Cosa sappiamo del “colossale” quantitativo d’acqua che fuoriesce dai cantieri del TAV?

In Val Susa i lavori delle trivelle per la realizzazione del TAV stanno causando significative perdite di acqua, come testimoniato dai dati diffusi dal Comitato acqua pubblica di Torino e dal Forum italiano dei movimenti per l’acqua. Ma cosa significano i valori di queste fuoriuscite in termini quantitativi? E quali potrebbero essere gli effetti dello spreco a medio-lungo termine?

Torino – In questi giorni i media riportano con frequenza notizie sulla siccità in Piemonte. Non è la prima volta e certo non sarà l’ultima. Anzi, gli effetti del cambiamento climatico porranno con sempre maggiore urgenza il tema della carenza d’acqua e della disomogenea distribuzione delle precipitazioni nel corso dell’anno. Questa situazione, ad esempio, potrà causare inevitabili impatti sulla popolazione, con rischio di razionamento della distribuzione in alcune zone e problemi per l’irrigazione delle colture agricole. In questo contesto, nel cuore delle montagne della Valsusa e della Maurienne (in Francia) si verifica da anni uno spreco d’acqua definito “colossale”. Infatti, i lavori per la realizzazione del cunicolo esplorativo del TAV Torino-Lione, lungo 7 chilometri, dal 2013 causano fuoriuscite d’acqua provenienti dalle falde intercettate dalle trivelle. La denuncia di questo spreco impattante arriva dal Comitato acqua pubblica di Torino e dal Forum italiano dei movimenti per l’acqua che hanno elaborato alcuni dati forniti da Telt – Tunnel Euralpin Lyon Turin sas, ovvero la società italo-francese che ha lo scopo di progettare, realizzare e gestire la sezione transfrontaliera della linea ferroviaria Torino-Lione, parte del corridoio delle reti ferroviarie europee TEN-T.

Foto tratta da TELT

COSA CI RACCONTANO I DATI

I dati forniti dalla società e successivamente rielaborati sono stati misurati in corrispondenza del cunicolo esplorativo del Tav presso La Maddalena di Chiomonte, in data 3 dicembre 2021. In questo tratto i lavori hanno avuto avvio a gennaio 2013 e sono terminati a febbraio 2017, per un tunnel della lunghezza totale di 7 chilometri. Durante i lavori del TAV, secondo i dati rielaborati dal Comitato Acqua Pubblica e dal Forum italiano dei movimenti per l’acqua, sono avvenute almeno 245 venute d’acqua (che corrispondono alle fuoriuscite di una limitata quantità d’acqua) con una portata media di 102,6 litri al secondo, che su base annua equivarrebbe al fabbisogno di una comunità di 40.000 persone.

Oltre a questi dati sono state riportate anche alcune stime che, se si dimostrassero veritiere, testimonierebbero un enorme spreco di acqua nel tempo: se in futuro venisse completato il progetto del tunnel di base della linea ad alta velocità Torino-Lione che corrisponde a un’intera galleria di 57 chilometri, ovvero oltre 8 volte la lunghezza del cunicolo esplorativo, si prevede al termine dello scavo la fuoriuscita ogni anno di un volume d’acqua pari a 24.590.500 mc e corrispondente al fabbisogno idrico annuo di 300.000 persone. Ma non è finita qua. Considerata la doppia canna prevista dal progetto, il dato potrebbe raddoppiare, arrivando a corrispondere al fabbisogno annuo di ben 600.000 persone.

Foto tratta da TELT

L’INGENTE SPRECO DI ACQUA

Come afferma il Comitato provinciale Acqua Pubblica Torino, parte del Forum Italiano dei movimenti per l’acqua «è sconcertante che questi “effetti collaterali” siano stati previsti in fase progettuale e approvati dalle autorità competenti. Evidentemente sono stati considerati irrilevanti rispetto agli ipotetici e ampiamente discutibili benefici (per chi?) derivanti dalla realizzazione della “Grande Opera”».

Forse Telt intende prendere alla lettera il tema della Giornata Mondiale dell’Acqua 2022 che si celebrerà il 22 marzo prossimo, ovvero “acque sotterranee – rendere visibile l’invisibile”, ma nella sostanza si sottrae l’acqua al suo ciclo naturale, rischiando così di compromettere interi ecosistemi.

Si prevede al termine dello scavo la fuoriuscita ogni anno di un volume d’acqua pari a 24.590.500 mc e corrispondente al fabbisogno idrico annuo di 300.000 persone

Analoghe sottrazioni si verificano anche sul versante francese, dove i tunnel di servizio sono tre e asciugano le Alpi dal 2010. Considerando che nel complesso questi dati riguardano gallerie secondarie e che sono di limitato chilometraggio e profondità, è ragionevole prevedere che lo scavo dei due tunnel principali – ciascuno dei quali è lungo 57 chilometri e che raggiungerà maggiori profondità – potrà causare perdite d’acqua decisamente più rilevanti. Un altro aspetto importante da considerare è che l’acqua che esce dalle viscere della montagna ha una temperatura superiore a quella dei corpi idrici superficialied è potenzialmente contaminata dai lavori di cantiere, pertanto non può essere immessa nell’ambiente senza essere prima raffreddata e purificata.

Foto tratta da Comitato Acqua Pubblica di Torino

«È sconcertante la distanza tra i dichiarati intenti dei vari organi di governo, locali e nazionale, volti al contrasto del cambiamento climatico e alla tutela delle risorse ambientali, e le azioni concrete che spesso, come in questo caso, vanno nella direzione opposta (nel PNRR il TAV è considerata opera prioritaria)», sostengono le associazioni. E aggiungono che «è sconcertante che finora ciò sia avvenuto nella più totale indifferenza. Si dovrà attendere che i rubinetti restino a secco prima che la nostra classe dirigente inizi ad agire seriamente, scevra da pregiudizi ideologici e senza la pressione di interessi economici, per la tutela del bene comune acqua?».

Fonte: https://www.italiachecambia.org/2022/03/acqua-cantieri-tav/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

Acqua in brick, la risposta ecologica al cambiamento?

Una start-up innovativa italiana legata a una multinazionale spagnola ha lanciato l’acqua in brick tetrapack, promuovendo l’iniziativa come un passo avanti verso la sostenibilità. Ecco la posizione di alcune associazioni che da anni si occupano di riduzione dei rifiuti, che sottolineano come questo prodotto vada contro ogni principio di circolarità e reale riduzione dell’impatto ambientale. Si sta diffondendo anche in Italia l’acqua in brick. “Acqua di mucca?”. “Acqua artificiale?”. “Succo di acqua?”, si chiedono i bambini stupiti mentre maneggiano il contenitore. L’Acquainbrick, della multinazionale spagnola LY Company Group, è davvero “La risposta ecologica al cambiamento”, come si legge nella trionfalistica campagna pubblicitaria con un greenwashing spinto al massimo?

Questi purtroppo sono i frutti avvelenati che abbiamo prefigurato e denunciato per tempo delle campagne “Plastic free” che si concentrano solo su eliminazione della plastica e non sullo sviluppo di alternative migliori, riusabili e con vuoto a rendere. Messaggi fuorvianti e diseducativi che mettono in ombra tutto lo sforzo fatto finora da Comuni, associazioni e scuole per invitare le persone a bere acqua del rubinetto, alla spina: ricordiamo la campagna l’”acqua del sindaco”, la campagna “imbrocchiamola” per chiedere che anche ristoranti e bar servano acqua in caraffa, ricordiamo i tanti progetti di sensibilizzazione nelle scuole, con le borracce regalate ai bambini e ai ragazzi, oggi sostituite dall’acqua in brick. Sappiamo che a Marradi, dove ha sede l’unico impianto italiano di imbottigliamento, l’azienda sta fortemente pubblicizzando l’acqua in brick regalando migliaia di brick al Comune e che sono previste attività nelle scuole. Questa estate Acquainbrick è stata scelta come “acqua ufficiale” per tutti i bambini e i ragazzi che hanno partecipato ai campus di Milanosport: “A tutti i piccoli ospiti dei campus vengono dati in dotazione due brick in versione Splash, per dissetarsi nel corso della mattina e del pomeriggio”.

Con quale messaggio? Ora la borraccia non va più di moda? W l’usa e getta? Dovremmo insegnare ai ragazzi che il cambiamento passa dalla riduzione dei rifiuti, non dalla sostituzione di un contenitore inquinante – in plastica – con uno potenzialmente ancora più inquinante in tetrapak, come avviene con l’acqua in brick.

 “Scegliamo l’acqua in contenitori di cartone e ci impegniamo in modo responsabile, sostenibile e trasparente a costruire un pianeta migliore”, si legge ancora nel sito. Cartone? Anche i bambini sanno che l’acqua scioglie il cartone. Non è quindi cartone, è tetrapak, un poliaccoppiato composto da tre strati: cartone, plastica e alluminio, la cui modalità di smaltimento varia da Comune a Comune: il 28% dei Comuni italiani, come ammette anche il sito, non prevede neppure modalità di riciclaggio e quindi il brick finisce nell’indifferenziata. Un riciclaggio che implica procedimenti complessi e dispendiosi di energia e non tutto il materiale poi viene effettivamente riciclato. A questo si aggiunga il tappo, che in una percentuale “alta” deriva da fonti vegetali – canna da zucchero, dichiarata sostenibile. Ammettendo che la canna da zucchero sia sostenibile, il trasporto dall’altro capo del mondo a noi, per fare un tappo, è davvero così sostenibile? C’è davvero bisogno di questo viaggio e della relativa emissione di CO2 per bere la stessa acqua che sgorga dai nostri rubinetti?

Ma non tutti hanno l’acqua buona, si dirà. Su questo ci sono tantissimi pregiudizi, perché di fatto l’acqua dell’acquedotto è sempre potabile, controllata, oligominerale, i dati sono trasparenti e pubblicati sui siti comunali.
Anche ammettendo che l’acqua che sgorga direttamente dal rubinetto non sia “gradevole”, si possono utilizzare filtri e purificatori oppure comprare acqua da bottiglie di vetro vuoto a rendere.

“Sempre meglio il tetrapak della plastica”? Non proprio. Se siamo in ambito di raccolta differenziata e riciclo, è decisamente meglio la plastica PET del tetrapak, poiché polimero di valore e riciclabile. L’UE ha imposto l’obiettivo del 90% di raccolta differenziata della plastica e farà introdurre i sistemi di deposito cauzionale a cui il tetrapak sfugge. Il tetrapak si ricicla male – per questo paga addizionale CAC di 20 euro/t a COMIECO – e solo quattro cartiere in Italia sono in grado di recuperarne la carta.

Rimane infine il problema del 30% di plastica e alluminio, con cui si può fare ecoallene, che non ha molto mercato. All’inefficienza operativa conclamata del riciclo del tetrapak, l’acqua in brick contrappone un “progetto di ricerca” sicuramente interessante, ma prima di inondare i Comuni con i brick, non sarebbe meglio attendere i risultati della ricerca stessa?

Noi continuiamo a sostenere che il riciclo è l’ultima scelta per la sostenibilità: occorre infatti ridurre a monte i rifiuti, non solo chiudere il cerchio, ma ridurre il diametro del cerchio. Non dobbiamo combattere solo la plastica, ma la cultura dell’usa e getta che sta contribuendo a distruggere l’ecosistema. E l’acqua in brick non ci aiuta.


Le associazioni e i gruppi:

-Zero Waste Italy
-Centro Ricerca Rifiuti Zero
-Rete Rifiuti Zero Emilia Romagna
-Eco Eventi Odv
-5 R
-Zero Waste Sicilia
Associazione Rifiuti Zero Sicilia
-Lamezia Rifiuti Zero
-Condomini Rifiuti Zero
-Rifiuti Fonte: https://www.italiachecambia.org/2021/11/acqua-in-brick-cambiamento/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

I suoni della natura per una salute migliore: lo studio

I suoni prodotti dalla natura aiutano ad avere una salute migliore: è ciò che è emerso da uno studio americano da poco pubblicato.

(Foto Pixabay)

Uno studio americano condotto dai ricercatori di tre università americane ha lavorato per dieci anni sulla teoria che i suoni della natura migliorino la salute. Lo studio è stato svolto dalla Michigan State University, dalla Colorado State University e dalla Carleton University in collaborazione con il Servizio Nazionale dei Parchi americano. I dati sono stati raccolti da varie parti del mondo e hanno aiutato gli studiosi a decretare che i rumori della natura non hanno soltanto un effetto rilassante.

Gli effetti dei suoni naturali sulla salute

Lo studio pubblicato dalla rivista Pnas afferma che i suoni della natura hanno proprietà benefiche sulla salute. Dopo aver raccolto delle registrazioni audio da più di cento diversi parchi americani gli studiosi hanno fatto ascoltare agli studenti i suoni della natura. I partecipanti all’esperimento hanno riscontrato vari benefici dall’ascolto come riduzione del dolore e dello stress, un umore migliore e migliori capacità cognitive.

(Foto Pixabay)

Gli studiosi sono riusciti ad individuare alcuni suoni naturali che agiscono su aree specifiche della salute. Ad esempio il rumore dell’acqua aumenta le emozioni positive e il benessere generale mentre il canto degli uccellini riduce e aiuta a combattere lo stress.

Perché è importante ascoltare i suoni della natura

I ricercatori dello studio raccomandano di trascorrere con regolarità del tempo in mezzo alla natura per trarre beneficio dai suoni che essa produce. Stare all’aria aperta è importante soprattutto per la crescita sana dei bambini. Venendo da una situazione molto particolare che è quella dei lockdown gli studiosi sottolineano il peso che ha sulla salute il trovare del tempo da trascorrere in mezzo alla natura.

(Foto Pixabay)

Stare chiusi in casa ha conseguenze che si manifestano sul nostro corpo ed è quindi importante trascorrere del tempo all’aperto. Le attività che si possono fare sono moltissime e i diversi luoghi naturali offrono un numeroso assortimento di suoni unici. Anche per rispondere al bisogno delle persone di passare del tempo in mezzo alla natura sono in aumento in tutto il mondo attività turistiche e ricreative concentrate su di essa. Le passeggiate sonore sono dei percorsi organizzati da esperti mirati all’ascolto della natura. Ai partecipanti è richiesto silenzio per ascoltare al meglio i suoni naturali e apprezzare l’ambiente che li circonda.

Fonte: inran.it

Speriamo che il vaccino faccia piovere…

Il Covid ha oscurato la vera crisi a livello mondiale, che è quella ambientale. I periodi di siccità sono sempre più lunghi e in moltissime zone d’Italia non piove da oltre un mese e mezzo. Cosa ci resta da fare? Sperare giusto che… il vaccino faccia anche piovere…

Il Covid ha oscurato la vera crisi a livello mondiale, che è quella ambientale. I periodi di siccità sono sempre più lunghi e in moltissime zone d’Italia non piove da oltre un mese e mezzo. Cosa ci resta da fare? Sperare giusto che… il vaccino faccia anche piovere…

La natura sta “facendo il suo corso”, ovvero risponde ai nostri continui attacchi. Più la colpiamo e più il contraccolpo diventa pesante, più la combattiamo e più ne paghiamo tragiche conseguenze. Infatti non stiamo facendo nulla di risolutivo circa la catastrofe climatica da noi provocata e attualmente, per rendere la situazione ancora più difficile, il covid ha oscurato la vera crisi a livello mondiale che è quella ambientale. Ma questo oscuramento non fa sparire i problemi, li toglie solo dall’attenzione facendo in modo che se ne parli il meno possibile e soprattutto non si agisca.

Però i problemi ci sono eccome e le basi stesse della vita, come l’acqua, sono in estremo pericolo. Oltre ad inquinarla in tutti modi, partendo dall’agricoltura chimica fino agli allevamenti intensivi, si aggiungono le attività umane che stravolgendo il clima sono responsabili di periodi sempre più prolungati di siccità. Probabilmente chi vive in città, cioè in un mondo fortemente artificiale, si interessa poco dei fenomeni atmosferici quindi non ravvede la pericolosità della situazione. Eppure anche i cittadini dovrebbero preoccuparsi, perché se in campagna c’è siccità, il cibo non cresce e gli animali non hanno acqua sufficiente, anche i cittadini non mangeranno. Nel passaggio fra l’inverno e la primavera, in moltissime zone d’Italia non piove da oltre un mese e mezzo e ci sono temperature estive. Normalmente poi quello attuale è un periodo in agricoltura in cui iniziano molte piantumazioni quindi la piovosità è quanto mai necessaria. Con sempre più siccità e quindi meno acqua, cosa succederà?

Ma non dobbiamo preoccuparci perché di sicuro il governo e i vari comitati tecnici scientifici, formati da gente che ha a cuore la nostra salute, entreranno in azione come lampi per ovviare a questa potenziale rovina. Infatti è stato già emanato un DPCM apposito per riparare tutte le falle del sistema idrico nazionale colabrodo che arriva a disperdere fino al 40% dell’acqua, a realizzare ovunque sia possibile sistemi di recupero e utilizzo dell’acqua piovana, a prevedere orti autoirriganti, ad installare in qualsiasi situazione riduttori di flusso, a costruire sistemi di fitodepurazione con il potenziale recupero delle acque, a proporre sistemi di compost toilet e con tutti questi metodi ridurre drasticamente gli sprechi. O no?

E’ poi partita una campagna a tappeto di formazione capillare a cittadini, tecnici, agricoltori sugli aspetti relativi al risparmio idrico. O no?

Non ve ne siete accorti di tutti questi provvedimenti emanati? Eppure li hanno diramati a reti unificate, li hanno ripresi da tutti i media, dando loro l’importanza che la situazione urgente richiede, visto che si tratta della nostra sopravvivenza, senza acqua infatti non si vive. O forse non è stato così?

Noi comunque suggeriamo una soluzione efficacissima: grazie alla scienza e al progresso ora abbiamo il divino vaccino che risolverà ogni problema. Basterà infatti fare iniezioni al terreno con il liquido santo e come per incanto l’acqua sgorgherà miracolosamente a fiumi. Allo stesso tempo basterà spruzzare un po’ dello stesso liquido santo verso il cielo e verranno giù acquazzoni fenomenali. Quindi, grazie al lavoro indefesso e teso solo al nostro bene di comitati tecnico scientifici e governi, il vaccino darà acqua agli assetati, cibo agli affamati, lavoro ai bisognosi, casa ai senza tetto e farà vincere anche alla lotteria di Capodanno.

Grazie scienza, grazie vaccino!

E visto che non arriverà nessun DPCM e nessun intervento per salvaguardare la nostra salute e tanto meno la nostra sopravvivenza, ognuno inizi a pensare, magari anche mettendosi insieme ad altri, a come risolvere il problema vitale dell’approvvigionamento di acqua e conseguentemente di cibo, perché né la scienza, né la politica che siano legati ad interessi economici ci salveranno.

Fonte: ilcambiamento.it

A quando i lockdown e i DPCM per tutelare l’ambiente, quindi la nostra salute?

Ma se i cambiamenti climatici e l’emergenza ecologica fanno molti più morti del coronavirus, a quando allora i lockdown e i DPCM per salvare il genere umano che rischia di non sopravvivere al disastro del Pianeta? Rischiamo una previsione: mai.

Non entriamo nel merito se siano giustificate o meno le pesantissime restrizioni della libertà a cui siamo costretti ormai da un anno ma, anche ammettendo che lo siano, se tanto ci dà tanto, visto che a livello ambientale il pericolo è molto più grande del coronavirus e le conseguenti vittime sono molte di più, da chi dice di proteggere la nostra salute ci aspetteremmo un “lockdown ambientale” e DPCM con misure rigidissime e capillari perchè in gioco c’è la sopravvivenza dell’intero genere umano. E invece niente di questo accade. Circa la catastrofe ambientale nessuna misura drastica è stata presa, niente è stato chiesto di fare ai cittadini, figuriamoci imporglielo come oggi si impongono mascherine, gel, coprifuochi, chiusure, distanziamenti, con tanto di pesanti multe e nonostante ci siano sempre più perplessità che tutte queste misure abbiano una reale efficacia. E pensare che invece per salvare l’ambiente e conseguenti vite umane, le misure che dovrebbero essere prese sarebbero di immediata e indubbia efficacia.

Ci si chiede allora: ma della salvaguardia di quale salute e di quali vite si sta parlando? Perchè per proteggere alcune vite si agisce e per altre no? Ma come può essere possibile questa incredibile e macroscopica disparità?  E se fosse vero che tutte queste misure sono necessarie per proteggere la nostra salute, allora non si capisce come mai, ad esempio, gli allevamenti intensivi, autentiche bombe ecologiche e sanitarie produttrici di sofferenza e cibo malsano, non vengano chiusi all’istante. Se si agisse così si tutelerebbe la salute di persone e animali ma ciò paradossalmente non sembra essere affatto un obiettivo di chi ci dice che sta facendo di tutto per la nostra salute e questo la dice lunga sulla sua credibilità. Una ulteriore prova della “inspiegabile” situazione di disparità in cui si adottano due pesi e mille misure ce la dà una voce ufficiale come quella del neo ministro per la transizione ecologica Cingolani (quindi non certo un “complottista”) in un suo articolo scritto recentemente per il quotidiano la Repubblicadove cita dati da ecatombe ed emergenza gravissima.

«…il riscaldamento climatico è causa di siccità, con un impatto enorme sulla fauna e l’agricoltura; lo scioglimento dei ghiacciai diminuisce le risorse di acqua dolce mentre l’innalzamento del livello dei mari porta all’erosione delle coste. I continui scambi di calore tra una terra surriscaldata e la stratosfera, più fredda, generano eventi metereologici estremi, come tifoni e nevicate improvvise, che devastano i territori. Se si eccettuano i terremoti, dal 1980 ad oggi il numero di eventi naturali catastrofici è aumentato in maniera costante di anno in anno; ciò ha causato la perdita di 400.000 vite umane e la spesa di più di un trilione di dollari, pari all’1,6% del PIL mondiale». 

«E mentre la terra si riscalda, peggiora anche la qualità dell’aria che respiriamo, con un impatto sulla salute di Sapiens e sul suo ecosistema. L’emissione di particolati carboniosi (Black Carbon), idrofluorocarburi e metano, inquina l’atmosfera e provoca il rilascio di sostanze tossiche, con gravi conseguenze sociali ed epidemiologiche. Ogni anno, l’inquinamento dell’aria causa tra i sei e i sette milioni di decessi nel mondo».

E questo senza contare i milioni di morti che si hanno per l’inquinamento di terra, cibo e acqua, laddove i cibi che mangiamo e l’acqua che beviamo sono pieni di ogni tipo di inquinante che determina malattie letali.

Dove sono i lockdown, dove sono i dpcm, dove sono le imposizioni drastiche immediate, necessarie per far fronte a questa immane catastrofe? Spieghino politici, esperti, task force varie, che tanto sembrano prodigarsi per la nostra salute, perché niente si fa in questa direzione, ma proprio niente, nemmeno lontanamente paragonabile a quello che si è fatto e che si continua a fare per il Covid. Ci spieghino il perché, ci spieghino come si fa a non vedere l’ovvio, ci spieghino perché non agiscono con la stessa solerzia, la stessa sicumera, la stessa drammaticità come quando ci snocciolano quotidianamente le cifre dei morti di serie A, cioè quelli da Covid, gli unici che per loro contano. Perchè per gli altri morti non si fanno bollettini quotidiani, aperture di telegiornali, articoli e servizi a non finire, speciali di ogni tipo, reportage chilometrici, ecc. ? Chi invoca lockdown a tutto spiano, alimentando un terrore mediatico martellante, ci chiediamo perché non faccia lo stesso per una situazione molto più grave come quella ambientale. Finché non avremo risposte o interventi in questo senso, non potremmo che continuare a dare credibilità zero per chi divide salute e morti di serie A e salute e morti di serie Zeta. E il perché lo faccia, speriamo che venga a galla presto, prima che la catastrofe ambientale si aggravi diventando ancora più irrefrenabile visto che continuiamo a non fare nulla preoccupandoci di tutt’altro. E intanto in pochi giorni a febbraio siamo passati da temperature sottozero a temperature quasi estive, ma come disse il comandante del Titanic: andiamo avanti tranquillamente…..

Fonte: ilcambiamento.it

Via libera del Parlamento Ue alle nuove regole per migliorare la qualità dell’acqua del rubinetto e ridurre i rifiuti di plastica

La direttiva sull’acqua potabile approvata in via definitiva dal Parlamento darà un migliore accesso all’acqua di rubinetto di alta qualità, anche per i gruppi vulnerabili. Martedì 15 dicembre, il Parlamento europeo ha approvato l’accordo con i Paesi UE sulla nuova direttiva sull’acqua potabile. Il testo legislativo è stato adottato in seconda lettura, senza emendamenti. Le nuove regole, che mirano a offrire acqua di rubinetto di alta qualità in tutta l’UE, sono la risposta alle richieste di oltre 1,8 milioni di europei che hanno firmato la prima iniziativa europea dei cittadini di successo, “Right2Water“, a sostegno del miglioramento dell’accesso all’acqua potabile sicura. Gli Stati membri dovranno garantire la fornitura gratuita di acqua negli edifici pubblici e dovrebbero incoraggiare ristoranti, mense e servizi di catering a fornire l’acqua ai clienti gratuitamente o a basso costo. I Paesi UE dovranno inoltre adottare delle misure per migliorare l’accesso all’acqua per i gruppi vulnerabili, come i rifugiati, le comunità nomadi, i senzatetto e le culture minoritarie come i Rom.

Monitoraggio e miglioramento della qualità dell’acqua del rubinetto

Per consentire e incoraggiare le persone a bere l’acqua del rubinetto piuttosto che l’acqua in bottiglia, la qualità dell’acqua sarà migliorata imponendo limiti più severi per alcuni inquinanti, tra cui il piombo. Entro l’inizio del 2022, la Commissione redigerà e monitorerà un elenco di sostanze o composti. Tra queste vi saranno i prodotti farmaceutici, i composti che alterano il sistema endocrino e le microplastiche. Inoltre la Commissione stilerà un elenco UE dove saranno indicate le sostanze autorizzate a venire a contatto con l’acqua potabile.

“Vent’anni dopo l’entrata in vigore della prima direttiva sull’acqua potabile – commenta il relatore Christophe Hansen – è giunto il momento di aggiornare e stringere la soglia per alcuni contaminanti, come il piombo. Per il Parlamento europeo, era della massima importanza che la nuova direttiva rendesse la nostra acqua potabile ancora più sicura e tenesse conto delle nuove sostanze inquinanti. Accolgo quindi con favore le disposizioni della direttiva per le microplastiche e gli interferenti endocrini come il bisfenolo A”.

Secondo la Commissione europea, un minore consumo di acqua in bottiglia potrebbe aiutare le famiglie dell’UE a risparmiare più di 600 milioni di euro all’anno. Se la fiducia nell’acqua del rubinetto migliora, i cittadini possono anche contribuire a ridurre i rifiuti di plastica dell’acqua in bottiglia, il che ridurrebbe anche i rifiuti marini. Le bottiglie di plastica sono uno degli articoli di plastica monouso più comuni che si trovano sulle spiagge europee.

Prossime tappe

La direttiva entrerà in vigore 12 giorni dopo la sua pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell’UE. Entro due anni dalla sua entrata in vigore, gli Stati membri apporteranno le modifiche necessarie agli ordinamenti nazionali per conformarsi alla direttiva.

Fonte: ecodallecitta.it

La sfida della gestione dell’acqua nelle mega città, la conferenza Unesco

Attraverso una conferenza on line Unesco, che anticipa quella vera e propria del 2021, Unesco ha avviato una discussione sulle sfide e soluzioni identificate relative all’acqua, alle megalopoli e al cambiamento globale. La seconda conferenza dell’Unesco sull‘Acqua, le Mega Città e i Cambiamenti Globali si sarebbe dovuta tenere a dicembre 2020, ma a causa del Covid è stata posticipata al 2021. Dal 7 all’11 dicembre è stata tuttavia organizzata una pre-conferenza on line, con cui l’Unesco ha cercato di rispondere risposto alla necessità di avviare una discussione sul tema. Parigi, Pechino, Mumbai, Tokyo, Mexico City, Lagos sono tutte mega città. In altre parole, centri urbani con più di 10 milioni di abitanti. Anche le loro sfide sono “mega” e tra queste ha assoluta priorità la fornitura di acqua a tutti gli abitanti, gestendo al tempo stesso i cambiamenti nell’ambiente e le risorse. In numerosi casi non è rischio solo la fornitura d’acqua, ma sono le stesse città ad essere minacciate dal cambiamento climatico, a causa dell’innalzamento del livello del mare, dell’aumento delle temperature o dell’intensa urbanizzazione. “Per raggiungere l’obiettivo di città resilienti è necessario agire ora”, dice l’Unesco. La formula individuata per trovare le soluzioni è la trasversalità sommata alla multidimensionalità. Una strategia che si basa sulla collaborazione tra gli scienziati, gli operatori del settore pubblico e di quello privato, che innovano sul piano socio-politico e tecnologico, e la politica locale. Quest’ultima è ritenuta fondamentale per rendere operativi i nuovi modelli, più equi e più efficienti, di governance dell’acqua in costante interazione con la società civile.

Nella pre-conferenza on line sono stati presentati temi e strumenti concreti per problemi già affrontati a vario grado da chi si occupa di gestione delle risorse idriche. Un esempio è l’ “Indice di integrità dell’acqua” di cui si è parlato giovedì 10 dicembre. Riunendo e analizzando una serie di parametri con gli strumenti di data-analytics per big data e autovalutazione, si mira a fornire una misura obiettiva dei rischi a cui va incontro il sistema idrico e igienico-sanitario urbano (W&S) in una data città. I parametri ruotano attorno ai tre i pilastri che determinano l’integrità idrica di un sistema urbano: investimenti in progetti per l’infrastruttura, la spesa corrente di lavoro per la gestione dell’acqua e l’interazione con il consumatore finale.

Il risultato è un rapporto con indicatori del rischio di integrità per città ottenuto grazie all’indice Water Integrity Risk Index (Wiri) che è replicabile, trasparente e scalabile e consente un confronto tra i livelli di rischio nel tempo e tra i vari centri urbani. Un esempio è lo scarto tra la città di Amsterdam che ha un punteggio 8,3 e quello di Bangui che non supera l’1,9.

Perché abbiamo bisogno di un indice di rischio di integrità idrica? Gli esperti intervenuti alla pre-conferenza Unesco spiegano che:

— è difficile rendere efficaci le riforme politiche e definire adeguatamente le politiche necessarie senza una misurazione valida e affidabile della corruzione;

— è importante produrre una panoramica scientifica e tecnica delle sfide che affrontano le megalopoli e delle soluzioni idriche che esse utilizzano per mitigare gli effetti dei cambiamenti climatici, per rendere concreto lo scambio delle loro competenze nel campo specifico dell’acqua;

— è indispensabile rafforzare il dialogo tra la scienza e gli attori politici a livello locale.

Un’altra iniziativa della pre-conferenza è stato il lancio ufficiale della Megacities Alliance for Water and Climate (Mawac) e della sua piattaforma di cooperazione basata sull’International Hydrological Programme dell’Unesco-Water Information System, IHP-Wins.

Mawac ha come obiettivo fornire una piattaforma alle mega città perché condividano le loro esperienze e sfide, propongano soluzioni e ottengano l’accesso a sostegno tecnico e finanziario per i loro programmi e progetti perché affrontino con successo le sfide del cambiamento climatico. La seconda conferenza internazionale su “Acqua, mega città e cambiamento globale” si svolgerà a dicembre 2021 presso la sede dell’Unesco a Parigi, a sei anni dalla prima edizione nel 2015.

Fonte: ecodallecitta.it

Slow Food: “Sosteniamo la ristorazione di qualità ed i produttori buoni, puliti e giusti”

In una ‘lettera’ della rete dei cuochi dell’Alleanza – uno dei progetti di Slow Food – viene messo in luce il lavoro quotidiano di contadini, allevatori, viticoltori e artigiani, spiegando come si sia acutizzata l’emergenza economica di queste categorie di lavoratori durante la pandemia. L’associazione lancia così un appello – indirizzato alla classe politica nazionale – che può essere firmato da chiunque. È possibile un futuro basato sulla cura dei territori, sui saperi delle comunità e sul piacere della condivisione? Ora è più difficile dare una risposta affermativa. Partendo dalle prospettive iniziali, infatti, il nuovo appello della ‘rete dei cuochi dell’Alleanza’, evidenzia una serie di criticità che coinvolgono gli stessi cuochi, contadini, pescatori e pastori. Sì, perché la stabilità economica di queste categorie di lavoratori, a fronte dell’emergenza Coronavirus, è messa in crisi. E se questa tipologia di professionisti non riceverà un aiuto concreto dal governo, le piccole realtà si troveranno in seria difficoltà. Così, i cuochi dell’alleanza, uno dei più importanti progetti di Slow Food, ha scritto un appello a sostegno della “ristorazione di qualità e dei produttori buoni, puliti e giusti”. L’iniziativa, intitolata Ripartiamo dalla terra, vuole porre sotto i riflettori il lavoro di contadini, allevatori, casari, viticoltori e artigiani che “producono con passione e rispetto per la terra e per i loro animali”. Non solo: nel documento viene richiesto alla classe politica nazionale di estendere il credito di imposta, già previsto per alcune spese legate all’emergenza Covid-19, agli acquisti di prodotti agricoli e di artigianato alimentare di piccola scala legato a filiere locali “in una misura pari almeno al 20%, da aumentare al 30% nel caso in cui tali aziende pratichino un’agricoltura biologica, biodinamica, o siano localizzate in aree marginali, disagiate e di particolare valore ambientale del nostro Paese”.

La lettera, nello specifico, è indirizzata al Presidente del Consiglio dei Ministri Giuseppe Conte, al Comitato di esperti in materia economica e sociale, al Ministro delle Economie e delle Finanze Roberto Gualtieri, al Ministro dello Sviluppo Economico Stefano Patuanelli, al Ministro dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo Dario Franceschini, al Ministro delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali Teresa Bellanova e agli Assessori Regionali alla Cultura, al Turismo, al Commercio, alle Attività Produttive e all’Agricoltura. L’Alleanza Slow Food dei Cuochi, per far sentire la propria voce ai nostri politici, chiede quindi aiuto agli Italiani invitandoli a firmare la lettera. Come? Compilando l’apposito modulo “fornendo alcune informazioni – viene sottolineato nella nota dell’associazione – che ci permetteranno di rendere ancora più forte questo appello”. Invito che estendiamo a tutte i soggetti interessati piemontesi.

Vi proponiamo, di seguito, lo scritto integrale:

«Facciamo parte dell’Alleanza Slow Food dei Cuochi e gestiamo più di 540 locali in tutta Italia: siamo cuochi di osterie e di ristoranti, di food-truck e di rifugi alpini, siamo pizzaioli e insegnanti di scuole alberghiere. Con questo appello ci facciamo portavoce anche di altri colleghi ristoratori, molti dei quali raccontati nella guida Slow Food Osterie d’Italia, e di migliaia di agricoltori, allevatori, artigiani. Prendiamo la parola a nome di tutti, perché anche se oggi siamo noi i più fragili, sentiamo l’energia e la passione necessarie per ripartire e avvertiamo la forza che deriva dall’essere parte della rete di comunità solidali di Slow Food. Grazie alla nostra cucina abbiamo diffuso conoscenza, bellezza, piacere. Abbiamo raccontato territori e culture locali. Tutto ciò non sarebbe stato possibile senza il lavoro quotidiano di contadini, allevatori, casari, viticoltori e artigiani che producono con passione e rispetto per la terra e per i loro animali. Questi produttori traggono buona parte del loro reddito dalla relazione con ristoratori come noi, che sanno rispettare i loro ritmi, riconoscere il giusto prezzo ai loro prodotti e garantire sviluppo e opportunità economiche a territori spesso difficili.

Ogni giorno, servendo un buon piatto e prendendoci cura dei nostri commensali, abbiamo educato alla qualità, a un’alimentazione sana e alla convivialità, formando cittadini più consapevoli. Molti di noi, nelle settimane scorse, hanno cucinato per i più fragili e bisognosi, e siamo pronti a farlo ancora in futuro, perché crediamo nel valore della solidarietà.

Oggi siamo in crisi, e con noi lo sono i nostri produttori, una parte dei quali faticava già prima a reggere la concorrenza dell’agroindustria e le logiche del mercato e della distribuzione. La parte migliore dell’agricoltura di questo Paese dipende infatti fortemente dalla ristorazione di qualità. Crediamo che l’immagine di questo Paese sia legata alla sopravvivenza di queste aziende e di chi, proponendo i loro prodotti, li rappresenta al meglio. Gravano sulle nostre spalle non solo i destini dei nostri collaboratori, ma anche il futuro di migliaia di piccole aziende agricole che dipendono dai nostri ordinativi.

Abbiamo deciso di scrivere questo appello perché pensiamo che le difficoltà dovute alla pandemia possano dare a questo Paese il coraggio della necessità e dell’urgenza; la forza di trasformare un’emergenza in una grande occasione per il settore dell’agricoltura, dell’accoglienza e della ristorazione italiana. I veri nemici da combattere nel post pandemia saranno ancora la perdita di biodiversità, l’erosione del territorio, l’inquinamento dell’aria, dell’acqua, l’impoverimento della fertilità nei nostri terreni, la cementificazione, l’abbandono delle aree rurali e dei piccoli borghi, lo spreco alimentare, lo sfruttamento del lavoro, l’indifferenza per chi produce con attenzione alle ragioni e ai tempi della natura e l’individualismo, che fa prevalere l’io sul senso di comunità.
La ristorazione troppe volte ha assecondato un mercato che ha rincorso il prezzo più basso e stroncato l’agricoltura di prossimità, approvvigionandosi di prodotti ottenuti grazie alla chimica, alle monocolture, facendo viaggiare derrate alimentari migliaia di chilometri. Se vogliamo porre le basi di un futuro diverso dobbiamo cambiare prospettiva.

Le Istituzioni possono fare molto, sviluppando iniziative che sostengano chi genera economie e benessere per tutta la comunità e non solo per la propria impresa. Per chi acquista prodotti di agricoltori, allevatori e artigiani del proprio territorio. Chiediamo quindi di estendere il credito di imposta, già previsto per alcune spese legate all’emergenza Covid-19, agli acquisti di prodotti agricoli e di artigianato alimentare di piccola scala legato a filiere locali (dove per locale si intende la dimensione regionale), in una misura pari almeno al 20%, da aumentare al 30% nel caso in cui tali aziende pratichino un’agricoltura biologica, biodinamica, o siano localizzate in aree marginali, disagiate e di particolare valore ambientale del nostro Paese.

Un provvedimento come questo rappresenterebbe una grande occasione, economica, sociale e culturale: permetterebbe di innalzare il livello dell’offerta gastronomica italiana, garantendo una maggiore qualità, e al tempo stesso sosterrebbe e rilancerebbe le piccole e medie aziende agricole locali e il turismo rurale, che vive essenzialmente di paesaggi agrari. Infine, aiuterebbe i ristoratori ad affrontare mesi e forse anni difficili. Per evitare che troppe attività non riaprano, servono anche misure immediate, ovviamente, e per questo ci associamo alle richieste delle associazioni di settore: risorse a fondo perduto per le imprese in base alle perdite di fatturato, moratoria sugli affitti per compensare il periodo di chiusura e il periodo di ripartenza, cancellazione di imposte anche locali come quelle per l’affitto di suolo pubblico fino alla fine del periodo di crisi, sospensione del pagamento delle utenze, prolungamento degli ammortizzatori sociali fino alla fine della pandemia e sgravi contributivi per chi manterrà i livelli occupazionali. Serve un piano di riapertura con modalità certe per permettere a tutte le imprese di operare in sicurezza. È importante che sia concessa ovunque la possibilità di lavorare per asporto e contare su spazi all’aperto più ampi nel periodo di convivenza con il virus».

Articolo tratto da: Journal Cittadellarte

Chi ci vaccina contro l’inquinamento di aria, acqua e cibo?

Alle campagne esasperate che allarmano la popolazione contro potenziali epidemie e che obbligano alla vaccinazione di massa, non corrispondono campagne altrettanto convinte che contrastino i livelli paurosi di inquinamento raggiunti da aria, acqua e suolo e che causano migliaia di morti anche in Italia. Come mai?

Le campagne messe in atto dalle aziende farmaceutiche per obbligare tutti a vaccinarsi per qualsiasi cosa sono condotte per continuare a guadagnare enormi somme di denaro da aggiungere a introiti già inimmaginabili. Faticosamente e contro forze soverchianti, medici, esperti, volontari, genitori, persone che si informano attraverso una letteratura scientifica ormai vastissima, cercano di mettere in guardia sull’acclarata pericolosità dei vaccini e di rendere quantomeno libera la scelta fra vaccinarsi o meno.

Che ci sia del marcio dietro e che le campagne allarmistiche trovino eco nei media, spesso prezzolati dalla stesse potenti multinazionali dei farmaci, è confermato dal fatto che, quando ci sono casi di una o l’altra malattia che si presume siano derivanti da una non vaccinazione, vengono ingigantiti a dismisura e si urla contro i nemici della “scienza” che hanno l’ardire di pensare con la loro testa e vorrebbero semplicemente essere informati correttamente.

Scienza che, va ricordato, viene presa a Dio indiscusso solo quando serve gli interessi di chi deve fare profitti; se poi la stessa scienza va contro gli interessi di quei profitti, allora non è più scienza, non conta nulla e deve essere combattuta in tutti i modi.

Quindi, stranamente, sulle migliaia di morti che ci sono per l’inquinamento dell’aria, dell’acqua, dei cibi non si alza nessun grido o campagna a tappeto, né di informazione, né di altro tipo. Altrettanto stranamente non scatta nessun “allarme epidemico” che invece dovrebbe esserci quando tante persone sono chiaramente a rischio e danneggiate. Ma se ci si preoccupa della salute, a maggior ragione ci si dovrebbe preoccupare di tante vite in pericolo. Quindi una domanda sorge spontanea: a quando i vaccini contro l’inquinamento che miete costantemente vittime a tutto spiano? Ovvio che non ci sarà né un vaccino, né una campagna mediatica nemmeno lontanissima parente della caccia alle streghe che si fa sui vaccini.

Eppure il problema anche solo numericamente è assai più grave. Ci sono 90 mila morti l’anno in Italia per inquinamento dell’aria, e altre migliaia di morti che si manifestano in cancri e avvelenamenti vari dovuti al cibo che mangiamo e all’acqua che utilizziamo. E se tanto mi dà tanto, ci dovrebbero essere titoli a caratteri cubitali e coperture mediatiche per mesi interi su queste immani tragedie che colpiscono così tanti italiani. Invece no, perché non ci sono lobby potentissime a difendere tutti questi morti e malati; anzi, accade esattamente il contrario: le lobby potentissime producono esse stesse inquinamento e quindi si fa poco e niente.

I morti, i lutti, la disperazione di chi perde un caro, devono avere tutte la stessa importanza. Quindi si cambi completamente paradigma, si investano soldi, si facciano campagne mediatiche, si informi capillarmente la cittadinanza, si puniscano i colpevoli di chi tutti i giorni ci ammazza con i propri veleni e gli si impedisca di continuare a seminare morte indisturbato, piuttosto che dare addosso a chi si ostina a non accettare la sola versione di chi ha soldi e potere.

Fonte: ilcambiamento.it

Emergenza acqua: ne va della nostra vita

L’acqua ricopre il 70% della superficie terrestre e rappresenta un bene da preservare se vogliamo garantire anche la nostra esistenza sulla Terra: se c’era bisogno dell’ennesima conferma, ecco che arriva dal rapporto “Water is life” dell’Agenzia Europea per l’Ambiente.9943-10734

L’acqua copre oltre il 70% della superficie terrestre, è in acqua che è iniziata la vita sulla Terra, è un bisogno vitale, una risorsa locale e globale e un regolatore del clima. Ma negli ultimi due secoli è divenuta l’approdo degli innumerevoli inquinanti che l’uomo ha rilasciato in natura. Occorre dunque cambiare radicalmente il modo in cui usiamo e trattiamo l’acqua. Ed è proprio questo è il filo conduttore del rapporto “Water is life” dell’Agenzia Europea per l’Ambiente.

Uso dell’acqua in Europa: quantità e qualità, grandi sfide

Gli europei usano miliardi di metri cubi di acqua ogni anno non solo per bere, ma anche per agricoltura, industria, riscaldamento e raffreddamento, turismo e altri servizi. Con migliaia di laghi d’acqua dolce, fiumi e fonti d’acqua sotterranee disponibili, la fornitura di acqua in Europa può sembrare senza limiti. Ma la crescita della popolazione, l’urbanizzazione, l’inquinamento e gli effetti dei cambiamenti climatici, come la siccità persistente, stanno mettendo a dura prova l’approvvigionamento idrico in Europa e la sua qualitàacqua1

La vita nell’acqua è fortemente minacciata

La vita nelle acque dolci d’Europa e nei mari regionali è fortemente minacciata. Il pessimo stato  degli ecosistemi ha un impatto diretto su molti animali e piante che vivono nell’acqua e questo colpisce altre specie e soggetti. Lo stato dei mari europei è compromesso, principalmente a causa della pesca eccessiva e dei cambiamenti climatici, mentre le acque dolci soffrono per acidificazione e habitat alterati. L’inquinamento chimico ha un impatto negativo su sia sui corsi e invasi d’acqua dolce che sull’acqua marino-costiera.acqua2

Un oceano di plastica

La plastica prodotta in serie è stata introdotta intorno alla metà del secolo scorso come un materiale miracoloso: leggero, plasmabile, e resistente. Da allora, la produzione di materie plastiche è aumentata rapidamente e ora la produzione annuale supera i 300 milioni di tonnellate e… non scompare dall’ambiente!

Cambiamenti climatici e acqua: mari più caldi, inondazioni e siccità

Il cambiamento climatico sta aumentando la pressione sui corpi idrici. Dalle inondazioni e dalla siccità, all’acidificazione degli oceani e all’innalzamento del livello del mare, gli impatti dei cambiamenti climatici sull’acqua dovrebbero intensificarsi negli anni a venire. È quanto mai necessario che ogni Stato e Federazione di Stati attui misure pronte, efficaci e drastiche per fermare questo fenomeno.acqua3

L’acqua nelle città

Diamo tutto per scontato nelle nostre case: apriamo i rubinetti, scarichiamo le acque reflue e ci aspettiamo che sarà per sempre così. Ma sbagliamo. Per la maggioranza dei cittadini europei, l’acqua nelle abitazioni è potabile e disponibile 24 ore al giorno, ma l’acqua fa un lungo viaggio per arrivare nelle nostre case e incontra molti ostacoli.

Gestire l’acqua in una città non è una questione che interessa solo i gestori dei sistemi idrici pubblici.

Il cambiamento climatico, lo sviluppo urbano e le modifiche ai bacini fluviali possono portare a più frequenti e dannose inondazioni nelle città, lasciando alle autorità una sfida sempre più grande.

Per scaricare il rapporto integrale QUI

Fonte: ilcambiamento.it