Seminatrice di Creatività: Valentina e la sua Oficina Salvaj che mescola arte e natura

Oficina Salvaj in piemontese significa “laboratorio selvatico” ed è proprio in questa casa-laboratorio che la passione per l’acquerello, l’amore per la natura e la scoperta interiore raccontano la storia di Valentina Bollo. Possiamo considerarla una “Seminatrice di Creatività” che dalla città si è trasferita nel paesino di Vaie, in Val di Susa, per dedicarsi alla sua più grande passione: l’arte.

Torino – Dopo aver trascorso la sua vita in città, a Torino, Valentina Bollo decide di lasciare un lavoro sicuro e una comfort zone che conosceva per cercare sé stessa e dedicarsi alle sue passioni: gli acquerelli e la natura. Questa è una delle varie storie di chi trova il coraggio di cambiare, voltare pagina e inseguire la sua strada. Ma quali sono le motivazioni che hanno portato Valentina a questo cambio di vita? Perché si fa chiamare Seminatrice di Creatività? Cos’è Oficina Salvaj e come è nata? Ne parliamo direttamente con lei per farci raccontare la sua storia e quella del suo progetto.

Dove sei nata e cosa ti ha spinto a cambiare vita?

Mi chiamo Valentina Bollo e sono una quarantenne nata e cresciuta in città, a Torino, ma che da sempre ha due passioni: il mondo naturalistico e l’arte in tutte le loro sfaccettature. Ho fin da piccola avuto visioni della vita un po’ alternative o quantomeno non legate alla massa. Il mio obiettivo è sempre stato quello di fare ciò per cui sono portata e avere molto tempo per me e per le mie passioni. Lavorare il giusto seguendo un ritmo più stagionale e naturale.

Com’è iniziato questo cambiamento?

Il primo passo è stato ormai otto anni fa, dopo aver fatto chiarezza su cosa realmente desideravo nel profondo, ovvero reiscrivermi a un corso di pittura, ma scegliendone uno specifico: ho deciso di studiare disegno naturalistico e in particolare china e acquerello presso lo studio di una importante artista del Piemonte. Da lì mi si è aperto un mondo e ne ho costruito uno mio.

Prima parlaci un po’ della tua “vita precedente”.

Facevo la responsabile di un bellissimo negozio di giocattoli full time. Ho iniziato a chiedere una riduzione ore al lavoro, per poi arrivare nel corso di tre anni circa a licenziarmi definitivamente e creare la mia attività di formatrice creativa. Non volevo più vendere oggetti, seppur di qualità, ma dar sfogo alla mia missione: aiutare le persone a esprimersi attraverso canali creativi legati da un filo conduttore, quello della saggia natura. In questi anni anche i ritmi e lo stile di vita consumistico della città non erano assolutamente in linea con il mio essere, da qui il desiderio di andare a vivere in un luogo con più “verde” è stata una conseguenza naturale.

Dove e quando hai deciso di iniziare questa nuova vita?

Ci ho messo quasi due anni nella ricerca della casa, sia perché l’investimento che volevo fare aveva un budget limitato, sia perché nel mentre c’è stato il primo lockdown. Finalmente a maggio del 2020, appena hanno riaperto, ho incentivato la mia ricerca e, in pochi mesi, ho trovato la casa giusta per me. A luglio mi sono trasferita a Vaie, in bassa Val di Susa. È stato in realtà un po’ un caso, ma penso che questo piccolo paesino abbia tanti lati perfetti per me: è il paese dell’acqua e io lavoro con medium artistici acquosi; è sotto la montagna e questo mi permette di avere i boschi dietro casa; inoltre ci posso andare 365 giorni l’anno! In più ha 1.400 abitanti circa e una comunità che mi ha sempre fatto sentire supportata.

Perché ti senti così attratta dalla natura e in particolare dal bosco?

Sento che il bosco è il mio ambiente. Accogliente se lo si rispetta, generoso con chi sa osservare. È un’entità a tutto tondo che pullula di vita e che mi fa sentire viva. Oltre all’ispirazione continua per i miei laboratori, mi regala tanto materiale che trasformo in inchiostri e pennelli selvatici e in altri prodotti. Quando sono triste la natura mi cura, mi calma e mi consiglia. Basta conoscerla, ringraziandola sempre.

Quando nasce Seminatrice di Creatività?

Seminatrice di Creatività nasce dopo aver aperto nel 2018 la famosa partita iva forfettaria e aver ultimato il percorso gratuito della regione Piemonte del  M.I.P (mettersi in proprio), per dare un nome e una definizione a me e al mio progetto: far riconnettere le persone a un ambiente naturale attraverso proposte laboratoriali/esperienziali pittorico/creative.

Come sono organizzati i tuoi laboratori e che cos’è Oficina Salvaj?

La programmazione dei laboratori è definita mensilmente ed è stagionale, anche in autunno e inverno propongo laboratori con passeggiata annessa. La parte pratica la realizzo in Oficina Salvaj (“laboratorio selvatico” in piemontese) che è il nome che ho voluto dare alla mia casa/laboratorio. Mensilmente comunque ci sono sempre come minimo quattro proposte laboratoriali, sia online che in presenza, con anche almeno una proposta in città.

Ti senti arricchita da questa tua nuova scelta di vita?

Assolutamente sì. In questi anni di sviluppo della mia attività ho potuto creare tante interconnessioni con persone e dar vita a una rete di contatti con gente affine a me. Ho sperimentato e implementato diversi linguaggi artistici, cugini degli acquerelli, come gli inchiostri e la calligrafia usata in termini espressivi e gestuali. Utilizzo e inserisco nelle mie proposte anche la scrittura e la profondità delle parole. Amo molto scrivere e comporre poesie, dove ancora di più la scelta delle parole deve essere fatta con cura. È così che ho autopubblicato due anni fa circa il mio libro “Haiku resilienti”, una raccolta di mie poesie, utilizzando la metrica giapponese, unite a una raccolta di miei acquerelli. Ora sto scrivendo il secondo libro.

Perché ti definisci Seminatrice di Creatività?

Mi definisco Seminatrice di Creatività perché la semina è il primo atto per la vita, ma nel mio caso sono semi creativi e io la contadina che li “sparge” fra la gente. Creo così esperienze che ci si porta dentro e offrono spunti artistici che aiutano a vedere il mondo con occhi diversi. Le persone, soprattutto nei laboratori in presenza qui nei boschi della Valsusa, arrivano in un modo e ritornano a casa cambiate, tutto ciò è magico e mi riempie di gioia.

Fonte: https://www.italiachecambia.org/2022/01/seminatrice-di-creativita-oficina/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

Cucunci: arte, autosufficienza e permacultura nel cuore della Sicilia

Come tanti grandi progetti di cambiamento, anche quello che vi portiamo a visitare oggi è nato come risposta a una domanda interiore, un anelito che dall’animo di un singolo si è diffuso mischiandosi al caldo vento siciliano. Nel siracusano si trova Cucunci Rural Hub, in cui arte, musica, autoproduzione, autonomia energetica, permacultura e buone pratiche condividono lo stesso tetto. Immersa tra le campagne di Noto, ci aspetta un’imperdibile tappa della Sicilia in cambiamento. È una piccola comunità rurale dove si coltivano buone pratiche ispirate alla permacultura, all’autosufficienza energetica e alimentare, all’ecologia profonda, alla comunicazione nonviolenta. È anche un luogo dove dare spazio all’arte, alla cultura e alla creatività, a stretto contatto con la natura. Si chiama Cucunci Rural Hub e i ciceroni che ci accolgono in questo luogo magico sono Stefania Corallo e Gesualdo Busacca. Stefania è la fondatrice del progetto, esperta in permacultura, artista e autrice di gioielli prodotti con materiale naturale. Da quindici anni vive a Cucunci in una bellissima yurta. «Cucunci è un sogno almeno in parte realizzato – ci racconta – che è nato dall’esigenza di staccarmi da una società che non mi rappresentava, in cui non trovavo spazio per potermi esprimere nella mia interezza». Due grandi domande esistenziali, tanto antiche quanto attuali, hanno albergato nella mente di Stefania per anni, fino a spingerla a creare questo spazio: “Cosa ci faccio qui?”. “Ci sarà un’alternativa a questo sistema?”.

Il percorso lungo cui la fondatrice di Cucunci sta cercando le risposte è più che mai variegato. Il suo punto di partenza è stato la macrobiotica, una filosofia dell’alimentazione che per lei ha assunto un valore politico, una presa di responsabilità e coscienza nei confronti di sé stessa e del mondo. «Successivamente si è palesata l’esigenza di creare un luogo come punto di incontro, un esempio pratico di vita sostenibile dove potersi riconoscere. Il sogno rimane quello di creare una comunità più allargata, ma intanto il luogo da cui partire c’è”, conclude Stefania. Cucunci si estende su un terreno adagiato tra le colline di Noto, vicino a Siracusa; un paesaggio suggestivo formato da antichi terrazzamenti realizzati per ospitare coltivazioni di mandorli, ulivi e carrubbi. Il suo nome – difficile da scordare, che rimane impresso – deriva dal frutto del cappero, pianta che cresce rigogliosa tra i muretti a secco del terreno, regalando nei periodi estivi fioriture di incontenibile bellezza. Cucunci Rural Hub è un luogo di condivisione, ma prima ancora è la casa di Stefania, che con passione e sacrifici ha creato ciò che è ora: un contenitore di bellezza e idee fantasiose per la rigenerazione della Terra, della Persona e delle Relazioni. È anche un laboratorio a cielo aperto dove si coltivano buone pratiche, si promuovono corsi dedicati all’agricoltura naturale – potatura, innesto, realizzazione di colori e tinture naturali, raccolta di erbe selvatiche… – e si svolgono seminari culturali e concerti. Proprio il giorno seguente alla nostra partenza ci sarebbe stata una cena con piatti tipici della cucina turca seguita da un concerto.

Gesualdo, invece, è lì da poco: dopo un dottorato in archeologia a Stanford, ha deciso di tornare nella sua isola d’origine poco distante dalla sua città natale, Caltagirone. Per lui Cucunci «rappresenta un percorso di transizione, un cammino verso un modo più armonioso di stare al mondo». Un modo di vivere naturale che Cucunci può offrire «tramite alcuni strumenti tra cui l’autosufficienza energetica e alimentare, la cura della terra e delle relazioni umane. Ma è anche una palestra per sperimentare questo stile di vita».

Una delle caratteristiche più innovative del progetto è quella di unire a uno stile di vita ecologico l’attenzione verso l’arte e la cultura: «La transizione ecologica non è solo un dovere, ma anche un piacere che va unito alla musica, alle arti, alla cultura», sottolinea Gesualdo. «Questa per me rappresenta la libertà, una forma di fare politica quotidiana anche attraverso l’arte, un mezzo molto importante e forte che unisce, utile a connetterci con le nostre parti più nascoste e intime», aggiunge Stefania.

Cosa c’è nel futuro di Cucunci? Fra i vari progetti, ce n’è uno volto a incrementare gli eventi legati al vivere sostenibile, ma è prevista anche la costruzione di una cucina in bioedilizia e la diffusione sempre maggiore delle buone pratiche sperimentate a Cucunci.

Fonte: https://www.italiachecambia.org/2021/03/cucunci-arte-autosufficienza-e-permacultura-nel-cuore-della-sicilia/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

Pianiano, il borgo di undici abitanti che sogna di rinascere fra arte e artigianato

Immerso nella natura tra Tuscia e Maremma si trova il borgo medievale di Pianiano, un luogo in apparenza senza tempo che tra le sue mura custodisce una lunga storia di abbandoni e ripopolamenti. E così anche oggi c’è chi si impegna con passione per la rinascita di questo piccolo paese con un passato e presente di musica, cultura e artigianato.

«Pianiano tornerà a vivere».

Questo minuscolo borgo medievale, tra la Tuscia e la Maremma, assiso su una collina circondata da uliveti, è un gioiello incastonato nella pace di un paesaggio incontaminato. Frazione del Comune di Cellere (VT), da cui dista 5 chilometri, conta oggi 11 abitanti (e almeno tre gatti in co-proprietà tra cui la maestosa Giuditta). Le persone che hanno scelto di vivere qui sono state affascinate da un luogo senza tempo, dove il silenzio conserva ancora la sua voce. Un fascino che conquista il viaggiatore alla ricerca di esperienze autentiche di un’Italia a torto considerata minore.

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Una veduta panoramica del borgo di Pianiano, tra Tuscia e Maremma

In un’antica casa, affacciata sulla piazzetta del borgo, vivono Tahir e Valeria. Insieme, nel laboratorio adiacente, producono diari artigianali fatti a mano con in copertina la riproduzione di foto di paesaggio scattate da Valeria, fotografa di professione. La loro è, al momento, l’unica attività produttiva entro le mura (fuori c’è il frantoio della famiglia Perello). Un’avventura cominciata tre anni fa, con l’idea di aprire, prima o poi, una vera e propria bottega e dare avvio ad un processo virtuoso che riporti Pianiano a ripopolarsi. «Mi piacerebbe che questo piccolo, meraviglioso borgo medievale riprendesse vita – racconta Valeria, che di cognome fa Peppetti e ha 41 anni -. Qualcosa si muove, anche se la pandemia ha rallentato, se non congelato, le iniziative. Ho un paio di amiche che sognano l’una di avviare qui una libreria, aperta il fine settimana, e l’altra un’attività di ristorazione, che sarebbe un punto di attrazione importante».
Intanto, dal 2017, ogni mese di luglio, Valeria e Tahir, insieme a un’altra abitante del borgo, Tiziana Stefanelli, in collaborazione con La Proloco di Cellere e le sue due “colonne portanti”, il presidente   Alessandro Strappafelci e Francesca Mariotti, con il sostegno di alcuni sponsor privati, organizzano “Musa”, un festival di musica, arti e spettacolo, patrocinato anche dalla Regione Lazio, che richiama appassionati da tutta Italia e dall’estero.

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Tahir e Valeria

Tahir, 65 anni, vive a Pianiano dal 1996, anno in cui tornò dalla Germania dove aveva vissuto per 22 anni esercitando la professione di medico naturopata. La madre, una scultrice romana di talento, vi aveva acquistato una casa nel 1981, la stessa in cui lui abita ora con la compagna.

«In Germania avevo un’associazione culturale con la quale organizzavamo eventi – racconta –, quando sono arrivato qui ho capito la potenzialità di questi luoghi, dove una natura magnifica e integra può, deve sposarsi con la cultura e con l’arte».
E così nel 1999 nasce il primo concerto di musica classica in uno dei luoghi più affascinanti e misteriosi della Tuscia: l’eremo di Poggio Conte, un antichissimo edificio di culto scavato nel tufo sotto una cascata, che custodisce simboli pagani e cristiani, a poche centinaia di metri dal fiume Fiora. Quel primo evento – un concerto d’archi – registrò duecento spettatori. L’iniziativa, sposata con entusiasmo dall’Amministrazione di Ischia di Castro, prosegue da allora con successo, ogni anno, una domenica di luglio. Poi è arrivata “Musa” che però quest’anno si è dovuta interrompere a causa del Covid: la piazzetta del paese contiene tra le 150 e le 200 persone e dimezzare i partecipanti non avrebbe reso economicamente insostenibile l’iniziativa.

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Il borgo di Pianiano

Il borgo si anima anche a fine agosto con l’ormai storica cena medievale che si tiene da vent’anni: gli abitanti del paese mettono a disposizione le cucine per preparare le deliziose portate consumate nei tavoli disposti all’aperto lungo le due vie di cui è costituita Pianiano. Nell’atelier di Valeria e Tahir c’è un mini studio di registrazione. E viene naturale chiedersi a cosa e a chi serva qui. È il ricordo di un’avventura artistica e amicale che non viene smantellato per affetto. «Per dieci anni il compositore Alessandro Alessandroni in questo studio ha registrato le sue musiche», racconta Tahir. Alessandroni (1925-2017), autore delle colonne sonore di molti film italiani, fu noto anche per la sua grande abilità nel fischiare, ingaggiata soprattutto nei film di Sergio Leone. Del passaggio di quest’artista, rimane la sua chitarra lasciata in dono a Tahir che la custodisce con devozione mostrandola con orgoglio a chi entra nella sua casa. 
Pianiano, che ha probabilmente origine etrusche testimoniate anche da alcune leggende come quella della principessa Rasenna, possiede una lunghissima storia di spopolamenti e ripopolamenti. A fine Seicento, il borgo si svuotò a causa della malaria che decimò gli abitanti, ma nel 1754 tornò ad essere abitato grazie a una comunità di duecento rifugiati cristiani fuggiti dall’Albania ottomana, a cui Papa Benedetto XIV lo assegnò. La colonia trovò il borgo completamente in rovina, abbandonato a se stesso ma in poco tempo lo rimise in piedi creando una nuova comunità. Del loro passaggio rimane il nome di una via, appunto “degli Albanesi”. Perciò non è detto che il XXI secolo non segni un nuovo tempo di rinascita per Pianiano. Grazie all’amore e alla resilienza di chi lo ha scelto per vivervi una vita semplice, essenziale, affatto banale. Fonte: https://www.italiachecambia.org/2021/01/pianiano-borgo-undici-abitanti-sogna-rinascere-fra-arte-artigianato/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

Vittorio Cosma: la musica come progetto comune –

La musica come motore di un cambiamento personale e poi sociale, perché l’arte possiede una capacità di sintesi utilissima: è una sorta di metafora di ciò che sta succedendo, ti fa capire istintivamente, prima di elaborare con il ragionamento. Ecco la nostra intervista a Vittorio Cosma, musicista, produttore e compositore fortemente convinto dell’importanza di promuovere progetti condivisi e favorire la mescolanza di realtà e linguaggi. L’incontro con Vittorio Cosma, musicista, produttore, compositore, non poteva avvenire che all’interno di un festival come Naturalmente Pianoforte, kermesse pianistica biennale che trasforma il piccolo comune di Pratovecchio Stia, in provincia di Arezzo, in una invasione colorata di tasti e suoni. Un incontro in cui il pianoforte entra nel tessuto dei borghi, nelle foreste secolari della valle del Casentino, nelle piazze e nelle case; un festival che coinvolge tutta la popolazione, che mescola piani diversi, “alto” e “basso”, creando qualcosa di nuovo ed unico.

Cosma ha fatto di questa mescolanza una strada artistica cercando di creare progetti collettivi, “progetti in cui ci sia una coscienza comune, uno scopo”, perché forse “quello che manca in questo periodo di fortissima individualità, è proprio il condividere un progetto comune. Che significa avere lo stesso scopo, costruire qualcosa che è altro da noi, dall’individualità, dall’ego. E significa anche avere il senso del limite: dare peso alle cose che si hanno e dare spazio agli altri per esprimersi. Capire che io posso arrivare fino a qui e poi ci sei tu, andando oltre la soddisfazione del proprio microbisogno. Fare un festival, fare progetti condivisi, è un atto di amore, è come fare un figlio, si crea qualcosa di diverso da se stessi, che ci accomuna”. 

Una mescolanza che si manifesta anche nei contesti, cercando di far irrompere nella piazza l’arte contemporanea e negli spazi ad essa dedicati la cultura più popolare: “Vado alla biennale di Venezia e so già chi incontro. Poi vado al concerto in piazza e incontro un altro tipo di persone. Ho cercato sempre di fare progetti che mischiassero queste realtà, cioè portare l’arte contemporanea alle persone che non hanno un grado di istruzione così alto e vedere invece chi va a vedere le mostre di arte contemporanea commuoversi e piangere per una canzone”.

Il festival Microcosmi, arrivato alla sua sesta edizione nel 2018, è un esempio di questo impegno. Un festival fatto di microcosmi: artisti, musicisti, scrittori, fotografi, designer, artigiani, imprenditori e associazioni di ogni provenienza culturale, generazionale e geografica, che si incontrano. In cui la commistione di tante realtà, l’unione della diversità, di linguaggi diversi, costruisce qualcosa di più grande, arricchente. L’arte, la musica divengono così ancor di più motore di un cambiamento, “capace di generare un cambiamento personale e poi sociale. L’arte ha capacità di sintesi utilissima. È una sorta di metafora di ciò che sta succedendo, ti fa capire anche non razionalmente, ha questa capacità metaforica ed emotiva di farti capire istintivamente, poi lo elabori con il ragionamento. Dalla cultura nascono i grandi cambiamenti.” 

Mettersi in discussione, collaborare, è un atto sociale e politico, fonte di ricchezza umana, prima che artistica e culturale. Da questa consapevolezza sono nati tanti progetti che vedono oggi Vittorio Cosma impegnato. Tra i tanti quello di Deproducers, nato proprio da un’idea di Vittorio. Una sorta di collettivo che ha unito, oltre a Cosma, tre musicisti e produttori: Gianni Maroccolo, Max Casacci e Riccardo Sinigallia, in un progetto innovativo e coinvolgente, un connubio senza precedenti tra musica e scienza, intorno all’idea di musicare dal vivo conferenze scientifiche raccontate in maniera rigorosa ma accessibile.

Deproducers, una sorta di collettivo che ha unito, oltre a Cosma, tre musicisti e produttori: Gianni Maroccolo, Max Casacci e Riccardo Sinigallia

“Dopo anni di musica leggera, mi sono chiesto con chi volevo suonare, partendo da un’idea di condivisione, ed ho cercato persone che avessero inventato un suono e che fossero delle teste pensanti. Con Riccardo Sinigallia sono anni che collaboriamo, siamo amici e c’è stima. E poi ho cercato elementi che creassero distonia. Con questo quartetto ci siamo chiusi in sala prove come a 16 anni ed è venuta fuori una cosa interessante, anche attraverso cordiali litigi e saltando fuori dalle nostre abitudini, con rispetto. Mi sono poi chiesto di che cosa potessimo parlare ed ho pensato a qualcosa di esterno e oggettivo, inopinabile, da qui l’idea di parlare di scienza. “Abbiamo cercato scienziati che fossero interessanti, che avessero una capacità espositiva forte”.  

Dalla collaborazione con Fabio Peri, direttore del Planetario di Milano, “che racconta lo spazio come un Rodari dell’astrofisica”, è nato il primo capitolo: Planetario. Botanica, il secondo capitolo, vede la luce nel 2016 e crea una colonna sonora organica e ricca per le incredibili rivelazioni sulla vita segreta delle piante, narrate con rigore da Stefano Mancuso, uno dei massimi neurobiologi viventi.  

“Il legame tra la scienza e poesia è molto forte. Spesso tanti misteri della scienza, misteri o elementi scientifici, sono più efficaci di un accostamento poetico. La parte emotiva la diamo noi con la musica, e poi la scienza offre degli spunti incredibili”. Fonte: http://www.italiachecambia.org/2019/01/vittorio-cosma-musica-come-progetto-comune-meme-15/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni

Nasce a Torino la Biblioteca Condivisa del quartiere, dove i libri sono di tutti

Nel quartiere Mirafiori Sud di Torino è recentemente nato un luogo molto speciale. Si chiama Biblioteca Condivisa ed è uno spazio pensato per raccogliere i libri abbandonati ed inutilizzati di coloro che vogliono disfarsene, per metterli a disposizione degli abitanti del quartiere. Un progetto sociale ed inclusivo realizzato proprio in periferia, che dà la possibilità a tutte le persone di condividere un libro, una lettura, un momento di compagnia. Un buon libro e una tazza di the sono un rimedio essenziale per fare una pausa dalla routine di tutti i giorni, una vera e propria medicina per l’anima. Ma se ci troviamo in un bar e teniamo tra le mani un libro che è stato donato da qualcun altro, ciò acquisisce un significato ancora più grande. A Mirafiori Sud è nata recentemente la “Biblioteca Condivisa”, un luogo accogliente e aperto a tutti, un bar in cui fermarsi, sorseggiare una bevanda e stare in compagnia di un buon libro che qualcuno, a noi sconosciuto, ha gentilmente messo a disposizione. Lo spazio è pensato con lo scopo di rendere la lettura accessibile a tutti e si basa su un principio fondamentale: la condivisione dei libri.

La biblioteca nasce e cresce grazie alla partecipazione di tutti i cittadini che decidono volontariamente di donare i libri cartacei che non utilizzano più, i manuali abbandonati negli scaffali e nelle cantine della propria abitazione, così come i volumi non più utilizzati a cui si vuole dare una seconda possibilità mettendoli a disposizione di altre persone.
L’iniziativa dà vita ad una vera e propria Biblioteca Condivisa di Quartiere, uno spazio che vuole creare coesione, scambio, collaborazione. L’idea ha un valore sociale molto forte poiché scommette sull’inclusione attiva della comunità che vive nella periferia, ponendosi come filo conduttore capace di far conoscere, dialogare ed avvicinare le persone.

“Potrete venire in qualunque momento e leggere un libro sul posto – affermano gli organizzatori – oppure potrete prendere liberamente un libro, portarvelo a casa, leggerlo con calma e riportarlo quando lo avrete finito. Senza tessera, senza registrazione, nella massima libertà e nella inevitabile fiducia che ci deve essere tra persone che condividono la passione per la cultura”.

Il progetto è stato realizzato all’interno di un bar con l’obiettivo di gestire contemporaneamente la biblioteca e la caffetteria. Nell’immaginario comune il bar rappresenta un luogo di sosta, di ristoro ed è in questo caso pensato per permettere alle persone di sedersi, conoscersi e condividere con amici o sconosciuti la lettura di un buon libro.
Caratteristica molto apprezzata è il fatto che lo spazio accoglie chiunque, senza obbligo di consumazione. L’obiettivo primario rimane infatti quello di valorizzare la funzione aggregativa e culturale.  In virtù della sua vocazione sociale, “la Biblioteca Condivisa organizzerà presto una lunga serie di incontri, appuntamenti a tema, presentazioni di libri, momenti per condividere passioni. Sempre con al centro i libri e le persone”. Le attività sono pensate per tutte le fasce di età e ne sono esempio gli incontri di letture di quartiere che regolarmente coinvolgono i residenti, le attività coi più piccoli e gli incontri con gli scrittori.

La Biblioteca Condivisa di Mirafiori Sud è uno di quei luoghi in continua crescita e trasformazione che si rinnova ogni giorno grazie al quotidiano scambio di libri ed al contribuito di chi vive nel quartiere e che crede fortemente nella bellezza della lettura.

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Didascalia: Libreria
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Licenza: CCO Creative Commons

Fonte: http://piemonte.checambia.org/articolo/nasce-torino-biblioteca-condivisa-quartiere-dove-libri-sono-di-tutti/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni

Toward 2030: La street art di Torino racconta gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile

Ha recentemente preso avvio a Torino il progetto “TOward 2030”, la cui finalità è promuovere la diffusione dei Global Goals, gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile definiti delle Nazioni Unite, attraverso la street art. Sono 17 gli artisti che interpreteranno i rispettivi 17 Sustainable Develpoment Goals, attraverso un’iniziativa volta a conciliare arte, sostenibilità e cambiamento.

TOward 2030. What Are You Doing?“. È una domanda, una provocazione, uno spunto di riflessione sul ruolo che noi tutti abbiamo nei confronti dell’ambiente e della salute del nostro pianeta. È un progetto che nasce a Torino e che, entro il 2019, vedrà i muri della città colorarsi di messaggi pro-positivi, di buone pratiche e spunti di riflessione: obiettivo è trasformare i luoghi di Torino in 17 opere urbane, permettendo agli street artist torinesi, italiani e internazionali di reinterpretare ognuno uno dei 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite in un’ottica nuova, creativa e personalizzata.

Ma cosa sono questi “Obiettivi di sviluppo sostenibile”, ormai sulla bocca di tutti?

I Global Goals sono un insieme di visioni ed al contempo veri e propri obiettivi contenuti in un grande piano d’azione che coinvolge i governi dei 193 Paesi membri dell’ONU. Si tratta di importanti questioni per lo sviluppo globale tra le quali la lotta alla povertà, l’eliminazione della fame e il contrasto al cambiamento climatico, che dovranno essere raggiunti da tutti gli Stati entro il 2030. Sono obiettivi che riguardano tutti i Paesi e gli individui, capaci insieme di costruire un futuro migliore ed un pianeta più sostenibile.

Torino diventa la prima città al mondo ambasciatrice dei 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite, convogliandoli in opere artistiche disseminate per la città.  Il progetto, ideato dalla Città di Torino e da Lavazza, fa emergere ancora una volta la grande responsabilità della cultura, intesa come motore di rigenerazione urbana e cambiamento.
“È un’iniziativa di Street Art che parla di sostenibilità e che entro la fine del 2019 renderà la città, dal centro alla periferia, un amplificatore dei 17 Goals delle Nazioni Unite. È proprio il linguaggio universale della street art a voler scuotere e spingere all’azione, così si rivolge ai cittadini, ai passanti e ai turisti con una domanda diretta e provocatoria – What are you doing? E tu, che cosa stai facendo? – per ricordare a tutti come il 2030 sia dietro l’angolo, mentre la strada da percorrere per salvaguardare il pianeta sia ancora tutta in salita”.

L’iniziativa è pensata come un progetto replicabile che possa essere riprodotto anche in altre città, attraverso nuove ed originali forme di pura creatività. Al momento sono state realizzate le prime cinque opere a cui seguiranno le successive, che verranno realizzate entro il 2019.

Global goal 1: “No Poverty”

Sconfiggere la povertà nelle diverse forme in cui questa si presenta quali fame, guerre e condizioni sociali. Si tratta di una lettura approfondita quella dell’artista ZED1 che, in Lungo Po Antonelli, ha creato un’opera che cattura fortemente l’attenzione grazie ai numerosi dettagli che la compongono: un portafoglio ricolmo di terra come sfondo; delle zone all’ombra dove sono riposti degli oggetti che ricordano inquinamento, corruzione, mancanza di salute e di educazione; un sole in posizione centrale che simboleggia la speranza ed un futuro prospero e positivo in cui porre fine ad ogni forma di povertà.

Global goal 2: “Zero Hunger”

Ridurre ed eliminare la fame, raggiungere la sicurezza alimentare, migliorare la nutrizione e promuovere un’agricoltura sostenibile: questi sono gli obiettivi previsti per il 2030, proprio come raccontato dall’opera del collettivo torinese Truly Urban Artists che ha realizzato in Porta Palazzo un’opera che, partendo dal termine latino “cultus”, rimanda alla stretta corrispondenza tra i concetti di coltivazione/coltura e cultura/educazione.

Global goal 4: “Education: the Perfect Circle”

È l’opera dello street artist Vesod, noto a livello internazionale, che sottolinea il diritto ad un’istruzione di qualità, rafforzata dal contesto nella quale si inserisce, ovvero il Campus Universitario Luigi Einaudi. L’opera dà forma a uno speciale ciclo vitale in cui uomo, natura e conoscenza vivono in equilibrio, crescendo insieme. “Ho voluto mettere l’accento sull’educazione alla sostenibilità – ha spiegato Vesod – e sul diritto di tutti ad un’istruzione di qualità che è la base per migliorare la vita delle persone. Nella mia opera l’uomo è albero e la biblioteca, simbolo della conoscenza, è natura. Perché uomini, natura e conoscenza possono crescere insieme in un ciclo virtuoso. D’altra parte, gli uomini hanno imparato a fare la carta dagli alberi e dalla carta i libri, strumento principe della conoscenza”.

Global goal 11: Sustainable cities and communities

Rendere le città e gli insediamenti umani inclusivi, sicuri, duraturi e sostenibili: queste sono le sfide delle città, immaginate come portatrici di opportunità, prosperità e crescita per tutte le persone.  L’opera, realizzata da Ufo5, nonché dall’artista Matteo Capobianco, ritrae un cervo, simbolo di fecondità e del rinnovo continuo della vita e dei ritmi di crescita, morte e rinascita. Nella parte superiore dell’opera, afferma l’artista, “una città si eleva sopra tutto, la città ideale, che non può esistere senza il suo essere sostenibile, se non in armonia con il ciclo della vita naturale“.

Global goal 14: Life Below Water

L’obiettivo è tutelare la vita sott’acqua, proprio come racconta il goal 14: “conservare e utilizzare in modo durevole gli oceani, i mari e le risorse marine per garantirne lo sviluppo”.

Un’attenta gestione di questa fondamentale risorsa globale è alla base di un futuro sostenibile: gli oceani assorbono circa il 30% dell’anidride carbonica prodotta dagli umani, mitigando così l’impatto del riscaldamento sulla Terra ed inoltre la loro temperatura, la composizione chimica, le correnti influenzano i sistemi globali che rendono la Terra un luogo  ivibile per il genere umano. In Corso Regina Margherita si parla di salvaguardia degli oceani e delle risorse marine attraverso l’opera dello street artist Mr Fijodor che raffigura una balena, che l’artista ci ricorda essere il più grande mammifero marino, ma anche uno dei più vulnerabili, che rappresenta la fragilità dell’ecosistema marino e la vittima dello sfruttamento degli uomini.

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Didascalia: Toward 2030: Global Goal 1
Autore: Pagina fb Zed1

Fonte: http://piemonte.checambia.org

Michelangelo Lacagnina: l’arte, la Sicilia e il quotidiano – Meme #13

Michelangelo Lacagnina è un artista di Caltanissetta, che ha fatto dell’amore per la Sicilia il fulcro delle sue creazioni e decorazioni. Lo abbiamo incontrato nel suo studio, dove ci ha parlato del suo percorso artistico, costellato di oggetti, colori, tele, sperimentazioni e di… Sicilia. “Già a cinque anni avevo una fortissima attrazione per i colori e per tutto ciò che fosse disegnato. Sperimentavo, tagliavo, incollavo: lavoravo d’istinto, caratteristica che ho conservato con il passare degli anni. L’arte è con me fin dai primi giorni della mia vita”. Siamo a Caltanissetta, in Sicilia, luogo di nascita e di vita dell’artista e interior designer Michelangelo Lacagnina. Nel suo studio, tra libri fotografici e manuali artistici, spiccano i vivi colori delle sue tele e la lucentezza del suo sorriso. Fin dai primi anni della sua vita Michelangelo è affascinato dalla pittura, dalla scultura, da intagli e intarsi, e a partire dagli anni Ottanta comincia un percorso artistico che l’ha portato ad importanti collaborazioni e ad esposizioni in Italia e nel Mondo, sempre con un grande amore nel cuore: la Sicilia e il quotidiano.

“Il mio rapporto con l’arte? Non potrei farne a meno, oggi. È vero che il mio lavoro è quello di interior designer, ma l’arte e la creazione mi hanno accompagnato fin qui e hanno fatto sempre parte di me. Nelle mie opere e nella loro diversa forma, c’è un tema in comune: la Sicilia. Tramite l’utilizzo dei colori, voglio comunicare la solarità, l’energia, l’esplosività della mia terra, nella quale ho deciso di rimanere a vivere per continuare a valorizzarla: ho ricevuto alcune proposte per andare a vivere altrove, ma il mio posto è qui”.

Uno degli elementi caratteristici che ha ispirato l’opera di Lacagnina, e il suo amore per la sua terra, è il Carretto Siciliano, simbolo caratteristico dell’arte popolare siciliana. Il carretto è un simbolo caratteristico dell’arte popolare siciliana: è un mezzo a trazione animale utilizzato per il trasporto, solitamente usato in Sicilia (e non solo) a partire dagli ultimi anni del XVIII secolo. La caratteristica dei Carretti Siciliani sta nella loro decorazione: sgargianti, colorati, variopinti, con la predominanza del giallo, del rosso e del blu, ogni parte dell’oggetto raffigura una scena, a volte ispirata al mito e a volte al quotidiano. Un oggetto di uso comune, divenuto nel corso del tempo un’opera d’arte.IMG_20180413_171952.jpg

Durante il suo percorso artistico, Lacagnina è stato contattato da un importante marchio per decorare una serie speciale di frigoriferi d’arte, e nella realizzazione si è fortemente ispirato al Carretto: “Da sempre ho avuto un forte interesse, nella mia arte, per il quotidiano. Nelle mie opere amo raffigurare scene di vita della Sicilia, la bonaria ma straordinaria semplicità delle persone, dei lavoratori e della natura. Per quanto riguarda questo lavoro, ho prodotto otto frigoriferi a tema, dipinti a mano, ognuno raffigurante uno spaccato della vita qui in Sicilia: dalla battuta di pesca ai Pupi siciliani, dalle prelibatezze culinarie all’orgoglio della nostra pasticceria. Si tratta di una riproduzione, personalizzata, delle mie tele come decorazione su un oggetto di uso quotidiano, una sorta di rappresentazione dello scorrere della vita che mi rende molto orgoglioso”.

 

D’altronde, non esiste solo la pittura nell’esperienza artistica di Michelangelo Lacagnina: “Nella mia produzione artistica ho un rapporto particolare con gli oggetti, culminata nella produzione dei frigoriferi: in passato ho realizzato più di duemila decorazioni di bottiglie, intese come pezzo d’arredamento, così come ho realizzato la decorazione di pannelli da utilizzare come basamento per piani da lavoro. Sono interessato al legame che si crea tra l’oggetto e l’artigianalità, perché uno dei grandi potere dell’arte è il legame che riesce a creare tra il manufatto e il suo possessore. Un oggetto, prima anonimo tra gli anonimi, grazie all’arte diventa un pezzo unico, quasi un affetto”.

Per maggiori informazioni sulle opere di Michelangelo Lacagnina clicca qui 

Intervista: Daniel Tarozzi
Riprese e montaggio: Paolo Cignini

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LandXcape: ridar vita al Salento dopo la Xylella

Insieme ai suoi ulivi secolari, colpiti dalla Xylella, il territorio salentino ha perso la propria identità che a quelle antiche radici era saldamente ancorata. Come fare, dunque, per recuperare il paesaggio culturale del Salento e ridare un senso ed una visione di futuro agli abitanti di questi luoghi? Nasce da questo interrogativo LandXcape, un progetto multidisciplinare di rigenerazione paesaggistica. Restituire al territorio, attraverso l’arte e la poetica narrativa dei luoghi, il senso della trasformazione del paesaggio, per riflettere insieme sulla rigenerazione dei paesaggi culturali. Nasce in un Salento duramente colpito dalla Xylella il progetto LandXcape, sostenuto dalla Regione Puglia e attuato dal Teatro Pubblico Pugliese e dall’Associazione Internazionale BJCEM – Biennale des Jeunes Créateurs de l’Europe et de la Méditerranée (la Biennale dei Giovani artisti d’Europa e del Mediterraneo). Per sapere di cosa si tratta abbiamo intervistato la coordinatrice tecnico-scientifica del progetto Simonetta Dellomonaco.landxcape-

Raccontaci dell’esperienza pionieristica che state affrontando per recuperare il paesaggio duramente attaccato dalla Xylella. Cos’è LandXcape?

Quello che stiamo tentando di fare è applicare la rigenerazione paesaggistica, soprattutto nella parte del Salento colpita dalla malattia della Xylella, che sta devastando gli uliveti secolari. E non è semplice, perché in Italia non esiste ancora il tema della rigenerazione del paesaggio. A questo scopo LanXcape ha messo in opera tutta una serie di attività, a partire dall’arte contemporanea, coinvolgendo la BJCEM- La Biennale des Jeunes Créateures d’Europe et de la Méditerranée. La BJCEM ha fatto un appello internazionale all’interno del suo network, coinvolgendo 22 paesi dell’Europa e del Mediterraneo; poi ha selezionato 60 artisti fra i quasi 400 che avevano risposto all’appello. Questi 60 artisti verranno in residenza in Puglia a partire dall’8 ottobre; nelle residenze artistiche si esploreranno sei diverse discipline. Le residenze saranno collocate in sei parchi naturali, poiché i parchi attuano già delle buone prassi sul paesaggio, mettendo insieme la parte produttiva, ovvero quella turistica, e la tutela dell’ambiente e del paesaggio.

Le sei discipline artistiche saranno: narrazione, performance, video e foto, design, arti visive e land art. Ognuna di queste discipline abiterà in un parco con 10 artisti. Quindi un tutor professionista prenderà con sé 10 artisti, che lavoreranno nella residenza per 10 giorni. Nel frattempo verranno accompagnati ad intervistare gli agricoltori, i portatori d’interesse, i “custodi della memoria”, come li abbiamo chiamati, e tutti quelli che potranno trasmettere agli artisti il valore del territorio e del paesaggio culturale, della memoria e della loro identità. Abbiamo pensato ai parchi naturali come a dei ripetitori, come a delle antenne sul territorio. Gli artisti che andranno in residenza nei sei parchi del Salento creeranno le loro opere non solo nei parchi ma anche fuori da essi, coinvolgendo tutte le aree colpite dalla Xylella. Il cuore dell’intervento è quindi l’arte contemporanea, ma anche il design, la performance, la narrazione. A proposito di narrazione: tutta la parte che precede le residenze ha lo scopo di avvicinare il territorio al progetto e quindi c’è una serie di spettacoli di una rassegna teatrale per raccontare il mondo della tradizione orale, ovvero spettacoli legati alla narrazione in senso stretto. Le compagnie teatrali che vengono qui e raccontano le storie nei parchi non sono compagnie qualsiasi: sono compagnie che attuano già delle buone prassi in Italia, facendo “teatro del paesaggio”.42421152_834854973328116_8445883381756985344_n

In cosa consiste il progetto e a chi si rivolge?

È un progetto di rigenerazione paesaggistica, in particolare dei paesaggi culturali, perché non agisce a livello fisico con delle infrastrutture, lo fa in maniera trasversale e soprattutto interdisciplinare chiamando gli artisti, il teatro, gli antropologi, i sociologi. Chiama in causa anche le buone prassi già attuate sul territorio nazionale, per poter produrre uno scambio di esperienze. Le azioni del progetto coordinate dai facilitatori sono sostanzialmente tre: la Residenza artistica attraverso il network internazionale mediterraneo, la rassegna teatrale “Il Salento racconta” – che è una rassegna di teatro e ascolto in cui prima di ogni spettacolo c’è un momento di ascolto – e poi i dialoghi sul paesaggio. Anche per i dialoghi chiamiamo degli esperti, degli interlocutori privilegiati che dialogano attorno al tema del paesaggio coinvolgendo la comunità. È un progetto che si rivolge alla comunità e al tempo stesso crea comunità attorno al tema del paesaggio. Cerca di prendersi cura della percezione degli abitanti del paesaggio sull’ambiente attaccato dalla Xylella. Vuole creare una sorta di ascolto e riflessione di comunità su questo tema.

Com’è nato il progetto? Quali sono i suoi obiettivi?

É nato da un’istanza del territorio, le associazioni di categoria e le associazioni dell’ambiente come Coldiretti, Confartigianato, Confagricoltura, etc.  (sul sito c’è tutto l’elenco dei sostenitori morali del progetto). Si sono messi insieme, hanno contattato l’Assessore Regionale alla Cultura per proporgli di fare un intervento culturale sul paesaggio. Hanno bussato alle porte della cultura e quindi l’Assessorato ha detto: “Va bene, cerchiamo di aprire un filone di riflessione sulla trasformazione del paesaggio dal punto di vista culturale”. Ecco perché è diventato un progetto di rigenerazione dei paesaggi culturali. La domanda è: cosa accadrà alla gente, all’identità del territorio salentino pugliese che si attesta sugli uliveti secolari? Cioè, tutta questa gente, tutta la penisola salentina e quindi le province di Brindisi, Lecce e Taranto hanno da secoli come matrice culturale proprio l’uliveto e tutti si riconoscono come patrimonio identitario negli uliveti. Questi ultimi sono secolari e alcuni hanno addirittura un migliaio di anni. Quindi questi uliveti che adesso stanno morendo infliggono un colpo mortale all’identità culturale del territorio e degli abitanti. Ciò che stiamo cercando di fare chiamando gli artisti, i narratori, i musicisti, è ascoltare col cuore, mi verrebbe da dire, perché l’arte sa fare anche questo, e trasformare questo ascolto in una riflessione di comunità. Questo è il senso che sta alla base del progetto.landxcape-2

Raccontaci degli eventi in programma in questi giorni.  In cosa consistono e che risposte state avendo da parte della popolazione locale e del pubblico in generale?

La serie di eventi che è cominciata il 22 settembre e si concluderà il 18 ottobre ha l’obiettivo di avvicinare gli abitanti al progetto dialogando con gli esperti: sociologi, antropologi, produttori, agenti del turismo verde, la Soprintendenza ai Beni Paesaggistici. Gli abitanti del territorio quindi ascoltano, intervengono a loro volta e parteciperanno anche alla tavola rotonda finale. Poi ci sono gli spettacoli all’interno dei parchi e quindi spesso negli uliveti stessi. Qui gli abitanti del luogo si trasformano in spettatori, vengono accolti nell’ambito naturale e portati a fare una visita guidata a piedi, fino al luogo dove si svolgerà lo spettacolo; quindi s’impregnano del territorio anche percettivamente. Quando arrivano vengono accolti da un facilitatore che spiega loro il progetto, il tutto in diretta social: tutto viene ripreso in modo che sia fruibile dal numero più alto possibile di persone. Le persone locali che abbiamo chiamato i “custodi della memoria” vengono intervistate in un reportage video e questo costituirà poi “ la banca della memoria”, che sarà visibile sia sui canali social che sul sito. Alla fine del progetto tutto questo diventerà una vera e propria banca dati. Nel frattempo però stiamo già lanciando alcune pillole. Tutte le interviste saranno poi trasmesse agli artisti e insieme al lavoro degli artisti questi reportage diventeranno la banca dati di LandXcape. Gli eventi terminano il 18 ottobre con la festa finale delle Residenze. Anche la parte turistica è molto presente, molti parchi hanno la “CETS”, Carta Europea del Turismo Sostenibile, quindi hanno tutta una loro rete, abbiamo coinvolto anche Puglia Promozione, che è l’agenzia pugliese per la promozione turistica che ci fa da gancio per la parte legata al turismo. Poi fra i partner ci sono anche molte associazioni legate al turismo verde, gli agriturismi e gli operatori legati alla ricettività turistica in ambito naturale; abbiamo coinvolto anche i “GAL” – Gruppi di Azione Locale – legati al mondo dell’agricoltura, quelli legati al progetto del Piano di Sviluppo Rurale o PSR, al quale aderisce tutta la rete dei produttori vitivinicoli, oleari, le masserie didattiche; tutta la rete regionale viene insomma coinvolta attraverso i diversi canali. La cosa importante è che tutto questo fa capo a dei progetti preesistenti, quindi stiamo mettendo in rete tutto ciò che nel territorio già viene fatto. I prossimi appuntamenti sono i weekend di spettacoli e dialoghi, quindi il 5 e 6 ottobre ascolto e racconto del territorio, poi l’8 ottobre, il giorno in cui tutti gli artisti internazionali arriveranno a Brindisi e ci sarà il seminario di apertura della residenza artistica. Nel corso poi delle residenze, quindi dall’8 al 18 ottobre, ci saranno vari incontri nei parchi con gli artisti e poi il 18 ottobre a Lecce ci sarà l’evento clou: la restituzione di tutto il lavoro svolto con una festa di fine residenza. Brindisi e Lecce  entreranno in gioco anche con il coinvolgimento dei Poli Biblio-Museali regionali: quello di Brindisi darà l’apertura alle residenze e quello di Lecce si occuperà della chiusura; quindi faremo entrare la campagna in città coinvolgendo anche i musei e le biblioteche delle realtà cittadine, con una chiave che dia nuova linfa vitale alle sedi normalmente deputate alla cultura.

Tanti appuntamenti da non perdere come vedete fino al 18 ottobre ma se, come me, avrete la sfortuna di non riuscire ad andare di persona, non perdetevi almeno le dirette social:
www.facebook.com/landXcape.Puglia/
www.instagram.com/landxcape.puglia/
www.youtube.com/channel/UCAg3Ok9TbGmV1479i7pL8_w

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BallarArt: così i bambini di Palermo crescono attraverso l’arte

Musica, teatro, danza, arti visive, cinema. L’arte può insegnare ai bambini a conoscere se stessi, educarli alla cura e alla valorizzazione del territorio, invitarli ad agire per cambiare in meglio il mondo in cui viviamo. Da qui nasce BallarArt, un percorso socioeducativo avviato nel quartiere Ballarò di Palermo. Partire dai più piccoli per portare un cambiamento nel mondo. Diffondere cultura in modo non tradizionale in un quartiere siciliano considerato difficile, ovvero il quartiere Albergheria di Ballarò a Palermo. Farlo attraverso le arti e, grazie ad esse, rigenerare. È un cerchio che si chiude: BallarArt, un percorso socioeducativo che coinvolge i bambini del quartiere e, in linea definitiva, cambia anche le persone che lo vivono.

A raccontarcelo è Liliana Minutoli, che è presidente del Counseling espressivo creativo Il Giardino delle idee ma che è anche insegnante di pianoforte, sociologa e psicologa. Da sempre impegnata nel sociale e trapiantata da sette anni nel quartiere Ballarò e 13 a Palermo, crede fortemente nella possibilità del cambiamento: “Cerchiamo di mettere da parte la ‘lagnusìa’ siciliana, questa sorta di indolenza che ci fa pensare che nulla si può cambiare e che contagia anche i bambini. E lo facciamo in un modo diverso da quello classico: facciamo scoprire ai bambini e ai ragazzi di Ballarò chi sono e come vivere al meglio attraverso le arti, che possono essere musica, teatro, danza, arti visive, cinema”.
Liliana è solo una fra i tanti operatori sociali e artisti (tutti volontari) che si occupano di bambini da molti anni e che sono tutti confluiti, lo scorso anno, nella creazione di BallarArt. Lo scopo è anche quello di coordinare i vari centri di aggregazione giovanile (che si occupano di doposcuola, catechismo, attività ricreative) e fare in modo che questo percorso coinvolga un numero più alto possibile di bambini e ragazzi. “Vogliamo fare in modo che la cultura parta dai bambini, perché se vogliamo ottenere un cambiamento di mentalità dobbiamo farlo dal basso. In questo caso le arti sono uno strumento per scoprire il legame fra il proprio mondo interiore (quello dei bambini) e quello esteriore (Ballarò, il quartiere)”.

A tal proposito Liliana fa riferimento a varie manifestazioni, in cui sono sempre i bambini ad essere protagonisti e portabandiera di cultura. Ad esempio, la scorsa primavera durante l’iniziativa “Anima Ballarò” i bambini hanno partecipato attraversando il mercato e urlando slogan positivi, di cambiamento: una vera e propria reazione alla “lagnusìa” siciliana di cui si parlava prima. O ancora, dopo atti di vandalismo perpetrati nella piazzetta Ecce Homo, è sempre stato un gruppo di bambini a rivitalizzarla cantando in coro.ballarart-1-1030x772

La cultura del cambiamento e della valorizzazione del territorio non è affatto facile. Più volte vi sono stati atti di vandalismo nella piazzetta Ecce Homo, cuore di Ballarò, che è stata recentemente ristrutturata dopo essere stata una discarica a cielo aperto per molto tempo. Ma secondo Liliana, è qualcosa a cui si può rimediare: “Non c’è una motivazione reale per gli atti di vandalismo, molto spesso è una mancanza, una non appartenenza vera al territorio e una diseducazione alla valorizzazione di ciò che può essere nostro”. Che invece è ciò a cui BallarArt educa.
“Il ruolo dell’arte è fondamentale per il sé e per il noi, per il singolo e per la collettività», ci spiega Liliana. «Perché in tutte le arti – che sono espressioni dell’individuo – c’è il codice che aiuta a vivere meglio le regole di convivenza civile: ad esempio ascoltare un altro mentre si sta facendo un coro è necessario perché altrimenti ci va di mezzo tutto il gruppo che canta”. Piccoli dettagli a cui spesso non si pensa ma che in realtà incarnano un codice comportamentale fatto di condivisione e ascolto. Qualcosa che di questi tempi è necessario e che serve a far capire anche che la diversità è ricchezza: “Questo quartiere vive di tantissime contraddizioni e diversità: è un quartiere storico antichissimo, dove vivono differenti tipologie sociali di persone con un mix di energie completamente diverse fra loro”.IMG_20180415_120305-1030x772

Anche BallarArt è, nella sua essenza, un mix di energie diverse e non solo in quanto percorso socioeducativo che coinvolge disparati ambiti e discipline, ma anche in quanto parte di un “contenitore” più grande che è SOS Ballarò (Storia Orgoglio Sostenibilità). SOS Ballarò altri non è che un’assemblea cittadina, fatta da associazioni, volontari, membri delle parrocchie del quartiere e così via che a titolo volontario si impegnano per la città. Nonostante BallarArt sia pensato per bambini e ragazzi, c’è però qualcosa che riguarda anche “i grandi”. Attraverso la voglia di cambiamento dei più piccoli anche gli adulti possono ‘cambiare’: “Forse ritornando a coltivare quel bambino interiore che c’è dentro gli adulti e prendendo spunto dai ragazzi, noi possiamo fruire di un cambiamento”. Non a caso ‘il Giardino delle idee’ – il counseling espressivo creativo di cui Liliana è presidente – si rivolge agli adulti: fare in modo che essi diventino consapevoli e responsabili di sé attraverso le arti per poi riversare questo cambiamento nel mondo ‘esterno’ che abbia poi un impatto sulla comunità di appartenenza. Ancora una volta il cerchio si chiude.

Intervista: Daniel Tarozzi
Realizzazione video: Paolo Cignini

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La Porta della Bellezza: quando l’arte risveglia le coscienze

L’arte entra a Catania dalla Porta della Bellezza, opera monumentale collettiva e progetto artistico ed etico voluto a Librino da Antonio Presti, imprenditore e mecenate siciliano che ha deciso di dedicare la sua vita ad una missione: innestare attraverso l’arte un moto di civiltà, il valore della cura ed il senso di appartenenza ad un territorio.

“Siamo a Catania, nel quartiere periferico di Librino: settantamila abitanti, diecimila bambini, nove scuole elementari e medie, nove istituzioni religiose e oratori, un luogo contemporaneo che si riconosce sempre con il valore di mancamento. A quarant’anni dalla nascita di queste periferie contemporanee non siamo ancora riusciti ad innestare in queste comunità il senso comune di essere cittadini”.

Con queste parole inizia l’intervista che ci ha rilasciato Antonio Presti proprio di fronte alla “sua” (nostra!) Porta della Bellezza: un muro, un ponte, un angolo di squallida periferia trasformato in opera d’arte collettiva, realizzata da artisti e poeti con la partecipazione di 2000 bambini delle scuole di Librino.

“Figlio di un importante imprenditore siciliano, attivo in ambito immobiliare, ereditò l’azienda paterna a ventisette anni e affiancò all’attività imprenditoriale quella di mecenate. Presidente della Fondazione Fiumara d’Arte, Antonio Presti – si legge sul sito Ateliers sul mare –  è un siciliano che ha deciso di dedicare tutto se stesso, compreso il suo patrimonio personale, per far trionfare l’arte in tutte le sue forme. È impegnato da anni a creare una coscienza legata alla cultura ma soprattutto ad uno spirito etico, che si forma proprio attraverso un rapporto differente con la bellezza”.

Dopo aver reso possibile la nascita di vere e proprie opere viventi in provincia di Messina e non solo, il nostro imprenditore-artista decide di dedicarsi al quartiere catanese di Librino permettendo la realizzazione della Porta della Bellezza. Quello che più colpisce – come si può anche vedere dalla video-intervista che qui vi proponiamo – è come in una zona caratterizzata dal degrado e dal vandalismo, quest’opera – in oltre otto anni – non sia stata toccata o deturpata. La cittadinanza, evidentemente, la sente in qualche modo ‘sua’.

In un quartiere abbandonato dalle istituzioni e dagli stessi cittadini di Catania – che spesso fingono di non conoscerne l’esistenza e raramente lo attraversano – un artista è quindi riuscito ad innestare un moto di civiltà, un sentimento di appartenenza. A noi, che attraversiamo il quartiere per la prima volta, colpisce ulteriormente come questo luogo sia situato a pochi chilometri dal campo di rugby ‘San Teodoro Liberato dei Briganti di Librino’, protagonista di altre commoventi storie siciliane. Ma torniamo all’ingresso del quartiere.porta-della-bellezza-2

“Lavoro da venti anni con la mia fondazione a Librino – ci spiega Presti – e ho potuto constatare come in nome del ‘non luogo a procedere’ tutto è rimasto statico rispetto a quel mancamento. Ho visto tante politiche sociali volte al recupero della devianza, ma la città le ha sempre rigettate, ha rigettato l’innesto innaturale di un’altra città nella città (Librino ‘ospita’ 70 mila persone…). Catania dovrebbe assumersi la responsabilità di far diventare questo luogo città. Purtroppo, invece, la politica, nel suo esercizio di potere, ha instillato in intere generazioni la logica dell’assistenza, del chiedere per esistere… Ecco perché diventa necessario entrare in quelle scuole, educare anno dopo anno (con impegno devozionale) e restituire bellezza e educazione alla bellezza. È la responsabilità degli artisti”.

Librino diventa, quindi, un luogo doppiamente simbolico. Da un lato rappresenta quel “mancamento” di cui parla Presti, dall’altro – con i suoi nuovi cittadini – può diventare motore di un cambiamento nella coscienza, che metta al centro la responsabilizzazione del cittadino e la sua pro-attività. In quest’ottica diventa evidente come un muro non si debba necessariamente abbattere; lo si può, infatti, anche trasformare con la condivisione. L’opera d’arte – per Presti – diventa quindi il mezzo e lo strumento per creare contatto e condivisione. Non solo: “È bello pensare – afferma – che a Librino esista un’opera unica al mondo, portatrice di una grande rivoluzione, anche spirituale. Quest’opera, restituisce anima ad un quartiere che non pensava di averla. Creare bellezza è restituire anima ai cittadini”. In questo modo, questi ‘cittadini di serie b’ possono forse uscire da uno stato di ‘schiavitù’ instaurato dalla propria condizione di ignoranza. Per liberarsi, è fondamentale educarsi alla conoscenza e al potere del sapere.porta-della-bellezza-3

Antonio ama ripetere che “l’utopia non è ciò che non si può realizzare, ma ciò che il sistema non vuole che si realizzi. Se Librino, in passato conosciuta tristemente come simbolo delle periferie degradate, poteva essere utopia, ora non lo è più grazie alla Porta della Bellezza; quando la bellezza si manifesta non ti dice mai che sei in pericolo ma ti ricorda che sei bello!”.

Tutto ebbe inizio dal desiderio di trasformare la scuola in un tempio della conoscenza. Gesualdo Bufalino ha affermato: “La mafia sarà vinta da un esercito di maestri elementari”! In effetti, – secondo Presti – in questi luoghi di mancamento, non ci vogliono eserciti di poliziotti o carabinieri, ma eserciti di insegnanti, che diventino “guerrieri di luce che consegnano conoscenza”.

Ma è solo l’inizio! Mentre passeggiamo per le vie adiacenti la “porta”, il nostro intervistato ci descrive i progetti di trasformazione artistica previsti in questa zona. “Voglio compiere i prossimi passi attraverso la fotografia: le immagini delle persone qui residenti saranno installate su tutti i pali della luce e lì diventeranno il cantico delle creature. È bello pensare ai pali della luce con questi banner che restituiscono cuore e appartenenza ad ognuno di noi, invitandoci a sentirci appartenenti all’universo.porta-della-bellezza

La notte – continua – mi piacerebbe proiettare sulle facciate cieche le immagini dell’archivio antropologico. Sarebbe bello, nel pensiero della continuità, creare una rete di condivisione di pensiero culturale, ma anche di impegno civile e partecipazione. Deve rimanere la devozione e la libertà del pensiero d’arte e di cultura, che dovrà parlare di rispetto. Mi fa piacere pensare come l’arte contemporanea, in Sicilia, riesca sempre a seminare e nella semina trovare il suo vero raccolto. L’obiettivo, quindi, è quello di creare qui un museo della bellezza”.

Un museo che appartenga veramente alle comunità e che non diventi passerella per questo o quel politico. “Mi piacerebbe donare questo museo ai ragazzi e agli uomini di Librino che hanno sbagliato… come una sorta di pena rieducativa. Voglio pensare che un domani questo progetto possa essere preso in mano da persone che, in nome di un percorso rieducativo, uscite dal carcere, possano ritrovare nella protezione della bellezza la restituzione della bellezza stessa”.

Una bellezza, quindi, che diventa rivoluzionaria senza andare contro qualcuno, ma muovendosi a favore di un mondo diverso. Su questo Presti non ha dubbi: “La via della bellezza non è Anti, ma è altro. Ho visto le primavere siciliane diventare presto freddi inverni. Oggi dico che quelle primavere sono state delle passerelle. Le nuove generazioni devono sapere che la rivoluzione passa dalla conoscenza. La bellezza, quando si esprime, non è mai anti”.

 

Intervista: Daniel Tarozzi
Realizzazione video: Paolo Cignini

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2018/09/io-faccio-cosi-224-porta-della-bellezza-arte-risveglia-coscienze/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni