CREA: il contributo della ‘Food Citizenship’ alla diffusione di modelli alimentari più sostenibili

La Food Citizenship, o cittadinanza alimentare, consiste in una maggiore interazione fra il mondo produttivo e i cittadini/consumatori per accrescere la consapevolezza dell’impatto che i diversi sistemi di produzione agricola possono avere sull’ambiente. Il Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’economia agraria ha realizzato uno studio sul tema in Italia appena pubblicato sulla rivista internazionale Sustainability

La Food Citizenship, o cittadinanza alimentare, consiste in una maggiore interazione fra il mondo produttivo e i cittadini/consumatori per accrescere la consapevolezza dell’impatto che i diversi sistemi di produzione agricola possono avere sull’ambiente. Raggiungere una maggiore sostenibilità significa ripensare e ridisegnare i sistemi agroalimentari, orientandoli verso il diritto al cibo, la valorizzazione della territorialità e la protezione degli agroecosistemi dal degrado. E’ quanto emerge nello studio Food Citizenship as an Agroecological Tool for Food System Re-Design (La cittadinanza alimentare come strumento agroecologico per la riprogettazione del sistema alimentare) effettuato dal Crea, il Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’economia agraria con i suoi centri Agricoltura e Ambiente ed Alimenti e Nutrizione, appena pubblicato sulla rivista internazionale Sustainability.

Lo studio

La distribuzione di un questionario on-line con 35 domande ha permesso di investigare su due principali tematiche: la prima riguarda il livello di consapevolezza delle conseguenze delle nostre scelte alimentari sull’ambiente, la conoscenza soggettiva percepita del cibo biologico, del costo del cibo biologico e dei fattori più rilevanti negli acquisti alimentari; la seconda, la profilazione dettagliata del consumo di frutta e verdura biologica fresca e di quarta gamma. Al questionario hanno partecipato oltre 500 cittadini distribuiti sul territorio nazionale da Nord a Sud (il 43% nel Nord, il 38% nel Centro e il 19% nel Sud) e residenti soprattutto (oltre l’80%) in città piccole e grandi. Sono state intervistate principalmente donne (l’80%), nella fascia di 50-69 anni (il 60%), con un livello di istruzione medio (diploma di istruzione secondaria, il 47%) e alto (laurea, il 41%).

I risultati

L’elaborazione ha permesso di individuare due principali gruppi a seconda della maggiore (il 55,4% del totale del campione) e minore (il 44,6% del totale) attitudine a riconoscere l’impatto ambientale delle proprie scelte alimentari. Il gruppo con un approccio più responsabile nei confronti dell’ambiente è risultato, anche, più consapevole che le proprie scelte di spesa alimentare possono ridurre l’impatto negativo sulla biodiversità e sul riscaldamento globale. Ne fanno parte le classi di età più giovani (il 9% di età 18-29 e il 37,2% di 30-49 anni contro, rispettivamente, il 6,2% e il 26,3% dell’altro gruppo). I più attenti alle conseguenze delle loro scelte hanno, inoltre, manifestato una maggiore sensibilità nei confronti degli aspetti sociali dei propri acquisti alimentari.

Secondo lo studio, i più attenti sono anche quelli che consumano più ortaggi e verdura biologiche (31,4% li consumano sia diverse volte al mese che diverse volte a settimana,) e da più tempo (50% contro il 22,4%) e con una maggiore disponibilità a pagare un prezzo più alto, rispetto ai prodotti alimentari convenzionali (76,3% contro il 67,3% sono disponibili a pagarli il 25% in più; l’8,8% contro il 2,6% anche il 50% in più).

“Lo studio della consapevolezza alimentare dei consumatori – ha commentato Fabio Tittarelli, ricercatore del Crea Agricoltura e Ambiente e coordinatore dello studio – è il primo passo verso un cambio di paradigma che porta le persone a percepire se stessi non più come semplici consumatori volti a soddisfare dei bisogni personali, ma come dei cittadini che consumano cibo, associando all’acquisto di cibo una dimensione etica e sociale a garanzia di tutti gli attori della filiera. È in questa ottica che l’implementazione del concetto di Food Citizenship può essere considerato uno strumento dell’agroecologia, utile per ri-disegnare l’attuale sistema agroalimentare”.

Fonte: ecodallecitta.it

Coalizione CambiamoAgricoltura: la politica agricola italiana distrugge natura e biodiversità

L’impatto ecologico dell’agricoltura italiana è troppo elevato e le misure allo studio in questi giorni da parte del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali sembrano non tenerne conto. Ecco l’appello che le associazioni facenti parte della Coalizione CambiamoAgricoltura rivolgono al ministro Patuanelli. Nell’ultima bozza del Piano Strategico Nazionale della PAC post 2022 inviata dal Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali (MIPAAF) alle Regioni è assente l’eco-schema dedicato alle aree naturali per la tutela della biodiversità e le infrastrutture verdi per la conservazione del paesaggio e i nuovi cinque eco-schemi proposti prevedono impegni che ignorano le necessarie ricadute positive sulla Natura all’interno delle aziende agricole. Per la Coalizione CambiamoAgricoltura questa sarebbe una pessima decisione, che ignora i dati forniti dall’ISPRA nel suo ultimo rapporto sulla transizione ecologica nel nostro Paese che confermano l’agricoltura come prima causa della perdita della biodiversità naturale e che mina uno dei nove obiettivi della PAC “salvaguardare il paesaggio e la biodiversità”, nonché l’obiettivo del 10% di aree naturali per la conservazione della biodiversità entro il 2030 all’interno delle aziende agricole indicato dalla Strategia UE Biodiverstà 2030. Le Associazioni della Coalizione CambiamoAgricoltura evidenziano che “gli importanti passi in avanti sul biologico, annunciati dopo l’incontro del Ministro Patuanelli con le Associazioni dell’agricoltura biologica, vengono sviliti dalla cancellazione dell’eco-schema dedicato alle aree per la tutela della biodiversità e agli elementi naturali del paesaggio“.

“Si tratta di una proposta contro la Natura e il Paesaggio che rende evidente la mancanza di consapevolezza nel MIPAAF dello stretto legame tra i sistemi naturali ed i sistemi agroalimentari, ignorando l’ampia documentazione scientifica che dimostra la relazione tra la biodiversità naturale e la resilienza degli agroecosistemi, nonostante la stessa Corte dei Conti europea abbia rilevato nel rapporto del maggio 2020 l’incapacità della PAC di porre un freno alla perdita di biodiversità negli ambienti agricoli”.

Nel documento inviato la settimana scorsa dal MIPAAF alle Regioni gli iniziali 7 eco-schemi vengono ridotti a 5 con la scomparsa dell’eco-schema sull’agricoltura biologica (compensata però dalla previsione del trasferimento di 1 miliardo di euro dal primo al secondo pilastro nel periodo 2023-2027) e la cancellazione dell’eco-schema per il pagamento del mantenimento delle infrastrutture verdi per la tutela della biodiversità e del paesaggio, sostituito da un eco-schema per gli impollinatori che prevede impegni inadeguati e parziali e con una percentuale di budget estremamente ridotta (solo il 5%). Anche la presenza di divieto di diserbo chimico negli impegni, seppur lodevole, non basta a compensare questa grave lacuna. Inadeguato anche l’eco-schema dedicato alla zootecnia, dove gli impegni per la riduzione dell’uso degli antibiotici non sono né chiari né sufficienti e dove non sono indicati il numero massimo di capi ad ettaro, gli impegni per la conservazione della qualità dei prati-pascoli e la salvaguardia di flora e fauna. I nuovi eco-schemi proposti rispondono essenzialmente alla logica della compensazione della riduzione dei contributi alle grandi aziende agricole determinata dalla riforma dei titoli storici e della convergenza interna, mettendo in secondo piano gli impegni efficaci per la tutela dell’ambiente e il contrasto ai cambiamenti climatici.

Un approccio che trova conferma nell’ipotesi della distribuzione delle risorse del primo pilastro per gli eco-schemi, con 360 milioni di euro, corrispondenti al 41% del budget, per l’eco-schema dedicato alla zootecnia e 102 milioni di euro, pari al 12% del budget, per il nuovo eco-schema dedicato agli olivi, i due settori che subiscono la maggiore riduzione dei pagamenti diretti per effetto della convergenza interna e riforma dei titoli storici (che l’Italia attua comunque nella modalità più blanda).

Per la Coalizione CambiamoAgricoltura, la proposta del Piano Strategico Nazionale della PAC post 2022 del Ministro Stefano Patuanelli non solo mette all’ultimo posto l’importante obiettivo della tutela del paesaggio e della biodiversità, ma utilizza la maggior parte delle risorse (il 53%) destinate agli impegni per l’ambiente e il clima essenzialmente per attenuare uno dei pochi effetti positivi della riforma della PAC che dovrebbe garantire una distribuzione più equa delle risorse pubbliche destinate all’agricoltura. La Coalizione CambiamoAgricoltura sottolinea infine che le informazioni sul Piano Strategico Nazionale arrivano al partenariato sociale in modo parziale, frammentato e non ufficiale. Ad oggi non si hanno informazioni sulla programmazione del secondo pilastro e non si conoscono gli interventi previsti nello Sviluppo Rurale per fermare il cambiamento climatico, la perdita della biodiversità e la conservazione del paesaggio rurale. Le Associazioni della Coalizione CambiamoAgricoltura inviano un appello al Ministro Patuanelli: “Siamo ancora in tempo per correggere il grave errore della cancellazione dell’eco-schema dedicato alla Natura e al Paesaggio. Un Piano Strategico Nazionale contro Natura sarebbe insostenibile per il Paese con la maggiore biodiversità in Europa e inaccettabile per chiunque abbia a cuore l’ambiente e il nostro comune futuro”.

Fonte: https://www.italiachecambia.org/2022/01/coalizione-cambiamoagricoltura/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

I tre pilastri dell’agricoltura di domani: autoconsumo, scambio e vendita delle eccedenze

Il cibo come merce, reso un “oggetto” di consumo a prescindere. Ma così non può essere e non può durare. E chi ancora non se n’è accorto, dovrà accorgersene presto. La vera agricoltura di domani (anche da porre in essere da oggi) deve basarsi su autoconsumo, scambio e vendita delle eccedenze.

La società per la quale l’unico metro di paragone e motivo di esistenza sono i soldi dimostra tutto il suo fallimento, soprattutto negli aspetti essenziali che ci sostengono.

Nell’agricoltura e alimentazione la mercificazione estrema ha avuto tragiche conseguenza. Come è possibile infatti mercificare quello che tutti dovrebbero avere in maniera gratuita perché base della sopravvivenza?

Si considera il cibo come merce in cambio di denaro, rendendolo un oggetto qualsiasi del quale viene persa qualsiasi importanza e sacralità. Che non abbia più sacralità lo dimostra anche lo spreco enorme che contraddistingue le nostre società opulente ma poverissime di anima. Così povere che si permettono di buttare tonnellate e tonnellate di cibo ogni giorno, in spregio a qualsiasi minima regola di coesistenza umana laddove i paesi più ricchi sono malati di obesità e nei paesi cosiddetti poveri circa un miliardo di persone soffre la fame. Ma ovviamente tutto ciò ai paladini della salute (del proprio conto in banca) non interessa nulla, né interessa la loro obesità che provoca malattie e morti al confronto dei quali il covid impallidisce, né della morte delle altre persone che il sistema dello spreco e sfruttamento determina.

L’agricoltura e l’alimentazione vanno quindi ripensate completamente ribaltando il paradgima per il quale sono considerate esclusivamente merce da vendere.

Quando si vuole vendere qualcosa e si deve competere ferocemente, spesso non si hanno limiti e scrupoli; infatti, per vendere sempre di più si avvelena tranquillamente qualsiasi cosa: aria, acqua e terra e il cibo  diventa così mezzo di malattie e morti di ogni tipo, minando dalle fondamenta la salute delle persone. Per ovviare a questo problema, per ritornare ad avere il controllo di quello che si mangia e smettere di inquinare l’impossibile, l’agricoltura del prossimo domani dovrà essere contraddistinta da tre aspetti: l’autoconsumo, lo scambio o baratto e la vendita delle eccedenze. 

In un’ottica di risparmio, contatto con la natura, aumento della qualità della vita e diminuzione dei costi, la produzione agricola per autoconsumo dovrà essere una prassi normale e diffusa fra tutte le persone. Non esiste nessuno che non sia in grado di autoprodursi gran parte del proprio cibo, a maggior ragione utilizzando le varie tecniche e derivazioni dell’agricoltura biologica connesse a sistemi di food forest ovvero foreste commestibili che, entrate a regime, hanno bisogno di poco lavoro e danno buoni risultati. Progetti come quello francese di Bec  Hellouin , e migliaia di altri simili, ci dimostrano che anche con piccoli appezzamenti si possono avere raccolti ottimi e abbondanti. E per avere terreno a disposizione non bisogna certo essere ricchi o disporre di ettari. Terre in affitto si trovano per cifre basse e partecipare a orti collettivi è ormai accessibile quasi in ogni città visto le esperienze che si diffondono dappertutto. Terre in abbandono poi ce ne sono ovunque e chiedere ai proprietari un comodato d’uso può essere una buona alternativa. Ci sono anche gli usi civici, quindi per chi vuole coltivare esistono varie possibilità. L’obiettivo principale deve essere l’autoconsumo, e per ciò che si produce in più si possono effettuare scambi con chi produce altre varietà e in ultima ipotesi si può prevedere la vendita delle eccedenze. In questo modo si riducono drasticamente le spese, si produce qualità, si ricostruiscono relazioni sociali comunitarie, si fa sana attività fisica, si lavora all’aria aperta, si apprezza e rispetta la natura che ci dà la vita, si elimina l’utilizzo di veleni vari; di conseguenza si migliora la salute nostra e del pianeta e si relega a un posto non prioritario l’aspetto mercantile, la cui predominanza assoluta ci sta portando alla catastrofe globale. Direi che è proprio il caso di andare speditamente in questa direzione e guardare all’agricoltura con occhi diversi da quelli ormai ciechi a cui siamo abituati.

Fonte: ilcambiamento.it

Permacultura, rigenerazione e una food forest: la nuova vita di Chris e Mario in Calabria

Due giovani, uno svizzero e uno spagnolo, hanno unito i loro cammini in un percorso comune che li ha portati a Badolato, in Calabria. Qui hanno lanciato un progetto in permacultura che punta alla rigenerazione del suolo e alla creazione di un modello incentrato sulla condivisione, sulla sostenibilità e sull’autosufficienza.

CatanzaroCalabria – È difficile riassumere in poche righe la ricchezza trasmessa da Chris e Mario, due giovani europei interessati alla permacultura che hanno deciso di cambiare vita e portare avanti il loro progetto di rigenerazione del suolo a Badolato, un paesino di circa 3000 abitanti sulle pendici della costa ionica in Calabria. «Non abbiamo ancora molto da far vedere, il nostro progetto è soltanto all’inizio», mi avevano detto prima che li incontrassi. Eppure non mi ero lasciata fermare da queste parole. Già tante volte mi ero chiesta come mai uno svizzero (Chris) e uno spagnolo (Mario) dovrebbero decidere di venire a vivere qui in Calabria, in un piccolo paese, e intuivo la complessità di questa scelta. Così, ancora una volta, decido di macinare qualche chilometro per andare a trovarli. Il casolare in cui vivono Chris e Mario è nella campagna badolatese, a metà fra la montagna e il mare. È un’oasi di verde, azzurro e tante sfumature di giallo, molto intense in un periodo caldo come l’agosto 2021.

Il loro progetto è frutto di tanti anni di viaggio e cambiamento interiore: Chris ha lavorato per molto tempo nel mondo del cinema e Mario in quello del marketing, prima di decidere che questo tipo di vita non faceva per loro. Inizia una fase di ricerca legata al mondo della permacultura e a un tipo di vita che fosse in connessione con loro stessi, con gli altri e con la natura. Durante questa fase, i loro cammini si sono incrociati nel 2016 in Portogallo in occasione di un corso e i due hanno capito di essere destinati a rimanere connessi nel tempo, anche se si trovano in diverse parti d’Europa.

«Cercavo un posto in cui applicare i principi di permacultura che stavo studiando e costruire un progetto di vita, finché non sono arrivato qui a Badolato nel 2018 perché la mia ex ragazza partecipava a un progetto di home school e ho visto tutta la ricchezza e la biodiversità di questa terra», racconta Chris, che coinvolge anche Mario in questa possibilità. La ricchezza della terra, il calore degli abitanti del paese, la possibilità di una vita più sana e a contatto con la natura e la bellezza del borgo li convincono a compiere il passo definitivo: nel marzo 2020 si trasferiscono così in un casolare che decidono di acquistare con i loro risparmi. E così cominciano i lavori, che mirano in primo luogo a rigenerare il suolo e la terra. È questo il punto focale del loro impegno, nella convinzione che «non esistono terreni poveri, ma piuttosto una mancanza di vita nel suolo». Si dedicano molto allo studio del terreno e istituiscono il primo laboratorio di vita del suolo in Calabria, grazie al quale possono valutare gli ecosistemi presenti nel terreno (così come nei compost e negli stagni) e quindi anche la loro capacità di dare vita.

«Nel corso delle mie ricerche mi chiedevo quale fosse l’elemento che fa davvero la differenza nella vita e alla fine mi sono detto: è il suolo, la terra. Perché quando la terra è in salute, anche l’essere umano che ci vive sta bene», racconta Mario.

In connessione a questo studio, iniziano a lavorare alla creazione di compost, proprio nell’ottica di nutrire la terra e darle la capacità – a lungo andare – di riprendersi le sostanze vitali che anni di agricoltura convenzionale le hanno tolto. Tramite un processo di compostaggio a caldo creano compost solido biologicamente attivo, composto di tre parti (letame, materiale carbonioso e materiale ricco azoto come le foglie verdi) ed estremamente nutriente per il terreno. Inoltre, utilizzano il compost solido per creare compost liquido per due scopi: in un caso lo utilizzano così com’è per irrigare in modo più nutriente il terreno; in altri lo mescolano con delle sostante nutrienti al fine di creare il “té di compost”, cioè un fungicida completamente naturale che può poi essere spruzzato su alberi e piante, formando una patina protettiva. La rigenerazione del suolo è quindi il filo conduttore di ogni lavoro e nel futuro Chris e Mario sognano di costruire un impianto di compostaggio per lavorare meglio e con quantità più grandi. Ma già ci sono i primi frutti di questo impegno, dal momento che nel giro di un anno e mezzo sono riusciti a ripristinare un piccolo orto (la cui terra non era più fertile) e a gestire l’uliveto, producendo olio. L’attenzione per il suolo poi, si ritrova anche in altri progetti già in campo, sempre ispirati alla permacultura: uno di questi, ad esempio, è il bosco alimentare, che si trova in un piccolo avvallamento del terreno e che, mi spiegano, è «una piantagione diversificata di piante commestibili che cerca di imitare gli ecosistemi e i modelli trovati in natura». Annone, arance, pesche, bergamotti sono solo alcuni dei frutti che crescono in questo piccolo giardino dell’Eden che, una volta stabile, sarà resistente in modo naturale e a sua volta nutrimento per la terra che lo ospita.

«Il nostro obiettivo nel lungo termine è costruire una comunità in questo spazio», spiega Chris. «Qui ognuno porta un pezzetto, che però è in sincronia con il tutto». Anche chi viene per un breve periodo: in questo anno e mezzo, infatti, già molte persone sono passate di qui, grazie alla piattaforma workaway o anche semplicemente tramite il passaparola.

E così nel corso del tempo Chris, Mario e gli altri volontari hanno attrezzato l’area in modo da poter accogliere diverse persone: c’è un’area camping, dove ci sono docce fatte con canne di bambù, un’area comune e una compost toilet, come a rimarcare il concetto che non siamo separati dalla terra su cui poggiamo i piedi ma che, anzi, contribuiamo noi stessi a sostenerla, come insegna la permacultura. Sempre grazie ai volontari, sono riusciti a costruire due cisterne che raccolgono l’acqua piovana: questo garantisce un’autosufficienza di circa sei mesi all’anno.

Possiamo quindi affermare che quella che vi abbiamo appena raccontato non è affatto la storia di chi decide di scappare dal mondo perché è brutto e cattivo e quindi isolarsi, ma è anzi quella che celebra chi ha voglia di cercare la bellezza che già c’è e condividerla con altre persone. Per questo Mario e Chris hanno continuato a ripetermi fino all’ultimo che «ci sono ancora tante cose da fare», perché di certo non tutto si è concluso con la loro sistemazione a Badolato. «Sentiamo che stiamo crescendo molto e che c’è un processo che segue tanti impulsi diversi, è parte di un percorso», aggiunge Chris e conlcude: «Siamo ancora in viaggio».

Fonte: https://www.italiachecambia.org/2021/09/permacultura-calabria/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

L’Italia ritorni alla sua vocazione agricola e artigianale

Nel seguire l’impossibile coesistenza di un sistema della crescita infinita in un pianeta dalle risorse finite, l’Italia ha stravolto la sua natura e vocazione. Le vere risposte sono artigianato, agricoltura e benessere vero.

Nel seguire l’impossibile coesistenza di un sistema della crescita infinita in un pianeta dalle risorse finite, l’Italia ha stravolto la sua natura e vocazione. Scimmiottando i paesi anglosassoni si è pensato di competere sul piano della potenza industriale. Una gara che ci ha visto sempre rincorrere affannosamente anche per la mancanza di risorse interne di fonti fossili e ora per l’impossibilità di uscire economicamente vincitori da una competizione con paesi come la Cina. Inoltre una industrializzazione senza freni e scrupoli, ha il non indifferente contraccolpo della distruzione ambientale, quindi delle nostre risorse e ricchezze. L’Italia infatti è storicamente un paese a vocazione agricola e artigianale. La capacità di produrre con la nostra inventiva e le nostre mani si riflette anche nelle bellezze artistiche che ci sono sulla penisola in una innumerevole quantità. Non è certo un caso che l’Italia sia meta turistica ambita anche per le sue realizzazioni create da persone di una capacità artigianale eccezionale che erano lo specchio di una conoscenza diffusa nella popolazione. Che gli italiani siano ottimi artigiani dalla grande creatività è un fatto evidente. Inoltre la nostra ricchezza e varietà dal punto di vista agricolo e alimentare è testimoniata anche dal movimento Slow Food diffuso a livello internazionale. Dove se non in Italia una realtà con queste caratteristiche poteva nascere? Un paese dove cresce una varietà e qualità strepitosa di piante commestibili e alberi da frutto, dove in ogni angolo, anche il più remoto, c’è una specialità alimentare. Tutto questo è stato progressivamente messo in pericolo dalla massiccia e costante importazione di “cinafrusaglie” e di cibo spazzatura prodotto da paesi che hanno una cultura e ricchezza del cibo neanche lontanamente paragonabile a quella italiana. Cibo e altri prodotti realizzati con prezzi ambientali e umani altissimi e quindi conseguentemente con costi irrisori. Come si fa a competere con chi utilizza milioni di lavoratori super sfruttati e pagati miserie e non mette in nessun conto i disastri ambientali che provoca nella realizzazione delle merci?

Tentare di competere su piani che ci vedono sconfitti in partenza, non solo è illusorio ma assai poco intelligente e per nulla lungimirante. Non è certo correndo la corsa alla produzione illimitata di merci, per lo più superflue e dannose per l’ambiente, che faremo un servizio al nostro paese che invece deve necessariamente ritrovare la sua inclinazione, la sua natura che è il saper fare e il saper coltivare. Artigianato, agricoltura e benessere quindi sono la risposta, laddove il nostro “saperci godere la vita” ci è invidiato proprio da quei paesi anglosassoni e non, continuamente protesi alla performance, al segno più, mentre la loro vita si consuma in grafici e numeri. Anche noi però rischiamo di non saperci più godere la vita in questa impossibile rincorsa alla “performance” che con la nostra natura e saggezza mediterranea, hanno ben poco a che vedere.

E se si ritiene che ritrovare la via dell’artigianato e dell’agricoltura sia impossibile, anacronistico, utopico, si valuti se è più realistico proseguire a sfruttare tutte le risorse possibili e immaginabili, produrre quantità incalcolabili e ingestibili di rifiuti, competere con il mondo per vendere qualsiasi cosa, crescere in una corsa sfrenata verso il nulla e con ciò ottenere solo due risultati: una vita impazzita priva di senso e una natura distrutta dal nostro agire che ci porterà all’inevitabile suicidio collettivo. Quindi volenti o nolenti, anche a causa dell’esaurimento delle risorse e della catastrofe ambientale, bisognerà ritornare a quello che ci contraddistingue e in cui siamo grandi maestri: costruire una società a misura di persona il più possibile autosufficiente e con un forte tessuto artigianale ed agricolo. Agendo in questo modo si possono ridurre drasticamente le importazioni di merci superflue, spesso dannose e ambientalmente impattanti, considerato che tutto quello che arriva da lontano lascia una scia di inquinamento non indifferente. Cosa c’è poi di più bello che creare con le proprie mani o coltivare vedendo crescere e assaporare i propri alimenti? Si può in questa direzione calibrare e pianificare una industria utile e sostenibile, alimentata da fonti rinnovabili, per le quali, a differenza delle fonti fossili, abbiamo potenzialità enormi e che supporti i settori artigianale e agricolo biologico. L’Italia può ridiventare un giardino fiorito pieno di creatività, saggezza e prelibatezze, dove finalmente vivere e non competere, dove aiutarsi, cooperare e non farsi la guerra, tanto alla fine non ci sarà nessun vincitore e saremo tutti perdenti. Abbiamo il nostro paese che è già potenzialmente un paradiso terrestre, bisogna solo riscoprirlo e riscoprire i nostri talenti e le nostre capacità. Possiamo diventare un faro internazionale per un cambiamento epocale, sta a noi renderlo possibile.

Fonte: https://www.ilcambiamento.it/articoli/l-italia-ritorni-alla-sua-vocazione-agricola-e-artigianale?idn=113&idx=29812&idlink=7

L’Orto Corto, dove l’agroecologia è di casa: “Non coltiviamo ortaggi, ma la Terra”

Corta è la distanza che li separa dalla Terra e corta è la filiera attraverso cui vendono i loro prodotti. A Decollatura c’è l’Orto Corto, una realtà agricola gestita da alcuni ragazzi calabresi che hanno deciso di restare e puntare sulla terra, facendo propri i principi dell’agroecologia e recuperando i semi antichi del territorio. Il viaggio nella Calabria che cambia continua e questa volta mi dirigo verso il Reventino, un’area montuosa e boschiva a ovest della Sila piccola. In particolare sto andando a conoscere l’Orto Corto, una realtà agricola che si trova a Decollatura (CZ) e che è gestita da due cugini, Carmine e Mario Gigliotti. Dopo una lunga strada in salita costellata da alberi e boschi arrivo in paese e andiamo subito a vedere i terreni, che si trovano ai piedi dell’area boschiva del Reventino e vicini al fiume Sorbello. «Come esperienza siamo nati nel 2015, quando all’interno dell’associazione Passaggìari, di cui facevamo parte, abbiamo avuto alcune esperienze con l’agricoltura», racconta Carmine. «Poi ci siamo appassionati e abbiamo deciso di provarci in modo più strutturato, perché era anche una maniera per restare». Da qui iniziano lo studio, le sperimentazioni e la ricerca dei terreni, che sono tre ettari dislocati in punti diversi e ottenuti in comodato d’uso dai proprietari. Fino ad arrivare al 2020, anno di nascita ufficiale dell’azienda.

Mario e, sullo sfondo, Carmine Gigliotti

L’Orto Corto – lo si intuisce già dal nome – si ispira a principi che valorizzano la terra e che puntano a un’agricoltura sana e in relazione col territorio: la coltivazione è completamente naturale, fatta anche attraverso la sperimentazione di tecniche di biodinamica e permacultura. «Diciamo che più che coltivare gli ortaggi, coltiviamo la terra», spiega Mario, mentre mostra i terreni che in questo momento stanno per essere messi a coltura. «Facciamo nostri i principi dell’agroecologia, per far rigenerare il terreno e far sì che sia sempre fertile».

Inoltre, Carmine sottolinea che una parte del loro lavoro consiste anche nel valorizzare i prodotti tipici del territorio che rischiano di perdersi: recuperano semi antichi e li coltivano. In particolare, hanno un intero terreno dedicato a una varietà di grano antico, il censarola, che poi viene macinato in un mulino a pietra. Fra i semi antichi, anche quelli di molti legumi: il fagiolo monachella, l’uacchiu e vua e la chiumbina, tipici del Reventino. A tutto questo si lega un rapporto con la comunità circostante. Da un lato c’è la valorizzazione dei prodotti del territorio e delle autoproduzioni di singoli, dall’altro il tentativo di fare rete con altri agricoltori e quindi sensibilizzare su determinate tematiche: «Quello che proviamo a fare è costruire una rete o comunque rapportarci a chi coltiva come noi in questi territori: all’inizio eravamo visti come dei visionari perché non usavamo nulla di chimico, ma poi piano piano abbiamo visto che è iniziato un dialogo e che ogni tanto ci chiedevano consigli: già questo è qualcosa», racconta Carmine.

Fare rete e creare circoli virtuosi infatti è fondamentale anche per l’ultima fase, che è quella della vendita. Per il momento l’Orto Corto si affida alla vendita diretta attraverso mercati e contatti di persone già sensibilizzate sul tema. Ma l’obiettivo è allargare il cerchio: più questa rete si estende, più si innescano dei circoli virtuosi e c’è meno spazio per lo sfruttamento della terra e dei lavoratori. Con le sue difficoltà, l’Orto Corto è comunque una realtà in crescita: oltre Mario e Carmine vi lavorano anche altre due persone, in base ai periodi dell’anno. Ci sono obiettivi per il futuro, fra cui la produzione di miele: se ne sta occupando Leonardo, un giovane di 21 anni anche lui di Decollatura, che gestisce le api in fondo ad uno dei terreni. E, non appena sarà di nuovo possibile, iniziative per coinvolgere la comunità in modo più concreto e far toccare con mano cosa significhi agroecologia. Tutto questo spesso avviene in connessione con Discovering Reventino, un progetto di riscoperta e valorizzazione del territorio. Anche uno di loro è qui con noi in mezzo ai campi e sta per raccontarmi la loro storia. Do un ultimo sguardo all’Orto Corto, alla terra prima di passare alle montagne, che sono le protagoniste di questo altro progetto, nella consapevolezza che tutto è connesso.

Fonte: https://www.italiachecambia.org/2021/06/orto-corto-agroecologia/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

Speriamo che il vaccino faccia piovere…

Il Covid ha oscurato la vera crisi a livello mondiale, che è quella ambientale. I periodi di siccità sono sempre più lunghi e in moltissime zone d’Italia non piove da oltre un mese e mezzo. Cosa ci resta da fare? Sperare giusto che… il vaccino faccia anche piovere…

Il Covid ha oscurato la vera crisi a livello mondiale, che è quella ambientale. I periodi di siccità sono sempre più lunghi e in moltissime zone d’Italia non piove da oltre un mese e mezzo. Cosa ci resta da fare? Sperare giusto che… il vaccino faccia anche piovere…

La natura sta “facendo il suo corso”, ovvero risponde ai nostri continui attacchi. Più la colpiamo e più il contraccolpo diventa pesante, più la combattiamo e più ne paghiamo tragiche conseguenze. Infatti non stiamo facendo nulla di risolutivo circa la catastrofe climatica da noi provocata e attualmente, per rendere la situazione ancora più difficile, il covid ha oscurato la vera crisi a livello mondiale che è quella ambientale. Ma questo oscuramento non fa sparire i problemi, li toglie solo dall’attenzione facendo in modo che se ne parli il meno possibile e soprattutto non si agisca.

Però i problemi ci sono eccome e le basi stesse della vita, come l’acqua, sono in estremo pericolo. Oltre ad inquinarla in tutti modi, partendo dall’agricoltura chimica fino agli allevamenti intensivi, si aggiungono le attività umane che stravolgendo il clima sono responsabili di periodi sempre più prolungati di siccità. Probabilmente chi vive in città, cioè in un mondo fortemente artificiale, si interessa poco dei fenomeni atmosferici quindi non ravvede la pericolosità della situazione. Eppure anche i cittadini dovrebbero preoccuparsi, perché se in campagna c’è siccità, il cibo non cresce e gli animali non hanno acqua sufficiente, anche i cittadini non mangeranno. Nel passaggio fra l’inverno e la primavera, in moltissime zone d’Italia non piove da oltre un mese e mezzo e ci sono temperature estive. Normalmente poi quello attuale è un periodo in agricoltura in cui iniziano molte piantumazioni quindi la piovosità è quanto mai necessaria. Con sempre più siccità e quindi meno acqua, cosa succederà?

Ma non dobbiamo preoccuparci perché di sicuro il governo e i vari comitati tecnici scientifici, formati da gente che ha a cuore la nostra salute, entreranno in azione come lampi per ovviare a questa potenziale rovina. Infatti è stato già emanato un DPCM apposito per riparare tutte le falle del sistema idrico nazionale colabrodo che arriva a disperdere fino al 40% dell’acqua, a realizzare ovunque sia possibile sistemi di recupero e utilizzo dell’acqua piovana, a prevedere orti autoirriganti, ad installare in qualsiasi situazione riduttori di flusso, a costruire sistemi di fitodepurazione con il potenziale recupero delle acque, a proporre sistemi di compost toilet e con tutti questi metodi ridurre drasticamente gli sprechi. O no?

E’ poi partita una campagna a tappeto di formazione capillare a cittadini, tecnici, agricoltori sugli aspetti relativi al risparmio idrico. O no?

Non ve ne siete accorti di tutti questi provvedimenti emanati? Eppure li hanno diramati a reti unificate, li hanno ripresi da tutti i media, dando loro l’importanza che la situazione urgente richiede, visto che si tratta della nostra sopravvivenza, senza acqua infatti non si vive. O forse non è stato così?

Noi comunque suggeriamo una soluzione efficacissima: grazie alla scienza e al progresso ora abbiamo il divino vaccino che risolverà ogni problema. Basterà infatti fare iniezioni al terreno con il liquido santo e come per incanto l’acqua sgorgherà miracolosamente a fiumi. Allo stesso tempo basterà spruzzare un po’ dello stesso liquido santo verso il cielo e verranno giù acquazzoni fenomenali. Quindi, grazie al lavoro indefesso e teso solo al nostro bene di comitati tecnico scientifici e governi, il vaccino darà acqua agli assetati, cibo agli affamati, lavoro ai bisognosi, casa ai senza tetto e farà vincere anche alla lotteria di Capodanno.

Grazie scienza, grazie vaccino!

E visto che non arriverà nessun DPCM e nessun intervento per salvaguardare la nostra salute e tanto meno la nostra sopravvivenza, ognuno inizi a pensare, magari anche mettendosi insieme ad altri, a come risolvere il problema vitale dell’approvvigionamento di acqua e conseguentemente di cibo, perché né la scienza, né la politica che siano legati ad interessi economici ci salveranno.

Fonte: ilcambiamento.it

Agricoltura e alimentazione: ecco come cambiarle

Abbiamo provato a immaginare come potrebbero essere l’agricoltura e l’alimentazione del mondo di domani e quali passi individuali e collettivi possiamo fare, a partire da oggi, per realizzare questa visione. Abbiamo scelto la Provincia di Cuneo cimentandoci in un lavoro condiviso e partecipato che ci ha coinvolti nel 2020, ma ci auguriamo che ciò che abbiamo realizzato possa essere di ispirazione per molti altri luoghi d’Italia. Ecco la nostra Visione2040 su Agricoltura e alimentazione, immaginata e sognata da coloro che vivono questo territorio! Immaginiamo… una pianura coltivata con metodi di agroforestazione che combinano piante perenni e colture annuali, riducendo lavorazioni profonde del suolo e trattamenti chimici, incrementando la biodiversità e la protezione degli insetti impollinatori. Immaginiamo… una montagna in cui i terreni sono coltivati e non solo lasciati a pascolo o abbandonati; una collina che permette a boschi e a nuovi orti di intersecarsi alle vigne e ai noccioleti. Immaginiamo ancora cittadini che collaborano, rompendo la divisione tra produttori e consumatori e dimostrando che l’agricoltura contadina offre cibo sano utilizzando le risorse in modo ottimale.

Il tema della produzione alimentare su scala industriale, dello sfruttamento dei terreni e di un’agricoltura sempre più intensiva sono certamente alcuni tra i principali temi dei nostri tempi. Da nord a sud del mondo, ci sembrano questioni così grandi e insormontabili da farci credere di non poter fare la differenza. Ma siamo qui per dimostrarvi il contrario! In fondo, immaginare tutto questo non è stato così male, vero?

Vi raccontiamo oggi il primo dei diversi documenti che abbiamo elaborato in questi mesi insieme agli esperti e agli attori del territorio cuneese. Insieme ci siamo confrontati su come potranno essere agricoltura e alimentazione nel 2040. Mettendoci in ascolto, superando anche la frustrazione del lavoro online imposto dalla pandemia, questo percorso è stato un’occasione che ci ha aiutato ad accorciare le distanze. E abbiamo colmato questa distanza partendo dalle emozioni, per confrontarci poi su cos’è successo all’agricoltura cuneese in questi anni. Per farlo, abbiamo prima “scattato una fotografia” della situazione attuale, perchè, se è vero che dietro ogni problema c’è un’opportunità, allora il nostro obiettivo è capire come farla sbocciare.

LA FOTOGRAFIA ATTUALE

Come abbiamo approfondito nel documento, il Cuneese, come d’altronde altri territori in Italia, è una provincia dalla forte tradizione agricola ma, nella fotografia attuale, la sua agricoltura sta vivendo in una sorta di stallo. Da una parte troviamo i fautori dell’agroindustria convenzionale che si rendono conto dell’attuale crisi del sistema e della sua insostenibilità ma che sembrano non intravedere ancora possibilità di cambiamento. Dall’altra, riscontriamo la grande presenza di monocolture che non rispetta i tempi e le esigenze naturali del territorio, oltre ai prezzi molto alti dei terreni che stanno sempre più attraendo l’interesse di investitori stranieri. Ma allora, in che direzione possiamo andare? Ovviamente i problemi non sono gli unici aspetti che caratterizzano questo enorme territorio! Ad esempio, pensiamo che la biodiversità del territorio sia notevole e siamo felici della presenza di sempre più realtà attive e dinamiche tra le piccole e medie aziende nelle aree interne. Sono loro i custodi del territorio che pensiamo sia fondamentale valorizzare! Contadini e contadine da cui cresce la spinta verso un’agricoltura diversa e che si impegnano ad aumentare il numero di varietà prodotte o recuperare quelle tradizionalmente coltivate. Poi ci sono le aziende del vino (prodotto d’eccellenza nel cuneese) che stanno adottando tecniche di coltivazione biologica, attraverso un’inversione di tendenza.

QUALE VISIONE PER IL 2040?

Ogni azione avrà una conseguenza nell’immediato e nel futuro. Da questa riflessione è partito il nostro tavolo di lavoro per ripensare la provincia di Cuneo tra vent’anni. E allora, per cambiare il destino dei nostri territori, perché non partire proprio dal concetto di responsabilità? Per capire qual è la direzione giusta da prendere, abbiamo deciso di rispondere a questa domanda con un’altra domanda: chi si occuperà principalmente di produrre, chi di mangiare, chi di comunicare, chi di studiare, chi di regolamentare tutte queste azioni?

Su un aspetto concordiamo in pieno: nel futuro in cui aspiriamo a vivere, ognuno di questi attori dovrebbe avere un comportamento responsabile nei confronti di sé stesso, degli altri e della terra che ci ospita. E questo segnerebbe il vero cambiamento di cui abbiamo bisogno per sovvertire le criticità del presente.

Che cosa abbiamo sognato per il cuneese? Vi riportiamo quattro ambiti di azione sui quali ci siamo concentrati e che potrete approfondire nel documento dedicato!

1. Nuove tecniche agricole: tra vent’anni ci prenderemo cura dei nostri ecosistemi, coltiveremo e diffonderemo specie e varietà locali attraverso metodi biointensivi che rispettino i terreni. Trasmetteremo i valori di una produzione locale alle nuove generazioni di contadini e contadine affinché siano sempre più aggiornati sui modi migliori per produrre cibo;

2. Nuovi e diffusi modelli di cooperazione tra produttori e consumatori: la filiera del cibo, dal seme alla tavola, sarà gestita a livello locale tra aziende che opereranno con una visione comune e i prezzi di prodotti di qualità saranno accessibili a tutte le fasce della popolazione;

3. Il riconoscimento del ruolo dei contadini come custodi del suolo e della sua fertilità;

4. Le campagne saranno popolate di persone che amano vivere a stretto contatto con la natura e saranno valorizzate anche agli occhi delle nuove generazioni. Avremo nuove aziende e cooperative agricole che coinvolgeranno attivamente i lavoratori in qualità di soci (e non solo di dipendenti) e le scuole diventeranno luoghi dove educare a riconoscere e apprezzare la bellezza e la complessità del territorio in cui viviamo.

AZIONI CONCRETE. COSA POSSO FARE IO?

Va bene, abbiamo voluto sognare in grande… ma è proprio partendo da piccoli passi che è possibile arrivare insieme alla meta. Per questo il documento che abbiamo realizzato riporta una serie di azioni concrete che ognuno di noi può fare a partire da oggi. Andatele a leggere e fatevi ispirare! Il lungo lavoro partecipato realizzato in questi mesi vuole essere uno strumento per noi, per voi, per tutti. Nessuno escluso.

RINGRAZIAMO PER IL LAVORO

Hanno contribuito: Pietro Cigna – Italia che Cambia e NEMO – Nuova Economia in Montagna|Attilio Ianniello – Comizio Agrario di Mondovì | Stefano Vegetabile – Organismo Agricolo Nuove Rotte | Maria Luisa Gonella – Medico | Giulia Jannelli e Maurizio Giraudo – Germinale Cooperativa Agricola di Comunità | Claudio Naviglia – Humus Job | Lorenza Borsarelli – Intrecci – rete di aziende agricole del monregalese.

Arianna Carmignano – Azienda Agricola Il vecchio gelso | Denis Beoletto | Giulia Minero –Mieleapi | Guido Moraglio – MDF | Lauro Manfrin – MDF | Lorenza Borsarelli – Rete di Impresa Intrecci Solidali | Lorenzo Barra – Azienda agricola Cresco | Marialuisa Gonella | Marisa Lanzone – MDF | Maurizio Pilone – Sgasà | Noemi Boglione | Paolo Montrucchio –  MDF – La Fattoria del Risveglio | Rita Brao

LEGGI IL DOCUMENTO COMPLETO

Fonte: https://www.italiachecambia.org/2021/02/cambiare-agricoltura-alimentazione-futuro-migliore/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

Uso del suolo e cambiamenti climatici: nuovo studio CMCC sul settore zootecnico verso emissioni zero

I settori agricolo, forestale e zootecnico possono contribuire agli obiettivi globali di mitigazione e di sviluppo di un territorio, se vengono messe in atto delle attività sostenibili di uso del suolo. Lo dice un nuovo studio diretto dalla Fondazione Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici

Le emissioni di gas serra del settore agricolo, forestale e altri usi del suolo (il cosiddetto settore AFOLU, Agriculture, Forestry and Other Land Use), rappresentano il 24% delle emissioni globali; i principali driver sotto accusa sono le emissioni legate alla deforestazione, le emissioni di metano degli allevamenti o prodotte dalla fermentazione anaerobica di materia organica, principalmente dalle coltivazioni di riso, o di protossido di azoto (N2O) legate all’uso di fertilizzanti in agricoltura. Tale settore è pertanto uno dei principali responsabili del cambiamento climatico, secondo solo al settore energetico. Un nuovo studio diretto dalla Fondazione CMCC esplora come la gestione sostenibile del territorio possa contribuire agli obiettivi di mitigazione globali e di sviluppo sostenibile a livello locale. I ricercatori hanno identificato alcune possibili opzioni di mitigazione land-based per ridurre e compensare le emissioni del settore zootecnico, che rappresenta attualmente una delle principali fonti di gas serra dell’intero settore agricolo. Anche se a partire dagli anni ’90 le emissioni degli allevamenti sono infatti diminuite, con una riduzione del 20% in Europa nel 2018, ancora oggi a livello europeo rappresentano più del 60% del totale delle emissioni del comparto agricolo.

“Il settore agricolo”, spiega Maria Vincenza Chiriacò, ricercatrice CMCC e primo autore dello studio, “ha la caratteristica unica di essere sia parte del problema che della soluzione: da un lato genera emissioni di gas serra, dall’altro può riassorbirle, soprattutto con un’appropriata gestione sostenibile, grazie all’attività di fotosintesi e alla biodiversità dei suoli, rappresentando un importante sink di carbonio. Tutti gli altri settori (energia, edilizia, trasporti) possono impegnarsi per ridurre le proprie emissioni e farle tendere progressivamente a zero, ma non hanno possibilità di sottrarre dall’atmosfera quell’eccesso di CO2 ormai già presente. Il nostro approccio si articola in due fasi successive: per prima cosa realizziamo una stima delle emissioni di gas serra derivanti dalle attività delle aziende zootecniche, ovvero calcoliamo la loro impronta di carbonio, quindi valutiamo il potenziale di alcune attività nel settore agricolo e forestale per la mitigazione delle emissioni stimate nel passaggio precedente.”

I risultati dello studio hanno messo in luce come le opzioni di mitigazione prese in esame, basate sulle pratiche agricole maggiormente sostenibili, possano non solo compensare, ma persino arrivare a portare il settore zootecnico a zero emissioni, a raggiungere, cioè, la carbon neutralityI ricercatori CMCC si sono concentrati su un primo caso studio pilota in Italia centrale, in un’area della provincia di Viterbo con una forte vocazione agricola, con l’obiettivo di comprendere come e in che misura le emissioni di gas serra delle aziende zootecniche potevano essere ridotte o compensate attraverso rimozioni di carbonio nella stessa area. Con questo obiettivo in mente, i ricercatori hanno sviluppato e messo a punto un approccio land-based dato dalla combinazione di diverse metodologie, come elaborazioni GIS, misurazioni delle emissioni delle aziende zootecniche attraverso il metodo LCA (life cycle assessment) e altre metodologie dell’IPCC, per arrivare a una stima precisa delle emissioni di gas serra del comparto zootecnico e del potenziale di mitigazione di diverse opzioni d gestione agricola e forestale su scala locale, nelle immediate vicinanze della fonte emissiva (cioè in prossimità delle aziende zootecniche presenti nell’area analizzata).

“I risultati del nostro studio”, commenta il Prof. Riccardo Valentini (Fondazione CMCC e Università della Tuscia), mostrano la possibilità di una totale compensazione delle emissioni delle aziende zootecniche dell’area pilota, indicando i percorsi possibili per arrivare alla carbon neutrality, cioè a zero emissioni o persino a emissioni negative. Se opportunamente gestito il settore agricolo appare quindi un settore chiave, in grado di contribuire in maniera significativa agli obiettivi di mitigazione dei cambiamenti climatici a livello globale.”

“È importante sottolineare”, aggiunge Maria Vincenza Chiriacò, “il concetto di prossimità alla base di questo approccio. Esistono già molti meccanismi di compensazione delle emissioni, ma spesso seguono una logica di compensazione su scala globale, per cui l’assorbimento del carbonio emesso in atmosfera avviene in aree geograficamente molto distanti da quelle in cui sono state generate le emissioni da compensare. Nell’approccio di prossimità realizzato dal CMCC, la compensazione delle emissioni avviene vicino alla fonte emissiva. Questo, oltre a contribuire al raggiungimento degli obiettivi globali di mitigazione del cambiamento climatico, comporta un miglioramento ad ampio raggio dell’intero sistema agro-forestale su scala locale, fornendo tutta una serie di co-benefici ambientali e socio-economici per la comunità e il territorio.”

L’approccio land-based sviluppato dai ricercatori CMCC è diventato di recente anche un web tool. Ideato e sviluppato da CMCC e Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare (ISMEA), con il supporto finanziario del Programma “Rete Rurale Nazionale 2014–2020”, il tool è completamente gratuito e accessibile online. Strumento rigorosamente scientifico, basato su dati e informazioni scientificamente fondate, il web tool nasce con l’obiettivo di essere facilmente accessibile a tutti i suoi potenziali utenti. La piattaforma consente agli allevatori zootecnici italiani di fare una stima dell’impronta di carbonio della propria azienda zootecnica compilando un breve questionario: poche domande che prendono in considerazione le principali caratteristiche dell’azienda, dal numero di capi allevati, al consumo energetico, alla tipologia di allevamento e al foraggio e ai mangimi acquistati, etc. In questa prima fase si ottiene una stima delle emissioni generate dall’azienda zootecnica. Quindi si passa a una seconda fase dove sono ipotizzate tutta una serie di azioni, ciascuna con il suo protocollo, per ridurre e compensare le emissioni dell’allevamento. Il tool aiuterà pertanto i diversi portatori d’interesse a individuare le migliori opzioni per una gestione più sostenibile del territorio in Italia, in special modo a livello locale. I ricercatori CMCC stanno lavorando con ISMEA e il Programma “Rete Rurale Nazionale 2014–2020” alla creazione di un sistema di tracciabilità della sostenibilità dell’uso del suolo, basato sull’approccio sviluppato, attraverso un meccanismo volontario di incentivazione di pratiche agricole e forestali sostenibili per ridurre e compensare le emissioni zootecniche a livello locale. Il meccanismo utilizzerà dei crediti, che i ricercatori hanno soprannominato “crediti di sostenibilità”, per i molteplici benefici, non solo climatici, che porteranno alle comunità e ai distretti agricoli locali. L’approccio land-based presentato in questo studio è stato sviluppato nell’ambito delle attività del Programma “Rete Rurale Nazionale 2014–2020” grazie a uno specifico accordo tra Fondazione CMCC Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici (CMCC) e Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare (ISMEA) per il progetto Il distretto agricolo-zootecnico-forestale: un nuovo approccio territoriale per la mitigazione dei cambiamenti climatici

Leggi la versione integrale dell’articolo (scaricalo gratuitamente entro il 23 febbraio 2021):

Maria Vincenza Chiriacò, Riccardo Valentini, A land-based approach for climate change mitigation in the livestock sector, Journal of Cleaner Production, Volume 283, 2021,

124622, ISSN 0959-6526, https://doi.org/10.1016/j.jclepro.2020.124622.

Fonte: ecodallecitta.it

Negli ultimi sette anni abbiamo visto l’esplosione della piccola agricoltura in Italia. Parola di Nicola Savio

La piccola agricoltura a basso impatto ha avuto una crescita esponenziale nel nostro paese, dando vita a un movimento maturo, fatto di tante reti di piccoli produttori. Ne abbiamo parlato con Nicola Savio, che assieme alla compagna Noemi Zago porta avanti da anni una microfattoria familiare, Officina Walden, e commercia macchinari innovativi per un’agricoltura a bassissimo impatto ambientale. Lo avevamo – o meglio li avevamo, Nicola Savio e Noemi Zago – lasciati alle prese con una piccola fattoria familiare che stava appena nascendo, lo ritroviamo quasi otto anni dopo con un’attività fiorente, un commercio di macchinari per una agricoltura a basso impatto, persino la necessità di diminuire la produzione agricola per evitare il burnout da troppo lavoro. La cosa più incredibile di questi anni, tuttavia, è stata a detta di Nicola quello che è successo attorno a lui, nel resto del Paese.  Ma andiamo con ordine. La seconda puntata di “Dove eravamo rimasti” – il nuovo format video di Italia che Cambia in cui riprendiamo le fila delle prime interviste pubblicate per vedere come sono evoluti nel tempo i progetti – ci porta nelle campagne vicino Ivrea, dove vivono Nicola e Noemi.  

Nicola Savio

La loro prima intervista (che trovate qui) era stata la seconda in assoluto pubblicata sul giornale Italia che Cambia. L’articolo è del 2013, ma il girato è dell’anno precedente. Stavolta di fronte alla telecamera c’è solo Nicola, che però ci rassicura: «Con Noemi siamo ancora felicemente sposati e nostro figlio è cresciuto un bel po’. Solo non le piace apparire davanti a una videocamera»

«Sono passati otto anni – commenta Nicola – e di cose ne sono cambiate tante. Quando Daniel passò a girare il video avevamo appena finito di costruire la casa in cui abitiamo e uscivamo da 3-4 mesi di vita tra il cantiere di casa e un camper nel quale avevamo trascorso l’inverno. Ed era quello il motivo dell’aspetto “asciugato”».

In effetti l’aspetto di Nicola è piuttosto cambiato nel tempo, capelli più lunghi, qualche chilo in più, un’aria più riposata. «La situazione di allora era al limite. Fortunatamente le basi che abbiamo messo in quel momento sono ci hanno permesso di crescere, di mettere su un po’ di ciccia e di prosperare allegramente nel nostro piccolo progetto». 

Piccolo progetto che nel frattempo si è stabilizzato ed è cresciuto, diventando una microfattoria familiare, chiamata Officina Walden, che produce verdura per il mercato locale attraverso un sistema di abbonamento e cassette, sullo stile delle Community supported agriculture, un modello nato negli Usa e diffusosi anche da noi basato sulla consociazione fra produttori e consumatori.  All’attività di coltivatore, da qualche anno Nicola ha affiancato anche quella di rivenditore di attrezzatura tecnica per un’agricoltura a basso impatto. «Nello strutturare la nostra attività abbiamo scoperto degli strumenti, delle attrezzature e delle tecniche di pianificazione e di progettazione che abbiamo cominciato a divulgare. A un certo punto ci siamo resi conto che una delle cose che un mancava nel panorama della piccola agricoltura italiana erano proprio gli attrezzi e la conoscenza di come usarli. Quindi ci siamo buttati in questo nuovo campo tant’è che adesso il nostro lavoro si divide a metà: da un lato la produzione di cibo, dall’altro il lavoro di supporto per chi sta facendo il nostro stesso percorso, attraverso il rifornimento di attrezzature e una formazione continua».

Oltre alla crescita dell’attività familiare, Nicola è testimone – e forse anche un pizzico testimonial – della crescita vertiginosa della piccola agricoltura non invasiva in Italia. «La crescita di questo movimento è stata quasi esponenziale, dieci anni fa io ero uno dei pochi che faceva cose del genere, oggi ce ne sono centinaia, migliaia. Siamo collegati a tante piccole reti di produttori, progetti che lavorano bene, crescono, si stabilizzano. Che fosse un fenomeno in crescita era evidente già otto anni fa, ma ci sono caratteristiche diverse fra queste due “ondate”. Allora parte dei progetti rischiavano di fallire perché erano basati più sull’idea del ritorno alla campagna che sul lavoro e lo sviluppo di professionalità. Ma chi è riuscito a superare quelle difficoltà iniziali ed è rimasto in piedi, oggi sta dando vita a questa seconda primavera, più consapevole».

Nemmeno la pandemia sembra aver fermato la crescita di queste esperienze. Anzi, sembrerebbe essere successo il contrario. «Le piccole realtà, che erano anche quelle più flessibili, più in grado di modificare il proprio assetto in corsa, sono riuscite a svilupparsi ad aumentare i propri clienti, ad aumentare la propria rete di relazioni. Durante il lockdown molte persone non potevano o non volevano più andare ai supermercati, perciò hanno iniziato ad approfittare dei produttori vicini a casa loro. Produttori che in molti casi si sono anche attrezzati con sistemi di consegne a domicilio, per cui molti sono cresciuti. E forse per la prima volta tutta la rete di piccoli produttori si è presentata al mondo come un’entità professionale: non più come persone che hanno pensato di trasferirsi in campagna e vivono in mezzo alle galline, ma come gli unici in grado di farti arrivare il cibo a casa». 

Molti fra i lettori di Italia che Cambia sognano, o stanno pianificando, o stanno già intraprendendo iniziative simili a quella di Nicola, e allora non possiamo non chiedergli quali consigli può dispensare a chi stia iniziando adesso. «Per gli aspetti pratici consiglio prima di tutto e contattare qualche ente locale che si occupi di agricoltura, che sia Confagricoltura, la Coldiretti, o quello che capita tra le mani, perché loro hanno informazioni su burocrazia e pratiche necessarie per quella che comunque è un’attività professionale». 

«Noi siamo partiti con l’idea che non volevamo avere nessun debito, perché non avevamo soldi da parte per coprirli, i debiti, e non c’era nessuna certezza di guadagnare abbastanza in futuro. Per cui siamo partiti piccoli, con una semplice partita Iva in regime di esenzione e poi piano piano siamo cresciuti. Certo, niente vieta di aprire fin da subito un’azienda agricola, accedere ai fondi, però lì si va direttamente su un campo in cui bisogna fare un business plan, diventa tutto più articolato». 

Un aspetto importante è scegliere dove aprire la propria attività. «Sconsiglio vivamente a chiunque voglia fare una cosa del genere di ritirarsi in un eremo. La base del nostro sostentamento è la vendita di parte dei nostri prodotti sul mercato locale, perciò deve esistere un mercato locale. Molti dei progetti che abbiamo visto fallire erano progetti di persone che avevano scelto di vivere magari in valli bellissime, con panorami stupendi, ma dove non c’è anima viva nel raggio di 50 chilometri». 

Prima di salutarci, Nicola ci lascia con un auspicio. «Se dovessimo risentirci fra 8 anni, mi auguro che siano aumentati ancora i miei colleghi, e che i mercati locali così come le realtà delle produzioni locali siano ormai dati per scontati, diventati la normalità».

Fonte: https://www.italiachecambia.org/2021/01/esplosione-piccola-agricoltura-italia-nicola-savio/?utm_source=newsletter&utm_medium=email