Chiude la centrale a carbone di La Spezia: quali prospettive per una Liguria a zero emissioni?

La recente notizia della chiusura di una delle più grandi centrali a carbone d’Europa si sta diffondendo in Liguria e si intravedono nuove opportunità per un futuro più sostenibile a La Spezia. L’importante è saperle cogliere e proseguire con decisione lungo la strada della transizione ecologica.

La Spezia – Un passo avanti verso un futuro più sostenibile per la Liguria: a inizio dicembre Enel ha ricevuto l’autorizzazione dal Ministero della Transizione Ecologica per la cessazione definitiva della centrale a carbone “Eugenio Montale” di La Spezia. L’obiettivo è sostituire progressivamente le fonti fossili per la produzione di energia elettrica.

«L’autorizzazione alla chiusura della centrale a carbone di La Spezia è un’ottima notizia», fa notare Donatella Bianchi, presidente di WWF Italia. «La presenza della centrale alimentata con il più sporco e inquinante dei combustibili fossili ha provocato tante sofferenze alla città e all’ambiente spezzino, oltre che al clima. Ci auguriamo che Enel, insieme alle istituzioni locali, continuerà a operare per lo sviluppo sostenibile e decarbonizzato della città e della regione», conclude la Bianchi.

UN KILLER SILENZIOSO

D’altronde, l’impatto sanitario e ambientale delle centrali a carbone attualmente operative in Europa è rilevante, come si legge dai dati tratti da “Killer silenziosi”, l’indagine realizzata dall’Università di Stoccarda, per conto di Greenpeace.

La centrale Enel di La Spezia

«La chiusura anticipata della centrale a carbone è senz’altro una notizia positiva, – sottolinea Andrea Sbarbaro, presidente dell’associazione Cittadini Sostenibili – ma rischia di rimanerlo solo a metà. Se l’ipotesi di sostituzione di questo impianto con uno a turbogas andrà in porto, il problema in parte resta: per quanto il gas sia meno impattante del carbone, la combustione di fonti fossili contribuisce comunque al riscaldamento globale».

Pare infatti che in al posto dell’unità a carbone ne sia prevista una nuova a gas: «In Italia – continua Sbarbaro – la crescita delle energie rinnovabili negli ultimi anni è stata inferiore che in altri paesi, principalmente per vincoli burocratici: si tratta di un problema che va affrontato con decisione. Le fonti fossili non possono essere la soluzione su cui puntare per il nostro futuro, se sono proprio loro parte del problema nel presente».

LE NUOVE PROSPETTIVE PER LA SPEZIA

Dalla decarbonizzazione alle nuove opportunità per economia, occupazione e ambiente. Quali sono le prospettive per una Liguria a zero emissioni? ENEA, l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile, ha realizzato uno studio, commissionato da WWF, per mettere in luce le soluzioni in grado di stimolare la crescita economica e occupazionale della regione, limitando al tempo stesso le emissioni a effetto serra e lottando il cambiamento climatico. Secondo Massimo Caminiti, ricercatore di ENEA, è essenziale innanzitutto puntare sul fotovoltaico: «Essendo un’energia dipendente dalla presenza del sole, occorre sviluppare batterie capaci di accumulare energia elettrica. Questo tipo di energia, oltre a essere un’alternativa “green”, è anche un’opportunità per lo sviluppo delle imprese regionali».

Pannelli fotovoltaici. Pixabay

A livello globale ed europeo il mercato delle energie rinnovabili è in grandissima espansione, con una crescita che non si è arrestata nemmeno nel corso del 2020. In Italia invece, negli ultimi due anni è stata rilevata una forte diminuzione delle installazioni di impianti. L’impossibilità per diversi mesi di portare avanti attività sul campo, così come l’accresciuta difficoltà di interagire con gli uffici della pubblica amministrazione, oltre all’oggettivo clima di incertezza associato all’impatto sull’economia, hanno condizionato pesantemente il nostro Paese. In aggiunta alla divulgazione di strategie per potenziare la produzione di energia pulita, ENEA diffonde anche interventi di efficienza energetica in ambito residenziale, orientati soprattutto alla riqualificazione di edifici esistenti. Secondo un protocollo condiviso tra professionisti, imprese e artigiani, questa opportunità valorizza anche architettonicamente gli immobili rendendoli più confortevoli e ne migliora la classe energetica. Come sottolinea Luca Mazzari del CNA Liguria, si agisce su più fronti: «Per prima cosa si libera spazio per una migliore armonia interna, anche dal punto di vista termico. Poi è importante aumentare la performance energetica, isolandosi dal freddo d’inverno e dal caldo in estate: l’uso della termoventilazione meccanica consente di cambiare l’aria senza dispersioni, con l’installazione di pannelli in gessofibra anziché mattoni e porte scorrevoli si riducono anche i costi di gestione di ogni appartamento».

Anche l’elettrificazione delle banchine portuali può rappresentare una buona opportunità di sviluppo sostenibile – oltre che di riduzione dell’impatto ambientale –, così come la lotta all’inquinamento luminoso: «Nel 2014 – illustra Davide Natale, assessore alla sostenibilità ambientale del Comune di La Spezia – l’amministrazione ha iniziato a ragionare su un modo nuovo di concepire l’illuminazione pubblica puntando sulla conversine a LED di tutti i punti luce del centro di La Spezia, con una riduzione del 60% dei consumi elettrici in meno rispetto al 2013 e un forte risparmio economico sulle spese per i consumi».

Sono tante le opzioni per trasformare La Spezia in una città più sostenibile. Il carbone e i combustibili fossili sono il passato: oggi si può voltare pagina e guardare al futuro e la Liguria può essere da esempio per tutte le altre regioni italiane.

Fonte: https://www.italiachecambia.org/2021/12/centrale-a-carbone-spezia/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

Uso del suolo e cambiamenti climatici: nuovo studio CMCC sul settore zootecnico verso emissioni zero

I settori agricolo, forestale e zootecnico possono contribuire agli obiettivi globali di mitigazione e di sviluppo di un territorio, se vengono messe in atto delle attività sostenibili di uso del suolo. Lo dice un nuovo studio diretto dalla Fondazione Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici

Le emissioni di gas serra del settore agricolo, forestale e altri usi del suolo (il cosiddetto settore AFOLU, Agriculture, Forestry and Other Land Use), rappresentano il 24% delle emissioni globali; i principali driver sotto accusa sono le emissioni legate alla deforestazione, le emissioni di metano degli allevamenti o prodotte dalla fermentazione anaerobica di materia organica, principalmente dalle coltivazioni di riso, o di protossido di azoto (N2O) legate all’uso di fertilizzanti in agricoltura. Tale settore è pertanto uno dei principali responsabili del cambiamento climatico, secondo solo al settore energetico. Un nuovo studio diretto dalla Fondazione CMCC esplora come la gestione sostenibile del territorio possa contribuire agli obiettivi di mitigazione globali e di sviluppo sostenibile a livello locale. I ricercatori hanno identificato alcune possibili opzioni di mitigazione land-based per ridurre e compensare le emissioni del settore zootecnico, che rappresenta attualmente una delle principali fonti di gas serra dell’intero settore agricolo. Anche se a partire dagli anni ’90 le emissioni degli allevamenti sono infatti diminuite, con una riduzione del 20% in Europa nel 2018, ancora oggi a livello europeo rappresentano più del 60% del totale delle emissioni del comparto agricolo.

“Il settore agricolo”, spiega Maria Vincenza Chiriacò, ricercatrice CMCC e primo autore dello studio, “ha la caratteristica unica di essere sia parte del problema che della soluzione: da un lato genera emissioni di gas serra, dall’altro può riassorbirle, soprattutto con un’appropriata gestione sostenibile, grazie all’attività di fotosintesi e alla biodiversità dei suoli, rappresentando un importante sink di carbonio. Tutti gli altri settori (energia, edilizia, trasporti) possono impegnarsi per ridurre le proprie emissioni e farle tendere progressivamente a zero, ma non hanno possibilità di sottrarre dall’atmosfera quell’eccesso di CO2 ormai già presente. Il nostro approccio si articola in due fasi successive: per prima cosa realizziamo una stima delle emissioni di gas serra derivanti dalle attività delle aziende zootecniche, ovvero calcoliamo la loro impronta di carbonio, quindi valutiamo il potenziale di alcune attività nel settore agricolo e forestale per la mitigazione delle emissioni stimate nel passaggio precedente.”

I risultati dello studio hanno messo in luce come le opzioni di mitigazione prese in esame, basate sulle pratiche agricole maggiormente sostenibili, possano non solo compensare, ma persino arrivare a portare il settore zootecnico a zero emissioni, a raggiungere, cioè, la carbon neutralityI ricercatori CMCC si sono concentrati su un primo caso studio pilota in Italia centrale, in un’area della provincia di Viterbo con una forte vocazione agricola, con l’obiettivo di comprendere come e in che misura le emissioni di gas serra delle aziende zootecniche potevano essere ridotte o compensate attraverso rimozioni di carbonio nella stessa area. Con questo obiettivo in mente, i ricercatori hanno sviluppato e messo a punto un approccio land-based dato dalla combinazione di diverse metodologie, come elaborazioni GIS, misurazioni delle emissioni delle aziende zootecniche attraverso il metodo LCA (life cycle assessment) e altre metodologie dell’IPCC, per arrivare a una stima precisa delle emissioni di gas serra del comparto zootecnico e del potenziale di mitigazione di diverse opzioni d gestione agricola e forestale su scala locale, nelle immediate vicinanze della fonte emissiva (cioè in prossimità delle aziende zootecniche presenti nell’area analizzata).

“I risultati del nostro studio”, commenta il Prof. Riccardo Valentini (Fondazione CMCC e Università della Tuscia), mostrano la possibilità di una totale compensazione delle emissioni delle aziende zootecniche dell’area pilota, indicando i percorsi possibili per arrivare alla carbon neutrality, cioè a zero emissioni o persino a emissioni negative. Se opportunamente gestito il settore agricolo appare quindi un settore chiave, in grado di contribuire in maniera significativa agli obiettivi di mitigazione dei cambiamenti climatici a livello globale.”

“È importante sottolineare”, aggiunge Maria Vincenza Chiriacò, “il concetto di prossimità alla base di questo approccio. Esistono già molti meccanismi di compensazione delle emissioni, ma spesso seguono una logica di compensazione su scala globale, per cui l’assorbimento del carbonio emesso in atmosfera avviene in aree geograficamente molto distanti da quelle in cui sono state generate le emissioni da compensare. Nell’approccio di prossimità realizzato dal CMCC, la compensazione delle emissioni avviene vicino alla fonte emissiva. Questo, oltre a contribuire al raggiungimento degli obiettivi globali di mitigazione del cambiamento climatico, comporta un miglioramento ad ampio raggio dell’intero sistema agro-forestale su scala locale, fornendo tutta una serie di co-benefici ambientali e socio-economici per la comunità e il territorio.”

L’approccio land-based sviluppato dai ricercatori CMCC è diventato di recente anche un web tool. Ideato e sviluppato da CMCC e Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare (ISMEA), con il supporto finanziario del Programma “Rete Rurale Nazionale 2014–2020”, il tool è completamente gratuito e accessibile online. Strumento rigorosamente scientifico, basato su dati e informazioni scientificamente fondate, il web tool nasce con l’obiettivo di essere facilmente accessibile a tutti i suoi potenziali utenti. La piattaforma consente agli allevatori zootecnici italiani di fare una stima dell’impronta di carbonio della propria azienda zootecnica compilando un breve questionario: poche domande che prendono in considerazione le principali caratteristiche dell’azienda, dal numero di capi allevati, al consumo energetico, alla tipologia di allevamento e al foraggio e ai mangimi acquistati, etc. In questa prima fase si ottiene una stima delle emissioni generate dall’azienda zootecnica. Quindi si passa a una seconda fase dove sono ipotizzate tutta una serie di azioni, ciascuna con il suo protocollo, per ridurre e compensare le emissioni dell’allevamento. Il tool aiuterà pertanto i diversi portatori d’interesse a individuare le migliori opzioni per una gestione più sostenibile del territorio in Italia, in special modo a livello locale. I ricercatori CMCC stanno lavorando con ISMEA e il Programma “Rete Rurale Nazionale 2014–2020” alla creazione di un sistema di tracciabilità della sostenibilità dell’uso del suolo, basato sull’approccio sviluppato, attraverso un meccanismo volontario di incentivazione di pratiche agricole e forestali sostenibili per ridurre e compensare le emissioni zootecniche a livello locale. Il meccanismo utilizzerà dei crediti, che i ricercatori hanno soprannominato “crediti di sostenibilità”, per i molteplici benefici, non solo climatici, che porteranno alle comunità e ai distretti agricoli locali. L’approccio land-based presentato in questo studio è stato sviluppato nell’ambito delle attività del Programma “Rete Rurale Nazionale 2014–2020” grazie a uno specifico accordo tra Fondazione CMCC Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici (CMCC) e Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare (ISMEA) per il progetto Il distretto agricolo-zootecnico-forestale: un nuovo approccio territoriale per la mitigazione dei cambiamenti climatici

Leggi la versione integrale dell’articolo (scaricalo gratuitamente entro il 23 febbraio 2021):

Maria Vincenza Chiriacò, Riccardo Valentini, A land-based approach for climate change mitigation in the livestock sector, Journal of Cleaner Production, Volume 283, 2021,

124622, ISSN 0959-6526, https://doi.org/10.1016/j.jclepro.2020.124622.

Fonte: ecodallecitta.it

Londra sperimenta le strade a emissioni zero

La Low Emission Zone voluta dal sindaco Khan non basta a limitare l’inquinamento e Londra pensa di limitare la circolazione alle sole auto elettriche e ibride.http _media.ecoblog.it_3_3f7_londra-strade-emissioni-zero

Solo auto elettriche e ibride plug in in alcune strade di Londra: è così che la capitale del Regno Unito sta pensando di risolvere lo storico problema dell’inquinamento cittadino causato dalla circolazione di automobili diesel e benzina.

L’idea, perché di questo ancora si tratta, è stata annunciata da Ruth Calderwood, air quality manager della City of London. In una intervista rilasciata al Financial Times la Calderwood ha candidamente ammesso che la cosiddetta Ultra Low Emission Zone (la zona a traffico limitato voluta dal sindaco Sadiq Kahn e che entrerà in vigore a partire da aprile 2019) non basterà a far scendere l’inquinamento.

Comprendiamo che l’Ultra Low Emission Zone non sarà sufficiente per soddisfare i valori limite, quindi dovremo guardare a ulteriori misure per le nostre strade più trafficate. Stiamo studiando la fattibilità di una Ultra Low Emission Street“, ha spiegato la Calderwood.

Una strada con restrizioni al traffico ancora più forti, sulla quale potranno circolare praticamente solo automobili elettriche e ibride plug in. A questa si aggiungeranno agevolazioni tariffarie per il parcheggio delle auto ecologiche. Ma come funzionerà questa strada riservata alle auto elettriche e, soprattutto, quale sarà? Ce ne sarà più di una?

L’air quality manager ammette che è ancora tutto da studiare: “Poiché non lo abbiamo ancora mai fatto, ci sarà un programma pilota su una piccola strada per capire quanti veicoli saranno autorizzati a passare. Vogliamo essere sicuri della disponibilità dei veicoli: non vogliamo introdurre qualcosa destinato a diventare un problema“.

Tutto ancora da decidere, quindi. L’unica cosa certa è che Londra ha seri problemi di inquinamento, dovuti (anche) al traffico urbano. Dal 2010, praticamente ininterrottamente, la città sfora i livelli consentiti di biossido d’azoto.

Tra i punti più critici, secondo i dati forniti dalle centraline di rilevazione degli inquinanti, del particolato e dei PM10, ci sono Thames Street e Beech Street. Al momento a Londra circolano solo 12.000 veicoli elettrici, ma questo numero è destinato a salire grazie alle recenti normative in vigore da inizio 2018 che impongono ai tassisti l’acquisto di veicoli “Zero Emission Capable“, cioè in grado di percorrere almeno 30 miglia esclusivamente a batteria. Nel frattempo la capitale inglese sta lavorando anche sul trasporto pubblico locale: è infatti in corso un corposo programma di sostituzione della flotta di autobus urbani, attualmente in gran parte a gasolio, con autobus elettrici. Recentemente ne sono stati acquistati altri 68, portando il numero totale di mezzi pubblici elettrici a 240.

Fonte: ecoblog.it

Bus elettrici: Toyota lancia il Sora a fuel cell

Toyota ha aperto le vendite del nuovo autobus cittadino Sora a celle di combustibile 100% elettrico. Ne venderà 100 entro il 2020.bus-elettrico-toyota-sora-fuel-cell-5

Al via le vendite in Giappone del nuovo citybus elettrico a fuel cell Sora, prodotto da Toyota. Il nuovo modello dedicato al trasporto pubblico cittadino è a emissioni zero perché 100% elettrico, alimentato da celle a combustibile (cioè idrogeno). Si tratta di un bus da 10 metri e mezzo di lunghezza e 79 passeggeri di capacità, autista incluso. E’ spinto da due motori elettrici da 113 kW di potenza e 335 Nm di coppia, alimentati da due stack da 114 kW ciascuno. Il Toyota Sora si distingue anche per alcune caratteristiche interessanti, oltre per il semplice fatto di essere un autobus elettrico a idrogeno. Parte dell’elettricità, per un massimo di 9 kW e 235 kWh, può essere infatti erogata a un dispositivo all’esterno del bus. In pratica il bus può essere utilizzato come un generatore di corrente, in caso di disastro o necessità in strada. In un paese come il Giappone, dove i terremoti sono purtroppo frequenti, questa funzionalità può diventare molto utile. Il Sora è inoltre dotato di telecamere lungo tutto il suo perimetro, per individuare elettronicamente pedoni e ciclisti e aumentare la sicurezza di marcia. Toyota prevede di produrre e vendere oltre 100 Sora a fuel cell entro il 2020, soprattutto nell’area metropolitana di Tokyo e in vista dei Giochi Olimpici e Paralimpici di Tokyo 2020.

5 Guarda la Galleria “Bus elettrico Toyota Sora fuel cell”

 

Fonte: ecoblog.it

Exe.it: il primo Data Center in Italia a emissioni zero

Lo sapevate che i data center, se prendiamo in considerazione l’Europa, il Nord America e l’Oceania, sono la prima causa delle emissioni di anidride carbonica? Exe.it è una società che opera nel bolognese dal 1988 nel settore dell’informatica, fornendo servizi ad ampio spettro e di specializzazione. Con il suo Green data center è diventata la prima società in Italia a fornirsi di un data center completamente a emissioni zero, strutturato per l’efficienza energetica.

Dopo aver incontrato Gianni Capra, amministratore della società Exe.it Srl Sb, mi capita spesso di domandare a persone molto informate sul tema dei cambiamenti climatici se conoscono una delle cause di questo problema. In molti mi rispondono: “gli allevamenti intensivi, la produzione e il consumo di carne in generale”. A quel punto rispondo: “ma sai che un quarto d’ora di video su You Tube consuma in termini di emissioni quanto tre giorni di un frigorifero casalingo?” e vedo gli occhi dei miei interlocutori sgranarsi, come a pensare che io sia un tantino pazzo. Non hanno tutti i torti, lo devo ammettere, ma in tanti non sappiamo una cosa davvero importante: esistono documenti ufficiali che certificano come prendendo in considerazione l’Europa, il Nord America e l’Oceania, i data center costituiscono i massimi emettitori di CO2. Se si considera il mondo nel suo complesso sono gli allevamenti intensivi ad essere i maggiori emettitori. Conosciamo tutto di Steve Jobs ma poco di personaggi come Gianni Capra, uno di coloro che hanno trovato una soluzione al problema senza farci sudare freddo mentre guardiamo il video della band che amiamo.

Scopriamo la storia di Exe.it e del suo Green data center.

Che cos’è Exe.it?

Exe.it Srl Sb (vi spieghiamo dopo cosa significa quella sigla finale) nasce nel 1988 come azienda di informatica dedicata ai servizi.  La vera svolta avviene però con la nascita di internet: dopo questo evento, Exe.it si è immediatamente proposta come hosting, realizzando siti internet e offrendo servizi di providing. Qualche anno dopo si è spostata verso i servizi informatici a più ampio raggio rivolti alle aziende, partendo dai lunghi noleggi di hardware. Da azienda commerciale è diventata così un’azienda specializzata nei servizi, cambiando completamente la mentalità aziendale.

Già in questa prima fase di internet, Exe.it si appoggiava ad un data center nella sua vecchia sede di Bologna: si tratta di una sala macchine che ospita server, storage, gruppi di continuità e tutte le apparecchiature che consentono di governare i processi, le comunicazioni così come i servizi che supportano qualsiasi attività aziendale. Se tutti noi abbiamo un blog personale, è all’interno di un data center che questo gira, è grazie a questo assemblamento di macchine (e non solo) che possiamo vederlo. Dopo venticinque anni di attività. la Exe.it ha deciso di costruirsi un proprio data center, oggi attivo a Castel San Pietro Terme in provincia di Bologna. Perché, e cosa ha di particolare?20139671_1476862075694062_4788166544982053265_n-1

Il Primo Green data center in Italia

“Da una piccola ricerca che abbiamo effettuato, abbiamo scoperto che la preoccupazione numero uno in termini di emissioni di CO2 da parte della Comunità Europea, del Parlamento Australiano e Canadese e del Congresso Statunitense sono i data center: una notizia che non sa quasi nessuno” ci spiega allora Gianni Capra, Amministratore di Exe.it Srl Sb.  “Se si considera il mondo nel suo complesso sono gli allevamenti intensivi ad essere i maggiori emettitori. Eppure, ad esempio, nella nostra regione, l’Emilia Romagna, il più grande emettitore di Co2 è un data center molto importante”. Perché questo? Perché anche solo soffermandosi sul territorio italiano, i data center sono migliaia e ognuno consuma delle quantità spropositate di energia elettrica. La causa della loro massiccia presenza è che la totalità delle comunicazioni oggi passa attraverso un data center: cinema, televisione, musica, radio, ovviamente internet e quant’altro. L’esplosione degli smartphone non ha fatto altro che incrementare questa tendenza.

“Avendo preso atto di questo, la nostra idea era quella di provare a costruire, progettare e realizzare il primo data center in Europa ad emissioni zero. Non ci siamo riusciti perché siamo stati preceduti da altri nove data center che sono in Nord Europa (tre in Islanda, due in Norvegia, due in Finlandia e due in Svezia) mentre realizzavamo il nostro. Dunque il nostro Green data center è l’unico data center ad emissioni zero nell’area compresa tra Amburgo, Lisbona ed Atene.6883_1009784319068509_6582728425691563248_n

La struttura

Per raggiungere questo obiettivo, Exe.it ha progettato una struttura che ospita il data center a zero emissioni di anidride carbonica: “Una componente fondamentale di questa struttura è il legno: tutto il data center è costruito con questo materiale, che permette un livello di efficienza termica non comparabile con qualsiasi altra tipologia costruttiva. Le pareti in legno hanno una caratteristica fortemente isolante e conferiscono allo stabile un’altissima efficienza energetica. Noi non abbiamo nemmeno l’aria condizionata negli uffici e non ne sentiamo minimamente l’esigenza. Si aggiunga a questo il tetto completamente ricoperto di pannelli fotovoltaici, in sovrapproduzione di energia da anni ormai. Inoltre i nostri armadi Rack, le strutture dove si installano i server fisici, sono a bassissima densità: noi ne mettiamo al massimo ventuno su quarantadue posti disponibili, permettendo un minore surriscaldamento. Un altro aspetto è l’alta temperatura di funzionamento dei data center: di solito in questo ambiente si lavora a diciotto-venti gradi massimo, e per far questo bisogna raffreddare l’ambiente con i condizionatori. Noi lavoriamo a ventisei-ventotto gradi e tutto è studiato in funzione di questo. Altro aspetto importantissimo è la rinuncia totale ai dischi rigidi: nel nostri data center ci sono solo memorie allo stato solido, come quelle dei nostri telefonini o delle nostre macchine fotografiche. Il combinato disposto di tutte queste scelte permette di condizionare soltanto il ventuno per cento del tempo annuo, contro il cento per cento di un data center tradizionale, che tra l’altro consuma il cinquantacinque per cento del totale proprio per condizionare. Questa è la dimostrazione che un data center ad emissioni zero è sostenibile anche economicamente, persino a queste latitudini”.20604263_1491017070945229_4216119595084781855_n

Le certificazioni

Un altro aspetto che conferma la veridicità e la non autoreferenzialità di quanto affermato da Capra sono le certificazioni ufficiali, obiettivo centrale che Exe.it ha perseguito come dimostrazione del proprio lavoro: “Siamo convinti che la divulgazione sia importante, ma allo stesso tempo crediamo che la certificazione che attesti la veridicità di quanto dichiarato lo sia altrettanto. Ecco perché ci siamo sforzati di ottenerla, sottolineo la parola vera perché ce ne sono molte di certificazioni false! Quelle vere vengono rilasciate da enti accreditati, che fanno capo ad un unico organismo nazionale che risponde al Ministero dello Sviluppo Economico e che si chiama Accredia. Il 27 gennaio 2016 noi abbiamo avuto la nostra certificazione di essere un data center ad emissioni zero da parte di un ente accreditato, con un traguardo in più, molto difficile da ottenere: il diritto legale di emettere delle sub-certificazioni a costo zero da rilasciare a tutti coloro che trasferiscono tutti o in parte i propri dati informatici qui da noi. Oggi tutti i nostri clienti ricevono dunque una certificazione vera, con un numero identificativo univoco che rimanda ad un database che è dell’Ente no-profit che ha stabilito le normative: il massimo dell’oggettività possibile.13007143_1058858434161097_2085150427746808041_n

Gianni Capra, amministratore della società Exe.it

La Società Benefit

Exe.it è anche una SB, una società Benefit, società Profit che però formalizzano e rispettano una particolare attenzione all’ambiente, al sociale o ad entrambe le cose. La Società Benefit è ora riconosciuta ufficialmente dallo Stato Italiano, primo paese in Europa e secondo solo agli Stati Uniti nel Mondo a riconoscere giuridicamente questa formula societaria, con la legge numero 208 del 29/12/15. “Anche questo aspetto della Società Benefit è una certificazione, abbiamo pensato subito che facesse al caso nostro. Lo dimostra anche il nostro stabilimento, dove ci sono tante aree dedicate unicamente al benessere delle persone che lavorano qua. Abbiamo costruito una sala musica, una taverna, una palestra, ci sono gli orti dove poter raccogliere delle verdure: tutto è a disposizione di tutti i dipendenti e questo rende più gradevole il vivere in un posto, quello di lavoro, che porta via tanto tempo della nostra esistenza. Essendo una Benefit Corporation abbiamo tante altre cose formalizzate e inserite nello Statuto, quali per esempio il recupero totale delle acque piovane e una rigorosa raccolta differenziata”.

Arrivato il momento dei saluti, Gianni mi esprime un desiderio: “Noi siamo fieri di questa primogenitura in Italia per quanto riguarda il data center, ma non deve rimanere un unicità: vorremmo che la dimostrazione che un data center, l’oggetto più inquinante al mondo, può essere sostenibile al cento per cento ed emettere assolutamente zero anidride carbonica, fosse divulgato e diffuso.”

Nel nostro piccolo ci abbiamo provato, speriamo di essere seguiti sempre di più anche noi.

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2018/01/io-faccio-cosi-194-exe-it-primo-data-center-italia-impatto-zero/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni

Autobus Mercedes Citaro Elettrico in produzione dal 2018

La versione elettrica dell’autobus Mercedes Citaro verrà presentata a settembre 2018 nel corso dell’IAA Commercial Vehicles Show.Elektromobilität: Emissionsfrei durch die City: Der Countdown für den Mercedes-Benz Citaro mit vollelektrischem Antrieb läuft

E’ iniziato il conto alla rovescia per il lancio dell’autobus Mercedes Citaro E-CELL, versione elettrica del collaudato autobus di linea del gruppo Daimler. Verrà presentato a Settembre 2018 ad Hannover, nel corso dell’IAA Commercial Vehicles Show. Il Citaro elettrico, infatti, è già sotto test nella Sierra Nevada in Spagna, dove Mercedes testa ogni suo nuovo modello di autobus. Altri test sono stati effettuati al Circolo Polare Artico. Le caratteristiche principali di questo bus cittadino, oltre alla trazione 100% elettrica e a emissioni zero, sono il design modulare delle batterie (che permette di variare l’autonomia dell’autobus in base alle esigenze), la gestione dell’impianto termico e la resistenza ai climi estremi.

Il nostro city bus produce zero emissioni ed è silenziosissimo in città – spiega il capo di Daimler Buses, Hartmut Schick – Gli ingegneri al momento stanno eseguendo i test sui prototipi in condizioni estreme. Per quanto riguarda il concetto tecnico dietro questo bus, che include un sistema modulare di batterie e una gestione termica avanzata, il Citaro elettrico a batterie è chiaramente una pietra miliare“.

Le batterie al litio del Citaro elettrico saranno modulari e customizzabili, per soddisfare un vasto range di possibili richieste di autonomia. Potranno essere ricaricate da una colonnina in una rimessa, ma ci saranno anche altre soluzioni di ricarica. La trazione posteriore elettrica è già stata sperimentata con un altro modello, il Citaro G BlueTec Hybrid. Il sistema avanzato di gestione della temperatura e climatizzazione del Citaro elettrico, invece, è stato studiato per ridurre notevolmente i consumi della batteria. In un veicolo senza motore termico, infatti, il calore da immettere nell’abitacolo deve essere generato elettricamente e questo comporta un notevole consumo della batteria.
Il Citaro elettrico in questi giorni è sottoposto agli stessi duri test riservati a tutti i prototipi di autobus Mercedes, anche con motore termico tradizionale. La casa tedesca ha due luoghi preferiti per i test: uno al caldo estremo, la Sierra Nevada in Spagna, e uno al freddo estremo, il Circolo Polare Artico. Se i prototipi superano i test in entrambi gli ambienti, allora Mercedes è sicura che potranno operare correttamente a temperature normali, sulle strade delle nostre città. Il Citaro elettrico non è il solo autobus a batteria attualmente in sviluppo in casa Daimler-Mercedes: in Nord America, infatti, entro il 2019 arriverà il Saf-T-Liner C2 Electric BusJouley” di Thomas Built Buses, noto produttore di scuolabus americano che fa parte del gruppo Daimler dal 2003.

4 Guarda la Galleria “Autobus Mercedes Citaro Elettrico in produzione dal 2018”

 

Fonte: ecoblog.it

 

Oslo, auto bandite dal centro a partire dal 2019

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Stop alle auto private nel centro di Oslo entro quattro anni. Il nuovo governo di sinistra della capitale norvegese ha deciso di mettere al bando le auto private dal centro cittadino per contribuire alla riduzione delle emissioni di gas a effetto serra. Il partito laburista e i suoi alleati socialisti e Verdi, dopo la vittoria nelle comunali dello scorso 14 settembre hanno presentato un progetto a medio termine focalizzata sull’ambiente e sulla lotta ai cambiamenti climatici. Nel programma è previsto un divieto di accesso ai veicoli privati nel centro della città dove abitano appena 1000 persone, a fronte di 90.000 lavoratori. La proposta del nuovo governo di sinistra ha suscitato i timori degli imprenditori locali visto che ben 11 dei 57 centri commerciali della città sono situati nel centro cittadino. Il divieto alle automobili fa parte di un ambizioso piano con il quale si vogliono dimezzare, entro il 2020, le emissioni di gas serra rispetto ai livelli del 1990. All’interno di questa strategia sono previste anche sovvenzioni per l’acquisto di biciclette elettriche, implementazioni della rete delle piste ciclabili e la riduzione del traffico automobilistico nella città nel suo complesso con due step: un – 20% entro il 2019 e un – 30% entro il 2030. Ed entro quella data tutte le vetture circolanti dovranno essere a emissioni zero.

Fonte: The Guardian

L’energia eolica si ripaga in meno di sei mesi

Durante 20 anni di vita, una turbina eolica produce 40 volte l’energia utilizzata per la sua costruzione e installazione, quindi si ripaga in sei mesi

Le turbine eoliche producono energia virtualmente senza emissioni; vi sono tuttavia impatti ambientali connessi con la loro produzione, installazione e trattamento di fine vita che è opportuno confrontare con i benefici della produzione di energia. Uno studio dell’università dell’Oregon sul ciclo di vita di due diverse turbine eoliche da 2 MW mostra che  l’energia prodotta nell’arco di vent’anni è pari a circa 40 volte quella spesa per produzione, installazione e smaltimento finale (1). Questo valore è pari a più del doppio del valore comunemente riportato di 18. Questo significa che in termini energetici la turbina si ripaga dopo soli sei mesi (2), mentre per i successivi 19 anni e mezzo è tutto guadagno. Il 78% degli impatti energetici ed ambientali si concentrano nella fase di costruzione. I risultati sono riferibili alle condizioni di vento della costa Pacifica USA, caratterizzata da una producibilità di circa 2100 ore all’anno (3).

Wind-farm

(1) Il rapporto tra energia prodotta ed energia investita è noto come EROEI (energy return on energy invested)

(2) Questo è un valore medio indicativo. Il payback time per le due turbine prese in considerazione è pari a 5,2 e 6,4 anni, corrispondenti a EROEI di 46 e 37.

(3) Dato deducibile dalle statistiche di potenza e generazione per lo stato dell’Oregon.

Fonte: ecoblog.it