono state pubblicate
dalla rivista del Sindacato veterinari di medicina pubblica del Veneto: per
PFOS e PFOA sono rispettivamente di 13 ng/kg e 6 ng/kg peso corporeo per
settimana. Emergerebbe una enorme discrepanza con i dati di riferimento
della regione attualmente in atto per le valutazioni: in totale un litro
d’acqua, definita potabile, può contenere fino a 390 ng di PFAS. Ad esempio un
bambino di 10kg supererebbe la soglia giornaliera solo bevendo un litro di
acqua. Su tali parametri sono basati anche i pochi monitoraggi dell’istituto
Superiore di Sanità sugli alimenti vegetali e animali. Questo è uno dei punti
chiave che necessita di misure urgenti poiché nessuno è in grado di stimare
l’entità delle contaminazioni e il nesso dose/rischio per la salute sia degli
abitanti della zona sia di quelli delle altre regioni dove i prodotti vengono
distribuiti. Per ora la regione Veneto ha emesso un’ordinanza che vieta fino al
30 giugno il consumo del pesce pescato proveniente dalle aree dove sono
state riscontrate positività analitiche per i PFAS. Ma non c’è nessun
controllo, non emerge la capacità di gestire la situazione neanche di saperla
valutare.
Campi del Veneto
visti dall’aereo
Le economie di zona
Storicamente la
ricchezza della Regione deriva proprio dall’opera di regimentazione delle acque
attraverso le bonifiche delle paludi che permisero ad una delle zone più povere
d’Italia il grandioso sviluppo economico prima agricolo e poi industriale.
Dagli anni ’60 lo sviluppo industriale di questo territorio ha avuto una forte
connotazione chimica. Gli impianti di Marghera della Monsanto e della Sicedison
hanno posto le basi per diventare uno dei più importanti poli per la produzione
di materie plastiche in Europa. Poi si insediò la Rimar, che in seguito
diventa appunto Miteni, costruita sulla seconda falda acquifera più grande
d’Europa, grande come il Lago di Garda. La zona di Arzignano rappresenta il più
grande polo europeo della concia che scarica nella zona migliaia di
tonnellate di rifiuti tossici arrivando ormai alla nona discarica e con
nessun intervento da parte delle autorità di controllo. Reflui conciari e
reflui della Miteni viaggiano vicini, vengono diluiti con acqua pulita,
paradossalmente definita “vivificazione”, ma non filtrati dai PFAS. Infatti gli
impianti di depurazione continuano a non limitare il problema poiché non sono
in grado di filtrarli ed eliminarli. I PFAS continuano a scorrere
abbondantemente lungo la pianura e ad accumularsi, sono fatti proprio per non
degradarsi. Questa stessa zona è toccata anche da una grande opera in
costruzione: la superstrada Pedemontana. Corre proprio lungo la fascia
di ricarica della falda acquifera di buona parte della pianura padana, è
costruita “in trincea” cioè diversi metri al di sotto del livello campagna.
Così in alcuni tratti si vedono i muri, appena costruiti, percolare liquami
tossici. Inoltre subisce continuamente crolli e rattoppi incontrando anche
discariche industriali abusive e zone instabili. Non sembra che la politica di
sviluppo della regione segua una progettazione organica tra le varie
problematiche né che ci sia un’adeguata analisi idrogeologica. Sicuramente si
continua a seguire un modello di sviluppo che non protegge territorio e salute.
Non si riscontra neanche il vantaggio economico poiché la Pedemontana negli
anni ha quadruplicato i costi che nessuna banca ha voluto finanziare e quindi
la Regione ha chiesto l’intervento dell’Anas cioè dello Stato. Per ora il costo
ammonta a 12 miliardi.
L’altra faccia del
Veneto
Già dal 2014
diverse associazioni attive sul territorio si sono riunite nel
coordinamento Acqua libera da PFAS che ha cercato di sensibilizzare cittadini,
enti pubblici e di controllo e ha chiesto per anni di indagare quale fosse il
reale impatto sull’ambiente e sulla salute. Ora che iniziano maggiori controlli
sulle acque e nel sangue degli abitanti i dati sono allarmanti e ancora molto
sottostimati.
Il movimento No
PFAS è stato il motore che ha rotto un sistema di omertà e dolo ma anche di
inadeguatezza e immobilismo tra Istituzioni e forti interessi economici. I
partecipanti hanno subito 5 avvisi di garanzia per aver spinto alle indagini e
dubitato delle rassicurazioni. Chiedono “Zero PFAS” per uscire dalle
contrattazione dei cosiddetti “limiti accettabili” che sono la mediazione
possibile per poter continuare a produrre. Nessuna opera di bonifica, che
comunque non è neanche all’orizzonte, può funzionare se prima non si bloccano
le sorgenti dell’inquinamento. Chiedono analisi e dati, di poter effettuare
esami del sangue per controllare il proprio stato di contaminazione. Non
possono effettuarli né gratuitamente né pagando il ticket e nemmeno
privatamente poiché non sono analisi comuni. I cittadini sono pertanto privati
di una forma di controllo della propria salute che rimane nelle mani di chi fa
i monitoraggi ufficiali. Nella mancanza totale di informazioni si è costituita
la Redazione di PFASLand che rappresenta l’Organo di informazione dei
gruppi-comitati-associazioni NO PFAS della Regione del Veneto che raccoglie le
più importanti realtà maturate in questi anni: Mamme No PFAS, Angry Animals dei
Centri Sociali, Greenpeace, Legambiente, ISDE, Medicina Democratica, CiLLSA,
associazione di Arzignano, Coordinamento Acqua Bene Comune di Vicenza e Verona,
Rete Gas Vicentina, gruppi territoriali NO PFAS indipendenti, in continua
nascita.
Grazie al Comitato
scientifico della Redazione PFASLand il 12 aprile è nata la prima mappa digitale navigabile sulla contaminazione da PFAS, dove ogni cittadino
potrà verificare quanto inquinati siano il pozzo, la risorgiva, il fiume, le
acque in prossimità della propria casa, del proprio orto, le stesse acque con
cui si irrigano i campi e si allevano gli animali, per arrivare poi in forma di
alimenti non solo sul proprio piatto, ma anche su quello degli altri. Uno
strumento popolare, un bene comune ma complesso, basato sui dati aggregati
ArpaV, usando software liberi come QGIS. Dal documento pubblicato dal Comitato
di Redazione PFAS.land precedentemente citato leggiamo: “Per la bonifica di
un territorio così grande, dei bacini fluviali, delle colture, per l’aiuto ai
produttori danneggiati dall’inquinamento e il risanamento totale delle loro
aziende, per la mano d’opera occorrente e gli strumenti, il personale medico e
le strutture sanitarie, c’è bisogno di grandissime risorse economiche di cui la
Regione non dispone. Sarà necessario un piano di solidarietà nazionale,
coordinato dai ministeri competenti, per garantire un budget inimmaginabile ma
necessario.
Confligge con tale bisogno la logica perversa con la quale
tutte le forze politiche del Veneto si sono accodate alla richiesta di Zaia che
esclude ogni tipo di solidarietà nazionale nei confronti di chi produce meno o
amministra male. Però non puoi chiedere aiuto agli altri se neghi il senso
della solidarietà nazionale che è alla base di un paese democratico i cui
governanti sappiano guardare un tantino più in là del proprio naso… Ricordo da
bambino i camion pieni di vestiti e coperte che partivano, salutati dalla
folla, da una Sicilia poverissima in aiuto degli alluvionati del Polesine”.
Fonte: http://www.italiachecambia.org/2019/06/pfas-storia-contaminazione-catena/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni
Il libro sconvolgente di
Christophe Brusset “Siete pazzi a mangiarlo!”, scritto in qualità di manager
che per vent’anni ha lavorato dell’industria agroalimentare, è una discesa
horror in un sistema capace, come molti business dai grandi numeri, di azioni
aberranti dove la vittima è sempre il consumatore.
Il libro
sconvolgente di Christophe Brusset “Siete pazzi a mangiarlo!”, scritto in
qualità di manager che per vent’anni ha lavorato dell’industria agroalimentare,
è una discesa horror in un sistema capace, come molti business dai grandi
numeri, di azioni aberranti dove la vittima è sempre il consumatore. Una
galleria di esempi vomitevoli in cui c’è l’imbarazzo della scelta dello schifo
che costantemente e in maniera imperterrita le industrie alimentari propinano
alla gente senza alcuno scrupolo. Prodotti sofisticati, andati a male, con
escrementi, vermi, tossici, scaduti, che provengono da paesi con controlli
irrisori e fatti passare per nazionali, trucchi e falsificazioni di ogni
genere, truffe, corruzioni, collusioni con le autorità pubbliche, non manca
nulla. Importazione e occhi chiusi su alimenti fuori da ogni parametro a
seconda della potenza politica e commerciale dal paese da cui provengono. Poi
però si fanno autentiche campagne terroristiche per fare vaccinare tutti,
quando il cibo a livello industriale che mangiamo è spesso quanto di più dannoso
si possa immaginare. Ma attaccare e criminalizzare una famiglia che vuole solo
scegliere liberamente come curarsi è molto più facile che mettersi contro
grandi industrie o interi paesi dai quali importano cibo insano che avvelena la
nostra salute. Del resto non c’è nulla di cui stupirsi perché Brusset ci
chiarisce quali sono le regole del sistema : «Il Bene era tutto ciò che aumenta
il profitto, il Male era perdere soldi. La menzogna, la dissimulazione, la
malafede e persino la truffa, senza essere degli scopi in sé, erano positive,
se miglioravano i risultati attesi».
E ancora: «Imbrogliare
il consumatore è facilissimo, in più è legale! Mi spingerei persino a
sostenere che si è istigati a farlo».
«Il liberismo non è
l’assenza di regole, è l’applicazione della legge della giungla».
«Un’impresa non è
un servizio sociale dello Stato. La sua finalità non è il benessere dei suoi
dipendenti o la soddisfazione dei suoi clienti, ma il profitto, o il margine di
guadagno».
«Siamo sinceri e
diretti: l’unica cosa che interessa agli industriali e alle grandi catene di
supermercati è il vostro denaro, non certo la vostra felicità e la vostra
salute. Non fatevi ingannare dalle spacconate di quei parolai che vi
giurano, con la mano sul cuore e la lacrima pronta, che lottano per il vostro
benessere e difendono il vostro potere d’acquisto. E’ tutta una commedia, una
millanteria, nient’altro. Non fidatevi di nessuno, siate vigili e soprattutto
siate esigenti! Dovete rendervi conto una volta per tutte che in fin dei conti siete
voi consumatori ad avere il potere. Siete voi che decidete se comprare o meno
nei vari reparti quello che vi viene offerto. Usate questo potere per cambiare
finalmente le cose».
Leggendo il libro
si stenterà a credere di quanta autentica immondizia venga data in pasto alle
persone per raggiungere il profitto ad ogni costo. E anche lo schifo è
possibile venderlo, basta avere i prestigiatori della menzogna a disposizione e
il gioco è fatto. «Quando si ha un prodotto da vendere, soprattutto se è di
qualità mediocre o addirittura scadente e la concorrenza infuria, la cosa
migliore è curare la sua presentazione: la confezione. Questo è il lavoro del
marketing, gli specialisti delle apparenze, i campioni della cosmetica e del
re-looking del prodotto».
Brusset indica
anche delle soluzioni.
«L’ideale – e
l’unica soluzione radicale- sarebbe naturalmente quella di bandire
definitivamente qualsiasi prodotto industriale, e di limitarsi a prodotti
grezzi, freschi, non trasformati».
«Nei vostri
acquisti alimentari dovete sempre privilegiare la prossimità. Scegliete le
origini locali o nazionali. Da una parte fa bene all’occupazione; dall’altra, i
prodotti che non hanno attraversato molteplici frontiere, presentano
necessariamente meno rischi di adulterazione, di mescolanza o di inganno sulle
origini, la specie o la qualità. Abbiamo la fortuna di avere nei nostri paesi
prodotti variati e di qualità: sono questi che bisogna scegliere».
E, aggiungiamo noi,
autoprodursi il più possibile e il resto comprarlo in gruppi di acquisto
collettivo e da piccoli produttori locali biologici in cui è possibile
verificare tutta la lavorazione. Non solo si mangia più saporito e sano ma ci
si prepara per tempo alle prossime inevitabili crisi di approvvigionamento che
ci saranno, frutto di una società allo sbando che non sarà più in grado di
garantire nulla. Quindi pensiamoci direttamente noi prima di ritrovarci nei
guai.
Le foreste coprono il 40% del territorio europeo e forniscono una
moltitudine di servizi ecosistemici: contribuiscono sia alla salute
dell’ambiente sia al benessere umano.
L’UE contiene circa
il 5% delle foreste mondiali, il 60% delle quali è di proprietà privata. Negli
ultimi 60 anni le foreste europee si sono espanse continuamente e ora occupano
circa 160 milioni di ettari.
Siamo giunti alla terza ed ultima parte di questo
approfondimento dedicato ai vaccini. Dopo aver accennato al contesto farmaco-economico,
culturale, mediatico e scientifico italiano e internazionale in materia
vaccinale, cerchiamo di cogliere qualche aspetto più strettamente biologico e
medico per capire le ragioni di chi vuole contribuire ad una miglior pratica
vaccinale riducendo al massimo i rischi.
L’IMMUNITA’ DA
VACCINO
Per quanto riguarda
l’efficacia, la copertura vaccinale, cioè la percentuale di popolazione
che si vaccina, è solo uno dei fattori in campo. Infatti tra i vaccinati ci
sono i non responder cioè quelli che comunque non raggiungono l’immunizzazione
seppur vaccinati. Inoltre i virus possono mutare differenziandosi nel tempo da
quello vaccinale o comunque possono coesistere diverse varianti dell’agente
patogeno non coperte più dal nostro vaccino (44). Inoltre c’è il fenomeno dei
vaccinati portatori sani, alcuni per fallimento del vaccino (41,50) altri come
per la pertosse perché il vaccino incide sulle complicanze e non sul virus che
continua a circolare (45).
Inoltre, ad esempio
per il morbillo, l’immunità da vaccino dura solo alcuni anni al contrario di
quella naturale che dura, nella maggior parte dei casi, tutta la vita e che si
trasmette da madre a figlio durante la gravidanza e con l’allattamento. Oggi
sappiamo infatti che numerosi componenti bioattivi contenuti nel latte materno
conferiscono una determinata e importantissima protezione immunologica.
Quindi le future
mamme, perché vaccinate, non passeranno ai propri figli l’immunità e tutta
una parte di popolazione sarà sempre esposta al virus se non esegue i richiami.
Questo rende più difficile l’obiettivo di raggiungere le soglie dell’immunità
di gregge e la possibilità di eradicazione totale sperata (3, 4, 5, 35, 46,
47). Questo stesso ragionamento viene fatto dall’OMS anche per la difterite(55).
La valutazione dei rischi
da vaccinazione dipende dai fattori e dai dati scientifici che si
raccoglie. Gli individui reagiscono in diversi modi e l’indagine di un sistema
così complesso non risulta essere univoco ne è omogeneo. La suscettibilità
alle complicanze dovute alle infezioni naturali e alle complicanze da
vaccino dipende fondamentalmente dal grado di immuno-competenza cioè dallo
stato ottimale del sistema immunitario. Egli è il naturale sistema di
regolazione e difesa dalle intrusioni attraverso l’attivazione
dell’infiammazione, della febbre e delle diverse cellule immunitarie. Dapprima
si attiva una difesa innata, aspecifica, infiammatoria poi una difesa detta
immunità specifica con produzione di anticorpi. Alcuni individui sviluppano una
risposta infiammatoria e/o anticorpale debole e altri troppo forte. Il confine
tra risposta adattata e risposta patologica è sottile e dipende da molti
fattori (6,7).
Molta letteratura
scientifica si sta occupando della relazione tra vaccinazioni e malattie
autoimmuni trovando associazioni statisticamente significative benché rare
(8,9,56). Ma mancano gli studi controllati a lungo termine, cioè le patologie
che si sviluppano dopo una latenza di anni. Queste considerazioni valgono in
procedure di vaccinazioni ancor più che nelle malattie naturali perché i
vaccini utilizzano adiuvanti e altro materiale inorganico, come l’incriminato
Alluminio, nella forma nano e micro-particolata, proprio per rompere i
meccanismi di auto-tolleranza di protezione (10,11,12,13,29,30,32,37,51,52).
Gli adiuvanti possono aumentare la risposta aspecifica: le cellule
dell’infiammazione si diffondono nell’organismo e possono stimolare processi
reattivi preesistenti innescati poi dal vaccino. L’attivazione della risposta
immunitaria può amplificare processi infiammatori acuti o cronici già
esistenti nel soggetto.
L’IMPORTANZA DEL
MICROBIOTA
Il sistema
immunitario è strettamente legato all’attività del microbiota, quella
popolazione di batteri, virus e funghi che popolano le nostre mucose e che
fanno dell’intestino la più grande palestra per la tolleranza immunitaria
del nostro sistema difensivo. Il microbiota sta diventando sempre più
uno dei determinanti essenziali della salute. Ormai, infatti, le sue
alterazioni sono associate a moltissime patologie infiammatorie croniche,
autoimmuni, neurologiche, metaboliche, psichiatriche, allergiche, etc. (14,36).
Ecco perché per migliorare l’efficacia dei vaccini si sta studiando quali
microbi intestinali siano associati ad una migliore o peggiore risposta alla
profilassi vaccinale (27,28). Addirittura si pensa che il Citomegalovirus
(CMV), uno dei virus più studiati, possa essere visto come un regolatore del
sistema immunitario nel continuo confronto interno all’organismo (38). Così
sembra anche che il virus del morbillo possa essere usato per distruggere
alcune forme di cancro (53).
La salute quindi
dipende dall’equilibrio delle specie microbiche con cui siamo in
relazione fisiologica e questo incide sulla nostra capacità di reagire
correttamente agli insulti. Un’infezione può dare risposte diverse con diversi
quadri di malattia a seconda dello stato dell’ospite. Il livello di
pericolosità di un microbo o di un virus dipende da molti fattori: genetici,
epigenetici, ambientali, dall’esposizione all’inquinamento, lo stile di vita,
la nutrizione, lo stress, etc. Tutto questo trasforma sia il grado di
infiammazione sotterranea dell’organismo sia la tolleranza agli insulti. Essi
si sommano, si accumulano e sinergizzano rendendo l’individuo più predisposto
alle complicanze da infezioni o agli eventi avversi alle vaccinazioni.
VACCINI E SISTEMA
NERVOSO
Le risposte alle
infezioni e ai vaccini coinvolgono anche il sistema nervoso e quello
endocrino/ormonale (2,43). Il dott. Ernesto Burgio uno degli autori del testo
Pneireview “Oltre i vaccini. Prendersi cura del sistema immunitario infantile”
affronta le problematiche legate al neuro-sviluppo e ai disturbi dello spettro
autistico che generano i maggiori problemi di diffidenza relativi alle
vaccinazioni. Le patologie del neuro-sviluppo sono complesse e
multifattoriali, non ascrivibili ad unico agente ma a disregolazioni del
sistema immunitario e del microbiota, alle infiammazione e neuro-infiammazione,
alle molecole neurotossiche come metalli pesanti e pesticidi, alle infezioni,
etc. (15,16,17,18) . I dati indicano che un ruolo primario ce l’abbia la MIA (attivazione
immunitaria materna) cioè che un alterato assetto immunitario materno a ridosso
e durante la gravidanza sia una “condizione primer” su cui altri fattori hanno
effetti sinergici non valutabili con i tradizionali modelli causa-effetto. Lo
sviluppo embrio-fetale, dove esiste la massima neuro-plasticità, ha un ruolo
predittivo per lo sviluppo dei diversi percorsi patologici compresa l’induzione
del fenotipo autism-like (19). I vaccini sono tra i numerosi possibili
fattori trigger che contribuiscono a rendere manifesta una fragilità
preesistente ma sotto-soglia con conseguenze cliniche diverse. In
particolare sotto osservazione sono la tossicità delle contaminazioni in
tracce da metalli pesanti in forma di nanoparticelle (20), la frequenza degli
stimoli antigenici cioè le infezioni ricorrenti (asilo, fratelli maggiori,
antigeni alimentari, allergeni) oltre agli antigeni vaccinali (31).
Risulta quindi
indispensabile per ridurre le possibili complicanze nelle persone più
suscettibili la massima attenzione alla vulnerabilità che precede la nascita e
i cosiddetti 1000 giorni dopo di essa. Questo dovrebbe imporre misure urgenti
di prevenzione primaria visto il continuo aumento, anche in soggetti giovani e
molto giovani di patologie autoimmuni, neurologiche, psichiatriche,
degenerative e metaboliche tanto più che i nostri organismi sono sempre più
esposti ad una maggiore quantità di sostanze inquinanti.
UN APPROCCIO
SISTEMICO ALLA PREVENZIONE
La multifattorialità
e la complessità sono un evidente freno alla presa di responsabilità da parte
dei decisori politici e dei cittadini. La raccolta dei dati per studi
epidemiologici risulta difficile e questo limita ulteriormente le possibilità
di opporsi ai grandi interessi delle aziende produttrici. Esse, oltre allo
sviluppo di tecnologie e farmaci importanti per la salute, sconfinano troppo
spesso nell’imporre la sola soluzione farmacologica a problemi che solo un
approccio sistemico e di prevenzione può tentare di risolvere. Gli elementi
tossici si accumulano ogni volta che mangiamo, beviamo e respiriamo.
L’inquinamento ormai è devastante, eppure il Ministero della Salute continua ad
approvare deroghe al divieto di sostanze chimiche vietate (54).
Così le pratiche
vaccinali non sono il determinante più importante per la salute. Paesi come gli
USA, il Gambia, la Mongolia hanno il più alto grado di copertura vaccinale per
copertura e numero di vaccini, superiore alla nostra, ma confrontati con paesi
di pari sviluppo economico hanno i dati di mortalità infantile più alti (1).
Quindi le politiche sanitarie devono investire sull’insieme dei fattori
che determinano la salute superando la sola visione malattia-farmaco.
Abbiamo visto nella
prima parte, che troppo spesso sono gli investimenti economici
che determinano le traiettorie politiche in materia di prevenzione e cura, e i
forti investimenti per la ricerca su questa biotecnologia hanno chiaramente
indicato una strada preferenziale (34).
Un approccio
sistemico alla salute che valuti l’insieme delle dinamiche e dei processi
fisiologici e patologici nel continuo adattamento all’ambiente potrebbe
permettere di evitare errori come l’aver usato indiscriminatamente
l’antibiotico contro i microbi sottovalutando le conseguenze sull’intero
sistema e a lungo termine. Ora in Italia abbiamo più di 10.000 mila morti
l’anno per l’antibiotico resistenza e il dato è destinato a crescere
pericolosamente. Tanto che per risolvere alcune infezioni si sta iniziando ad
usare il trapianto fecale cioè il trasferimento da un individuo ad un altro del
microbiota intestinale: dagli antimicrobici al trapianto di microbi!
(21,23,24,) Inoltre il trapianto fecale si sta rivelando utile anche in tante
altre patologie, come l’autismo (22, 25, 26).
Le simbiosi, la
capacità di tolleranza, le condizioni sistemiche dell’organismo e le
specificità individuali sono concetti fondamentali per valutare i rischi/benefici
degli interventi sanitari. Infatti molte delle relazioni di medici, ricercatori
e professori universitari alle audizioni svolte in Commissione Igiene e Sanità
per l’iter di discussione del DDL 770/2018 del M5S e Lega, hanno evidenziato la
necessità di valutare le profilassi vaccinali in funzione del reale contesto
epidemico e del rischio individuale con le visite prevaccinali oltre alla
ripetuta richiesta di studi di controllo sulle vaccinazioni multiple (33,49). I
normali e ciclici picchi epidemici, come ad esempio quello del virus del
morbillo, non sono di per sé fonte di preoccupazione ma è il rischio delle
complicanze che avvengono sui soggetti più vulnerabili che dovrebbe richiamare
l’attenzione delle politiche sanitarie. Molte di queste relazioni vertevano
anche sui pazienti immunodepressi e più volte è emerso come fosse
pericoloso sostenere di poter proteggere i bambini in tali condizioni qualora
tutti i compagni di classe fossero vaccinati. Questo sia per i numerosi casi di
non responder, sia per i portatori sani ma soprattutto per la trascurabile
protezione che le 4 (MPRV) infezioni trasmissibili e prevenibili dal vaccino
abbiano sulle realistiche possibili infezioni a cui essi vanno incontro. Nelle
famiglie, nei luoghi pubblici e nelle scuole, un qualsiasi influenzato mandato
a scuola con l’antipiretico è fonte di pericolo. La caccia agli untori dei non
vaccinati potrebbe esporre ad un pericolo maggiore gli immunodepressi e le loro
famiglie nel sottostimare i reali pericoli che sono costretti ad affrontare
quotidianamente (39,40,42).
Da un interessante
articolo dell’associazione Assis leggiamo che “…la scoperta degli antibiotici e
dei vaccini è il fiore all’occhiello della scienza occidentale ma anche funzionale
all’obiettivo di colpire un singolo microorganismo con una sostanza
farmacologica senza agire sulle cause e senza intervenire sull’ospite. La
storia dell’Uomo è intrinsecamente legata con quella degli altri organismi
viventi, esterni e interni a lui, grandi, piccoli, invisibili. La comparsa
dell’homo sapiens dotato di intelligenza e conoscenza ha sconvolto questo
equilibrio, perché l’Uomo non accetta che ci siano degli altri esseri, grandi o
microscopici, più potenti di lui che possano annientarlo, distruggerlo ed
eliminarlo fisicamente. È riuscito a dominare e spesso a eliminare ed
estinguere grandi animali, ma non ancora quelli microscopici, e ovviamente non
ci riuscirà perché sono i batteri che ci permettono di vivere: senza batteri
non saremmo comparsi e non potremmo vivere, moriremmo subito. La possibilità
che i germi possano provocare malattia negli organismi superiori,
dipende in parte dal tipo di germe e dalla sua numerosità, ma soprattutto dalle
condizioni metaboliche dell’organismo ospite e dalla sua capacità di adattarsi
all’ambiente in cui nasce: non è sufficiente la presenza di un germe (virus o
batterio o parassita) per provocare la malattia. Fin dagli anni ’70, l’OMS, in
un rapporto sosteneva che: Un organismo debilitato è molto meno
resistente agli attacchi dei microbi che incontra. Generalmente il morbillo o
la diarrea – malattie senza conseguenze e di breve durata tra i bambini ben
nutriti – sono malattie gravi e spesso fatali per quelli cronicamente mal
nutriti”.
La narrazione
mediatica di TV e giornali mainstream dei problemi legati alle vaccinazioni
evita il confronto su temi seri e sulle reali possibilità di fare scelte
ragionate. L’Italia eredita il ruolo di capofila del Programma di Vaccinazione
Globale. È urgente mettere in campo tutti gli sforzi per comprendere come
migliorare al massimo gli interventi e sostenere l’insieme dei fattori che
incidono sulla salute. Affrontare la complessità richiede nuovi
strumenti, nuove strategie e il coraggio di superare convinzioni basate sulla
consuetudine.
Chi controlla la composizione dei vaccini? In che
modo i mezzi di informazione comunicano la scienza? E qual è la posizione dei
medici all’interno dei dibattito vaccinale in corso? Continua il nostro
approfondimento sul complesso tema della vaccinazioni, nel tentativo di fare
chiarezza su alcune importanti questioni ancora aperte. Affrontare lequestioni aperte in tema vaccinalecoinvolge ambiti
diversi tra loro e molto più grandi di ognuno di noi. Un possibile approccio
alla complessità può essere la lettura delle relazioni e delle dinamiche che
delineano una situazione. Così la titubanza vaccinale deve poter essere
ascoltata, compresa e integrata nel processo democratico così come le diverse
opinioni, anche tra gli esperti, devono potersi confrontare. In democrazia i
dubbi e le preoccupazioni sono sempre leciti, anzi contribuiscono al continuo
miglioramento delle possibili azioni da intraprendere, se accolti in una
dialettica proficua.
Una delle questioni
aperte è sicuramente il controllo della purezza dei vaccini poiché non
c’è trasparenza sui certificati per l’immissione in commercio da parte delle
aziende produttrici. Alcuni stati, tra cui la Cina, hanno chiesto le
pubblicazioni dei certificati di validità dalle aziende produttrici dopo i
numerosi scandali di vaccini scaduti, contaminati o inefficaci (23).
Negli USA Robert
F. Kennedy, Jr. ha ufficialmente vinto la causa contro l’HHS (Health and
Human Services – Dipartimento della Salute e Servizi Umani) per la violazione
del mandato per la sicurezza dei vaccini pediatrici del NCVIA (National
Childhood Vaccine Injury Act) del 1986. Quando il Congresso diede l’immunità
economica all’industria farmaceutica che così non avrebbe dovuto risarcire per
danni o difetti dei vaccini, in cambio le aziende produttrici si impegnarono a
presentare ogni 2 anni i test di sicurezza e sorveglianza delle reazioni
avverse all’HHS che avrebbe dovuto controllarle. Non solo questi test non
vennero mai eseguiti ma l’HHS non li richiese mai (11).
Sembra che in
Italia le aziende produttrici di vaccini abbiano stipulato accordi per
cui non sono ritenuti responsabili in nessun caso: chi paga per eventuali
difetti o danni è lo Stato che li compra. Ma come li controlla?
Il presidente
dell’Ordine Nazionale dei Biologi, dott. Vincenzo D’Anna ha chiesto
ufficialmente la pubblicazione dei certificati per l’immissione in
commercio. Anche lo studio Signum della Commissione Parlamentare
sull’aumento di patologie e decessi dei militari in missione all’estero fece
emergere la necessità di un controllo dei componenti dei vaccini, oltre alla
necessità di attuare vaccinazioni personalizzate e non sommarie che si rilevò
potessero aumentare il rischio di patologie gravi. A questa indagine
parlamentare partecipò come consulente, insieme all’attuale ministra Grillo, la
dottoressa Bolgan, biologa poi incaricata dall’associazione Corvelva di continuare quelle indagini.
VACCINEGATE, LE
ANALISI SUI VACCINI
Così in Italia,
caso forse unico al mondo, il Corvelva, un’associazione di genitori, ha
raccolto fondi per far analizzare alcuni campioni dei vaccini in commercio
al posto delle autorità statali che avrebbero dovuto proseguire l’indagine.
La dottoressa
Bolgan ha illustrato i risultati preliminari in una conferenza stampa alla
Camera dei Deputati, al convegno sulla sicurezza vaccinale dell’Ordine dei
Biologi (22) e in una interessante intervista insieme a Ivan Catalano, vicepresidente della
Commissione Parlamentare Signum. Sono solo risultati preliminari a cui
devono seguire le validazioni o confutazioni da laboratori certificati per
questo tipo di analisi. Spiega la biologa di Harvard, “tali tecnologie di
indagine sono usate per analizzare contaminazioni chimiche, proteiche e
genetiche dall’FDA (principale istituzione americana su cibo e farmaci) e nei
controlli forensi”.
Le analisi
rivelerebbero un forte grado di contaminazione tossica e scarsa qualità di
produzione. Alcune colture cellulari provengono da linee cellulari
vecchissime degli anni ‘60, con contaminanti tossici in quantità non residuali
ma veri e propri componenti del prodotto, residui di lavorazione e sostanze con
attività prioniche quindi pericolose, poi parti di vermi, erbicidi, altri
antibiotici, antiepilettici, “viagra”, diuretici, antimalarico, altri
retrovirus, cellule cancerogene. In più alcuni dei principi attivi (antigeni)
sarebbero presenti in quantità residuali o proprio non presenti al contrario di
virus avventizi (che non dovrebbero esserci) che a volte risultano presenti in
quantità maggiori degli antigeni richiesti. Continua la Bolgan: “Le agenzie
regolatorie evolvono con le conoscenze tecnologiche di ultima generazione ma
queste non sono ancora acquisite e validate nei laboratori accreditati per il
rilascio dei lotti da mettere in commercio. Quindi l’indagine del Corvelva,
detta Vaccinegate, descrive un sistema di produzione e l’uso di materie
prime di bassa qualità con una forte contaminazione di sostanze tossiche”.
Queste analisi
hanno suscitato molte polemiche, proprio per le tecniche usate e perché
non eseguite da laboratori accreditati per questo tipo di analisi. Purtroppo,
per ora, nessuno ha confutato i risultati. I lotti analizzati nell’indagine,
tuttavia, sono ancora in circolazione. Mentre si attendono le conferme è
partito un esposto alla Procura della Repubblica (1).
Inoltre sono già in
corso altre indagini, alcune divenute penali nel corso del 2017, sulla presenza
non dichiarata di materiale in micro o nano misura che potrebbe scatenare
infiammazioni pericolose e altre alterazioni in diversi tessuti
dell’organismo (2). Le nano e micro-particelle, già dichiarate dall’OMS come
certamente cancerogene, iniziano ad essere studiate dalla nanotossicologia che
sembra evidenziarne la pericolosità per l’impossibilità di essere espulse
dall’organismo, se iniettate sotto cute, e l’alta mobilità nei diversi distretti
del corpo (27, 28, 24).
Viene da chiedersi:
perché le istituzioni e gli organi di informazione hanno ignorato o
contestato queste indagini invece di confutarle con prove di laboratorio
accreditate? È lecito chiedere di poter utilizzare questo strumento di
prevenzione primaria, di indubbio successo, ma nella continua ricerca della
riduzione dei rischi?
Anche i deputati
europei hanno affrontato la questione della titubanza vaccinale in un documento
pubblicato sul British Medical Journal dal titolo “Le dichiarazioni di
sicurezza non reggono al controllo”(5,7). Poter esprimere i propri dubbi è alla
base di qualsiasi organizzazione democratica.
IL RUOLO
DELL’INFORMAZIONE: COMUNICARE LA SCIENZA
Ma come avviene
l’informazione, fondamentale organo democratico, su tali argomenti che stanno
creando evidenti problemi alla popolazione? E perché giornali e TV parlano di
vaccini, epidemie e comportamenti irrazionali e anti-scientifici ma alcune
notizie sono così censurate o banalizzate? Questo introduce un altro tassello
nel complesso rapporto tra scienza, istituzioni e società. Comunicare la
scienza è difficile, farlo in un contesto violento e urlato lo è a maggior
ragione. Affronta la questione anche il dott. Peter Doshi, editorialista del
BMJ chiedendo più verità e rispetto per i pazienti (26).
La Scientific
American ha svolto un’indagine su come l’FDA manipola e vincola l’informazione
a proprio piacimento, allontanando di fatto la narrazione mediatica dalla
realtà dei fatti, al di là delle possibili personali interpretazioni (18). Il
campo di battaglia è la gestione della percezione del rischio da parte
di TV e giornali. Chi si occupa di comunicazione scientifica si chiede quale
sia la strategia migliore per comunicare la scienza. Molti accademici parlano
dei Bias cognitivi: pregiudizi e predisposizione ad errori, del nostro
sistema percettivo e cognitivo, che attiviamo per districarci nella complessità
del mondo. Questo ci porta a selezionare le notizie, e a credervi, sulla base
delle nostre convinzioni preesistenti e non su un esame più obiettivo dei dati.
Ne siamo tutti vittima ma ognuno sembra che parli di quelli degli altri non
fornendo strumenti per riuscire a superare i propri bias; quindi quale utilità?
(13, 14)
Spesso sembra che
l’intento sia solo quello di capire quale sia il modo migliore per convincere
chi è indeciso o ritarda nel vaccinare i propri figli: usare l’arma della paura
sulle potenziali malattie a cui va incontro chi non si vaccina oppure
instaurare rapporti dialoganti con i genitori per creare un contesto di
fiducia? Usare la censura di chi pone dubbi e chiede vaccinazioni ad
personam oppure usare uno stile più profilato per il target a cui ci si vuole
rivolgere?
UNO SCONTRO TRA
VISIONI
La comunicazione
della scienza si occupa prevalentemente di opportunità di convincimento. Dei
fatti – come i risultati dello studio Signum, dei danneggiati da vaccino
riconosciuti e risarciti dallo stato (12, 19, 20, 21), della richiesta da parte
dei ricercatori di ulteriori indagini sulle vaccinazioni multiple – non c’è
quasi traccia nella comunicazione della scienza accademica e mainstream. Anzi
c’è chi sente il bisogno sempre più forte di delineare chi promuove la verità
scientifica e chi invece no. Tutto si riduce ad una polarizzazione tra buoni
e cattivi mentre i dubbi sono da screditare. Questo atteggiamento viene da
lontano, il tema vaccini ha solo scoperchiato una situazione preesistente. In
ogni settore legato alla salute e alla medicina lo scontro di visioni, approcci
e gestione del potere corporativo caratterizza il panorama come uno dei più
frastagliati e disomogenei. Un interessante suggerimento dello storico Pietro Ratto prova a superare questo scontro tra fazioni arroccate
ognuna sulle proprie convinzioni. Egli pone l’accento sulle diverse
interpretazioni dei fatti su cui ognuno basa le proprie idee e a cui non deve
essere costretto a rinunciare. Solo l’essere disposti ad aprirsi al
confronto per poter ragionare sulle prove può far guadagnare un reale
dialogo. Egli analizza il bisogno di certezze di ognuno come base fondamentale
su cui costruire man mano le proprie idee ma non per dare risposte bensì per
fare domande. Altrimenti si diventa sempre più fragili e sempre meno disposti
ad esporsi al rischio di essere smentiti arrivando alla chiusura: chi sente di
avere certezze è più portato a disprezzare quelle degli altri. Ma la
valutazione del rischio/beneficio, basato anche sulle evidenze scientifiche,
deve essere un percorso aperto alle diverse istanze in quanto ognuno è
portatore di interessi, se no facilmente si ricorre alla delega. Le istituzioni
sanitarie diventano quindi un’entità genitoriale cui affidarsi e non un
organismo politico da costruire insieme. Affidarsi alla consuetudine di ciò che
già sappiamo rischia di farci perdere la possibilità di una crescita
individuale e collettiva oltre che condannarci ad una guerra perpetua (25, 26).
E I MEDICI?
Diversi sono state
le dichiarazioni e i documenti pubblicati. L’organo ufficiale, federazione di
tutti gli ordini provinciali dei medici, la FENOMCEO ha pubblicato una
review dal tono rassicuratorio per contribuire a frenare il calo delle
coperture vaccinali verificatesi negli ultimi anni. Purtroppo però leggiamo
anche delle imbarazzanti scorrettezze: “I vaccini sono sicuri perché prodotti
secondo la più rigorosa metodologia, attraverso studi clinici sperimentali
controllati e randomizzati, attuati spesso in doppio cieco versus placebo e
sottoposti al controllo incrociato di esperti”(8). Ciò non risulta corretto in
quanto per definizione essendo somministrati su popolazione sana non possono
essere stati testati contro controlli o placebo e in doppio cieco (i requisiti
della medicina basata sulle prove EBM). Neanche il documento suggella
l’affermazione con questo tipo di dati. Un interessante documento congiunto
di diverse società e federazioni di medici tra le più influenti e autorevoli
(SIF, SITL, SIP, FIMMG, FIMP) esamina l’importanza della prassi vaccinale
globale, e non locale, e promuove un approccio alla vaccinazione “per tutta la
vita” (life course) come elemento chiave per un invecchiamento in salute (16).
Nel documento si
dichiara la volontà di superare il paternalismo sanitario cioè l’uso di
interventi attraverso i quali l’Autorità interferisce con la libertà dei
singoli al fine di meglio perseguire il loro interesse. Viene proposto, invece,
il paternalismo libertario, cioè il nudge. Il nudging, che origina dal
neuromarketing e dalle scienze comportamentali, propone spinte e incentivi per
un condizionamento subdolo ma a fin di bene. Esso non prevede obblighi o penali
ma il rispetto delle libertà individuali: una spinta verso un comportamento
sano. Non risulta chiaro come questo strumento auspicato nel documento possa
coesistere con le rispettive dichiarazioni favorevoli all’obbligo, alle
imposizioni e alle pene. Altre associazioni di medici si sono impegnati
nella revisione di studi scientifici e hanno pubblicato documenti e review
analizzando i singoli vaccini; ecco quello della Rete Sostenibilità e Salute
(4) e quello della SIPNEI (3). Ma altri professionisti e docenti universitari
hanno prodotto raccolte di letteratura come quella del professor Bellavite
dell’Università di Verona (17).
E qui (9) la famosa
lettera di più di 150 medici che nel 2015 sollevarono dubbi sulla
vaccinazione indiscriminata di massa che mise in luce come le vaccinazioni,
pur essendo uno strumento in generale valido, determinassero una fragilità del
sistema immunitario rispetto a chi non le faceva o ne faceva un numero minore
con molte evidenze scientifiche segnalate. Questo per poter meglio discriminare
tra le diverse opportunità vaccinali e i diversi individui candidati a
riceverli. Molti di questi medici iniziarono a subire procedimenti di
radiazione dall’Ordine dei Medici due anni dopo, a ridosso dell’approvazione
della legge Lorenzin.
Tra i medici
esistono visioni e approcci anche opposti su quasi tutto, così come la
letteratura scientifica è soggetta a continue correzioni come abbiamo visto
nella prima parte dell’articolo. Le discussioni sui vaccini stanno facendo solo
venire fuori ciò che già da tempo caratterizzava la difficile ma necessaria
coesistenza di diverse interpretazioni, opinioni e pratiche mediche
professionali. Dopo le numerose radiazioni di dottori e dottoresse colpevoli
di aver posto dubbi sulle vaccinazioni a tappeto, senza alcuna denuncia o
errore a carico, e spesso con i figli vaccinati, il clima è cambiato. Ora si ha
paura a parlare, perché il rischio è quello di non poter più lavorare se
radiati dall’Ordine dei Medici. Questa è forse la cosa che più delinea lo
stato di incapacità al confronto, l’uso della censura e la diffusione
dell’autocensura. Chi si sente al sicuro essendo stata zittita una parte dei
medici?
L’autoritarismo,
anche in nome della scienza, ha molte forme e rivela la perdita di
autorevolezza di un intero sistema.
La preoccupazione
ed il dubbio sono sempre leciti in quanto attivano i processi democratici utili
ad una società moderna. Poterli esprimere serve a mantenere solida una delle
più grandi conquiste nel campo dei diritti umani: il consenso informato, non
cancellato dall’obbligo vaccinale. Esso gioca un ruolo strategico anche come
strumento per il progresso e l’efficacia della medicina. La pratica
vaccinale è considerata utile dalla stragrande maggioranza dei medici e dei
cittadini ma deve poter essere attuata nel miglior modo possibile quindi nella
continua ricerca di una maggiore efficacia e sicurezza. Serve più cautela e
temperanza nei toni, maggior impegno nell’acquisire nuovi strumenti di
dialogo e più trasparenza.
Ridotto ad uno scontro tra favorevoli e contrari,
anche il tema vaccini continua ad essere affrontato dalla maggior parte dei
media mainstream con un approccio che non tiene conto della sua complessità.
Pur riconoscendo l’efficacia delle vaccinazioni, la titubanza vaccinale, a
livello globale, è un dato di fatto che non può essere ignorato e che sembra
derivare da una serie di questioni tuttora aperte. In questo articolo, il primo
di un approfondimento in tre parti, proviamo a costruire un racconto diverso sulle
politiche vaccinali. In occasione
dell’iter di discussione del DDL 770/2018 del M5S e Lega, detto dell’obbligo
flessibile, che andrà a sostituire la legge 119/2017 Lorenzin, si sono svolte
in Commissione Igiene e Sanità le audizioni informali. Iniziative di organi
istituzionali e della società civile stanno facendo emergere un quadro più
complesso di quello che i media mainstream raccontano quotidianamente.
Vediamo dunque il contesto nazionale e internazionale che ha portato
all’attuale sistema di profilassi vaccinale.
PIANI VACCINALI:
COME SI PRENDONO LE DECISIONI?
L’avv. Mirella
Manera, giurista dell’associazione Attuare la Costituzione nell’audizione al
Senato, spiega (1) come nasce e in che contesto si è formato il Piano
Globale Vaccini che ha visto l’Italia capofila mondiale: “Tutti i programmi
vaccinali dell’OMS sono finanziati per lo più con fondi privati, versati non
solo da società farmaceutiche, ma anche dalla Melinda e Bill Gates Foundation e
da Gavi Alliance (alleanza mondiale per la vaccinazione), sempre creata dalla
Melinda e Bill Gates Foundation. I fondi sono vincolati a specifici progetti
selezionati dai donatori, non stanziati sulla base della pianificazione né
sulle esigenze prioritarie dell’agenda internazionale della salute a cui va
solo il 7% dei finanziamenti. L’Italia si è impegnata a versare 499 milioni di
euro in 20 anni per finanziare programmi vaccinali nel mondo e in cambio riceve
bond vaccinali (2). Conclude la penalista milanese: “Bisognerebbe compiere una
valutazione sul valore scientifico delle raccomandazioni che provengono da
questo organismo e valutarle considerando le reali condizioni epidemiologiche
del paese”.
Quindi emerge un
piano vaccinale globale non sulla base di possibili epidemie ma come modello
di prevenzione dalle malattie in generale. Si è scelto, cioè, di promuovere
la salute attraverso questa tecnologia indipendentemente dai concreti rischi
epidemici e quindi dalle valutazioni rischio/beneficio. Si delinea anche come
le traiettorie dell’OMS in tema vaccinale globale siano guidate da fondi
privati e assorbiti dai vari Stati non omogeneamente.
LA SICUREZZA DEI
VACCINI E I DATI SUGLI EVENTI AVVERSI
Sentiamo ripetere
che i vaccini sono innocui perché usati da anni su milioni di persone, che gli
eventi avversi sono rarissimi e che la scienza o la consuetudine di più di 200
anni di utilizzo ne conferma efficacia e sicurezza definendo inutili ulteriori
indagini. Ma i dati dicono altro. La produzione scientifica e la comunità
scientifica mostrano infatti un quadro tutt’altro che omogeneo e
trasparente (33).
Proprio l’anno
scorso si è dimesso metà del gruppo direttivo del più importante organismo
mondiale indipendente di revisione sistematica e rigorosa degli studi
scientifici, Cochrane, dopo l’espulsione di Peter Gøtzsche direttore del Nordic
Cochrane Centre e co-fondatore della Cochrane Collaboration perché denunciava
troppe commistioni economiche nelle revisioni di studi sul vaccino
dell’HPV (Papilloma Virus) (3, 4, 30, 32).
A livello
internazionale il problema della trasparenza delle metodologie nella
produzione di letteratura scientifica è sempre più sentito. Una delle più
autorevoli riviste scientifiche indicizzate, il BMJ (British Medical Journal),
ha aperto una campagna per valutare la reale efficacia della ricerca
scientifica in ambito medico poiché i danni della “troppa medicina” sono
insostenibili. “Gli effetti nocivi di pratiche mediche e farmacologiche stanno
facendo perdere la credibilità della famosa Medicina Basata sulle Evidenze
(EBM): adozioni acritiche degli screening, credenze cliniche radicate,
eccessiva medicalizzazione”. (9) Ancora, sempre sul BMJ: “La EBM non preserva
la salute ma è utilizzata dalle industrie per legittimare o meno le scelte dei
medici influenzando negativamente la capacità di discrezione e giudizio” (10).
Nature pubblica un
dato allarmante: il 70% dei ricercatori non è riuscito a riprodurre gli
esperimenti pubblicati con metodo peer review (11), cioè il 70% della
letteratura scientifica indicizzata non supera la prova di validazione. Sempre
su Nature si parla di “frode sistematica” nella letteratura scientifica.
(22) Ma come? Tutto il metodo scientifico è basato sulla riproducibilità o
confutazione dei dati! Ecco come la scienza cerca di correggere se stessa, di
migliorare, di superare se stessa, aprendo dubbi e facendo verifiche.
Il Dr. Jacob
Puliyel, pediatra indiano esperto di campagne vaccinali con molte pubblicazioni
sull’argomento, spiega le conseguenze delle ultime modifiche delle linee guida
OMS sulla valutazione per la classificazione delle reazione avverse, al
convegno organizzato dall’Ordine Nazionale dei Biologi sulla sicurezza
vaccinale (8). Nella scala di valutazione per l’attribuzione della correlazione
tra eventi avversi e somministrazione del vaccino sono stati eliminati gli step
di “possibile” e “probabile correlazione” mantenendo solo quelli di
correlabile, non correlabile o indeterminato. Di fatto è più difficile
raccogliere e poter studiare gli eventi avversi dove c’è una forte correlazione
statistica, ma servirebbero altri dati per valutare con maggiore certezza la
causa-effetto. Negli USA dove c’è il più alto tasso di vaccinazione (già nel
2017 si usano 53 vaccini compresi i multipli, in 72 dosi), il CDC e l’FDA, i
principali organi istituzionali sanitari, monitorano gli eventi avversi
correlati ai vaccini attraverso i dati VAERS. In una grande raccolta dati in 20
anni su più di 38.000 segnalazioni di neonati ospedalizzati o morti, i
risultati mostrano una evidente correlazione positiva tra il numero di dosi di
vaccino somministrati e la percentuale di ospedalizzazioni e decessi. Inoltre,
i bambini più piccoli, inferiori a 5 mesi di età, sono risultati
significativamente più danneggiati rispetto ai bambini più grandi dopo aver
ricevuto i vaccini. Nelle conclusioni: “Si ritiene urgente attivare programmi
per migliorare la sicurezza” (6).
Lo stesso CDC americano dichiara che i sistemi di sorveglianza passiva sono
sottostimati ed è impossibile, per come vengono raccolti i dati, determinare
associazioni causali tra vaccini ed eventi avversi. (16, 17) Quindi il
Dipartimento di Salute e Servizi Umani (HHS) ha commissionato alla Harvard
Pilgrim Healthcare Inc. un programma digitalizzato di vaccino-vigilanza attivo
che ha stimato i report di eventi avversi dei VAERS americani inferiori all’1%
dei dati reali, cioè i dati segnalati spontaneamente sarebbero l’1% di quelli
reali (31).
Ma in Italia quali
sono le evidenze di sicurezza dei vaccini e il controllo post-marketing degli eventi
avversi?
I DATI SUI DANNI DA
VACCINO IN ITALIA
L’argomento è
spinoso, i danni da vaccino sono l’argomento tabù del mainstream.
Mensilmente vengono riconosciuti e risarciti dal ministero famiglie per esiti
gravi o decessi in seguito alla vaccinazione, ma quasi nessuno li considera,
anzi i danneggiati da vaccino, solo per la loro esistenza, sono colpevolmente e
vergognosamente ignorati se non negati dai media.(28) Anche quando il danno si
verifica nelle ore successive alla vaccinazione, le famiglie non solo devono
far fronte ad un evento che tocca la cosa più preziosa che hanno, ma devono
anche, di tasca loro, fare causa allo Stato e dimostrare il nesso causale con
la vaccinazione: danneggiati dalla medicina, dalla società e dalla legge. È
questo lo stato dei diritti che vogliamo?
La raccolta dati
della vaccino-vigilanza, solo per gli eventi avversi a breve termine,
avviene su base spontanea quindi le segnalazioni sono molto sottostimate
rispetto ai dati reali, peraltro assai disomogenei nel territorio
nazionale.(29) Questo è dovuto sia alla disabitudine dei cittadini e delle
strutture sanitarie alle segnalazioni e sia alla difficoltà di leggere i dati
in chiave di correlazione statistica e di causa-effetto. Si è svolto un
progetto pilota sperimentale condotto su una piccola popolazione della Puglia,
di farmacovigilanza attiva, cioè per chiamata diretta post vaccino, sul solo
MPVR (morbillo, parotite, varicella, rosolia), nella somministrazione singola e
associato ad altri vaccini. Gli eventi avversi gravi definiti sicuramente
correlabili alla vaccinazione, tutti risolti positivamente nel tempo, hanno
manifestato una differenza enorme tra la somministrazione singola (10.2%) e
quella associata alle altre (89,8%) (5). In altre parole, i vaccini singoli
sono risultati nettamente più sicuri rispetto a quelli multipli. In molti studi
scientifici sulla sicurezza vaccinale prevale la richiesta da parte dei
ricercatori di un maggior approfondimento per l’urgenza che spesso
emerge dai dati epidemiologici. Ad esempio l’Istituto Superiore di Sanità nel
2013 ha pubblicato uno studio (7, 18, 24), ma solo ora alla ribalta, sulla ADEM
(encefalite, mielite ed encefalomielite acuta disseminata) associata alla
somministrazione dei vaccini detta comunemente encefalite post-vaccinica (25).
L’autore dello
studio è il dott. Paolo Pellegrino dell’Unità di Farmacologia clinica
dell’Azienda Ospedaliera Luigi Sacco (Università di Milano): “A differenza
degli studi precedenti riguardanti i casi di ADEM post infettiva, abbiamo
osservato che questa patologia può riguardare ogni età. Abbiamo osservato che
il vaccino anti-influenzale e quello anti-HPV (Papilloma virus) sono
quelli più comunemente associati a questa reazione avversa e i dati sono
sottostimati (“under-reporting”) a causa di una riduzione dell’interesse per
questo evento avverso”. Quindi non interessa? Che programma d’indagine si è
attivato? Sembra nessuno.
Nel 2018 è stato
pubblicato lo studio Signum, condotto per indagare sull’alta percentuale di
morti e insorgenza di patologie gravi su circa 4000 militari, in
missione nelle zone di guerra. Quanto emerso è che non solo l’uranio impoverito
ma la pratica vaccinale aveva concorso alla manifestazione di gravi patologie
autoimmuni, quali tiroidite, sclerosi multipla, eritema nodoso, lupus, artrite
reumatoide, diabete e, secondo alcuni studi, leucemie e linfomi. La Commissione
Parlamentare, incaricata dello studio, specifica che l’accumulo di sostanze
tossiche nei vaccini combinati, come adiuvanti e conservanti e contaminanti
biologici, e l’assenza di visite pre-vaccinali rendevano la pratica vaccinale
corrente pericolosa vista anche la mancanza di studi scientifici sulla salute a
lungo termine e in generale sulle vaccinazioni multiple (26 -27).
Molti degli studi
clinici ed epidemiologici internazionali sostengono per lo più l’urgenza di
ulteriori indagini poiché dove non c’è certezza di correlazione ci può essere
forte evidenza statistica e troppo poche prove di sicurezza. (12-13-14-15
-19-20-21-34 ) Si ritiene che siano necessarie visite pre-vacciniche per
conoscere i polimorfismi, test sierologici e lo stato del sistema immunitario
che potrebbero ridurre il rischio degli eventi avversi. Stiamo facendo il
massimo per ridurre i rischi?
La cosa certa è che
il dibattito è aperto in tutto il mondo, gli studi indicano difficoltà di
letture epidemiologiche per troppe variabili. Studi pre-clinici e
post-marketing sulle vaccinazioni multiple non ci sono; ogni stato
agisce come crede.
Ma il tema vaccinale è da inserirsi in un contesto più ampio di quello
italiano e in un quadro sanitario e culturale più complesso. Coesistono in
ambito scientifico e medico diverse visioni e una pluralità sfaccettata di
approcci alla salute. Quindi anche la titubanza vaccinale, osservata in tutto
il mondo, è da leggere come conseguenza di un preciso contesto
farmaco-economico, di una perdita di autorevolezza delle istituzioni sanitarie
nazionali e internazionali, di una farmacovigilanza per lo più incontrollata
(29) e di una visione della salute basata su una medicina di massa e non
personalizzata che le istituzioni sanitarie stesse, in altri settori della
sanità pubblica, sta cercando di superare. Nella seconda e terza parte di
questo articolo accenneremo al contesto culturale, mediatico e poi a quello più
strettamente medico per restituire la complessità che l’argomento richiede. È
ormai evidente, infatti, che banalizzare l’argomento porta ad una guerra civile
e impedisce di porre l’accento sulle questioni importanti, come la possibilità
di intraprendere tutte le azioni possibili a rendere la pratica vaccinale
maggiormente sicura.