Ex Ilva: “Il Governo agisca subito su decarbonizzazione e bonifica”

La città di Taranto fatica a trovare pace. Lo operazioni di bonifica non sono ancora partite, le pressioni per allentare le misure di sicurezza aumentano d’intensità e il Governo tentenna, nonostante l’ex Ilva rimanga ancora una ferita aperta e pericolosa per il capoluogo pugliese.

TarantoPuglia – La vicenda dell’ex Ilva di Taranto sembra gestita come il gioco delle tre carte in cui un ciarlatano da fiera truffa ingenui passanti con un gioco in cui il banco vince sempre. Peccato che in questo caso il banco sia lo Stato italiano che, di fatto, gestisce lo stabilimento ex Ilva insieme alla multinazionale anglo-indiana Arcelor Mittal e che dovrebbe, attraverso commissari governativi, gestire anche le bonifiche interne ed esterne allo stabilimento.

Il gioco delle tre carte è quello in cui il ciarlatano sposta abilmente le carte cambiandole velocemente di posto per dare l’illusione ai partecipanti di poter vincere mentre fa in modo, viceversa, di far vincere sempre le carte in suo possesso. Le carte in gioco sono i 450 milioni rivenienti dal sequestro effettuato dal tribunale di Milano nei confronti dei Riva e destinati alle bonifiche delle aree ex Ilva, che col decreto milleproroghe verrebbero “spostati” sui lavori di adeguamento ambientale e sanitario dello stabilimento.

«Va immediatamente stralciato dal decreto milleproroghe l’inaccettabile spostamento delle risorse dedicate alle bonifiche – hanno dichiarato con fermezza Stefano Ciafani, presidenze nazionale di Legambiente, Ruggero Ronzulli, presidente di Legambiente Puglia, e Lunetta Franco, presidente di Legambiente Taranto – perché la decarbonizzazione dello stabilimento siderurgico deve andare di pari passo col risanamento ambientale dei siti inquinati».

Le bonifiche del Sito di interesse Nazionale di Taranto e in particolare del Mar Piccolo continuano a non vedere l’inizio nonostante le decine di milioni di euro già stanziati a tale scopo, con un Commissario straordinario alle bonifiche di Taranto che a tre mesi dal termine del suo mandato non è stato ancora sostituito.

Altrettanto incomprensibile è la richiesta rivolta dal Ministero della transizione ecologica al Ministero della Salute di rivedere i parametri epidemiologici con i quali Arpa Puglia, Aress Puglia e Asl Taranto hanno effettuato la valutazione di impatto sanitario relativa a una produzione dello stabilimento siderurgico ex Ilva pari a 6 milioni di tonnellate annue di acciaio, evidenziando la presenza in tale scenario di rischi inaccettabili per la salute.

«Ancora una volta viene anteposto il profitto all’indispensabile risanamento ambientale della città di Taranto attraverso le bonifiche e alle esigenze di garantire la salute dei cittadini e dei lavoratori dello stabilimento siderurgico», sottolineano Ciafani, Ronzulli e Franco. «Con queste politiche le bonifiche continueranno a “rimanere al palo” e la speranza che in futuro lo stabilimento siderurgico possa produrre senza creare danni alla salute è destinata a restare lettera morta».

Legambiente chiede con urgenza al Governo di tornare a dedicare al risanamento ambientale e alla tutela della salute degli abitanti di Taranto l’attenzione dovuta a una città che continua a contare i morti causati da anni di inquinamento fuori controllo.

Si nomini subito, senza ulteriore indugio, il nuovo Commissario Straordinario per le bonifiche del SIN di Taranto e si imprima finalmente una decisa accelerazione alla bonifica del territorio e in particolare del Mar Piccolo, utilizzando da subito le risorse già stanziate e disponibili. Si cancellino le norme inserite nel decreto milleproroghe e si faccia trasparenza sulla gestione delle ingenti risorse rivenienti dalla famiglia Riva, sia in ordine alle somme già spese che a quelle impegnate, rendendo noto il cronoprogramma relativo alle bonifiche delle aree gestite dai commissari di Ilva.

Il Ministero della transizione ecologica respinga al mittente l’assurda richiesta di Acciaierie d’Italia di “annacquare” l’autorizzazione integrata ambientale in vigore riducendo i tempi di distillazione del coke e piuttosto agisca in modo da concluderne nel più breve tempo possibile il riesame, proprio sulla scorta della Valutazione del Danno Sanitario in suo possesso. Senza che prima tutto vengano compiuti questi passaggi le promesse di decarbonizzazione e l’evocazione di scenari in cui l’acciaieria sarà convertita a idrogeno sono soltanto parole. Parole su cui queste vicende gettano un’ombra sinistra, quella di un’ennesima, imperdonabile presa in giro. Fonte: https://www.italiachecambia.org/2022/01/ex-ilva-governo-agisca-subito/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

Rizomi: i cittadini si auto-organizzano per comprare un bosco e restituirlo alla comunità

Tonio Totaro ci racconta una storia. È quella di un’associazione di cui è vice-presidente e di un gruppo di cittadini che si sono attivati per compiere un’impresa: acquistare un bosco allo scopo di difendere il territorio dall’agribusiness e restituirlo alla comunità locale, facendolo diventare un bene comune.

BariPuglia – C’era una volta un paese dell’immediato entroterra adriatico, un paese pugliese di quell’assolato sud-est barese i cui cittadini decisero che qualcosa doveva iniziare a cambiare. In quel grazioso borgo – per secoli asservito al connubio del potere feudale con quello ecclesiastico e pure da sempre celebrato dai più svariati cronisti delle epoche passate come la “nobile Conversano” in virtù del suo tessuto storico, artistico – a un certo punto della sua storia, nel novembre 2021, qualcuno decise di intraprendere una forte azione di attivismo civico nel segno della rinaturazione.

A dare avvio a questa impresa fu un solido tessuto sociale fiorito dal basso intorno ai fili dell’ecologia, dell’ambientalismo antiretorico, dell’urbanistica buona, del paesaggismo concreto, dell’agronomia dissidente. Un reticolo organico reattivo a cui abbiamo dato per nome Rizomi e come obiettivo a breve termine l’acquisto collettivo di un pezzo di territorio agricolo dei più rari ancora esistenti nel circondario. Si, perché il nodo forte intorno al quale si sviluppa il nostro tessuto sociale è quello del paesaggio rurale.

La geomorfologia e le condizioni pedoclimatiche di questa porzione di bassa Murgia del sud est eleggevano l’intera zona a elevata vocazione agricola e sin dai primordi dell’agricoltura moderna facevano di Conversano e del suo agro una collezione di giardini fruttiferi, di orti variegati, di “chiusure “di olivi che si aprivano verso i bassi vigneti del primitivo, dell’antinello e di carrubi, sui terreni verso il mare e campi di grano e prati foraggeri sui terreni più alti.

Tutto questo in completa sintonia con i modi tipici di quell’”umanesimo della pietra” che faceva dell’elemento minerale sovrabbondante una vera e propria risorsa: sorgevano le masserie, gli iazzi i palmenti e le cisterne; i banchi rocciosi affioranti, se divelti dal terreno, venivano sagomati e sistemati a secco prendendo le forme di muretti, specchie, trulli, caselle pagliai.

Ci fu un tempo in cui anche il patrimonio boschivo di Conversano era consistente: si possono ricordare i due nuclei principali e cioè i 1700 ettari di terreno forestale detto Macchione e i 600 ettari del bosco di masseria San Pietro. Ma tra la fine del ‘700 e la prima parte dell’800 la maggior parte di questo tesoro veniva drasticamente impoverito e avviato a coltura, per effetto di vicende giudiziarie, espropriazioni, frazionamenti e vendite che colpirono i nobili proprietari al tramonto della feudalità.

Si apriva così la stagione delle grandi trasformazioni fondiarie portate avanti dalla pletora di coloni e mezzadri, ma soprattutto dalla figura del piccolo proprietario contadino, e facilitate dalle superfici poco acclivi e per lo più in piano che in complesso caratterizzano il territorio comunale. A questo intenso processo si deve la irrisorietà della percentuale a “bosco” all’interno dei catasti e delle statistiche che descrivevano gli ordinamenti colturali durante l’intero secolo passato.

Con l’avvento della meccanizzazione e sotto le direttive della rivoluzione verde, quell’agricoltura fatta di piccoli spazi, di margini di vegetazione selvatica e di ricerca di quell’autonomia contadina che si traduceva in un’estesa diversificazione colturale ha smesso di essere tale, prendendo la via dell’agroindustria capitalistica basata sulle leggi del più grande, più forte e più veloce. A farne le spese è stato – e lo è tutt’ora – il paesaggio rurale con tutti gli elementi antropici di cui è disseminato.

La necessità di spazi sempre maggiori per raggiungere economie di scala ha portato e porta attualmente ad accorpamenti fondiari e livellazioni superficiali che fagocitano ogni bordura, ogni angolo selvatico, ogni muretto a secco, in profondo sfregio al recente riconoscimento degli stessi, e dell’arte costruttiva, patrimonio culturale immateriale dell’umanità da parte dell’Unesco. Complice una legislazione regionale in materia agricola votata all’agribusiness, si riconducono a coltura anche quei terreni più impervi della gariga murgiana, gli arbusteti della macchia mediterranea, i pascoli aridi e con una semplice dichiarazione di miglioramento fondiario si è in regola per cancellare interi uliveti e svellere piante secolari.

Questa è la riflessione di fondo che sostanzia l’agire degli attivisti di Rizomi e non avremmo potuto scegliere nome migliore che ci identificasse. La figura dei rizomi, sotterranei reticoli radicali che si sviluppano orizzontalmente con una crescita indefinita e capaci di connettere ma anche di scalzare pavimenti duri, si presta del tutto come significante di questo primo atto: l’acquisto di un bosco.

È già stata avviata una raccolta fondi che permette di partecipare a questa compravendita simbolica ma performante, politica nel vero senso della parola. Un bosco che resiste ancora, di fianco a estensioni di ettari ed ettari di vite coperta con plastica; un bosco che è l’ultima parte di una intera collina delinquenzialmente spogliata e violentata nella sacralità di un vincolo archeologico e paesaggistico; un bosco in virtù del quale il legislatore regionale prescriveva e segnava in cartografia un’area di rispetto che è stata anch’essa illegalmente usurpata ai fini dell’industria dell’uva da tavola. In un certo senso l’acquisto collettivo di un bosco vuol dire che la comunità si fa carico della protezione di un luogo naturale più e meglio di quanto potrebbe fare un vincolo legislativo o un’indicazione di tutela urbanistica. Ed è la stessa comunità che reagisce a quegli ordinamenti di politica economica che vorrebbero fare di Conversano l’avamposto della monocoltura dell’uva da tavola del sud est barese, che già oggi rappresenta più del 20% della superficie agricola utilizzata.

Ma è anche la reazione all’immobilismo dispotico di un’amministrazione locale ultradecennale comodamente assisa su posizioni agro-liberiste, che preferisce lasciare le sue campagne al libero gioco (giogo) del mercato. La stessa che non ha volontà di istituire l’Ente che gestisca la sua Riserva Regionale Orientata dei Laghi e Gravina di Monsignore, in cui ad oggi sono disattesi tutti gli obiettivi di tutela. Un’amministrazione che non ha alcuna intenzione di adeguare i suoi strumenti urbanistici, in merito al territorio rurale, al sovraordinato piano regionale. La stessa amministrazione che conosce ma ignora un “Regolamento agro forestale”, redatto da più di vent’anni, ostacolato nella sua attuazione e finito smarrito tra gli scaffali comunali. Un’amministrazione che ignora anche un “Regolamento per le attività di trasformazione nel territorio agricolo”, approvato con una delibera del 1993, il quale prescrive il divieto assoluto di abbattimento e frantumazione delle pareti a secco lungo le strade di campagna, misura semplice ma efficace per scongiurare molte trasformazioni colturali impattanti.

La conversione di un bosco da bene privato a bene comune diventa allora una presa di posizione della comunità civile che si auto-organizza per salvare un luogo importante del suo territorio e definire il suo futuro. Pensare che un tempo i boschi erano interdetti all’utilizzo popolare se non appartenenti al demanio e che il bosco in oggetto ricade all’interno di quello che un tempo era il “feudo di Monteferraro”, estesa proprietà dei conti Aquaviva D’aragona, ha il sapore quasi di un riscatto e questa riconduzione al pubblico equivale a voler ristabilire, in chiave moderna, quegli usi civici, quel diritto all’uso popolare di una risorsa locale, diritto sempre incerto e instabile, legato alla dialettica feudo-demanio. Con questo acquisto più che assecondare la richiesta di utilizzare un bosco c’è la voglia di far vivere il bosco, nei due sensi: quello di preservarne la sua evoluzione ecosistemica e di permettere alla gente di fare esperienza del bosco, del selvatico. Con l’obiettivo ultimo di provocare la nascita di connessioni naturali, di visioni condivise, di vie di fuga per il desiderio che solo un approccio rizomatico, a detta della geofilosofia di Deleuze e Guattari, saprebbe farci appiedare nella nuova visione del mondo che vogliamo, senza riprodurre ma creando.

Allora non resta che scoprire questo luogo: il bosco si apre a noi con una radura occupata, nella parte più bassa, da una grande cisterna in pietra che ancora raccoglie l’acqua di scorrimento superficiale della zona circostante e si ha già di fronte l’imponente immagine di una quercia maestosa. È un fragno ultracentenario che proprio in dicembre cambia il colore al suo mantello fogliare offrendo sfumature cromatiche sensazionali, prima di abbandonarlo quasi del tutto nei mesi a venire, essendo una semi-caducifoglia. Il bosco inizia di qui e, forte della protezione di questo “nume tutelare”, va a uniformarsi su una superficie di circa sei ettari, gran parte dei quali un intrico di vegetazione che reclama il suo “please do not disturb”. Con rispetto e curiosità, meraviglia e leggerezza percorriamo i due sentieri che ci portano davvero a contatto con questo mondo umbratile, silenzioso ma perennemente in divenire.

Per chi volesse contribuire al progetto, queste sono le informazioni per effettuare un versamento:
Codice IBAN: IT96A0501804000000017119231
Ragione sociale e indirizzo del ricevente: Ass. Rizomi O.D.V.
Causale: Donazione per bosco bene comune + Nome Cognome
Istituto bancario del beneficiario del bonifico: Banca Etica Filiale di Bari, Via Ottavio Serena, 30, 70126 Bari BA
Info: 
rizomipuglia@gmail.com

Fonte: https://www.italiachecambia.org/2022/01/rizomi-bosco-comunita/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

Pediatri per la gentilezza: la rete dei medici che rilasciano ricette “speciali”

Nella rete dei professionisti – dagli amministratori pubblici agli insegnanti, ai giornalisti – che hanno aderito alla chiamata del progetto Costruiamo Gentilezza ci sono anche i medici pediatri. Per assolvere il loro compito, oltre al ricettario medico hanno creato un particolare “ricettario della gentilezza”.

Puglia – Lo scorso anno è stata avviata in Puglia la Rete Nazionale Medici Pediatri per la Gentilezza, i cui aderenti sostengono l’attuazione del progetto nazionale Costruiamo Gentilezza, coordinato dall’associazione Cor et Amor, affinché la gentilezza diventi un’abitudine sociale diffusa. I componenti della rete sono medici pediatri ospedalieri e di famiglia, o in pensione, oppure studenti universitari della specialistica. Gradualmente la rete sta coinvolgendo medici pediatri di tutta Italia. Per ricevere tale riconoscimento è sufficiente compilare un form d’accesso condividendo una pratica di gentilezza già messa in atto nell’abituale espletamento delle proprie mansioni mediche. Tramite lo svolgimento della propria professione i medici pediatri per la gentilezza diventano portavoce dei bisogni dei bambini e delle loro famiglie, non solo in termini di salute, ma anche di benessere e di prevenzione. Coinvolgono la comunità e propongono e condividono le buone pratiche di gentilezza, anche innovative, per accrescere il benessere della collettività mettendo al centro i bambini. Come canale comunicativo con i loro piccoli assistiti impiegano anche i giochi della gentilezza.

Tra le prime buone pratiche di gentilezza attuate e condivise vi è il ricettario della gentilezza, generato dalla condivisione di idee tra la medica pediatra Arcangela De Vivo, la psicologa Donata Dileo e il coordinatore dell’iniziativa Luca Nardi. In sostanza questo insolito ricettario, a disposizione dei medici pediatri per la gentilezza , consente loro di prescrivere buone pratiche gentili ai loro piccoli assistiti e ai genitori, da mettere in pratica in famiglia o verso la propria comunità locale. Nelle indicazioni riportate nel ricettario si legge: “La gentilezza é un’abilità trasversale che possiede effetti collaterali virtuosi correlati alla sua attuazione“. Grazie al sostegno incondizionato di Humana, è stato possibile realizzare dei ricettari della gentilezza cartacei, distribuiti gratuitamente, come test prova, a tutti i Medici Pediatri Pugliesi, mentre a disposizione dei medici pediatri delle altre regioni è stata messa a disposizione la matrice della ricetta, scaricabile dalla piattaforma web. Lo scorso 1° Luglio il ricettario della gentilezza è stato presentato pubblicamente presso uno studio pediatrico di San Severo, alla presenza dell’Assessore Regionale al Welfare della Puglia sig.a Rosa Barone.

Sono diversi i medici pediatri per la gentilezza che hanno già prescritto una ricetta ai bambini che seguono, come emerge da alcune testimonianze. La Dottoressa Francesca Paola Fiore di Monopoli ha prescritto la sua prima ricetta alla mamma di Aaron e di Olivia, tutti e tre ricoverati per covid, invitandola ad abbracciarli forte finché non avesse sentito battere i cuori all’unisono. Questa mamma quando ha letto la ricetta si è commossa.

La Dottoressa Francesca Paola Fiore

La Dottoressa Luisa Belsito di Corato ha rilasciato le ricette della gentilezza ai bambini che durante la visita l’hanno colpiscono per i loro atteggiamenti in positivo o in negativo. Ad esempio, ha prescritto a un bambino che teneva per mano il fratello più piccolo (che aveva paura della visita) di continuare a essere così premuroso con lui e con tutti coloro che vede in difficoltà. Quando ha notato che due sorelle erano scorbutiche e arroganti con la mamma, ha scritto sulla ricetta di rispettare e amare i genitori e di sorridere a tutti perché l’arroganza fa male prima a loro e poi a tutti coloro che le amano.

Il riscontro dei bambini è stato subito di stupore, poi hanno portato via la ricetta con orgoglio e con la voglia di attenersi alla prescrizione, mentre i genitori hanno apprezzato e hanno chiesto ai loro figli l’impegno a rispettare i consigli proposti. Un altro dei pediatri per la gentilezza è il Dottor Giuseppe Pulito di Fasano, che ha prescritto ad Annalisa e Giuseppe di 6 e 7 anni di portare una parola semplice e gentile nella loro famiglia quando sarebbero tornati a casa, spiegando la motivazione. La Dottoressa Arcangela De Vivo di San Severo l’ha rilasciato a Chiara perché ha visto che era una bambini timida e chiusa e ha scritto una ricetta con l’invito a socializzare di più. La pratica che ha proposto è di andare al parco giochi e giocare di più con gli altri bambini.

Il ricettario della gentilezza è una buona pratica aperta alle idee, alle proposte e ai suggerimenti dei medici pediatri che lo propongono, attraverso la condivisione delle esperienze si favorisce la generazione di nuove soluzioni utili a rispondere ad alcuni dei bisogni dell’infanzia.

Per i medici che vogliono diventare pediatri per la gentilezza che avessero bisogno di ulteriori informazioni è a loro disposizione la mail retemedicipediatri@costruiamogentilezza.org o il numero Whatsapp 3282955915.

Fonte: https://www.italiachecambia.org/2021/09/pediatri-per-la-gentilezza/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

Resa pubblica la mappa dei siti per il deposito di rifiuti radioattivi. Immediata la reazione dei territori

Sono 67 le aree candidate a ospitare il Deposito nazionale dei rifiuti radioattivi: é stata pubblicata la Carta Nazionale delle Aree Potenzialmente Idonee (Cnapi), il documento elaborato dalla Sogin. Immediata la reazione dei territori.

Sono 67 le aree candidate a ospitare il Deposito nazionale dei rifiuti radioattivi. E’ stata pubblicata la Carta Nazionale delle Aree Potenzialmente Idonee (Cnapi), il documento elaborato dalla Società gestione impianti nucleari (Sogin) che individua le zone dove localizzare in Italia il Deposito nazionale dei rifiuti radioattivi e il Parco Tecnologico.

Sono cinque le macrozone individuate: Piemonte con 8 aree tra le province di Torino e Alessandria; Toscana-Lazio con 24 aree tra Siena, Grosseto e Viterbo; Basilicata-Puglia con 17 aree tra Potenza, Matera, Bari, Taranto; poi le Isole, con la Sardegna (14 aree) in provincia di Oristano e nel Sud Sardegna ; e la Sicilia, 4 aree nelle province di Trapani, Palermo, Caltanissetta.

QUI la mappa consultabile

Nei giorni scorsi era arrivato il nulla osta alla pubblicazione da parte dei ministeri Sviluppo economico e ambiente e ora si apre una fase di consultazione pubblica, in cui le Regioni, gli enti locali e tutti i soggetti portatori di interesse qualificati possono formulare osservazioni e proposte tecniche.

Il Deposito Nazionale è un’infrastruttura ambientale di superficie dove mettere i rifiuti radioattivi provenienti dalle centrali (di cui si completerà il decommissioning) e dalle attività di medicina nucleare, industriali e di ricerca.

Le reazioni contrarie e le alzate di scudi di territori e istituzioni non si sono fatte attendere.

“Apprendiamo a ‘cose fatte’ e a distanza di anni, dell’inclusione di alcuni comuni pugliesi e lucani tra i siti in cui stoccare residui radioattivi. E’ ferma e netta la contrarieta’ della Regione Puglia a questa opzione. I nostri sforzi verso un modello di sviluppo improntato sulla tutela dell’ambiente e della salute sono noti a livello internazionale. Non si puo’ imporre, ancora una volta, scelte che rimandano al passato piu’ buio, quello dell’assenza della partecipazione, dell’umiliazione delle comunita’, dell’oblio della storia e delle opportunita’”. A dichiararlo e’ il presidente della Regione Puglia Michele Emiliano.

“La Carta nazionale delle Aree Potenzialmente Idonee alla localizzazione del Deposito Nazionale dei Rifiuti Radioattivi include anche 22 siti nella provincia di Viterbo (..); il territorio del Lazio presenta gia’ un quadro fortemente impattante legato all’inquinamento nucleare di origine industriale e medica. Questa regione ospita le due ex centrali nucleari di Montalto di Castro, in provincia di Viterbo, e di Borgo Sabotino, in provincia di Latina, oltre al Centro Ricerche dell’Enea Casaccia, nel Comune di Roma, dove si svolgono anche attivita’ di studio e ricerca sulla medicina nucleare”. È quanto dichiara in una nota Massimiliano Valeriani, assessore al Ciclo dei Rifiuti della Regione Lazio, che aggiunge: «Il Lazio non può sostenere un ulteriore aggravio delle condizioni ambientali legate al sito unico dei rifiuti radioattivi».

“In tanti mi stanno contattando in queste ore per avere rassicurazioni e chiarimenti sulla scelta fatta anni fa a livello nazionale per individuare siti idonei per il deposito di rifiuti radioattivi. Ritengo che la Sicilia abbia gia’ dato tanto dal punto di vista ambientale e che individuare strutture del genere nell’Isola non sia per niente opportuno per tante motivazioni che faremo valere”. Cosi’ l’assessore all’Energia della Regione Siciliana, Alberto Pierobon, in un post Facebook.

Levata di scudi unanime in Sardegna contro l’ipotesi di un deposito di scorie nucleari nell’Isola. Alla dura presa di posizione del presidente della Regione, Christian Solinas, si uniscono i Sindaci rappresentati dall’Anci, che bocciano il piano della Sogin nel merito e nel metodo e chiedono “una mobilitazione generale di tutta la Sardegna per un’azione congiunta del Consiglio Regionale, della Giunta, dei parlamentari sardi, dei comuni della Sardegna, delle organizzazioni sindacali e datoriali, delle associazioni e dei comitati civici, della cittadinanza attiva”.

In Piemonte sono coinvolte aree nelle province di Torino ed Alessandria e il vice sindaco della citta’ metropolitana di Torino Marco Marocco ha convocato un incontro con i sindaci dei comuni interessati per esaminare la situazione. L’iniziativa e’ stata presa anche dai vertici della Provincia di Alessandria.

“Sono disposto a fare la guerra pur di non vedere nessun sito sul mio territorio”. E’ la presa di posizione di Luca Grisanti, sindaco di Campagnatico, una delle due realta’ della Toscana comprese nell’elenco delle aree italiane individuate come quelle che potranno potenzialmente ospitare il Deposito nazionale dei rifiuti radioattivi italiani. Grisanti, primo cittadino del paese della provincia di Grosseto di 2400 abitanti che si estende dal tratto terminale della Valle dell’Ombrone, fin quasi alla sua apertura meridionale verso la pianura della Maremma grossetana, si dice “allibito solo al pensiero”. “E per questo chiedero’ il coinvolgimento di tutti i ‘comitati del no’ esistenti al mondo e poi vediamo. La bellezza e la natura che ci circonda da millenni sarebbero uccise in un solo colpo”, ha aggiunto. Greenpeace in un comunicato sostiene di “non condividere la strategia scelta dall’Italia, basata sull’unica ipotesi di dotarsi di un solo Deposito Nazionale” delle scorie nucleari. Secondo Greenpeace “sarebbe stato più logico verificare più scenari e varianti di realizzazione del Programma, utilizzando i siti esistenti o parte di essi, e applicare a queste opzioni una procedura di Valutazione Ambientale Strategica (VAS), in modo da evidenziare i pro e i contro delle diverse soluzioni”.

Fonte: ilcambiamento.it

Green Deal, Piemonte e Puglia tra le regioni europee col maggior potenziale in tecnologie a basse emissioni

A dirlo è un nuovo studio di Bruegel, il think tank di Bruxelles specializzato in economia, secondo cui le due regioni italiane sono nel gruppo ristretto delle aree Ue più promettenti per la crescita di settori green. Il Piemonte e la Puglia possono svolgere un ruolo di primo piano nella ‘rivoluzione verde’ dell’Europa ma a patto che i governi locali sappiano sfruttare il potenziale del territorio. A dirlo è un nuovo studio di Bruegel, il think tank di Bruxelles specializzato in economia, che ha analizzato le condizioni per la crescita dei settori a basse emissioni di CO2 con più potenziale a livello regionale in Europa. In base a questa analisi, le due regioni italiane sono risultate essere nel gruppo ristretto delle aree Ue più promettenti per lo sviluppo delle tecnologie ‘verdi’.

Per consentire la decarbonizzazione – sostengono gli studiosi – la politica locale e nazionale dovrebbe mirare a rafforzare gli attuali punti di forza dei territori usando un approccio ‘orizzontale’ che consiste nel creare attività attorno a un settore preesistente per “farlo sbocciare e dare vita a un intero ecosistema” (anziché il più classico approccio ‘verticale’, di sostegno finanziario a singoli progetti ancorati al passato industriale). Così il Piemonte potrebbe sfruttare la capacità che già ha nelle filiere dell’elettrico e dei biocarburanti per diventare un centro innovativo di veicoli ‘green’.

Allo stesso modo, in Puglia potrebbero fiorire il settore dell’energia solare e quello dell’efficientamento energetico. “Non ha senso aspettarsi e applicare le stesse regole ovunque in Europa. Volendo fare politica industriale, è meglio non costruire torri d’avorio in mezzo al nulla, ma piuttosto realizzare qualcosa correlato a ciò in cui le regioni sono già ‘brave’ oggi”, spiega il ricercatore e co-autore dello studio Georg Zachmann. Secondo il quale i centri industriali locali vanno sviluppati e accresciuti “attorno a ciò che già si ha” sfruttando i massicci effetti dell’aggregazione. Nello studio, il think tank Ue fa anche riferimento alla Lombardia, che però – pur rappresentando la locomotiva d’Italia – non vanta una specializzazione in nessuna delle tecnologie analizzate “forse a causa del suo successo in molti settori diversi” osserva ancora Zachmann. Fra gli Stati membri, lo studio di Bruegel mostra che anche regioni svedesi, finlandesi e tedesche hanno un buon potenziale nel settore dei veicoli elettrici. Mentre per quanto riguarda l’efficientamento energetico, ci sono buone possibilità di sviluppo ovunque, compresi Est e Sud Europa. Ma – sottolineano gli studiosi – è soltanto l’inizio. Molti altri settori, tra cui agricoltura, trasporti e metalli, dovranno essere decarbonizzanti per avvicinarsi almeno all’azzeramento netto delle emissioni di gas serra stabilito nell’accordo di Parigi.

Per Zachmann, è importante non tanto dimostrare che una certa tecnologia incontrerà delle difficoltà in una certa regione, quanto identificare le risorse che già si hanno per puntare su quelle. In termini di finanziamento dell’Ue, un’idea interessante per il ricercatore è creare mercati per incentivare le nuove produzioni ‘verdi’ fra cui l’idrogeno, come è stato fatto in passato con le rinnovabili. 

Fonte: ecodallecitta.it

Xylella, opportunità o disastro ecologico?

Si è conclusa qualche giorno fa con l’archiviazione dei dieci indagati l’inchiesta della procura di Lecce sul caso Xylella. Eppure sono molti gli aspetti ancora da chiarire circa il batterio incriminato per il disseccamento degli ulivi del Salento. Sebbene ci siano pareri discordanti circa le cause del fenomeno e l’entità dell’emergenza, non è stato previsto dal Governo nessun intervento curativo ma solo l’eradicazione di piante secolari o addirittura millenarie. Una misura che cambierebbe per sempre il volto della Puglia. Perché non prendere in considerazione un altro approccio?

Il CoDiRO (Complesso Disseccamento Rapido dell’Olivo) in Puglia porta con sé perplessità e contraddizioni da ogni punto di vista si voglia guardare il problema. Scontri tra enti, produttori, ricercatori, politici e società civile stanno caratterizzando il processo in atto dal 2013. Anche la recente sentenza della procura di Lecce fa emergere un quadro allarmante di come si è affrontato il problema. Ma partiamo dalla fine.

L’inchiesta leccese

L’inchiesta della Procura di Lecce sul caso Xylella degli ulivi salentini si chiude con l’archiviazione dei 10 indagati tra ricercatori dell’Ipsp-Cnr di Bari, dell’allora commissario per l’emergenza Silletti, generale della Forestale, dirigenti dell’Osservatorio Fitosanitario della Puglia, dirigenti di centri di Ricerca e un docente dell’Università di Bari. Non è stato provato un nesso causale tra le condotte degli indagati e la diffusione del batterio. Sono state però accertate condotte con “molteplici aspetti di irregolarità, pressappochismo, negligenza”, scrive il Gip e ancora definisce i comportamenti di “Incredibile sciatteria da mettere in seri dubbi anche gli accertamenti in campo su cui poi si sono basate le conclusioni degli enti coinvolti”; “di omertà insuperabili e insuperate”; “un’imbarazzante attenzione ai riflessi della notorietà sul piano scientifico e alle prospettive economiche della gestione del fenomeno, avvenuta in regime di sostanziale monopolio”. 
In una mail del 2014 il ricercatore Donato Boscia scrive alla collega Maria Saponari: “Non banalizziamo la prova, se usiamo la Coratina [una varietà di ulivo] la infettiamo con la (Xylella, ndr) fastidiosa, la osserviamo asintomatica per uno, due, tre …quindici anni. Poi quando Martelli sarà morto, Savino forse, io non so, la professoressa avrà avuto una crisi isterica perché non ci ha guadagnato nulla in tutti i sensi, tu avrai la mia età e pubblicherai che (Xylella, ndr) non è patogenica (ma questo lo sappiamo già): embé?”. Resta l’accusa di falso che passa alla Procura di Bari. 

Il quadro descritto lascia sgomenti. Non c’è certezza se il batterio incriminato sia endemico o importato, se sia la causa del disseccamento, quali siano le varietà realmente resistenti, né se le manovre di ricerca e monitoraggio finora decise siano state opportunamente svolte. 

Vi sono inoltre dubbi sulla fattibilità tecnica, sulle prove di efficacia e sostenibilità del Piano Silletti che ha imposto a proprietari di ulivi e amministrazioni comunali l’espianto degli alberi, malati e non. Su quali basi tecniche e scientifiche si è scelto l’abbattimento della popolazione del presunto vettore “sputacchina” a mezzo dell’irrorazione di pesticidi, da ripetere più volte nell’anno e a tempo indefinito? Eppure l’EFSA , l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare, ha più volte documentato l’impossibilità di eradicare la Xylella una volta entrata in campo aperto: quando il batterio penetra in un territorio e vi si insedia, la sua eradicazione non è più possibile. Dichiarazioni fatte anche dal professor Purcell che è uno dei maggiori esperti mondiali sulla Xylella.

La scienza ufficiale, i protocolli e i finanziamenti

Gli enti europei che hanno accolto gli studi dei ricercatori di Bari e che hanno investito e promosso politiche sulla questione Xylella si sono basati sulle informazioni del CNR di Bari, quindi gli esiti finali della ricerca rimangono sempre gli stessi e la ricerca chiusa. Anche se questi esiti non sono mai apparsi su riviste scientifiche internazionali, come accade normalmente per le pubblicazioni scientifiche, hanno costituito il fondamento per tutti i decreti, le azioni politiche e i finanziamenti per la ricerca e per gli espianti. Lascia perplessi proprio questo aspetto di monopolio scientifico dei ricercatori di Bari, degli unici laboratori accreditati e dei decreti dell’ex ministro Martina e dell’attuale ministro dell’Agricoltura Centinaio con cui si ostruisce la via ad un pluralismo scientifico, ad una più ampia collaborazione scientifica. Quindi la scienza “ufficiale”, enti nazionali ed europei, associazioni di categoria non hanno dubbi: il problema è la Xylella e vanno abbattuti gli alberi e reimpiantate le 2 varietà resistenti, le cui certificazioni sono basate sul parere degli stessi enti indagati dalla procura di Lecce. Così si è deciso che il Leccino e l’F17, quest’ultimo brevettato appunto dal Isps-Cnr con enormi ricadute economiche, siano le uniche varietà permesse per accedere ai protocolli. Già l’Unione Europea ha investito 30 milioni di euro per 2 progetti di ricerca entrambi coordinati dall’Ipsp, senza bando. E solo 3 vivai (in Sicilia, Puglia e Umbria) hanno la licenza per coltivarli e venderli. (Il fatto quotidiano 24/01/2019).
Molte aziende agricole, grazie alla pioggia di finanziamenti in arrivo, si adeguano alle direttive ufficiali, così anche la Coldiretti. Le due varietà sono adatte alle coltivazioni super-intensive e meccanizzate con ciclo di vita di 12/15 anni; ci sono protocolli già pronti, anche per l’uso di fitofarmaci ed erbicidi e per altre sperimentazioni chimiche e batteriologiche. Grazie agli aiuti economici europei, le aziende intravedono un futuro assistito, più sicuro. A Gennaio il ministro per l’agricoltura Centinaio ha stanziato 100 milioni per l’espianto di massa degli ulivi infetti, per poi reimpiantare le 2 varietà selezionate nei 23.000 ettari della provincia di Lecce, piantine di 1 metro che in 5 anni entreranno in produzione. Chi si oppone all’espianto rischia 5 anni di carcere.

L’emergenza
Ma vediamo quale è l’entità delle piante infette. I dati ufficiali disponibili forniti dalla Regione Puglia su 450.000 piante campionate, solo il 2% risulta infetto dal batterio Xylella fastidiosa e non tutte si disseccano.  A Melendugno, in piena zona infetta, quando nell’aprile 2018 la Trans Adriatic Pipeline (TAP) per la costruzione del gasdotto ha chiesto alla Regione Puglia l’autorizzazione allo spostamento di piante di olivo, è emerso che su 450 solo 3 erano positive al batterio, lo 0,7%. Dallo stesso Piano Xylella risulta che all’analisi sono state individuate il 2% di piante infette nella zona di contenimento e 0,1 % nella zona cuscinetto. 

“La xylella non sembra avere numeri superiori ad una qualsiasi batteriosi vegetale con cui gli ulivi ben trattati hanno imparato a convivere nei secoli – ripetono i ricercatori indipendenti e – bisognerebbe sapere quante di queste piante infette siano veramente malate”.

Tanto è vero che nella classificazione della EPPO, organizzazione intergovernativa che si occupa di protezione delle piante in area euromediterranea, la Xylella è stata declassata nella lista A2, quindi catalogata tra gli organismi da quarantena ormai endemici, sebbene non largamente diffusi, e considerati sotto controllo. La situazione risulta ambigua: migliaia di piante malate che non hanno la Xylella e ancora più piante che hanno la Xylella ma che non sono malate, di solito attorno agli alberi malati. Il piano finanziato dal ministro Centinaio non prevede il ricorso a trattamenti curativi, solo espianti. Invece la Regione Puglia dal 2015 sta investendo negli agricoltori che studiano rimedi per il disseccamento. Queste le richieste da parte dei salentini: perché se cento ulivi guariscono, essi non possono essere l’oggetto di uno studio scientifico approfondito prima che due milioni di alberi della Puglia vengano distrutti e che il volto della Regione cambi per sempre?

L’approccio agro-ecologico

La diffusione del CoDiRO (il disseccamento) ha una serie di concause: i suoli analizzati hanno meno dell’1% di materia organica: humus ridottissimo cioè la terra è ormai inerte. Proprio la provincia Leccese è quella in cui si è fatto il maggior uso di diserbanti che hanno impoverito e inquinato il terreno. Altre concause possibili: le potature che “capitozzano” la chioma, la grande uniformità delle varietà coltivate, la monocoltura e la trascuratezza di imprenditori agricoli o contadini che hanno mal gestito i propri appezzamenti. Leggiamo in questo approfondito documento a cura di Massimiliano Bianco, ricercatore dell’Ispra e dirigente di European Consumers, che “pur riconoscendo la gravità del contesto, anche gli oliveti salentini, se ben gestiti, possono guarire e che quelli gestiti in modo biologico stanno già meglio di quelli convenzionali adiacenti. Considerano del tutto irrazionali, dannose e inutili le misure draconiane, di sradicamento e avvelenamento diffuso e propongono accorgimenti mirati, naturali ed ecocompatibili. Le misure agro-ecologiche mirano a rendere possibile, e non sintomatica, la coesistenza con il batterio, tramite il rafforzamento delle capacità di autodifesa biologica degli ulivi e di altre specie vegetali, da ottenersi con le buone pratiche agronomiche generali sulle piante, con la rigenerazione della fertilità naturale organica e microbiologica del suolo e con l’uso, quando necessario e con le opportune dosi, sia del rame, dello zolfo o altri minerali da contatto, che di oligoelementi per nutrizione fogliare”.

Esperienze Positive nella cura degli ulivi ammalati

Cominciano ad accumularsi evidenze osservazionali e scientifiche di risultati positivi, sotto il profilo della netta ripresa vegeto-produttiva di ulivi malati o perfino ischeletriti e dati per morti, di prove sperimentali in campo condotte da vari gruppi di ricerca e perfino da singoli olivicoltori. (Prof. Lopes e Prof.sa Carlucci, in collaborazione con COPAGRI, ecc.). Nel territorio di Seclì (Lecce), Giorgio Greco, piccolo proprietario, ha da tempo avviato una “cura” degli alberi a base di Potatura, Arieggiamento, Cenere ed Erba (il metodo “PACE”). Dopo 6 anni dalla rilevazione dell’infezione i suoi alberi “infetti” resistono al disseccamento rapido dell’Olivo, pur appartenendo alle varietà sensibili Cellina di Nardò ed Ogliarola Leccese. Le piante hanno ricominciato a vegetare già con la potatura, eliminando il secco, evitando di fare tagli drastici, trattando le ferite con solfato di rame. Si è trattato il terreno sovesciando i mugnuli sulle ferite della potatura con solfato di rame; tronchi e branche principali sono state  disinfettate con solfato di ferro, pure usato in agricoltura biologica, la chioma con biofertilizzante. 450 alberi di Giuseppe Coppola, proprietario di un oliveto in contrada Santo Stefano, tra Alezio e Gallipoli, molti dei quali secolari, sono tornati a germogliare dopo un anno di cure tradizionali e biologiche. Altre attività sono proposte da Federbio in questo documento che descrive le proprie proposte; le aziende biologiche hanno visto mettere in pericolo le proprie coltivazioni per l’imposizione dell’uso massiccio di fitofarmaci ed erbicidi non permessi nel biologico. Buoni risultati ha la cura Scortichini, dirigente al Consiglio per l’Agricoltura (Crea): un aerosol di zinco, rame e acido citrico che penetra nel sistema vascolare dell’ulivo, qui la pubblicazione scientifica

Ivano Gioffreda, Presidente dell’Associazione Spazi Popolari e agricoltore, porta avanti da qualche anno una sperimentazione su circa 100 ulivi che presentavano segno di disseccamento e che sono stati interamente salvati: gli alberi sono floridi, vivi, stanno benissimo: “Perché la scienza non ha voluto approfondire le cure degli alberi come abbiamo fatto noi ed altre associazioni che stanno portando avanti la sperimentazione con l’aiuto di centri scientifici? Si sarebbe potuto fare su larga scala”.

Altre esperienze sono raccontate nel sito di Elena Tioli da tempo impegnata nel raccontare e promuovere esperienze realmente sostenibili. Grazie a lei e all’incontro con altre realtà come Il bosco di Ogigia e altri giornalisti è in lavorazione un documentario sulla situazione pugliese: Xylella Favolosa. Qui il sito per vedere l’anteprima e partecipare alla raccolta fondi. Sembrano quasi fuori dal tempo le diffamazioni dirette a chi sperimenta metodi di cura alternativi a quelli ufficiali: santoni, antiscientifici. Emerge una visione obsoleta della biologia che la mentalità scientifica riduzionista non ha ancora superato: la ricerca solo del singolo agente causale (il batterio), dai risvolti economicamente vantaggiosi, ignorando che agiamo in un sistema complesso, dove processi di autoregolazione, adattamento e integrazione richiedono strumenti di valutazione sistemica. Le industrie della chimica, dei brevetti e delle biotecnologie condizionano pesantemente la catena di eventi anche dei singoli territori, avvicinano facilmente una scienza “ufficiale” priva di finanziamenti pubblici e con dubbie basi etiche, la quale chiude le porte a qualsiasi confronto; la scienza lo può fare, non mettersi in discussione. Ormai dall’Onu alla Fao si è indicato chiaramente che per i problemi del futuro non si può che scegliere una agricoltura sostenibile, per l’ambiente, la salute e le economie delle comunità. L’agricoltura intensiva basata sulla monocoltura, meccanizzata e inquinante peggiora le condizioni di tutto il sistema e fa perdere velocemente fertilità al suolo. La perdita di biodiversità condanna agli eventi catastrofici, frane, epidemie, instabilità del clima.
In questo caso risulta evidente anche la responsabilità di chi non ha saputo trattare e curare la propria terra, non ha saputo far evolvere le proprie conoscenze e ha delegato alla consuetudine, non ha curato le risorse che aveva a disposizione o non ha riconosciuto la propria terra come una risorsa. 

Per le altre fonti dell’articolo clicca qui Fonte: http://www.italiachecambia.org/2019/05/xylella-opportunita-disastro-ecologico/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni

LandXcape: ridar vita al Salento dopo la Xylella

Insieme ai suoi ulivi secolari, colpiti dalla Xylella, il territorio salentino ha perso la propria identità che a quelle antiche radici era saldamente ancorata. Come fare, dunque, per recuperare il paesaggio culturale del Salento e ridare un senso ed una visione di futuro agli abitanti di questi luoghi? Nasce da questo interrogativo LandXcape, un progetto multidisciplinare di rigenerazione paesaggistica. Restituire al territorio, attraverso l’arte e la poetica narrativa dei luoghi, il senso della trasformazione del paesaggio, per riflettere insieme sulla rigenerazione dei paesaggi culturali. Nasce in un Salento duramente colpito dalla Xylella il progetto LandXcape, sostenuto dalla Regione Puglia e attuato dal Teatro Pubblico Pugliese e dall’Associazione Internazionale BJCEM – Biennale des Jeunes Créateurs de l’Europe et de la Méditerranée (la Biennale dei Giovani artisti d’Europa e del Mediterraneo). Per sapere di cosa si tratta abbiamo intervistato la coordinatrice tecnico-scientifica del progetto Simonetta Dellomonaco.landxcape-

Raccontaci dell’esperienza pionieristica che state affrontando per recuperare il paesaggio duramente attaccato dalla Xylella. Cos’è LandXcape?

Quello che stiamo tentando di fare è applicare la rigenerazione paesaggistica, soprattutto nella parte del Salento colpita dalla malattia della Xylella, che sta devastando gli uliveti secolari. E non è semplice, perché in Italia non esiste ancora il tema della rigenerazione del paesaggio. A questo scopo LanXcape ha messo in opera tutta una serie di attività, a partire dall’arte contemporanea, coinvolgendo la BJCEM- La Biennale des Jeunes Créateures d’Europe et de la Méditerranée. La BJCEM ha fatto un appello internazionale all’interno del suo network, coinvolgendo 22 paesi dell’Europa e del Mediterraneo; poi ha selezionato 60 artisti fra i quasi 400 che avevano risposto all’appello. Questi 60 artisti verranno in residenza in Puglia a partire dall’8 ottobre; nelle residenze artistiche si esploreranno sei diverse discipline. Le residenze saranno collocate in sei parchi naturali, poiché i parchi attuano già delle buone prassi sul paesaggio, mettendo insieme la parte produttiva, ovvero quella turistica, e la tutela dell’ambiente e del paesaggio.

Le sei discipline artistiche saranno: narrazione, performance, video e foto, design, arti visive e land art. Ognuna di queste discipline abiterà in un parco con 10 artisti. Quindi un tutor professionista prenderà con sé 10 artisti, che lavoreranno nella residenza per 10 giorni. Nel frattempo verranno accompagnati ad intervistare gli agricoltori, i portatori d’interesse, i “custodi della memoria”, come li abbiamo chiamati, e tutti quelli che potranno trasmettere agli artisti il valore del territorio e del paesaggio culturale, della memoria e della loro identità. Abbiamo pensato ai parchi naturali come a dei ripetitori, come a delle antenne sul territorio. Gli artisti che andranno in residenza nei sei parchi del Salento creeranno le loro opere non solo nei parchi ma anche fuori da essi, coinvolgendo tutte le aree colpite dalla Xylella. Il cuore dell’intervento è quindi l’arte contemporanea, ma anche il design, la performance, la narrazione. A proposito di narrazione: tutta la parte che precede le residenze ha lo scopo di avvicinare il territorio al progetto e quindi c’è una serie di spettacoli di una rassegna teatrale per raccontare il mondo della tradizione orale, ovvero spettacoli legati alla narrazione in senso stretto. Le compagnie teatrali che vengono qui e raccontano le storie nei parchi non sono compagnie qualsiasi: sono compagnie che attuano già delle buone prassi in Italia, facendo “teatro del paesaggio”.42421152_834854973328116_8445883381756985344_n

In cosa consiste il progetto e a chi si rivolge?

È un progetto di rigenerazione paesaggistica, in particolare dei paesaggi culturali, perché non agisce a livello fisico con delle infrastrutture, lo fa in maniera trasversale e soprattutto interdisciplinare chiamando gli artisti, il teatro, gli antropologi, i sociologi. Chiama in causa anche le buone prassi già attuate sul territorio nazionale, per poter produrre uno scambio di esperienze. Le azioni del progetto coordinate dai facilitatori sono sostanzialmente tre: la Residenza artistica attraverso il network internazionale mediterraneo, la rassegna teatrale “Il Salento racconta” – che è una rassegna di teatro e ascolto in cui prima di ogni spettacolo c’è un momento di ascolto – e poi i dialoghi sul paesaggio. Anche per i dialoghi chiamiamo degli esperti, degli interlocutori privilegiati che dialogano attorno al tema del paesaggio coinvolgendo la comunità. È un progetto che si rivolge alla comunità e al tempo stesso crea comunità attorno al tema del paesaggio. Cerca di prendersi cura della percezione degli abitanti del paesaggio sull’ambiente attaccato dalla Xylella. Vuole creare una sorta di ascolto e riflessione di comunità su questo tema.

Com’è nato il progetto? Quali sono i suoi obiettivi?

É nato da un’istanza del territorio, le associazioni di categoria e le associazioni dell’ambiente come Coldiretti, Confartigianato, Confagricoltura, etc.  (sul sito c’è tutto l’elenco dei sostenitori morali del progetto). Si sono messi insieme, hanno contattato l’Assessore Regionale alla Cultura per proporgli di fare un intervento culturale sul paesaggio. Hanno bussato alle porte della cultura e quindi l’Assessorato ha detto: “Va bene, cerchiamo di aprire un filone di riflessione sulla trasformazione del paesaggio dal punto di vista culturale”. Ecco perché è diventato un progetto di rigenerazione dei paesaggi culturali. La domanda è: cosa accadrà alla gente, all’identità del territorio salentino pugliese che si attesta sugli uliveti secolari? Cioè, tutta questa gente, tutta la penisola salentina e quindi le province di Brindisi, Lecce e Taranto hanno da secoli come matrice culturale proprio l’uliveto e tutti si riconoscono come patrimonio identitario negli uliveti. Questi ultimi sono secolari e alcuni hanno addirittura un migliaio di anni. Quindi questi uliveti che adesso stanno morendo infliggono un colpo mortale all’identità culturale del territorio e degli abitanti. Ciò che stiamo cercando di fare chiamando gli artisti, i narratori, i musicisti, è ascoltare col cuore, mi verrebbe da dire, perché l’arte sa fare anche questo, e trasformare questo ascolto in una riflessione di comunità. Questo è il senso che sta alla base del progetto.landxcape-2

Raccontaci degli eventi in programma in questi giorni.  In cosa consistono e che risposte state avendo da parte della popolazione locale e del pubblico in generale?

La serie di eventi che è cominciata il 22 settembre e si concluderà il 18 ottobre ha l’obiettivo di avvicinare gli abitanti al progetto dialogando con gli esperti: sociologi, antropologi, produttori, agenti del turismo verde, la Soprintendenza ai Beni Paesaggistici. Gli abitanti del territorio quindi ascoltano, intervengono a loro volta e parteciperanno anche alla tavola rotonda finale. Poi ci sono gli spettacoli all’interno dei parchi e quindi spesso negli uliveti stessi. Qui gli abitanti del luogo si trasformano in spettatori, vengono accolti nell’ambito naturale e portati a fare una visita guidata a piedi, fino al luogo dove si svolgerà lo spettacolo; quindi s’impregnano del territorio anche percettivamente. Quando arrivano vengono accolti da un facilitatore che spiega loro il progetto, il tutto in diretta social: tutto viene ripreso in modo che sia fruibile dal numero più alto possibile di persone. Le persone locali che abbiamo chiamato i “custodi della memoria” vengono intervistate in un reportage video e questo costituirà poi “ la banca della memoria”, che sarà visibile sia sui canali social che sul sito. Alla fine del progetto tutto questo diventerà una vera e propria banca dati. Nel frattempo però stiamo già lanciando alcune pillole. Tutte le interviste saranno poi trasmesse agli artisti e insieme al lavoro degli artisti questi reportage diventeranno la banca dati di LandXcape. Gli eventi terminano il 18 ottobre con la festa finale delle Residenze. Anche la parte turistica è molto presente, molti parchi hanno la “CETS”, Carta Europea del Turismo Sostenibile, quindi hanno tutta una loro rete, abbiamo coinvolto anche Puglia Promozione, che è l’agenzia pugliese per la promozione turistica che ci fa da gancio per la parte legata al turismo. Poi fra i partner ci sono anche molte associazioni legate al turismo verde, gli agriturismi e gli operatori legati alla ricettività turistica in ambito naturale; abbiamo coinvolto anche i “GAL” – Gruppi di Azione Locale – legati al mondo dell’agricoltura, quelli legati al progetto del Piano di Sviluppo Rurale o PSR, al quale aderisce tutta la rete dei produttori vitivinicoli, oleari, le masserie didattiche; tutta la rete regionale viene insomma coinvolta attraverso i diversi canali. La cosa importante è che tutto questo fa capo a dei progetti preesistenti, quindi stiamo mettendo in rete tutto ciò che nel territorio già viene fatto. I prossimi appuntamenti sono i weekend di spettacoli e dialoghi, quindi il 5 e 6 ottobre ascolto e racconto del territorio, poi l’8 ottobre, il giorno in cui tutti gli artisti internazionali arriveranno a Brindisi e ci sarà il seminario di apertura della residenza artistica. Nel corso poi delle residenze, quindi dall’8 al 18 ottobre, ci saranno vari incontri nei parchi con gli artisti e poi il 18 ottobre a Lecce ci sarà l’evento clou: la restituzione di tutto il lavoro svolto con una festa di fine residenza. Brindisi e Lecce  entreranno in gioco anche con il coinvolgimento dei Poli Biblio-Museali regionali: quello di Brindisi darà l’apertura alle residenze e quello di Lecce si occuperà della chiusura; quindi faremo entrare la campagna in città coinvolgendo anche i musei e le biblioteche delle realtà cittadine, con una chiave che dia nuova linfa vitale alle sedi normalmente deputate alla cultura.

Tanti appuntamenti da non perdere come vedete fino al 18 ottobre ma se, come me, avrete la sfortuna di non riuscire ad andare di persona, non perdetevi almeno le dirette social:
www.facebook.com/landXcape.Puglia/
www.instagram.com/landxcape.puglia/
www.youtube.com/channel/UCAg3Ok9TbGmV1479i7pL8_w

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2018/10/landxcape-ridar-vita-salento-dopo-xylella/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni

Xylella: e se “fastidiosa” fosse la nostra agricoltura?

Per fermare la diffusione della xylella fastidiosa, il batterio killer degli ulivi del Salento, si è deciso di far ricorso ai pesticidi che, tuttavia, non fanno altro che contribuire a rendere l’ambiente poco sano. Perché non approfittare invece di questa emergenza per ripensare le nostre politiche agricole orientandole verso il rispetto del territorio?

Ancora una volta rischiamo di cadere nel principale errore dell’agricoltura industriale: razionalizzare la natura, cercare di comprenderla solo nei rapporti di causa-effetto percepiti dalla mente umana. Il batterio xylella è il nuovo nemico da combattere. Non si è riusciti ad arrivare ad una conclusione più moderna che l’uso dei pesticidi, una soluzione che magari partisse da una visione olistica dell’agricoltura. Nei miei articoli precedenti ho scritto che spesso l’invasione da parte di un parassita di una pianta è solo un sintomo di un ambiente agricolo poco sano. Bisogna interpretare l’ambiente in cui vivono gli ulivi considerando la fitta rete di interazione fra piante, insetti, microrganismi, suolo e tutto il resto. Quattro trattamenti di pesticidi all’anno non sono una soluzione: continueranno piuttosto a rendere l’ambiente insalubre. Anche ammettendo che il problema della xylella momentaneamente si risolva.xylella-salento1

Spesso dico che non bisogna forzare una coltura. Se le piante si ammalano nonostante buone pratiche forse non è il loro posto, e di conseguenza bisogna fare scelte colturali che rispettino la vocazione del territorio. Con gli ulivi centenari della Puglia non mi sento di fare questo tipo di discorso che di solito applico per pomodori e fagiolini. Sono però convinto che non bisogna forzare una coltura a discapito del resto dell’ambiente. D’altra parte, quelle piante sono lì grazie a quell’ecosistema. Grazie alle api, ai lombrichi, ai funghi e tutti i microrganismi nel suolo. Ecco perché credo che tutti i tentativi che è giusto fare per proteggere quelle piante stupende debbano rispettare l’ambiente e debbano essere biologici. Con l’uso di pesticidi e diserbi cosa otterremo? Un ambiente meno ricco, più suscettibile ad altri imprevisti e avversità, oltre ad una sputacchina resistente agli insetticidi, perché ormai sappiamo come si ripercuotono a lungo termine certe scelte agricole.

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2018/05/xylella-fastidiosa-nostra-agricoltura/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni

Bari, entra nel vivo ‘Chi ti ama fa la differenza’ per migliorare la raccolta rifiuti in città

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Presentato oggi un progetto di sensibilizzazione capillare in tutta la città di Bari, sia nelle zone dove si estenderà il sistema di raccolta porta-a-porta, che nel resto della città. Primo appuntamento la festa di San Nicola e dal 14 maggio la scuola Filippo Corridori. Il progetto “Bari fa la differenza” entra nel vivo, grazie alla collaborazione tra Conai, i Consorzi nazionali per il riciclo di acciaio (Ricrea), alluminio (Cial), carta e cartone (Comieco), plastica (Corepla) e vetro (Coreve), il Comune di Bari e Amiu Puglia. È stato presentato oggi, alla presenza del sindaco di Bari Antonio Decaro, del presidente di Conai Giorgio Quagliuolo, dell’assessore all’Ambiente Pietro Petruzzelli e dei rappresentanti dei 5 Consorzi per il riciclo degli imballaggi, un progetto di sensibilizzazione capillare che coinvolgerà tutta l’area metropolitana di Bari, con l’obiettivo di incentivare e promuovere le buone pratiche di separazione, recupero e riciclo degli imballaggi.

“Abbiamo la fortuna di essere supportati costantemente dai consorzi in questo importante processo di trasformazione della nostra città – ha dichiarato Antonio Decaro -. L’amministrazione comunale e Amiu sono impegnati quotidianamente nel servizio di raccolta differenziata e nelle azioni di sensibilizzazione nei confronti dei cittadini che stanno rispondendo molto bene, cogliendone tutti i benefici e facendo la loro parte, così come gli abbiamo chiesto. I baresi hanno davvero compreso l’utilità e la convenienza della raccolta differenziata, anche perché conferire i rifiuti in discarica ci costa 150 euro per ogni tonnellata. Con la differenziata, invece, otteniamo un risparmio che possiamo reinvestire nella copertura dei costi maggiori del porta a porta attraverso l’investimento in risorse umane e campagne di sensibilizzazione. I risultati già si vedono chiaramente: le strade dei quartieri interessati dal nuovo servizio sono finalmente libere dai cassonetti, quindi più pulite, e da questo punto di vista la differenza con le altre zone della città è evidente. Oggi abbiamo uno strumento in più per dimostrare quanto sia importante effettuare la raccolta differenziata, grazie a questo nuovo progetto che ci consentirà di raggiungere sempre più persone durante i grandi eventi per coinvolgerle nel nostro percorso verso una città più rispettosa dell’ambiente, più sostenibile e più moderna. In particolare, apprezzo tutto il lavoro da realizzare nelle scuole perché so bene quanto i bambini e i ragazzi possano influenzare gli adulti e modificare le loro abitudini in meglio. Quindi, ringrazio CONAI e gli altri consorzi per tutto ciò che stanno portando avanti insieme a noi e per il sostegno che ci garantiscono ormai da diversi anni”.
Il progetto prevede 3 azioni principali che si svolgeranno per tutto il 2018: la formazione di un gruppo di 10 eco-animatori in grado di sensibilizzare i cittadini e l’opinione pubblica in generale sui temi della raccolta; la presenza e la visibilità dell’operazione “Bari fa la differenza” in grandi eventi cittadini, grazie anche all’utilizzo di 5 Ape e 5 T-ricicli; un grande progetto di sensibilizzazione nelle scuole.

“Bari fa la differenza – ha detto Pietro Petruzzelli – si sostanzia di nuovo senso per la città. Grazie alla collaborazione di Conai e i consorzi per il riciclo degli imballaggi, da questo momento abbiamo la possibilità di far diventare il nostro progetto una vera e propria best practice italiana, perché non si tratta solo di un modello per il miglioramento delle performance di raccolta differenziata o del porta a porta. Infatti, abbiamo messo a punto un sistema virtuoso attraverso il quale è possibile sensibilizzare i cittadini attraverso un rapporto diretto, rendere davvero i bambini agenti del cambiamento nelle scuole e nelle case con un approccio di responsabilizzazione dei piccoli ed essere presenti nei grandi momenti di aggregazione cittadina, puntando sulla capacità di riproduzione dei comportamenti corretti a discapito di quelli sbagliati. Ma soprattutto abbiamo pensato a un sistema virtuoso che possa coinvolgere risorse umane molto giovani, cui abbiamo fornito una formazione gratuita e una nuova professionalità nell’ambito della comunicazione ambientale. Bari ha una sua squadra di ecoanimatori, con competenze tecniche e relazionali che ci permetteranno di essere attivi sul territorio, con mezzi e materiali, in tutte le occasioni di aggregazione come le grandi manifestazioni o gli eventi sportivi. La vera innovazione del progetto consiste nella sua capacità di agire sui modelli comportamentali contando sulla capacità del singolo di trasmettere il buon esempio all’altro”.
Attraverso azioni mirate che puntano allo sviluppo delle relazioni con il singolo cittadino e l’incremento del grado di partecipazione di tutti gli attori coinvolti, verranno realizzate delle attività di informazione, sensibilizzazione, educazione che agiscono direttamente sui modelli comportamentali. Queste azioni saranno rivolte soprattutto alle nuove generazioni, per informare e promuovere comportamenti virtuosi nei confronti dell’ambiente, valorizzando anche il ruolo attivo e propulsivo del Comune di Bari, di CONAI e dei consorzi di filiera (Ricrea, Cial, Comieco, Corepla e Coreve) in campo ambientale e, nello specifico, nella raccolta differenziata finalizzata al riciclo.

“L’impegno di Conai per Bari non si ferma al supporto tecnico ed economico ma, sin dall’inizio, ha previsto un supporto anche a tutta quella che è la fase di comunicazione del nuovo sistema di raccolta differenziata. Coinvolgere i cittadini e sensibilizzarli sul tema della corretta separazione degli imballaggi è fondamentale per la buona riuscita del nuovo sistema di raccolta porta a porta – ha dichiarato il presidente di Conai Giorgio Quagliuolo. Il nostro impegno, insieme a quello dei Consorzi di filiera, continua attraverso il rafforzamento delle attività di comunicazione e marketing territoriale, con l’obiettivo di aumentare il coinvolgimento e la partecipazione attiva dei cittadini”.

Entro l’estate partirà il porta a porta anche a Bari Vecchia e proseguirà nei quartieri San Paolo/Stanic-Carbonara, Celie e Loseto coprendo, per la fine del 2018, un territorio con oltre 130mila abitanti. Ad oggi la raccolta differenziata effettuata nei quartieri di Santo Spirito, Palese, Catino, San Pio, Fesca, San Girolamo, San Cataldo e il Villaggio Trieste ha superato l’81% e questo successo ha portato al 41% la percentuale raggiunta nell’intera città.

 

Fonte: ecodallecitta.it

 

Dalla Puglia al Veneto in bicicletta: il 12 aprile parte ‘Keep Clean and Ride’, evento centrale del Let’s Clean Up Italy

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La manifestazione -finora conosciuta con il nome di “Keep Clean and Run” (KCR)- per il 2018 diventa Keep Clean and Ride, in quanto quest’anno si svolgerà in bicicletta. A compiere l’impresa sarà sempre il “rifiutologo” e divulgatore ambientale Roberto Cavallo, accompagnato dal triatleta Roberto Menicucci

Dopo tre anni di eco-trail contro l’abbandono dei rifiuti(littering), l’evento centrale italiano della campagna “Let’s Clean Up Europe!” resta fedele al connubio ambiente-sport, ma si evolve. La manifestazione -finora conosciuta con il nome di “Keep Clean and Run” (KCR)- per il 2018 diventa infatti Keep Clean and Ride, in quanto quest’anno si svolgerà in bicicletta. A compiere l’impresa sarà sempre il “rifiutologo” e divulgatore ambientaleRoberto Cavallo, accompagnato lungo il percorso dal triatleta Roberto Menicucci.

Invariato il messaggio che la manifestazione vuole lanciare: il littering, che uccide i nostri mari, va contrastato nei suoi luoghi d’origine, ovvero nell’entroterra. E tutti possono fare due semplici gesti per combatterlo: evitare di abbandonare i propri rifiuti e chinarsi per raccogliere quanto sta già inquinando l’ambiente.

Dopo aver anticipato l’ormai diffuso fenomeno che abbina corsa e rimozione del littering -recentemente ribattezzato plogging– oggi KCR punta ad allargare la platea degli sportivi che abbinano l’attività fisica a quella di rimozione degli abbandoni in natura.

La corsa

Keep Clean and Ride prenderà il via giovedì 12 aprile 2018 da Bari, per concludersi una settimana dopo a Chioggia (VE). Gli eco-atleti, in otto tappe, risaliranno pertanto lo Stivale attraversando sette Regioni del versante adriatico: Puglia, Abruzzo, Marche, Umbria, Toscana, Emilia Romagna e Veneto.

Il percorso prevede un totale di 969 chilometri da percorrere in bici (e, in piccola parte, di corsa, come “omaggio” alle precedenti edizioni), per un dislivello positivo totale di oltre 18 mila metri.

La corsa, promossa da AICA – Associazione Internazionale per la Comunicazione Ambientale in collaborazione con il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, è stata presentata lo scorso 16 marzo a Roma, alla presenza di una rappresentanza del Ministero guidata dalla Sottosegretario di Stato on. Barbara Degani, dei Comuni sede di tappa e degli sponsor. La testimonial Lucia Cuffaro, volto noto della trasmissione Rai “Uno Mattina In Famiglia”, ha fatto da “madrina” dell’evento e per il quarto anno consecutivo ha garantito la sua partecipazione.

Le tappe e gli eventi

Keep Clean and Ride partirà da Bari giovedì 12 aprile e si concluderà giovedì 19 aprile a Chioggia, in un’ideale chiusura del percorso mare-entroterra-mare, seguendo le “rotte” tracciate dai rifiuti. Per otto giorni, Cavallo e Menicucci raccoglieranno i rifiuti abbandonati che troveranno lungo il percorso, fotografando e mappando quelli che non sarà possibile portare con sé. Queste, nell’ordine, le città sede di tappa: Bari, Manfredonia (FG), Vasto (CH), Penne (PE), Teramo, Osimo (AN), Assisi (PG), Città di Castello (PG), Meldola (FC), Parco del Delta del Po (FE), Padova e Chioggia (VE).

Previste, inoltre, numerose tappe intermedie, dove la popolazione –a partire da scuole, famiglie e associazioni del territorio– sarà invitata a partecipare a eventi di pulizia del territorio e/o incontri, durante i quali verranno presentate le finalità dell’iniziativa e la campagna europea, concentrandosi poi sui dati legati all’azione di contrasto all’abbandono dei rifiuti.

Il messaggio

L’iniziativa vuole sensibilizzare la popolazione e i media sul fenomeno del littering, ponendo l’attenzione sull’origine di tali rifiuti. La scelta di incentrare l’evento sportivo negli eco-sistemi montano e marino, infatti, nasce dalla consapevolezza che oltre il 70% dell’inquinamento dei mari ha origine nell’entroterra.

Oltre alla pulizia del territorio in senso stretto, saranno anche messe in risalto le esperienze e le filiere virtuose di gestione e trattamento dei rifiuti.

«Al di là dell’impresa sportiva, Keep Clean and Ride ha un grande potenziale di sensibilizzazione della popolazione, come conferma anche il successo delle prime tre edizioni -dichiara Barbara Degani, Sottosegretario all’Ambiente- Per questo, come Ministero, abbiamo deciso di aderire anche quest’anno, perché siamo convinti che solo sporcandosi le mani e spendendosi in prima persona sia possibile capire realmente la portata e la gravità del fenomeno dell’abbandono. Quante più persone e territori vengono coinvolti, tanto più il nostro atteggiamento da cittadini viene responsabilizzato, aiutandoci così a raggiungere il nostro obiettivo di prevenzione».

Il sostegno

All’iniziativa 2018 hanno già aderito a vario titolo diverse personalità del mondo dello sport (tra cui la medaglia d’argento nell’handbike alle Paralimpiadi di Londra 2012, Francesca Fenocchio; il campione del mondo di ciclismo su strada del 2008 Alessandro Ballan, ecc.) dello spettacolo (Lucia Cuffaro, Mario Tozzi, Giuseppe Cederna, l’Orchestra Casadei; ecc.) della società civile (lo scrittore Leonardo Palmisano; don Josh Kureethadamdell’Università Pontificia, collaboratore di Papa Francesco alla stesura dell’enciclica Laudato Si, ecc.) e dell’ambiente (come il Goldman Environmental Prize Anna Giordano, l’economista Andrea Segré e il meteorologo Luca Mercalli).

Keep Clean and Ride ha i patrocini nazionali del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, dal Senato della Repubblica e dalla FIAB – Federazione Italiana Amici della Bicicletta.

È resa possibile grazie al sostegno del main sponsor Greentire e di Go Rent, Eso – Eso Sport Bike, Mercatino, Fise Assoambiente, Assobioplastiche (in collaborazione con Polycart e Umbraplast), Eurosintex, Comieco, Ricrea, Corepla, Coreve, Gruppo Veritas ed E.R.I.C.A. Soc. Coop. oltre ai partner tecnici Cicli Mattio, Montura, Alba Fisio e Bike Therapy e con il supporto del Comitato promotore nazionale della SERR (Settimana Europea per la Riduzione dei Rifiuti) composto da Comitato UNESCO, ANCI, Utilitalia, Legambiente e Città Metropolitane di Roma Capitale e di Torino. Tv ufficiale dell’evento è Ricicla Tv.

Maggior informazioni e dettagli sono disponibili su menorifiuti.org, il blog della Settimana Europea per la Riduzione dei Rifiuti in Italia a cura di eHabitat.it. Seguite e partecipate all’eco-evento. L’hashtag è #KCR18.

Fonte: ecodallecitta.it