Il nostro viaggio in Ogliastra, alla scoperta dei segreti della terra della lunga vita

Sapevate che gli abitanti del territorio dell’Ogliastra sono fra i più longevi al mondo? Per provare a capire perché, ma anche per esplorare questa fetta di Sardegna affascinante e ricca di tradizioni, il primo e il due ottobre del 2021 Italia che Cambia è stata ospite della tappa sarda del festival I.TA.CA.’ – di cui è media partner ufficiale –, giunto alla sua tredicesima edizione. Ecco il resoconto di questa due giorni, in cui si è discusso di alimentazione, di longevità e del rapporto sempre più stretto tra turismo responsabile e salute.

OgliastraSardegna – L’essenza del nostro progetto è il viaggio. È nato letteralmente in strada ed è figlio di incontri e di scambi umani per noi importantissimi. Per questo motivo, quando I.TA.CA’ – il Festival del Turismo Responsabile partner storico di Italia che Cambia – e Jean Luc Madinier di Sardinia Fair Travel (vi abbiamo raccontato qui la sua storia), grazie anche a Slow Food Ogliastra e a Agugliastra, ci hanno proposto di venire a dare un’occhiata per capire cosa succedeva nella prima tappa sarda del festival itinerante, che quest’anno è intitolato Diritto di Respirare, non abbiamo potuto dire di no. Anche perché rifiutare un passaggio nella meravigliosa Sardegna è sempre un delitto.

Arriviamo a Lanusei, in Ogliastra, uno dei due comuni che ospita le varie iniziative del Festival. L’altro comune è Jerzu, patria del Cannonau, vino simbolo di questo territorio che dal Gennargentu si tuffa fino al mare abbracciando tutte le essenze di questa isola. Si è da poco concluso l’Incontro Europeo sul Turismo Sostenibile nel Mediterraneo, organizzato dall’European Network for Sustainable Travel, dove alcuni giornalisti e operatori turistici provenienti da tutta Europa hanno discusso sul “valore del viaggio come strumento fondamentale per la trasformazione sociale e il dialogo interculturale, per analizzare sfide e le opportunità che un tipo di turismo sostenibile comporta in una regione come la Sardegna dal punto di vista sociale, ambientale ed economico”.

Nel pomeriggio assistiamo alla prima conferenza. Nei primi anni del 2000 l’Ogliastra e la Barbagia sono state classificate come due delle Blue Zones. Si tratta di un progetto di ricerca che, dati scientifici alla mano, ha individuato cinque aree nel mondo dove si vive più a lungo e con una qualità della vita alta. Oltre le già citate sarde, le altre sono Icaria (Grecia), Nicoya (Costa Rica), Okinawa (Giappone) e Loma Linda (California, Stati Uniti). Il progetto e il termine Blue Zone è stato ideato da Giovanni Pes, professore di biochimica nutrizionale, scienze dietetiche e scienze e tecniche dietetiche applicate presso l’Università di Sassari, insieme a Michel Poulain. Pes è uno dei relatori della Conferenza “Longevità in Ogliastra e sostenibilità ambientale”.

Ci domandiamo: perché proprio qui le persone vivono più a lungo e meglio? Dipende da fattori genetici oppure esistono anche altre cause? Le tesi sostenute sono molto interessanti: «Dopo aver dedicato dieci anni a verificare la correttezza dei dati demografici raccolti qui in Sardegna, insieme all’antropologo e giornalista scientifico Pierre Guy Stephanopoulos stiamo analizzando ora le possibili cause della longevità qui in Sardegna – ci spiega Pes – e anche se l’indagine è tuttora in corso, possiamo anticiparvi che i fattori genetici incidono solamente per il venti per cento rispetto a tutte le possibili cause».

«Un ruolo importante, nelle ricerche che stiamo conducendo è rappresentato dall’alimentazione», spiega Stephanopoulos. «A tale scopo, stiamo studiando i prodotti alimentari dell’epoca preistorica in questa area della Sardegna. Dalle nostre ricerche è emerso un aspetto sorprendente: l’uomo non era affatto prevalentemente carnivoro, come le immagini più comuni che conosciamo lo rappresentano. Al contrario, era tendenzialmente vegetariano e lo poteva essere anche grazie alla profonda conoscenza delle piante spontanee delle donne sarde, che le usavano anche come metodo di cura».

L’alimentazione assume così un ruolo molto importante: nelle ricerche in corso in Sardegna e durante il convegno emerge quanto un’alimentazione semi-vegetariana sia dimostrata essere la più idonea per il raggiungimento di una sana longevità, con un consumo il più moderato possibile di carne: «Dai nostri studi storici sui centenari sardi, abbiamo scoperto che la carne veniva consumata in media una o massimo due volte al mese, non tutti i giorni», ci spiega Stephanopoulos.

«Di fatto, lo stile di vita dei centenari sardi ha anticipato il concetto contemporaneo di sostenibilità, sostiene Claudia Porcu, dell’Osservatorio sulla Longevità Sardinia Blue Zone. «Mangiavano stagionale, senza l’utilizzo di prodotti chimici. Oltre all’alimentazione, dalla ricerca sono emersi altri fattori che sono fondamentali per una sana longevità: la qualità dell’aria che si respira, delle acque, lo stato di salute del suolo e del sottosuolo che si abita e una sana e costante attività fisica, solo per citare quelli più importanti».

Stefania Demurtas e Salvatore Marongiu

Durante l’incontro (di cui trovate la video ripresa integrale qui) la scrittrice Gisella Rubiu ha presentato il suo libro “I saggi raccontano. I segreti della longevità per migliorare il mondo”. Il libro, partendo dall’umanità e dalle tradizioni del popolo sardo, vuole tessere e rinsaldare quel legame tra alimentazione, stili di vita e genetica che il convegno ha cercato di delineare: «Approfondendo il segno caratteristico dell’umanità dei sardi, mi sono accorta che uno dei più importanti è proprio la longevità», spiega Gisella. «Dai racconti che ho raccolto emerge come le cause di una vita lunga e serena sono da attribuire a un ambiente sano e pulito, un’alimentazione mediterranea o comunque attenta alla qualità delle materie prime e che pone l’attenzione nel ridurre il più possibile il consumo di carne».

«Secondo me – prosegue Gisella –, considerando che veniamo da una pandemia, non stiamo dando la necessaria attenzione all’alimentazione. È necessario mettere al centro dell’agenda politica la produzione di cibo sano. Bisogna incentivare il ritorno alla terra dei giovani, continuare a lavorarla e a prendersene cura e mi sembra che una buona parte dei giovanissimi siano pronti a recepire questo messaggio. C’è un rapporto inscindibile tra natura, uomo e salute che non può più essere ignorato».

Durante il convegno, alle pareti della sala erano esposte alcune delle fotografie che caratterizzano il progetto DNA100 dell’artista e fotografa Andrea Spina. Andrea, energia pura e autentica, ha realizzato una serie di scatti dei centenari ogliastrini, concentrandosi sul volto e sulle mani dei soggetti. Un progetto iniziato nel 2017 «per dare una connotazione specifica ai centenari sardi» ci spiega l’autrice.

«I loro visi sono segnati da una vita intesa e piena, a me piace entrare nelle loro case, parlarci e provare a rappresentarli al meglio. Sono persone che, apparentemente, hanno vissuto una vita molto semplice, legata al lavoro della terra e al sostentamento degli animali. Ma conservano una fiamma che spesso la nostra società opulenta ha spento: quella della felicità. Tutte e tutti mi hanno raccontato di quanto siano felici della vita che hanno vissuto e questo mi fa riflettere ogni giorno su quanto il turismo responsabile, oggetto di questi incontri, non possa fare a meno dei ritmi lenti e del valore sacro della semplicità e della quotidianità».

Simbolicamente, la mostra si chiude con la fotografia di una bambina, Giulia, che «rappresenta il patrimonio genetico e delle tradizioni che lei raccoglierà dai suoi nonni e tramanderà ai suoi nipoti. È il ponte tra il passato e il futuro, l’emblema di DNA100».

Tra gli aspetti che favoriscono la longevità, il professor Pes ha parlato anche del vino. Durante il suo intervento Pes ha spiegato come quasi tutti i centenari studiati siano bevitori, moderati, di vino rosso e quanto questo utilizzo responsabile sembri contribuire ad aumentare le aspettative di vita. Nei vari incontri proposti da I.TA.CA’, essendo l’Ogliastra la patria del Cannonau, non potevano mancare le visite a due aziende del territorio, in questo caso gli Antichi Poderi Jerzu e la Cantina Sa Pruna. Il territorio di Jerzu ha un legame particolare con il vino, essendo buona parte dei sui abitanti produttori dello stesso. Nel dopoguerra, uno dei più grandi produttori di uva nel territorio era il medico condotto del paese, dottor Miglior Josto, un medico di famiglia di origini venete che aveva sposato la più grande proprietaria terriera di Jerzu. Ragionando sulla frammentazione delle varie attività commerciali che producevano vino, Josto decise insieme ad altri produttori di dare vita alla cantina sociale Antichi Poderi Jerzu. All’atto di fondazione dell’azienda, erano presenti ventinove soci, nei primi anni Cinquanta. Nel 1985 l’azienda contava nel conferimento di 850 soci. Nel 1983 la produzione toccò la quota di sette milioni e mezzo di litri di vino prodotto, prevalentemente Cannonau. Oggi l’azienda prosegue la sua attività, con alcune difficoltà legate ai cambiamenti climatici: «In questi tempi avvengono alluvioni e gelate perfino ad aprile e questo per noi rappresenta una novità senza precedenti. Il clima cambia e noi cerchiamo di adattarci a questi cambiamenti posticipando l’inizio delle attività, evitando la germogliatura della pianta ad aprile e magari spostandola di alcuni giorni. Come si fa? Posticipiamo la potatura della pianta. Inoltre cerchiamo di cambiare i sistemi e i tempi di concimazione, sempre orientati al biologico, ma che ritardino anch’essi la germogliatura della pianta».

Dopo la visita alle aziende si avvicina il momento della nostra partenza. C’è ancora tempo per una intervista, indirettamente collegata al festival, con Salvatore Marongiu e Stefania Demurtas, che in collaborazione con Sardinia Fair Travel) stanno dando vita a una Food Forest finanziata dal contributo dei turisti e dei viaggiatori che visitano la Sardegna: un progetto che vi racconteremo a breve con un video e un articolo dedicati.

«Il festival sta andando bene e siamo molto contenti, c’è una partecipazione importante anche da parte delle persone del luogo alle conferenze e diversi operatori stranieri stanno manifestando interesse nello sviluppare esperienze turistiche qui in Ogliastra», ci racconta Jean Luc Madinier. «Vogliamo assolutamente metterci al lavoro per ripeterlo il prossimo anno, allargando la rete delle imprese che vogliono partecipare, sempre nello spirito di un turismo responsabile e di una promozione del territorio che accompagni cultura, natura e autenticità, per contrastare i cambiamenti climatici».

«In questi giorni abbiamo vendemmiato insieme a persone provenienti da varie parti del mondo, che cantavano in diverse lingue mentre pigiavano insieme l’uva» ci racconta entusiasta una delle organizzatrici del Festival, Francesca Busalla. «Abbiamo inoltre assistito a conferenze molto interessanti, che hanno stimolato un dibattito e una consapevolezza maggiore rispetto ai tantissimi legami che il turismo responsabile può tessere con il territorio. Infine, il coinvolgimento di numerosi operatori turistici europei ci fa ben sperare, già nell’immediato futuro, in una possibile ricaduta diretta di tutte queste attività nell’economia del territorio, che è un altro degli obiettivi specifici del festival I.TA.CA’ da sempre».

Fonte: https://www.italiachecambia.org/2021/10/ogliastra-terra-lunga-vita/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

Resa pubblica la mappa dei siti per il deposito di rifiuti radioattivi. Immediata la reazione dei territori

Sono 67 le aree candidate a ospitare il Deposito nazionale dei rifiuti radioattivi: é stata pubblicata la Carta Nazionale delle Aree Potenzialmente Idonee (Cnapi), il documento elaborato dalla Sogin. Immediata la reazione dei territori.

Sono 67 le aree candidate a ospitare il Deposito nazionale dei rifiuti radioattivi. E’ stata pubblicata la Carta Nazionale delle Aree Potenzialmente Idonee (Cnapi), il documento elaborato dalla Società gestione impianti nucleari (Sogin) che individua le zone dove localizzare in Italia il Deposito nazionale dei rifiuti radioattivi e il Parco Tecnologico.

Sono cinque le macrozone individuate: Piemonte con 8 aree tra le province di Torino e Alessandria; Toscana-Lazio con 24 aree tra Siena, Grosseto e Viterbo; Basilicata-Puglia con 17 aree tra Potenza, Matera, Bari, Taranto; poi le Isole, con la Sardegna (14 aree) in provincia di Oristano e nel Sud Sardegna ; e la Sicilia, 4 aree nelle province di Trapani, Palermo, Caltanissetta.

QUI la mappa consultabile

Nei giorni scorsi era arrivato il nulla osta alla pubblicazione da parte dei ministeri Sviluppo economico e ambiente e ora si apre una fase di consultazione pubblica, in cui le Regioni, gli enti locali e tutti i soggetti portatori di interesse qualificati possono formulare osservazioni e proposte tecniche.

Il Deposito Nazionale è un’infrastruttura ambientale di superficie dove mettere i rifiuti radioattivi provenienti dalle centrali (di cui si completerà il decommissioning) e dalle attività di medicina nucleare, industriali e di ricerca.

Le reazioni contrarie e le alzate di scudi di territori e istituzioni non si sono fatte attendere.

“Apprendiamo a ‘cose fatte’ e a distanza di anni, dell’inclusione di alcuni comuni pugliesi e lucani tra i siti in cui stoccare residui radioattivi. E’ ferma e netta la contrarieta’ della Regione Puglia a questa opzione. I nostri sforzi verso un modello di sviluppo improntato sulla tutela dell’ambiente e della salute sono noti a livello internazionale. Non si puo’ imporre, ancora una volta, scelte che rimandano al passato piu’ buio, quello dell’assenza della partecipazione, dell’umiliazione delle comunita’, dell’oblio della storia e delle opportunita’”. A dichiararlo e’ il presidente della Regione Puglia Michele Emiliano.

“La Carta nazionale delle Aree Potenzialmente Idonee alla localizzazione del Deposito Nazionale dei Rifiuti Radioattivi include anche 22 siti nella provincia di Viterbo (..); il territorio del Lazio presenta gia’ un quadro fortemente impattante legato all’inquinamento nucleare di origine industriale e medica. Questa regione ospita le due ex centrali nucleari di Montalto di Castro, in provincia di Viterbo, e di Borgo Sabotino, in provincia di Latina, oltre al Centro Ricerche dell’Enea Casaccia, nel Comune di Roma, dove si svolgono anche attivita’ di studio e ricerca sulla medicina nucleare”. È quanto dichiara in una nota Massimiliano Valeriani, assessore al Ciclo dei Rifiuti della Regione Lazio, che aggiunge: «Il Lazio non può sostenere un ulteriore aggravio delle condizioni ambientali legate al sito unico dei rifiuti radioattivi».

“In tanti mi stanno contattando in queste ore per avere rassicurazioni e chiarimenti sulla scelta fatta anni fa a livello nazionale per individuare siti idonei per il deposito di rifiuti radioattivi. Ritengo che la Sicilia abbia gia’ dato tanto dal punto di vista ambientale e che individuare strutture del genere nell’Isola non sia per niente opportuno per tante motivazioni che faremo valere”. Cosi’ l’assessore all’Energia della Regione Siciliana, Alberto Pierobon, in un post Facebook.

Levata di scudi unanime in Sardegna contro l’ipotesi di un deposito di scorie nucleari nell’Isola. Alla dura presa di posizione del presidente della Regione, Christian Solinas, si uniscono i Sindaci rappresentati dall’Anci, che bocciano il piano della Sogin nel merito e nel metodo e chiedono “una mobilitazione generale di tutta la Sardegna per un’azione congiunta del Consiglio Regionale, della Giunta, dei parlamentari sardi, dei comuni della Sardegna, delle organizzazioni sindacali e datoriali, delle associazioni e dei comitati civici, della cittadinanza attiva”.

In Piemonte sono coinvolte aree nelle province di Torino ed Alessandria e il vice sindaco della citta’ metropolitana di Torino Marco Marocco ha convocato un incontro con i sindaci dei comuni interessati per esaminare la situazione. L’iniziativa e’ stata presa anche dai vertici della Provincia di Alessandria.

“Sono disposto a fare la guerra pur di non vedere nessun sito sul mio territorio”. E’ la presa di posizione di Luca Grisanti, sindaco di Campagnatico, una delle due realta’ della Toscana comprese nell’elenco delle aree italiane individuate come quelle che potranno potenzialmente ospitare il Deposito nazionale dei rifiuti radioattivi italiani. Grisanti, primo cittadino del paese della provincia di Grosseto di 2400 abitanti che si estende dal tratto terminale della Valle dell’Ombrone, fin quasi alla sua apertura meridionale verso la pianura della Maremma grossetana, si dice “allibito solo al pensiero”. “E per questo chiedero’ il coinvolgimento di tutti i ‘comitati del no’ esistenti al mondo e poi vediamo. La bellezza e la natura che ci circonda da millenni sarebbero uccise in un solo colpo”, ha aggiunto. Greenpeace in un comunicato sostiene di “non condividere la strategia scelta dall’Italia, basata sull’unica ipotesi di dotarsi di un solo Deposito Nazionale” delle scorie nucleari. Secondo Greenpeace “sarebbe stato più logico verificare più scenari e varianti di realizzazione del Programma, utilizzando i siti esistenti o parte di essi, e applicare a queste opzioni una procedura di Valutazione Ambientale Strategica (VAS), in modo da evidenziare i pro e i contro delle diverse soluzioni”.

Fonte: ilcambiamento.it

Sardex: nuovi passi concreti per aiutare l’economia in tempi di Coronavirus

Sardex, la community delle PMI Italiane, con oltre 10.000 aderenti e 600.000 transazioni nel solo 2019, lancia l’iniziativa #IostoinSardex: sarà possibile l’accesso al Circuito immediato e senza costi per tre mesi, ottenendo da subito liquidità aggiuntiva e la possibilità di incontrare nuovi clienti e fornitori. Inoltre, piani di rientro congelati per tre mesi e l’abbonamento gratuito per i dipendenti dei neo iscritti. L’AD Marco De Guzzis: “Un contributo concreto, per sostenere da subito le PMI del Paese”.

Torniamo a parlare di Sardex, la moneta complementare che sta cambiando l’economia di molte regioni italiane. I lettori di Italia che Cambia conoscono bene questa realtà. Ne abbiamo parlato più volte e io ci ho persino scritto un libro. Parole come fiducia, credito, economia reale, amore, sono per la prima volta nella mia esperienza associate concretamente ad uno strumento misterioso e arido come il denaro. Certo tecnicamente non possiamo definire sardex denaro, ma camera di compensazione, circuito di credito/debito e così via, ma per approfondire vi rimando ai tanti articoli sul tema.

L’utilità del sardex, nelle sue varie varianti piemontesi, emiliane, venete ecc, diventa quanto mai lampante nei momenti di crisi. Mi sono quindi chiesto come si stessero muovendo in tempi di Coronavirus e ancora una volta le risposte sono state pienamente convincenti. È infatti appena stata lanciata l’iniziativa #IostoinSardex: in via straordinaria, i nuovi iscritti potranno accedere al Circuito gratuitamente iniziando da subito a scambiare beni e servizi nella rete e a godere di una linea di credito senza interessi, versando la quota di partecipazione solo fra tre mesi con dilazioni agevolate. Potranno, in forma del tutto gratuita, iscrivere alla rete i propri dipendenti, estendendo anche a loro i vantaggi della moneta complementare, e infine, potranno scegliere di attivare la linea di credito aggiuntiva Sardex – Efficio +, con tempi di rientro a tre mesi dall’attivazione: a fronte di una richiesta di crediti, i nuovi iscritti, così come le imprese già aderenti, inizieranno a pagare le rate, senza interessi, dopo 90 giorni dall’attivazione.

Un’opportunità per continuare ad investire grazie ad un cuscinetto temporale che nelle prossime settimane potrebbe giocare un ruolo importante: nella ripresa delle attività di migliaia di imprese, e nell’avvio di investimenti aziendali e progetti personali, circolo virtuoso che rimette in moto l’economia del Paese.

«Con #IostoinSardex – ha dichiarato Marco De Guzzis, Amministratore Delegato di Sardex – vogliamo consentire alle imprese di tutta Italia di accedere a credito e ricavi aggiuntivi che possano dare un contributo positivo nell’affrontare la crisi attuale. Supereremo questo momento di difficoltà, ma ora è fondamentale dare un sostegno fattivo a tutte quelle realtà aziendali e associative che hanno bisogno di superare la contingenza riducendo i danni» .

Nel Circuito gli aderenti hanno accesso a credito aggiuntivo senza pagare interessi, riducendo la necessità di disponibilità in euro senza rinunciare ad investire nella propria attività, far crescere progetti personali, far fronte alla liquidità di cassa e promuoversi in una rete di imprese dove collaborazione e fiducia del singolo si trasformano in ricavi e benefici per tutti. Per approfondire ho interpellato direttamente i fondatori di Sardex rivolgendo loro alcune domande.

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Cosa sta avvenendo in questi giorni presso i vostri circuiti?

C’è fermento, soprattutto comunicativo: nelle piattaforme del Circuito gli iscritti hanno trovato canali già pronti e aperti per condividere informazioni, trasmettere le comunicazioni di apertura e chiusura, trovare idee per supportarsi, istituire servizi temporanei per servire i propri clienti anche a distanza. Un rallentamento fisiologico delle transazioni è normale che ci stia stato, ma gli scambi continuano in modo grintoso, forse anche più che nel mondo euro. È una comunità economica che ha gli anticorpi giusti e che possiamo potenziare: è viva, ed è solo l’inizio.

In che modo Sardex (e figli) stanno sostenendo le aziende?

In questo difficile e inatteso momento, che ha investito la nostra quotidianità e modificato i nostri ritmi personali e quelli delle nostre attività d’impresa, il Circuito si conferma un alleato prezioso: una comunità unita nei valori e negli intenti, una rete che è sostegno vitale e che può supportare, fin da subito, il benessere delle nostre piccole e medie imprese, vero motore dell’economia locale e nazionale. Gli strumenti e le risorse che in questi anni il Circuito ha messo a disposizione di tutti gli aderenti non possono che confermarsi indispensabili in queste settimane di contrazione economica. Pensiamo solo al servizio broker: un customer care attivo che supporta gli scambi, in momenti come questi, avvicina le aziende, le mette in relazione, trova con loro soluzioni per mantenere vive le transazioni. Come gestore, ci sentiamo in dovere di potenziare tutti questi strumenti, a beneficio degli iscritti, dell’intera comunità Sardex e delle aziende che vorranno avvicinarsi al Circuito durante il periodo di emergenza. Lo faremo in modo fattivo, da subito, con l’iniziativa #iostoinsardex: accesso al network immediato e gratuito per chi si iscriverà al Circuito ora, con inizio di pagamento della quota di iscrizione tra tre mesi; adesione gratuita per i dipendenti delle PMI neo iscritte; piani di rientro sospesi per 90 giorni per tutte le linee di credito aggiuntive e senza interessi come Efficio+: le aziende ora hanno urgente necessità di mettere in pausa le spese, e continuare invece a far correre obiettivi e progetti.

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Voi state risentendo del blocco delle attività?

Come gestore ci siamo organizzati tempestivamente: abbiamo trasferito gli uffici nelle nostre case per tutelare staff e community, siamo operativi e con forza, ora più che mai. Lo smart working non è una novità per la gestione Sardex, lavoriamo da sempre distanti ma interconnessi e in sinergia con i Circuiti e le imprese di tutta Italia: in queste settimane lo facciamo con un’energia diversa, consapevoli di un contributo che sarà importante in particolar modo durante la ripresa. Anche gli appuntamenti commerciali non si fermano: ogni giorno il nostro staff è in videoconferenza con imprenditori del territorio che desiderano conoscere il Circuito e iscriversi. Non possiamo fermarci: prepariamo la strada per supportare le imprese anche e soprattutto quando l’emergenza sarà finita e l’economia dovrà circolare veloce, possibilmente più veloce dell’euro (e il sardex lo sa fare bene).

In Sardegna ci sono stati sinora pochissimi casi di coronavirus. Come vivete questa emergenza?
Con speranza e grande senso di responsabilità. Cittadini, istituzioni, personale ospedaliero, imprese e terzo settore stanno collaborando intensamente. Nell’apprensione generale, sta però succedendo qualcosa di importante, di bello, sull’isola come in tutta Italia. Stiamo riscoprendo un sistema di valori che fa rima con un concetto importante: la riscoperta di poter essere, ancora una volta, corpo collettivo.

Ci sono differenze, nei vostri Circuiti, su quanto sta avvenendo in Sardegna e in altre regioni come Veneto, Piemonte o Emilia?

Non ci sono differenze sostanziali, se non nei tempi anticipati in cui i Circuiti della Penisola hanno dovuto iniziare a far fronte all’emergenza: lì le difficoltà sono arrivate prima e con più intensità. Ogni Circuito regionale anche in questo frangente ha la sua specificità, ma strumenti e risorse a disposizione delle imprese iscritte sono gli stessi, e ovunque, in tutto lo Stivale, siamo attivi per rimettere in moto l’economia locale: sarà l’unico, benefico contagio da impresa a impresa che vogliamo con forza.

Per saperne di più leggi il libro Una moneta chiamata fiducia . Oltre il denaro. L’esperienza vincente di Sardex

Fonte: https://www.italiachecambia.org/2020/03/sardex-nuovi-passi-concreti-aiutare-economia-tempi-coronavirus/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

La Sardegna piena di sole e vento strangolata dai combustibili fossili

Già l’Italia di per sé è il paradiso delle energie rinnovabili, ma la Sardegna in particolare è il paradiso del paradiso: da sola, con il sole e il vento che ha potrebbe alimentare l’intera Italia. E invece cosa si fa? Si fanno miniere di carbone, poi si va anche a utilizzare il gas.

Già l’Italia di per sé è il paradiso delle energie rinnovabili, ma la Sardegna in particolare è il paradiso del paradiso: da sola, con il sole e il vento che ha potrebbe alimentare l’intera Italia. E invece cosa si fa? Si fanno miniere di carbone e le si difende strenuamente contro ogni logica, contro ogni buon senso. Ma come: ci sono vento e sole a morire e invece si utilizza uno dei combustibili fossili più inquinanti? Pura follia. E alla fine dell’era del carbone dopo aver appestato l’isola e i suoi abitanti, arriveranno finalmente le rinnovabili, visto che sono tecnologie che esistono da decenni e viste le potenzialità dell’isola. 

Invece no, ecco il gas e un progetto di metanodotto che costerà circa due miliardi di euro così da passare dalla padella del carbone alla brace del gas. Questo mentre tutti gli abitanti della Sardegna fino all’ultimo, potrebbero essere resi autonomi per la produzione elettrica e termica senza dover pagare nemmeno un euro di bolletta. Basterebbe investire i miliardi che vengono regalati alle solite lobby dei fossili per rendere la Sardegna autonoma e i propri cittadini liberi completamente da balzelli, bollette varie, dalla dipendenza di un combustibile fossile importato da chissà dove ma anche da gigantesche e inutili infrastrutture . Non c’è un solo motivo razionale e sensato a favore della scelta scellerata del gas e invece tutti i motivi a favore delle fonti rinnovabili.

La Sardegna è la Ferrari delle rinnovabili ma preferisce andare in giro con il triciclo del gas.  E in questa partita ci sono in gioco due cordate una peggiore dell’altra, da una parte il gas e dall’altra un elettrodotto che si vorrebbe fare partendo dalla Sicilia.  O forse si vuole fare un elettrodotto per esportare l’energia elettrica che la Sardegna produrrà per alimentarci l’Italia? Sarebbe bello, peccato che per i nostri esperti di energia una azione del genere sarebbe fantascienza perchè sono fermi all’età della pietra e dei fossili.  E così le imprese, la regione, il sindacato tutti a braccetto per dimostrare che le parole a favore dell’ambiente sono solo balle sulla pelle e il portafoglio della gente. Fra tutti spicca come sempre purtroppo il sindacato, che in teoria dovrebbe difendere i lavoratori e l’occupazione e invece fa esattamente l’opposto e si batte per il metanodotto. Ma basterebbe un bambino di tre anni che facesse i calcoli di quante persone lavorerebbero alle varie filiere delle rinnovabili: i numeri farebbero impallidire i pochi che in confronto sarebbero occupati nel settore del gas. Quindi, visto che ragionamenti del genere sono lampanti e sono proprio a vantaggio dei lavoratori, della salute, dell’ambiente e aumentano l’occupazione, significa che gli interessi in gioco sono ben altri che nulla hanno a che vedere con l’occupazione o con la difesa dei lavoratori. Una capillare diffusione e installazione di fonti rinnovabili innescherebbe un meccanismo occupazionale locale fantastico che surclasserebbe la miseria dell’occupazione derivante dall’impiego del gas  e si potrebbe anche creare una produzione di sole e vento Made in Sardegna. Ma il paradosso maggiore è forse quello dei sardi, così come degli italiani, più ci sono alternative, più è evidente in che direzione bisogna andare è più si fa esattamente l’opposto e ci si spara sui piedi, si vota chi condanna la propria terra alla miseria, all’inquinamento, alla dipendenza, in una spirale autolesionista che nessuno psicologo può spiegare tanto è incredibile. Dovrebbero esserci mobilitazioni oceaniche, proteste, proposte e attuazione di piani alternativi, invece nulla, si accetteranno i metanodotti, gli elettrodotti mentre sole e vento continueranno a baciare l’isola in barba all’intelligenza, alla logica, al buon senso, all’evidenza. Il perché non si vuole la Sardegna, così come l’Italia, libera dai combustibili fossili è presto detto: se tutti sono indipendenti e si autoproducono la loro energia chi ci guadagna? I cittadini stessi. Quindi non si può fare, è escluso, non è permesso, devono continuare a guadagnarci le grandi multinazionali e i loro vari maggiordomi. Per quello servono i metanodotti, gli elettrodotti, le centrali, perché dobbiamo rimanere dipendenti e pagare sempre e comunque, alla faccia delle energie rinnovabili, dell’economia, dell’occupazione e dell’ambiente.

Fonte: ilcambiamento.it

Effetto Palla: quando i social cambiano la vita degli animali

Abbiamo intervistato Monica Pais, veterinaria della clinica veterinaria Due Mari di Oristano e animatrice, insieme ad un eroe a quattro zampe, di Effetto Palla, una Onlus in grado di cambiare la vita a migliaia di animali e a molti umani. Il lavoro decennale ha avuto un’improvvisa impennata con la pubblicazione di una foto su Facebook…

“Io sono una veterinaria e lavoro in una clinica ad Oristano. Nella nostra clinica vengono seguiti e curati anche animali randagi, recuperati in stato di grande difficoltà. Tra questi il cane che chiamammo Palla: per promuovere le adozioni di questi animali dopo averli curati, abbiamo creato una pagina Facebook. Il giorno in cui scoprimmo l’effetto Palla… andammo a dormire con 26 mila like alla pagina e ci siamo svegliammo con 186 mila!”.  

A parlare è Monica Pais, animatrice del progetto Effetto Palla e della Clinica Veterinaria Duemari. Dopo averne sentito tanto parlare, la intervistiamo lo scorso dicembre a Cagliari, durante la fiera Scirarindi. Monica è una donna decisa, entusiasta, che ci racconta con un pizzico di incredulità la sua straordinaria vicenda.

Effetto Palla è una Onlus nata a marzo 2016 con l’obiettivo di soccorrere e dare nuova vita agli “animali di nessuno”. Nasce grazie a una meticcia di pitbull, Palla ovviamente, che ha disegnato il primo pezzo dell’opera.  Ma torniamo al gennaio 2016, quando viene ritrovata la cagnolina nelle campagne di Oristano, in Sardegna. Il giovane animale viene recuperato in condizioni disperate: ha la testa deformata a causa di un laccio di nylon di 15 cm di circonferenza stretto intorno al collo, che la fa soffrire da mesi, chissà quanti. Un supplizio che, giorno dopo giorno, per un cane nei primi mesi di vita, può portare addirittura alla decapitazione. Fortunatamente, nella stessa città sarda, c’è la Clinica Veterinaria Duemari, che cura, oltre agli animali di proprietà, i randagi feriti e trova loro una casa. La clinica, così, nella figura della dottoressa Monica Pais, si adopera per salvare la cagnolina con un’operazione delicata. E ci riesce. Guarisce e viene chiamata dai suoi salvatori Palla, come a rimarcare, ora con un sorriso, la sua deformazione. “I nomi che diamo agli animali che curiamo – racconta Monica – sono onomatopeici e legati al tipo di trauma che hanno riportato. Non so perché questa storia abbia bucato più delle altre, noi non ce lo aspettavamo minimamente. Quando Palla è arrivata sembrava un cartone animato riuscito male. Era tenerissima, era brutta ma si poteva guardare, era una Cenerentola diventata principessa.” 

Nella clinica di Monica lavorano dieci veterinari. La nostra struttura, nata dieci anni fa, ha sempre curato anche animali randagi, siano feriti o in gravi condizioni. “Sono randagi certificati da una qualunque autorità – spiega Monica –, abbiamo una piccola convenzione che dovrebbe pagare il primo soccorso. Noi poi, a titolo volontaristico, portiamo avanti tutto l’iter successivo dell’adozione”.

Ecco perché la pagina Facebook della clinica “riveste un ruolo fondamentale: permette ai nostri ‘pazienti’ di essere conosciuti nei social, aumentando così la possibilità di essere adottati. Attualmente, il nostro portale online è una sorta di rivista che racconta tutte le (dis)avventure dei nostri animali e, dopo Palla, anche altri sono diventati famosi su internet e negli altri media. Le pubblicazioni sul web sono quindi decisive per le loro prospettive: noi li curiamo ed evitiamo che vadano in canile, ma il loro futuro, per essere roseo, dipende dai nuovi padroni”.  La clinica, in quanto centro di recupero di fauna selvatica, non cura solo cani e gatti, ma un ampio target di animali, dalle tartarughe marine alle rondini. Ora, per fortuna, accanto alla Clinica troviamo la Onlus. “Ci pesa avere la clinica piena di animali – ci ricorda Monica – vogliamo quindi portare il progetto fuori dalla nostra struttura”.  Per questo la Onlus finanzia iniziative per la comunità e gli animali. Il requisito fondamentale è che questi devono avere benefici diretti agli animali stessi, ma spesso riguardano anche noi umani. Ad esempio, in Brasile stanno aiutando le persone che vivono in alcune favelas a diventare assistenti veterinari. In questo modo, il risultato è doppiamente virtuoso: alcuni umani sono strappati alla miseria e, una volta formati, diventano portatori di cure per gli animali delle stesse favelas.  Il successo della Onlus, dopo la pubblicazione della storia di Palla è stato davvero dirompente. Effetto Palla, infatti, è diventata una delle Onlus più grandi di Italia, tra le prime 160 su 45 mila. Ciò ha permesso a Monica e al suo team di gestire cifre importanti, raccolte con il 5 per mille e dirottate su randagi e progetti vari.

Corso per diventare assistenti veterinari (Brasile)

Come tutti quelli che hanno a che fare con animali in difficoltà, il rapporto con il dolore diventa quotidiano: “Per noi è una sfida – confida Monica – ci sono persone che non riescono a liberarsi del dolore, che assorbono le situazioni pesanti che hanno nelle vicinanze. Per noi è una metafora: hai una vita che ti permette di stare così a contatto con la morte che alla fine questa non ti fa più paura”. 

Mentre Monica ci parla osservo dietro di lei i calendari che hanno realizzato. In copertina si vede Palla che salta nel cerchio centrale del segno-simbolo del Terzo Paradiso di Michelangelo Pistoletto. Sempre in copertina, non per caso, è anche riportata una citazione dall’ultimo libro dell’artista biellese: “Per progredire nella formazione di una società evoluta – questa la frase tratta da ‘Ominiteismo e demopraxia’ – è innanzitutto indispensabile stabilire un rapporto di pieno rispetto tra noi e gli animali”. Le chiedo quindi cosa ci faccia Palla dentro il simbolo del Terzo Paradiso. “Palla sta dentro il suo personale Terzo Paradiso. Da un lato c’è la natura, la vicinanza con tutti gli esseri viventi; dall’altra parte, il paradiso di Facebook, della tecnologia, degli arrivi su Marte; in mezzo lei, che coglie tutto quello che riesce a mettere insieme”.

Concludiamo il nostro incontro chiedendoci come mai la storia di Palla abbia avuto così successo nell’immaginario delle persone. “Non lo so, ce lo chiediamo anche noi” afferma Monica. “Forse, il motivo è da ricercare nel fatto che la gente ha bisogno di modelli. A me il coraggio nasce dall’incoscienza. Quando mi fanno i complimenti non capisco il perché. Ma quando mi chiedono cosa vedano gli altri in Effetto Palla, mi dico che forse riconoscono ciò che loro per primi vorrebbero fare. Si rendono conto che possono fare qualcosa anche loro, entrare nell’Effetto Palla”.

 Intervista: Daniel Tarozzi
Realizzazione video: Paolo Cignini Fonte: http://www.italiachecambia.org/2019/03/effetto-palla-social-cambiano-la-vita-animali-io-faccio-cosi-243/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni

Valorizzare le competenze per combattere la disoccupazione

Falegnameria, fablab, ecosartoria. Sono solo alcune delle proposte del CESP di Nuoro, un luogo di inclusione pensato per la formazione, l’apprendimento esperienziale e la valorizzazione delle competenze. Uno spazio di condivisione dove incontrarsi, scambiarsi saperi e trovare così anche nuove opportunità di inserimento nel mondo del lavoro. La Sardegna è una terra piena di iniziative, che vanno oltre i sei mesi della stagione estiva. C’è tanta voglia di crescere e di creare opportunità. E questo ce lo conferma un’esperienza che va avanti dal 2013: il CESP (Centro Etico Sociale Pratosardo). Gestito dalla cooperativa Lariso e finanziato dal Comune di Nuoro e dall’Aspal, il CESP di Nuoro è un centro dagli spazi ampi (1200 metri quadri) dove vengono proposti percorsi formativi, laboratori, momenti di aggregazione, condivisione di conoscenze.

 «L’idea era quella di creare un luogo di inclusione e quindi di abbandonare l’idea dello ‘svantaggio’ per aprirsi ad un discorso basato sulle competenze», ci spiega Salvatore Sanna, referente del CESP. «Abbiamo strutturato questo spazio pensando che ogni persona ha diverse competenze su differenti livelli, ma porta comunque con sé il suo bagaglio di esperienza». 

Quando il centro è nato, nel 2013, era ancora all’inizio ma la direzione era già molto chiara: creare un luogo dove ci si potesse scambiare competenze e dove si potesse imparare a relazionarsi con gli altri, a stare in società. «Molto spesso si pensa che soltanto perché si ha un titolo di studio o un’esperienza lavorativa allora si è pronti per un lavoro; in realtà, ci vogliono anche quelle competenze trasversali che ci permettono di vivere e relazionarci con gli altri», racconta ancora Sanna.

L’ecosartoria del CESP

Passano gli anni e il CESP si arricchisce: da «spazio diventa luogo», in cui l’ecosostenibilità ha un ruolo strutturale. Nascono diverse sale, ognuna dedicata a qualcosa: la Cukina per i laboratori di cucina, lo Spazio Performance dedicata alla ciclomotricità e quindi a tutti quei corsi che prevedono una connessione fra il corpo e la mente (yoga e tai chi, ad esempio), la Sala Relax, la Falegnameria, l’Aula Informatica. Fra questi c’è un luogo importante, che è l’eco-sartoria, che ha esteso i propri confini anche al di fuori del CESP ed è riuscita a diventare una piccola azienda aprendo un microcredito: un gruppo di donne, infatti, hanno occupato questo spazio nel 2015 e hanno cominciato a lavorare come sarte, con grande attenzione all’ecosostenbilità e alla qualità dei loro prodotti. All’interno di un luogo così ampio e diversificato non poteva mancare l’Agorà. Il nome dice tutto: l’agorà è quello spazio dedicato all’incontro, che può essere di qualsiasi tipo, ma che produce inevitabilmente scambio e conoscenza. Ed è proprio grazie a questa apertura che il CESP è riuscito a calamitare l’interesse sia del settore pubblico che di quello privato.

Il FabLab del CESP

Da una parte, infatti, è finanziato dal Comune di Nuoro, grazie ad un bando, e dall’Aspal (Agenzia Sarda Politiche Attive del Lavoro). Dall’altra diversi privati si sono avvicinati proponendo corsi e nuove forme di scambio. Un esempio? Un’associazione che ha bisogno di uno spazio lo chiede al CESP e invece di pagare un affitto in soldi, lo paga restituendo un corso gratuito ai cittadini. Nel tempo, infatti, i laboratori e la formazione proposti dal CESP sono diventati sempre più corposi, proprio perché la voglia di collaborare è ricominciata e ha dato nuova spinta all’iniziativa di associazioni e singoli. 

«Questo è un luogo prezioso per la comunità», aggiunge Valeria Romagnoli, assessora per le Politiche sociali, giovanili, delle pari opportunità e politiche per la casa. Valeria rappresenta quella pubblica amministrazione che «ha deciso di scommettere sul progetto», facendolo diventare uno strumento attivo nel campo del lavoro. « Mantenendo questa filosofia delle competenze trasversali di vita, abbiamo voluto scommettere su questo progetto innovativo dando la possibilità di creare laboratori più corposi e che potessero dare accesso alla qualifica delle competenze, che restituissero ai partecipanti qualcosa di spendibile nel mondo del lavoro, sempre mantenendo attenzione all’inclusione sociale (per ogni corso c’erano quindi dei posti riservati alle persone con disabilità, ai soggetti svantaggiati, a disoccupati e inoccupati)». 

Non mero assistenzialismo, ma inclusione attiva, capace di valorizzare le competenze del singolo e dare quella spinta in più verso il mondo del lavoro. Una direzione «giusta»: ad esempio ai primi corsi attivati il CESP riceve 400 domande per soli 66 posti disponibili. Un segno che la voglia di fare c’è. Dal CESP, infatti, passano circa 1500 persone l’anno, ci lavorano 90 associazioni e ogni giorno ci sono almeno 6 ore impegnate in diversi corsi o laboratori.

Il laboratorio di ecodesign

«Questo ultimo anno questi percorsi formativi sono stati estesi al territorio: noi facciamo parte di un distretto di 20 comuni ed è stata data la possibilità anche agli altri comuni di poter iscrivere attraverso i loro servizi i cittadini per usufruire dei nostri corsi. L’idea è che questo centro diventi un luogo che possa dare risposte a tutto il territorio, non solo alla città di Nuoro», spiega ancora Valeria Romagnoli. E in effetti, oltre ad essere benvoluto dal territorio e dai cittadini, il CESP qualche soddisfazione concreta l’ha avuta: 3 persone su 8 hanno avuto la possibilità di continuare a lavorare, grazie ai corsi da loro proposti, oltre la stagione estiva. Qualcuno, dopo aver partecipato ai laboratori, ha capito la sua strada e ha deciso di ricominciare a studiare. Qualcun altro è diventato falegname e grazie ai contatti del CESP ha iniziato a lavorare nel campo. Ora, l’obiettivo è «capitalizzare questa esperienza, lavorare sulle tematiche importanti come ecosostenibilità e lavoro, rafforzare l’innovazione sociale e recuperare il senso di comunità anche attraverso lo scambio competenze». Nella speranza che la collaborazione fra pubblico e privato continui e che il CESP diventi una realtà solida per molti lunghi anni.

Intervista e realizzazione video: Paolo Cignini

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2018/11/valorizzare-competenze-per-combattere-disoccupazione/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni

Artigianato: un bando per sostenere saperi e tradizioni del Sud

Dalla seta al mandolino, dalla lana ai carretti siciliani. Fondazione CON IL SUD in collaborazione con l’Osservatorio dei Mestieri d’Arte di Firenze (OMA) lancia un bando per sostenere la tradizione artigiana meridionale che oggi rischia di scomparire. La Fondazione CON IL SUD  intende sostenere alcune eccellenze della tradizione artigiana meridionale che stanno scomparendo. A questo scopo, in collaborazione con l’Osservatorio dei Mestieri d’Arte di Firenze (OMA), rivolge un invito alle organizzazioni del Terzo settore per progetti di valorizzazione di antiche produzioni e competenze in Basilicata, Calabria, Campania, Puglia, Sardegna e Sicilia, da realizzare anche in partenariato con enti pubblici o privati, profit o non profit. Le proposte dovranno essere presentate online entro il 17 ottobre 2018 tramite la piattaforma Chàiros.craftsmanship-2607408_960_720

Il sapere e la tradizione artigianale sono tra le cifre più caratteristiche della cultura e dell’economia italiana e rivestono un’importanza strategica anche sul piano sociale: il lavoro artigiano, grazie alla qualità dei manufatti, restituisce dignità alle persone, rendendole orgogliose e gratificate, e permette di rafforzare, quando non di ricostruire, il legame con il territorio.

“Uno dei più lampanti paradossi del nostro paese, famoso per i suoi prodotti di qualità e con un’altissima disoccupazione giovanile, è che scarseggiano sempre di più calzolai, vetrai, falegnami, sarti o scalpellini – scrive Fondazione CON IL SUD – Questo succede perché i nipoti non seguono le orme dei nonni e perché questi mestieri risultano poco redditizi su un mercato veloce e globalizzato. La sfida di Fondazione CON IL SUD e OMA è quella di riscoprire il saper fare tradizionale, immaginando nuovi campi di applicazione tecnologica e commerciale e trovando nuovi potenziali talenti anche nelle giovani generazioni e tra le persone più fragili”.hands-731241_960_720

Il bando interviene su settori artigianali particolarmente vulnerabili: dal ricamo tradizionale, come lo squadrato lucano, all’intreccio di fibre vegetali per realizzare cesti a Reggio Calabria o nasse e reti da pesca in Sardegna; dalla produzione di fili di seta a Catanzaro alla costruzione del mandolino napoletano e della chitarra battente cilentana; dalla costruzione di carretti siciliani alla tessitura con la tecnica del fiocco leccese o alla filatura della lana in Sardegna. Sono solo alcuni degli esempi di saperi antichi che rischiano realmente l’estinzione e che, inseriti in opportuni percorsi di innovazione e inclusione sociale, possono al contrario rappresentare opportunità per nuovi talenti e occasione per sperimentare approcci e modelli inediti di valorizzazione. Per la realizzazione delle singole iniziative, la Fondazione mette a disposizione complessivamente un contributo di 800 mila euro, in funzione della qualità delle proposte ricevute e della loro capacità di generare valore sociale ed economico sul territorio.

Vai al bando: clicca qui

 

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2018/08/artigianato-bando-sostenere-saperi-tradizioni-sud/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni

Food Coop, presto anche in Sardegna il supermercato autogestito

Il progetto, nato da una riunione di Sardegna che Cambia, mira all’apertura, entro il 2019, del primo Food Coop dell’isola, terzo in Italia dopo quelli nascenti a Bologna e Parma. L’obiettivo è la costituzione di una cooperativa nella quale i soci possano approvvigionarsi con prodotti di qualità, provenienti da filiere etiche, a prezzi sostenibili. Tiziana, una degli Agenti del Cambiamento promotori dell’iniziativa, ci spiega come aderirvi. Avete presente “Food Coop”, il documentario di Tom Boothe che parla di The Park Slope, il primo supermercato collaborativo del mondo, nato a New York negli anni ’70 e che oggi conta più di 17mila soci attivi? Beh, vedetelo e forse verrà anche a voi la voglia di fare, sul vostro territorio, quello che sta facendo Tiziana insieme agli altri membri di Sardegna che Cambia.

Tiziana, come nasce l’idea di una Food Coop Cagliari?

Nel dicembre 2017, durante una delle periodiche riunioni degli Agenti del Cambiamento sardi, decidiamo di organizzare una proiezione del documentario Food Coop. Prima ancora di vederlo, raccogliamo informazioni sul progetto Camilla di Bologna, e cominciano a balenarci le prime idee. E così, nel marzo 2018, al cinema Greenwich di Cagliari, chiediamo al pubblico presente alla proiezione del film se a qualcuno andava di impegnarsi per realizzare qualcosa di simile in Sardegna.

Risultato?
Una cinquantina di persone fra il pubblico ha aderito entusiasta. E così abbiamo formato un gruppo di promotori.

Non siete gli unici a essere stati ispirati dal film.

Da New York è partito un vero e proprio contagio che è arrivato anche in Europa. Tra i progetti più significativi ci sono La Louve a Parigi, nato proprio su iniziative del regista del documentario, e Bees Coop a Bruxelles. In Italia, oltre a Camilla a Bologna, di imminente apertura, sta nascendo anche Oltrefood Coop a Parma.

Ci spieghi il progetto in breve?

Vogliamo creare una comunità locale di consumo critico. L’obiettivo principale è quello di costituire una cooperativa i cui soci, dietro sottoscrizione di una quota associativa e dell’offerta di qualche ora di volontariato al mese, possano approvvigionarsi con prodotti di qualità, da loro stessi selezionati, provenienti da filiere etiche e sostenibili, a prezzi contenuti.foodcoop-sardegna-1.jpg

Una sessione di lavoro di Sardegna che Cambia

Come si può distribuire cibo in gran parte biologico e a km zero e tenere anche bassi i prezzi?
Da un lato eliminando l’intermediazione della Grande Distribuzione Organizzata, ossia rapportandosi direttamente con i produttori, che quindi vengono selezionati, insieme ai prodotti da vendere, dagli stessi soci della cooperativa.

Un po’ come accade per i GAS-Gruppi di Acquisto Solidali?

Sì, ma con una novità. Dall’altro lato, infatti, si aprono supermercati “collaborativi”, nei quali i clienti sono anche proprietari e lavoratori. Con questa formula, nella quale i soci della cooperativa lavorano per 3 ore al mese nel punto vendita, i costi sono abbattuti fino al 40%. Un risparmio che viene diviso tra il prezzo di vendita al consumatore e la remunerazione del produttore. Quest’ultimo aspetto è di fondamentale importanza: quando la remunerazione del lavoro è equa, il produttore è incentivato a insistere col biologico, l’agricoltura contadina e le lavorazioni tradizionali, e ad evitare di dover ricorrere allo sfruttamento della GDO pur di dare uno sbocco alla propria produzione. È come dare valore, col nostro lavoro, anche al lavoro degli altri membri della filiera.

Una bella soddisfazione.

E ti dirò di più. Non è solo una questione di prezzi convenienti, di giusta remunerazione del lavoro dei produttori, di valorizzazione delle produzioni locali. La soddisfazione più grande è psicologica. È il senso di responsabilità che ciascuno sviluppa nei confronti della propria comunità, la sensazione di lavorare attivamente per la transizione verso una società più equa, sostenibile e solidale. Non è un caso che il focus gestionale del progetto riguarderà le scelte di consumo responsabile e la sperimentazione di modelli di autogestione, di cooperazione e solidarietà tra le persone, di attenzione all’ambiente e di valorizzazione del territorio.

Mi pare un’esperienza altamente formativa per coloro che vi partecipano.

Assolutamente sì. Non a caso tra gli obiettivi complementari c’è anche quello di fornire strumenti di riflessione sulla società contemporanea. Quando apri un emporio in cui rifiuti di vendere prodotti provenienti dall’agricoltura industriale o che utilizzino sostanze chimiche di sintesi, in cui favorisci l’agricoltura naturale, in cui riduci al minimo gli imballaggi, in cui vieti l’uso di plastica usa e getta, in cui permetti l’utilizzo delle monete complementari non c’è dubbio che stai facendo formazione.

Un vero e proprio centro di promozione cuturale.

E anche di intrattenimento, visto che prevediamo di utilizzare gli spazi anche per attività sociali. Oltre al punto vendita, infatti, il progetto prevede l’attivazione di un repair point, una banca del tempo, uno spazio destinato a laboratori proiezioni, presentazioni, seminari, ecc. Insomma, un vero e proprio centro polifunzionale in grado di offrire un’ampia gamma di servizi e attività complementari con ricadute sia sulla comunità locale che sulla compagine. Sai, il progetto è economicamente sostenibile solo se raggiunge un certo numero di soci.foodcoop-sardegna-2

Una riunione del progetto Food Coop

Parliamo dei soci, appunto.

Per il momento siamo un gruppo di persone, perlopiù Agenti del Cambiamento, provenienti da realtà ed esperienze diverse. I promotori della proiezione di marzo sono state, oltre a Sardegna che Cambia, anche le associazioni Re.Coh, che sta realizzando un co-housing in Sardegna, e Terre Colte, che si occupa di incentivare il riuso delle terre incolte, l’auto produzione alimentare e il consumo critico. Al progetto di Food Coop – il nome è ancora generico ma stiamo per lanciare un concorso di idee interno per individuare quello definitivo – collaborano attivamente 12 persone, e altre seguono i lavori del gruppo tramite una chat dedicata, pronte ad entrare nella squadra appena riusciranno ad organizzarsi con i propri impegni. Il numero è per ora sufficiente per la fase iniziale di studio, ma presto ci saranno da sviluppare altri aspetti del progetto. Per questo abbiamo deciso di aprire il gruppo all’esterno e accogliere chiunque sia interessato a dare il proprio contributo, mettendo a disposizione il proprio tempo e/o le proprie competenze.

Quali sono i prossimi passi? E cosa dovrebbero fare gli interessati?

Abbiamo attivato una pagina facebook dedicata e l’indirizzo email foodcoopcagliari@gmail.com. Ma il 31 maggio, alla Cineteca Sarda, ci sarà un’altra proiezione del documentario Food Coop. Quello sarà il momento ideale per conoscersi e per organizzare le prossime tappe. Fra queste, lo studio di possibili linee di finanziamento pubblico e la ricerca di una sede. Esperti di bandi pubblici, tecnici e figure professionali più classiche, come commercialisti e avvocati, sono benvenuti assieme a tutti coloro che hanno voglia di dare un contributo di qualsiasi genere. Il nostro obiettivo è di essere operativi entro la fine del 2019.FOOD-COOP-31-MAGGIO

Cosa consigli a chi volesse attivare un Food Coop in altre città?

Di seguire il percorso che hanno fatto tutti i progetti in via di realizzazione. Organizzare una proiezione del film tramite la piattaforma di distribuzione cinematografica indipendente Movieday, raccogliere adesioni e contattare le altre Food Coop già attive o in via di apertura. Noi, per esempio, siamo in contatto con La Louve di Parigi e Camilla di Bologna, che ci stanno dando una grossa mano.

Aggiornateci, mi raccomando. E in bocca al lupo.

Senz’altro. Viva il lupo!

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2018/05/food-coop-sardegna-supermercato-etico-autogestito/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni

Acanta, quando la finanza è vicina alle persone

Acanta è la Mag della Sardegna. Fondata nel 2012, è stata rilanciata lo scorso anno ed è in fase di grande sviluppo e crescita. Tramite la Mutua Auto gestione e con principi di vera cooperazione, si pone l’obiettivo di raccogliere capitale sociale tra i soci con la finalità di finanziare dei microcrediti che vadano aiutare i soci stessi nella creazione di imprese di piccole o medie dimensioni. Imprese che devono essere etiche e sostenibili, valutate sulle idee d’impresa e non solo sulle garanzie.

Acanta in sardo vuol dire “vicino”: un nome che rivela l’essenza della storia che vi andiamo a raccontare. Acanta è la Mag della Sardegna, nata nel 2012 dallo stimolo di dieci persone e che oggi conta un centinaio di soci e cinquanta imprese aderenti alla sua Rete per l’Economia circolare. Ma facciamo un passo indietro perché sicuramente vi starete chiedendo: ma che cos’è una Mag?

Chi ha buona memoria, si ricorderà che ve ne avevamo già parlato agli albori del nostro progetto: Mag sta per Mutua Auto Gestione e si tratta di una società cooperativa che, raccogliendo il capitale tra i soci a livello territoriale, si pone l’obiettivo di finanziare dei microcrediti che vadano ad aiutare i soci stessi nella creazione di piccole o medie imprese. Una Mag è differente da una semplice banca per una serie di ragioni oltre al finanziamento interno ai soli soci in base al capitale raccolto. Un altro aspetto importante riguarda il criterio con la quale i progetti sono finanziati: viene naturalmente valutata la sostenibilità economica e finanziaria dell’idea di impresa che vuole accedere ad un credito, ma i progetti che vengono finanziati devono essere etici e sostenibili, rispettando il valore della persona, l’ambiente e il territorio. Inoltre il concetto di “bancabilità” è relativo: un soggetto sprovvisto di garanzie economiche adeguate, nel caso detenesse un’idea valutata come sostenibile sia economicamente che eticamente, ha la possibilità di avere accesso al credito necessario per avviare parte della sua impresa ad un basso tasso di interesse e con tempi di rientro che possono anche essere prolungati fino a sette anni.22687983_1858873944333135_256759556965425197_n

Acanta: la Mag sarda e il suo funzionamento

Fabrizio Palazzari è il direttore di Acanta, la Mag della Sardegna. Dopo dodici anni in giro per il mondo per varie e gratificanti esperienze professionali, ha deciso di tornare nella sua (amatissima) terra e di dedicarsi part-time al progetto di rilancio di Acanta, che nell’ultimo anno si è notevolmente accelerato: “La missione di Acanta in Sardegna è quella di dare un contributo forte ad un autentico sviluppo dal basso dell’economia dell’isola che sia etico e sostenibile” ci racconta Fabrizio “e in questi primi mesi operativi abbiamo già portato i soci a cento e abbiamo già cinquanta imprese aderenti alla Rete per l’Economia Circolare, una rete di scambio mutualistico dove l’impresa riconosce un prezzo agevolato ai soci Acanta, il che permette di avvicinare per la prima volta alla finanza mutualistica soggetti che solitamente non la conoscono. Per diventare socio di Acanta è sufficiente sottoscrivere una quota di capitale sociale: la quota minima è di cento euro. A fronte di questo riconoscimento, una persona può fare domanda di adesione e diventare socio della cooperativa. Dopo essere diventati soci, si può decidere di voler accedere a tutti i servizi che la MAG offre: servizi di formazione, informazione, spin-off e appunto di rete di economia circolare”. Infatti una delle particolarità di Acanta come Mag è proprio la sua forte vocazione alla formazione: non avendo ancora i requisiti di legge per diventare un operatore di finanza mutualistica e solidale (la legge prevede un capitale minimo di duecentocinquantamila euro per essere riconosciuti tali, ed è obiettivo di Acanta raggiungerlo entro il 2019, ndr), Acanta cerca in questa fase di start-up di formare, fornendo servizi di informazione e formazione per innalzare le loro competenze manageriali e imprenditoriali dei soci. Per far questo, i soci aderenti devono solamente sottoscrivere una carta, la Acanta card, al costo di cinquanta euro l’anno. C’è inoltre un altro aspetto centrale in Acanta: grazie ad alcuni accordi raggiunti con alcuni istituti bancari sardi, “portiamo il nostro socio a trasformare la sua idea in un modello di business, poi lo aiutiamo a redigere un business plan sostenibile, lo accompagniamo dalla banca e lo mettiamo in condizione di far valutare la sua istruttoria positivamente. Noi lo sosteniamo dunque fino alla fine, standogli vicino.” La partecipazione dei soci al programma dei servizi è molto importante per Acanta: “Per noi è importante perché la card è la fonte più importante di ricavi e con essa copriamo i nostri costi operativi gestionali, che permettono di aiutare i soci nell’accesso al microcredito con due eventi mensili dedicati alla formazione”.23559852_1869110363309493_3273636212444449815_n

Il principio della Mutua Autogestione e la democrazia d’impresa

Abbiamo affrontato finora l’aspetto della Mutua Autogestione riguardante il credito: se una Mag raggiunge una cifra di capitale sociale minima, dopo le valutazioni economiche e sociali eroga dei finanziamenti ai soci richiedenti: in caso contrario, decide come fa Acanta di aiutare i propri soci nella formazione manageriale e imprenditoriali al fine di renderli idonei al microcredito bancario classico. C’è però un altro principio di Mutua Autogestione che riguarda la valutazione dei progetti prima accennata: “i soci che noi formiamo diventato poi anche i valutatori sociali e ambientali dei progetti presi in esame: l’autogestione non è limitata dunque auspicabilmente alla sola raccolta del capitale, ma anche alla valutazione dei progetti stessi che viene effettuata dagli stessi soci”. Acanta inoltre è una cooperativa che si basa, come da caratteristica delle Mag, sul principio della democrazia d’impresa: vale infatti nell’Assemblea dei Soci il principio del voto capitario, nel quale un socio è titolare di un singolo voto indipendentemente dal capitale versato. Uno vale uno, per dirla in breve. Un altro aspetto fondamentale in Acanta è il ruolo dell’assemblea soci, che decide l’indirizzo strategico e le priorità della cooperativa. In Acanta è stato deciso e valutato come prioritario il recupero del rapporto tra città e campagna in Sardegna, oltre alla valorizzazione dei mestieri tradizionali con l’aggiunta di innovazioni di processo e prodotto (così come competenze di management e marketing), rispettando l’essenza dell’artigianato locale.26907838_1895803797306816_3592927644246287107_n

I prossimi obiettivi di Acanta

“Per quanto riguarda gli obiettivi futuri, stiamo cercando di innovare il modello mentre lo stiamo realizzando; stiamo attivando dei processi di cambiamento dove noi stessi diventiamo i fruitori di questi feedback. L’obiettivo più importante è raggiungere entro ottobre 2019 il capitale sociale di duecentocinquanta mila euro che ci occorrerà per essere riconosciuti come operatori di finanza mutualistica e solidale. Inoltre vorremmo ampliare la base sociale ad almeno cinquecento soci e contestualmente ampliare la rete di scambio mutualistico tra imprese e gli stessi soci”.

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2018/01/io-faccio-cosi-196-acanta-finanza-vicina-persone/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni

 

Ciclovia della Sardegna, firmato protocollo d’intesa per la progettazione e la realizzazione dell’infrastruttura

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Il ministro Franceschini ha firmato un protocollo d’intesa con Regione e Ministero dei Trasporti . Due le direttrici: una da Alghero a Cagliari lungo il versante occidentale, l’altra da Santa Teresa di Gallura al capoluogo lungo quello orientale.

Diventa realtà la Ciclovia della Sardegna. Il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, Dario Franceschini, ha firmato un protocollo d’intesa con la Regione e il Ministero dei Trasporti per la progettazione e la realizzazione dell’infrastruttura cicloturistica che darà nuovo impulso al turismo sostenibile nell’Isola. Due le direttrici: una da Alghero a Cagliari lungo il versante occidentale, l’altra da Santa Teresa di Gallura al capoluogo sardo lungo quello orientale. Due anche gli itinerari trasversali: da Porto Torres a Santa Teresa attraverso la costa settentrionale, da Dorgali a Macomer attraverso Nuoro. Mibact e Mit collaboreranno con i propri organi territoriali alla tutela e alla valorizzazione del patrimonio culturale. Il Mibact poi dovrà verificare che il progetto isolano sia tra quelli individuati dal Piano strategico per il turismo, dovrà promuovere la Ciclovia della Sardegna attraverso l’Enti e mettere in relazione il tracciato con le banche dati inerenti il patrimonio tutelato attraversato dal percorso tramite il portale HUB-Geo-Culturale del ministero.

“Le ciclovie – spiega Franceschini – sono determinate per dare vita a un modello di sviluppo sostenibile e diffuso capace di governare la crescita dei flussi turistici. Non a caso il primo obiettivo del piano strategico del turismo è investire su nuovi percorsi in grado di attrarre quel turismo di qualità che contribuisce al benessere economico e sociale del territorio”.

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La ciclovia della Sardegna si inserisce nel progetto delle sei nuove ciclovie previste dalla legge di stabilità 2017 e dalla manovra di aprile. Per tre di queste sono già stati firmati i protocolli d’intesa tra Ministero dei trasporti, Ministero dei beni culturali e Regioni: si tratta della ciclovia del Garda, dellla ciclovia della Magna Grecia e della ciclovia della Sardegna appunto. I protocolli delle restanti – la ciclovia Tirrenica, quella Adriatica e la Trieste-Lignano Sabbiadoro-Venezia – verranno firmati entro l’anno. Quello delle ciclovie costituisce un “sistema economico che vale per l’Italia circa 3,2 miliardi di euro”, ha dichiarato qualche settimana fa il ministro dei trasporti e infrastrutture Graziano Delrio. “Penso che nell’arco di pochi anni, a differenza dei tempi più lunghi che occorrono per le strade, possiamo mettere in piedi un sistema senza precedenti. La rete nazionale delle ciclovie turistiche, inserite nella programmazione delle Regioni e nell’allegato del Mit al Def come vere e proprie infrastrutture di ‘serie A’, sta prendendo forma nelle realtà e nella consapevolezza collettiva, con già 4 progettazioni in corso e 3 in partenza con questa firma. Una mobilità lenta, in grado di integrarsi con altre modalità come il treno o le navi, per godere nel modo migliore del BelPaese”.

Nello specifico, la ciclovia del Garda consiste in un itinerario ad anello di 140 km lungo le sponde del lago di Garda e interessa il territorio della provincia autonoma di Trento e delle regioni del Veneto e della Lombardia; quella della Magna Grecia ha una estensione di circa 1.000 km ed abbraccia i territori delle Regioni Basilicata, Calabria e Siciliana. Le quattro ciclovie della stabilità 2016 (ciclovia del Sole, Ven-To, Acquedotto Pugliese e Grab) sono ora allo step successivo, quello della progettazione. Per la realizzazione del sistema nazionale di ciclovie turistiche sono stati stanziati per il triennio 2016/2018 89 milioni di euro per le quattro ciclovie prioritarie previste al comma 640 della Legge di Stabilità 2016 mentre, le ulteriori risorse previste dalla legge di bilancio 2017 pari a 283 milioni di euro andranno a finanziare la realizzazione di quelle ciclovie che verranno individuate dal Mit nel periodo 2017/2024.

Fonte: ecodallecitta.it