“Legno vivo – Xylella, oltre il batterio” è il titolo del film-documentario autoprodotto da un team di quattro professionisti della comunicazione, Elena Tioli, Francesca Della Giovampaola, Filippo Bellantoni e Simone Cannone. Che hanno indagato cosa c’è dietro l’affaire xylella…
“Legno vivo – Xylella, oltre il batterio” è il titolo del film-documentario autoprodotto da un team di quattro professionisti della comunicazione, Elena Tioli, Francesca Della Giovampaola, Filippo Bellantoni e Simone Cannone. Che hanno indagato cosa c’è dietro l’affaire xylella…Alla prima nazionale tenutasi alla Camera era presente anche l’oncologa Patrizia Gentilini, membro dell’associazione Isde-Medici per l’Ambiente, che ha elogiato il lavoro di indagine e documentazione.
«Se i monitoraggi ufficiali della regione Puglia segnalano solo un 2% di olivi positivi a Xylella e, tra gli alberi disseccati, non più del 10% di presenza del batterio, di cosa stanno morendo le altre piante? Come possiamo salvare questi monumenti della natura? E cosa rischiamo perdendoli? A queste e ad altre hanno voluto rispondere gli autori, con un documentario che va ben oltre la questione fitopatologa, come più volte è stato denunciato anche dalla sottoscritta e da Isde – Associazione medici per l’ambiente» dice e scrive la dottoressa Gentilini.
«La vicenda della Xylella, su cui a più riprese sono intervenuta, presenta infatti diverse lacune e ambiguità per cui ha attirato fin dall’inizio l’attenzione dell’Isde. Le “cure” proposte – ad esempio l’obbligo previsto dal decreto Martina prima e Centinaio poi, di utilizzo di pesticidi tossici e pericolosi al fine di eliminare l’insetto vettore della Xylella – ci sono immediatamente apparse “una cura peggiore del male”, tanto più in assenza di una qualunque evidenza scientifica circa la loro efficacia» prosegue l’oncologa che ha dedicato al film-documentario un suo intervento nel blog che cura sul Il Fatto Quotidiano.
«Il documentario non è solo bellissimo e coinvolgente, ma è anche una testimonianza preziosa di quanto sta accadendo a livello agricolo, economico, sociale, ambientale e sanitario in quella regione. Le immagini esclusive valgono più di mille parole. Il documentario parte dal Salento per arrivare in Almeria e si snoda attraverso interviste a professori, scienziati, agricoltori, giornalisti, costituzionalisti ed eminenti studiosi come Stefano Mancuso, neurobiologo vegetale, che si chiede come è possibile che piante, anche millenarie, che hanno attraversato ogni tipo di avversità, si trovino oggi in questa situazione, in cui noi stessi rischiamo di trovarci se non invertiamo immediatamente la rotta – prosegue Gentilini – E ancora: il professore emerito di Microbiologia dell’Università di Pisa, Marco Nuti, che afferma che la Xylella è endemica e che l’unica risposta è la convivenza con il batterio, così come già sta succedendo in Toscana, Francia, Corsica e Spagna, dove, malgrado la presenza del batterio, gli abbattimenti non avvengono».
«Il professore Nuti, a margine della proiezione, ha anche illustrato gli ultimi studi scientifici sulla correlazione tra microbioma terrestre, salute delle piante e salute umana. La terra è viva e dal suo stato di salute dipende la vita che in essa sorge. L’importanza della componente biologica per la fertilità dei terreni è ormai scientificamente assodata. Da essa, secondo Nuti, dipende la capacità delle piante di reperire nutrimenti, acqua e energie necessarie per prosperare e difendersi dalle sempre più gravi criticità climatiche e da vecchi e nuovi agenti patogeni, compresa Xylella fastidiosa».
«Non tutti condividono. Nel documentario viene dato anche spazio a chi afferma che per “la Xylella non c’è cura” e a chi vede negli abbattimenti l’unica soluzione – scrive ancora Gentilini – E poi ai diretti interessati: da un lato gli olivicoltori che difendono i propri olivi che curati e potati con metodi tradizionali continuano a dare un ottimo raccolto, dall’altro a quelli che in piazza sui loro trattori protestano chiedendo sussidi e invocando gli stessi aiuti economici dati in Spagna. Ma cosa è successo nel sud della Spagna, dove già da anni si è imposto il modello dell’agricoltura industriale e si sono espiantati olivi secolari per fare impianti intensivi? Nella provincia di Almeria, dove il modello agricolo che oggi si sta imponendo alla Puglia ha già preso piede dagli anni 90, l’agricoltura tradizionale è stata soppiantata da quella industriale e in soli 25 anni il paesaggio è cambiato drasticamente, così come la vita di chi abita quei luoghi: falde acquifere prosciugate; fiumi che fino al 2000 portavano 90 litri di acqua al secondo, oggi non arrivano a 4; pozzi da cui non si tira su neanche una goccia di acqua; suoli sempre più sterili e devastati da fitofarmaci e fertilizzanti; emigrazione altissima e paesi abbandonati; terre svendute a due lire; acqua desalinizzata dai rubinetti delle abitazioni; campagne vuote, di uomini e di animali; ulivi resi improduttivi dalla potatura meccanizzata dopo neanche 10 anni anni dalla messa a dimora. Il sistema agricolo è stato stravolto e i paesi sono stati abbandonati. Qui oggi l’acqua è il nuovo oro».
«È questo il futuro della Puglia? Perché tanta fretta di espiantare e addirittura incendiare, come testimoniato nel film, piante sane, tracimanti di olive, oppure alberi che, attraverso buone pratiche agricole e nuove sperimentazioni scientifiche, stavano riprendendosi dal disseccamento, quasi fossero scomodi testimoni del fatto che la natura – se si smette di violentarla – è in grado di riprendersi? – prosegue ancora l’oncologa di Isde – Spero che questo documentario venga visto e incontri il successo che merita, perché è anche un invito a guardare oltre il problema locale e a riflettere sull’etica attuale. Nell’antica Grecia era prevista la morte per chi abbatteva un ulivo. Oggi invece i rischi li corre chi cerca di salvarli».
Si è conclusa qualche giorno fa con
l’archiviazione dei dieci indagati l’inchiesta della procura di Lecce sul caso
Xylella. Eppure sono molti gli aspetti ancora da chiarire circa il batterio
incriminato per il disseccamento degli ulivi del Salento. Sebbene ci siano
pareri discordanti circa le cause del fenomeno e l’entità dell’emergenza, non è
stato previsto dal Governo nessun intervento curativo ma solo l’eradicazione di
piante secolari o addirittura millenarie. Una misura che cambierebbe per sempre
il volto della Puglia. Perché non prendere in considerazione un altro
approccio?
Il CoDiRO (Complesso
Disseccamento Rapido dell’Olivo) in Puglia porta con sé perplessità e
contraddizioni da ogni punto di vista si voglia guardare il problema. Scontri
tra enti, produttori, ricercatori, politici e società civile stanno
caratterizzando il processo in atto dal 2013. Anche la recente sentenza della
procura di Lecce fa emergere un quadro allarmante di come si è affrontato il
problema. Ma partiamo dalla fine.
L’inchiesta leccese
L’inchiesta della
Procura di Lecce sul caso Xylella degli ulivi salentini si chiude con
l’archiviazione dei 10 indagati tra ricercatori dell’Ipsp-Cnr di Bari,
dell’allora commissario per l’emergenza Silletti, generale della Forestale,
dirigenti dell’Osservatorio Fitosanitario della Puglia, dirigenti di centri di
Ricerca e un docente dell’Università di Bari. Non è stato provato un nesso
causale tra le condotte degli indagati e la diffusione del batterio. Sono
state però accertate condotte con “molteplici aspetti di irregolarità,
pressappochismo, negligenza”, scrive il Gip e ancora definisce i comportamenti
di “Incredibile sciatteria da mettere in seri dubbi anche gli accertamenti in
campo su cui poi si sono basate le conclusioni degli enti coinvolti”; “di
omertà insuperabili e insuperate”; “un’imbarazzante attenzione ai riflessi
della notorietà sul piano scientifico e alle prospettive economiche della
gestione del fenomeno, avvenuta in regime di sostanziale monopolio”.
In una mail del 2014 il ricercatore Donato Boscia scrive alla collega Maria
Saponari: “Non banalizziamo la prova, se usiamo la Coratina [una varietà di
ulivo] la infettiamo con la (Xylella, ndr) fastidiosa, la osserviamo
asintomatica per uno, due, tre …quindici anni. Poi quando Martelli sarà morto,
Savino forse, io non so, la professoressa avrà avuto una crisi isterica perché
non ci ha guadagnato nulla in tutti i sensi, tu avrai la mia età e pubblicherai
che (Xylella, ndr) non è patogenica (ma questo lo sappiamo già): embé?”. Resta
l’accusa di falso che passa alla Procura di Bari.
Il quadro descritto
lascia sgomenti. Non c’è certezza se il batterio incriminato sia endemico o
importato, se sia la causa del disseccamento, quali siano le varietà realmente
resistenti, né se le manovre di ricerca e monitoraggio finora decise siano
state opportunamente svolte.
Vi sono inoltre
dubbi sulla fattibilità tecnica, sulle prove di efficacia e sostenibilità del
Piano Silletti che ha imposto a proprietari di ulivi e amministrazioni comunali
l’espianto degli alberi, malati e non. Su quali basi tecniche e
scientifiche si è scelto l’abbattimento della popolazione del presunto vettore
“sputacchina” a mezzo dell’irrorazione di pesticidi, da ripetere più volte
nell’anno e a tempo indefinito? Eppure l’EFSA , l’Autorità Europea per la
Sicurezza Alimentare, ha più volte documentato l’impossibilità di eradicare la
Xylella una volta entrata in campo aperto: quando il batterio penetra in un
territorio e vi si insedia, la sua eradicazione non è più possibile.
Dichiarazioni fatte anche dal professor Purcell che è uno dei maggiori esperti
mondiali sulla Xylella.
La scienza
ufficiale, i protocolli e i finanziamenti
Gli enti europei
che hanno accolto gli studi dei ricercatori di Bari e che hanno investito e
promosso politiche sulla questione Xylella si sono basati sulle
informazioni del CNR di Bari, quindi gli esiti finali della ricerca rimangono
sempre gli stessi e la ricerca chiusa. Anche se questi esiti non sono mai
apparsi su riviste scientifiche internazionali, come accade normalmente per le
pubblicazioni scientifiche, hanno costituito il fondamento per tutti i decreti,
le azioni politiche e i finanziamenti per la ricerca e per gli espianti. Lascia
perplessi proprio questo aspetto di monopolio scientifico dei ricercatori di
Bari, degli unici laboratori accreditati e dei decreti dell’ex ministro
Martina e dell’attuale ministro dell’Agricoltura Centinaio con cui si ostruisce
la via ad un pluralismo scientifico, ad una più ampia collaborazione
scientifica. Quindi la scienza “ufficiale”, enti nazionali ed europei,
associazioni di categoria non hanno dubbi: il problema è la Xylella e vanno
abbattuti gli alberi e reimpiantate le 2 varietà resistenti, le cui
certificazioni sono basate sul parere degli stessi enti indagati dalla procura
di Lecce. Così si è deciso che il Leccino e l’F17, quest’ultimo brevettato
appunto dal Isps-Cnr con enormi ricadute economiche, siano le uniche varietà
permesse per accedere ai protocolli. Già l’Unione Europea ha investito 30
milioni di euro per 2 progetti di ricerca entrambi coordinati dall’Ipsp, senza
bando. E solo 3 vivai (in Sicilia, Puglia e Umbria) hanno la licenza per
coltivarli e venderli. (Il fatto quotidiano 24/01/2019).
Molte aziende agricole, grazie alla pioggia di finanziamenti in arrivo, si
adeguano alle direttive ufficiali, così anche la Coldiretti. Le due varietà
sono adatte alle coltivazioni super-intensive e meccanizzate con ciclo di vita
di 12/15 anni; ci sono protocolli già pronti, anche per l’uso di fitofarmaci ed
erbicidi e per altre sperimentazioni chimiche e batteriologiche. Grazie agli
aiuti economici europei, le aziende intravedono un futuro assistito, più
sicuro. A Gennaio il ministro per l’agricoltura Centinaio ha stanziato 100
milioni per l’espianto di massa degli ulivi infetti, per poi reimpiantare le 2
varietà selezionate nei 23.000 ettari della provincia di Lecce, piantine di 1
metro che in 5 anni entreranno in produzione. Chi si oppone all’espianto
rischia 5 anni di carcere.
L’emergenza
Ma vediamo quale è l’entità delle piante infette. I dati ufficiali disponibili
forniti dalla Regione Puglia su 450.000 piante campionate, solo il 2% risulta
infetto dal batterio Xylella fastidiosa e non tutte si disseccano. A
Melendugno, in piena zona infetta, quando nell’aprile 2018 la Trans Adriatic
Pipeline (TAP) per la costruzione del gasdotto ha chiesto alla Regione Puglia l’autorizzazione
allo spostamento di piante di olivo, è emerso che su 450 solo 3 erano
positive al batterio, lo 0,7%. Dallo stesso Piano Xylella risulta che
all’analisi sono state individuate il 2% di piante infette nella zona di
contenimento e 0,1 % nella zona cuscinetto.
“La xylella non
sembra avere numeri superiori ad una qualsiasi batteriosi vegetale con cui gli
ulivi ben trattati hanno imparato a convivere nei secoli – ripetono i
ricercatori indipendenti e – bisognerebbe sapere quante di queste piante
infette siano veramente malate”.
Tanto è vero che
nella classificazione della EPPO, organizzazione intergovernativa che si occupa
di protezione delle piante in area euromediterranea, la Xylella è stata
declassata nella lista A2, quindi catalogata tra gli organismi da quarantena
ormai endemici, sebbene non largamente diffusi, e considerati sotto controllo.
La situazione risulta ambigua: migliaia di piante malate che non hanno la
Xylella e ancora più piante che hanno la Xylella ma che non sono malate, di
solito attorno agli alberi malati. Il piano finanziato dal
ministro Centinaio non prevede il ricorso a trattamenti curativi, solo
espianti. Invece
la Regione Puglia dal 2015 sta investendo negli agricoltori che studiano rimedi
per il disseccamento. Queste le richieste da parte dei salentini: perché se
cento ulivi guariscono, essi non possono essere l’oggetto di uno studio
scientifico approfondito prima che due milioni di alberi della Puglia vengano
distrutti e che il volto della Regione cambi per sempre?
L’approccio
agro-ecologico
La diffusione del
CoDiRO (il disseccamento) ha una serie di concause: i suoli analizzati
hanno meno dell’1% di materia organica: humus ridottissimo cioè la terra è
ormai inerte. Proprio la provincia Leccese è quella in cui si è fatto il
maggior uso di diserbanti che hanno impoverito e inquinato il terreno. Altre
concause possibili: le potature che “capitozzano” la chioma, la grande
uniformità delle varietà coltivate, la monocoltura e la trascuratezza di
imprenditori agricoli o contadini che hanno mal gestito i propri appezzamenti. Leggiamo
in questo approfondito documento a cura di Massimiliano Bianco, ricercatore
dell’Ispra e dirigente di European Consumers, che “pur riconoscendo la gravità del contesto, anche
gli oliveti salentini, se ben gestiti, possono guarire e che quelli
gestiti in modo biologico stanno già meglio di quelli convenzionali adiacenti.
Considerano del tutto irrazionali, dannose e inutili le misure draconiane, di
sradicamento e avvelenamento diffuso e propongono accorgimenti mirati, naturali
ed ecocompatibili. Le misure agro-ecologiche mirano a rendere possibile, e non
sintomatica, la coesistenza con il batterio, tramite il rafforzamento
delle capacità di autodifesa biologica degli ulivi e di altre specie vegetali,
da ottenersi con le buone pratiche agronomiche generali sulle piante, con la
rigenerazione della fertilità naturale organica e microbiologica del suolo e
con l’uso, quando necessario e con le opportune dosi, sia del rame, dello zolfo
o altri minerali da contatto, che di oligoelementi per nutrizione fogliare”.
Esperienze Positive
nella cura degli ulivi ammalati
Cominciano ad
accumularsi evidenze osservazionali e scientifiche di risultati positivi, sotto
il profilo della netta ripresa vegeto-produttiva di ulivi malati o
perfino ischeletriti e dati per morti, di prove sperimentali in campo condotte
da vari gruppi di ricerca e perfino da singoli olivicoltori. (Prof. Lopes e
Prof.sa Carlucci, in collaborazione con COPAGRI, ecc.). Nel territorio di Seclì
(Lecce), Giorgio Greco, piccolo proprietario, ha da tempo avviato una “cura”
degli alberi a base di Potatura, Arieggiamento, Cenere ed Erba (il metodo
“PACE”). Dopo 6 anni dalla rilevazione dell’infezione i suoi alberi “infetti” resistono
al disseccamento rapido dell’Olivo, pur appartenendo alle varietà sensibili
Cellina di Nardò ed Ogliarola Leccese. Le piante hanno ricominciato a vegetare
già con la potatura, eliminando il secco, evitando di fare tagli drastici,
trattando le ferite con solfato di rame. Si è trattato il terreno sovesciando i
mugnuli sulle ferite della potatura con solfato di rame; tronchi e branche
principali sono state disinfettate con solfato di ferro, pure usato in
agricoltura biologica, la chioma con biofertilizzante. 450 alberi di Giuseppe
Coppola, proprietario di un oliveto in contrada Santo Stefano, tra Alezio e
Gallipoli, molti dei quali secolari, sono tornati a germogliare dopo un
anno di cure tradizionali e biologiche. Altre attività sono proposte da
Federbio in questo documento che descrive le proprie proposte; le aziende
biologiche hanno visto mettere in pericolo le proprie coltivazioni per
l’imposizione dell’uso massiccio di fitofarmaci ed erbicidi non permessi
nel biologico. Buoni risultati ha la cura Scortichini, dirigente al
Consiglio per l’Agricoltura (Crea): un aerosol di zinco, rame e acido citrico
che penetra nel sistema vascolare dell’ulivo, qui la pubblicazione scientifica.
Ivano Gioffreda,
Presidente dell’Associazione Spazi Popolari e agricoltore, porta avanti da
qualche anno una sperimentazione su circa 100 ulivi che presentavano segno di
disseccamento e che sono stati interamente salvati: gli alberi sono floridi,
vivi, stanno benissimo: “Perché la scienza non ha voluto approfondire le cure
degli alberi come abbiamo fatto noi ed altre associazioni che stanno portando
avanti la sperimentazione con l’aiuto di centri scientifici? Si sarebbe
potuto fare su larga scala”.
Altre esperienze
sono raccontate nel sito di Elena Tioli da tempo impegnata nel raccontare e promuovere
esperienze realmente sostenibili. Grazie a lei e all’incontro con altre realtà
come Il bosco di Ogigia e altri giornalisti è in lavorazione un documentario
sulla situazione pugliese: Xylella Favolosa. Qui il sito per vedere l’anteprima
e partecipare alla raccolta fondi. Sembrano quasi fuori dal tempo le diffamazioni
dirette a chi sperimenta metodi di cura alternativi a quelli ufficiali:
santoni, antiscientifici. Emerge una visione obsoleta della biologia che la
mentalità scientifica riduzionista non ha ancora superato: la ricerca solo del
singolo agente causale (il batterio), dai risvolti economicamente vantaggiosi,
ignorando che agiamo in un sistema complesso, dove processi di autoregolazione,
adattamento e integrazione richiedono strumenti di valutazione sistemica. Le
industrie della chimica, dei brevetti e delle biotecnologie condizionano
pesantemente la catena di eventi anche dei singoli territori, avvicinano
facilmente una scienza “ufficiale” priva di finanziamenti pubblici e con dubbie
basi etiche, la quale chiude le porte a qualsiasi confronto; la scienza lo può
fare, non mettersi in discussione. Ormai dall’Onu alla Fao si è indicato
chiaramente che per i problemi del futuro non si può che scegliere una agricoltura
sostenibile, per l’ambiente, la salute e le economie delle comunità.
L’agricoltura intensiva basata sulla monocoltura, meccanizzata e inquinante
peggiora le condizioni di tutto il sistema e fa perdere velocemente fertilità
al suolo. La perdita di biodiversità condanna agli eventi catastrofici, frane,
epidemie, instabilità del clima.
In questo caso risulta evidente anche la responsabilità di chi non ha
saputo trattare e curare la propria terra, non ha saputo far evolvere le
proprie conoscenze e ha delegato alla consuetudine, non ha curato le risorse
che aveva a disposizione o non ha riconosciuto la propria terra come una
risorsa.
Insieme ai suoi ulivi secolari, colpiti dalla Xylella, il territorio salentino ha perso la propria identità che a quelle antiche radici era saldamente ancorata. Come fare, dunque, per recuperare il paesaggio culturale del Salento e ridare un senso ed una visione di futuro agli abitanti di questi luoghi? Nasce da questo interrogativo LandXcape, un progetto multidisciplinare di rigenerazione paesaggistica. Restituire al territorio, attraverso l’arte e la poetica narrativa dei luoghi, il senso della trasformazione del paesaggio, per riflettere insieme sulla rigenerazione dei paesaggi culturali. Nasce in un Salento duramente colpito dalla Xylella il progetto LandXcape, sostenuto dalla Regione Puglia e attuato dal Teatro Pubblico Pugliese e dall’Associazione Internazionale BJCEM – Biennale des Jeunes Créateurs de l’Europe et de la Méditerranée (la Biennale dei Giovani artisti d’Europa e del Mediterraneo). Per sapere di cosa si tratta abbiamo intervistato la coordinatrice tecnico-scientifica del progetto Simonetta Dellomonaco.
Raccontaci dell’esperienza pionieristica che state affrontando per recuperare il paesaggio duramente attaccato dalla Xylella. Cos’è LandXcape?
Quello che stiamo tentando di fare è applicare la rigenerazione paesaggistica, soprattutto nella parte del Salento colpita dalla malattia della Xylella, che sta devastando gli uliveti secolari. E non è semplice, perché in Italia non esiste ancora il tema della rigenerazione del paesaggio. A questo scopo LanXcape ha messo in opera tutta una serie di attività, a partire dall’arte contemporanea, coinvolgendo la BJCEM- La Biennale des Jeunes Créateures d’Europe et de la Méditerranée. La BJCEM ha fatto un appello internazionale all’interno del suo network, coinvolgendo 22 paesi dell’Europa e del Mediterraneo; poi ha selezionato 60 artisti fra i quasi 400 che avevano risposto all’appello. Questi 60 artisti verranno in residenza in Puglia a partire dall’8 ottobre; nelle residenze artistiche si esploreranno sei diverse discipline. Le residenze saranno collocate in sei parchi naturali, poiché i parchi attuano già delle buone prassi sul paesaggio, mettendo insieme la parte produttiva, ovvero quella turistica, e la tutela dell’ambiente e del paesaggio.
Le sei discipline artistiche saranno: narrazione, performance, video e foto, design, arti visive e land art. Ognuna di queste discipline abiterà in un parco con 10 artisti. Quindi un tutor professionista prenderà con sé 10 artisti, che lavoreranno nella residenza per 10 giorni. Nel frattempo verranno accompagnati ad intervistare gli agricoltori, i portatori d’interesse, i “custodi della memoria”, come li abbiamo chiamati, e tutti quelli che potranno trasmettere agli artisti il valore del territorio e del paesaggio culturale, della memoria e della loro identità. Abbiamo pensato ai parchi naturali come a dei ripetitori, come a delle antenne sul territorio. Gli artisti che andranno in residenza nei sei parchi del Salento creeranno le loro opere non solo nei parchi ma anche fuori da essi, coinvolgendo tutte le aree colpite dalla Xylella. Il cuore dell’intervento è quindi l’arte contemporanea, ma anche il design, la performance, la narrazione. A proposito di narrazione: tutta la parte che precede le residenze ha lo scopo di avvicinare il territorio al progetto e quindi c’è una serie di spettacoli di una rassegna teatrale per raccontare il mondo della tradizione orale, ovvero spettacoli legati alla narrazione in senso stretto. Le compagnie teatrali che vengono qui e raccontano le storie nei parchi non sono compagnie qualsiasi: sono compagnie che attuano già delle buone prassi in Italia, facendo “teatro del paesaggio”.
In cosa consiste il progetto e a chi si rivolge?
È un progetto di rigenerazione paesaggistica, in particolare dei paesaggi culturali, perché non agisce a livello fisico con delle infrastrutture, lo fa in maniera trasversale e soprattutto interdisciplinare chiamando gli artisti, il teatro, gli antropologi, i sociologi. Chiama in causa anche le buone prassi già attuate sul territorio nazionale, per poter produrre uno scambio di esperienze. Le azioni del progetto coordinate dai facilitatori sono sostanzialmente tre: la Residenza artistica attraverso il network internazionale mediterraneo, la rassegna teatrale “Il Salento racconta” – che è una rassegna di teatro e ascolto in cui prima di ogni spettacolo c’è un momento di ascolto – e poi i dialoghi sul paesaggio. Anche per i dialoghi chiamiamo degli esperti, degli interlocutori privilegiati che dialogano attorno al tema del paesaggio coinvolgendo la comunità. È un progetto che si rivolge alla comunità e al tempo stesso crea comunità attorno al tema del paesaggio. Cerca di prendersi cura della percezione degli abitanti del paesaggio sull’ambiente attaccato dalla Xylella. Vuole creare una sorta di ascolto e riflessione di comunità su questo tema.
Com’è nato il progetto? Quali sono i suoi obiettivi?
É nato da un’istanza del territorio, le associazioni di categoria e le associazioni dell’ambiente come Coldiretti, Confartigianato, Confagricoltura, etc. (sul sito c’è tutto l’elenco dei sostenitori morali del progetto). Si sono messi insieme, hanno contattato l’Assessore Regionale alla Cultura per proporgli di fare un intervento culturale sul paesaggio. Hanno bussato alle porte della cultura e quindi l’Assessorato ha detto: “Va bene, cerchiamo di aprire un filone di riflessione sulla trasformazione del paesaggio dal punto di vista culturale”. Ecco perché è diventato un progetto di rigenerazione dei paesaggi culturali. La domanda è: cosa accadrà alla gente, all’identità del territorio salentino pugliese che si attesta sugli uliveti secolari? Cioè, tutta questa gente, tutta la penisola salentina e quindi le province di Brindisi, Lecce e Taranto hanno da secoli come matrice culturale proprio l’uliveto e tutti si riconoscono come patrimonio identitario negli uliveti. Questi ultimi sono secolari e alcuni hanno addirittura un migliaio di anni. Quindi questi uliveti che adesso stanno morendo infliggono un colpo mortale all’identità culturale del territorio e degli abitanti. Ciò che stiamo cercando di fare chiamando gli artisti, i narratori, i musicisti, è ascoltare col cuore, mi verrebbe da dire, perché l’arte sa fare anche questo, e trasformare questo ascolto in una riflessione di comunità. Questo è il senso che sta alla base del progetto.
Raccontaci degli eventi in programma in questi giorni. In cosa consistono e che risposte state avendo da parte della popolazione locale e del pubblico in generale?
La serie di eventi che è cominciata il 22 settembre e si concluderà il 18 ottobre ha l’obiettivo di avvicinare gli abitanti al progetto dialogando con gli esperti: sociologi, antropologi, produttori, agenti del turismo verde, la Soprintendenza ai Beni Paesaggistici. Gli abitanti del territorio quindi ascoltano, intervengono a loro volta e parteciperanno anche alla tavola rotonda finale. Poi ci sono gli spettacoli all’interno dei parchi e quindi spesso negli uliveti stessi. Qui gli abitanti del luogo si trasformano in spettatori, vengono accolti nell’ambito naturale e portati a fare una visita guidata a piedi, fino al luogo dove si svolgerà lo spettacolo; quindi s’impregnano del territorio anche percettivamente. Quando arrivano vengono accolti da un facilitatore che spiega loro il progetto, il tutto in diretta social: tutto viene ripreso in modo che sia fruibile dal numero più alto possibile di persone. Le persone locali che abbiamo chiamato i “custodi della memoria” vengono intervistate in un reportage video e questo costituirà poi “ la banca della memoria”, che sarà visibile sia sui canali social che sul sito. Alla fine del progetto tutto questo diventerà una vera e propria banca dati. Nel frattempo però stiamo già lanciando alcune pillole. Tutte le interviste saranno poi trasmesse agli artisti e insieme al lavoro degli artisti questi reportage diventeranno la banca dati di LandXcape. Gli eventi terminano il 18 ottobre con la festa finale delle Residenze. Anche la parte turistica è molto presente, molti parchi hanno la “CETS”, Carta Europea del Turismo Sostenibile, quindi hanno tutta una loro rete, abbiamo coinvolto anche Puglia Promozione, che è l’agenzia pugliese per la promozione turistica che ci fa da gancio per la parte legata al turismo. Poi fra i partner ci sono anche molte associazioni legate al turismo verde, gli agriturismi e gli operatori legati alla ricettività turistica in ambito naturale; abbiamo coinvolto anche i “GAL” – Gruppi di Azione Locale – legati al mondo dell’agricoltura, quelli legati al progetto del Piano di Sviluppo Rurale o PSR, al quale aderisce tutta la rete dei produttori vitivinicoli, oleari, le masserie didattiche; tutta la rete regionale viene insomma coinvolta attraverso i diversi canali. La cosa importante è che tutto questo fa capo a dei progetti preesistenti, quindi stiamo mettendo in rete tutto ciò che nel territorio già viene fatto. I prossimi appuntamenti sono i weekend di spettacoli e dialoghi, quindi il 5 e 6 ottobre ascolto e racconto del territorio, poi l’8 ottobre, il giorno in cui tutti gli artisti internazionali arriveranno a Brindisi e ci sarà il seminario di apertura della residenza artistica. Nel corso poi delle residenze, quindi dall’8 al 18 ottobre, ci saranno vari incontri nei parchi con gli artisti e poi il 18 ottobre a Lecce ci sarà l’evento clou: la restituzione di tutto il lavoro svolto con una festa di fine residenza. Brindisi e Lecce entreranno in gioco anche con il coinvolgimento dei Poli Biblio-Museali regionali: quello di Brindisi darà l’apertura alle residenze e quello di Lecce si occuperà della chiusura; quindi faremo entrare la campagna in città coinvolgendo anche i musei e le biblioteche delle realtà cittadine, con una chiave che dia nuova linfa vitale alle sedi normalmente deputate alla cultura.
Stop all’uso di Imidacloprid sugli ulivi pugliesi colpiti da Xylella. Un decreto del governo Gentiloni ne aveva imposto l’impiego per fermare la diffusione del batterio.
I rischi per l’ambiente e gli insetti impollinatori sono però troppo alti: l’Unione Europea ha bloccato il decreto del precedente esecutivo.
Scopriamo il percorso che ha portato al blocco del provvedimento.
Imidacloprid: lo stop Ue
La motivazione dello stop dell’Unione Europea al decreto Martina che imponeva il ricorso all’Imidacloprid sulle piante infette da Xylella è molto semplice:
«Rischi per le api in caso di usi esterni dell’Imidacloprid».
I pesticidi neonicotinoidi, è ormai risaputo, sono dannosi per le api. Per questo sono stati di recente vietati in Ue, anche se l’uso è ancora consentito nelle serre permanenti. L’Imidacloprid è, insieme a clothianidin e thiamethoxam, uno dei pesticidi banditi sul territorio europeo, per la coltivazione all’aperto. Ecco perché il decreto Gentiloni, che ne imponeva l’impiego sugli ulivi pugliesi, non doveva essere approvato. Spiegano da Bruxelles:
«Le autorità italiane erano tenute a presentare dati di conferma per gli usi ancora consentiti. Inoltre era previsto un riesame dei nuovi dati scientifici relativi ai rischi per le api derivanti dall’uso di Imidacloprid entro due anni».
Riesame che non è ancora arrivato. Un portavoce della Commissione Ue ha rincarato la dose:
«Le autorità italiane avrebbero dovuto notificare alla Commissione europea l’inserimento di un pesticida soggetto a restrizioni nell’elenco delle sostanze potenzialmente utilizzabili contro la cicala vettore della Xylella fastidiosa contenuto nel decreto del febbraio 2018 sulle misure di emergenza contro il batterio».
La Commissione, ha aggiunto il portavoce, “è a conoscenza del fatto che nel decreto ministeriale in questione l’Imidacloprid è elencato tra le sostanze che potrebbero essere usate. Tuttavia questo utilizzo richiederebbe innanzitutto un’autorizzazione specifica da parte delle autorità italiane, che non è stata ancora emessa, pertanto il suo uso è vietato. Esiste inoltre l’obbligo per le autorità italiane di notificare la misura alla Commissione”.
Il decreto del governo Gentiloni
Insomma, il “decreto Martina” non doveva essere emanato. Il provvedimento, che porta il nome dell’ex ministro dell’Agricoltura del governo Gentiloni, imponeva l’obbligo di utilizzare gli insetticidi in Puglia, per contrastare la diffusione di Xylella fastidiosa sugli ulivi.
Contro il decreto, in Europa hanno presentato esposti sia Diem25, il movimento fondato da YanisVaroufakis, e il Movimento 5 Stelle. Diem25 sosteneva che il decreto fosse illegittimo, perché mai notificato a Bruxelles. Rosa D’Amato, eurodeputata pentastellata, aveva inoltre presentato un’interrogazione sull’argomento il 23 aprile.
«Le nostre denunce sono state confermate – ha dichiarato D’Amato all’indomani della pronuncia UE – Questopesticida è nocivo per le api e di conseguenza comporta gravi rischi per l’agricoltura e l’economia del territorio. La vicenda dimostra ancora una volta come, fin dal principio, le autorità italiane si siano piegate alle lobby dei pesticidi. Abbiamo più volte denunciato i rischi connessi all’uso intensivo di queste sostanze, oggi i fatti e la stessa Efsa ci danno ragione. Serve un cambiamento di paradigma per affrontare davvero la crisi dell’agricoltura e dell’economia pugliesi, concentrando le misure per combattere la xylella sulla promozione di trattamenti e coltivazioni biologiche. Il nuovo governo rimedierà agli errori del precedente».
Accogliendo le istanze di M5S e Diem25, l’Ue ha di fatto bloccato il decreto Martina.
Imidacloprid e gli altri neonicotinoidi: tutti i rischi per gli impollinatori
Le evidenze scientifiche che condannano l’impiego dei pesticidi neonicotinoidi sono ormai numerose. Troppe per essere ignorate. E infatti l’Unione Europea, come accennato, ha vietato l’impiego all’aperto di Imidacloprid e altre sostanze simili. Quali sono le conseguenze dell’uso di questo tipo di pesticidi sulle api? Le ricerche sul tema sono diverse. Ricordiamo per esempio che l’Università svizzera di Berna ha dimostrato come i neonicotinoidi causano una diminuzione del 39% nella produzione dello sperma dei maschi di Apis Mellifera. Inoltre, il 32% dei fuchi maschi esposti atali pesticidi non abbia raggiunto i 14 giorni di età, momento in cui questi insetti raggiungono la maturità sessuale. Il Centre for Ecology and Hydrology (CEH) di Wallingford, nel Regno Unito, ha inoltre dimostrato che i neonicotinoidi fanno diminuire drasticamente la presenza di api selvatiche. Fino al meno 30 per cento è stato registrato nei campi di colza.
Per fermare la diffusione della xylella fastidiosa, il batterio killer degli ulivi del Salento, si è deciso di far ricorso ai pesticidi che, tuttavia, non fanno altro che contribuire a rendere l’ambiente poco sano. Perché non approfittare invece di questa emergenza per ripensare le nostre politiche agricole orientandole verso il rispetto del territorio?
Ancora una volta rischiamo di cadere nel principale errore dell’agricoltura industriale: razionalizzare la natura, cercare di comprenderla solo nei rapporti di causa-effetto percepiti dalla mente umana. Il batterio xylella è il nuovo nemico da combattere. Non si è riusciti ad arrivare ad una conclusione più moderna che l’uso dei pesticidi, una soluzione che magari partisse da una visione olistica dell’agricoltura. Nei miei articoli precedenti ho scritto che spesso l’invasione da parte di un parassita di una pianta è solo un sintomo di un ambiente agricolo poco sano. Bisogna interpretare l’ambiente in cui vivono gli ulivi considerando la fitta rete di interazione fra piante, insetti, microrganismi, suolo e tutto il resto. Quattro trattamenti di pesticidi all’anno non sono una soluzione: continueranno piuttosto a rendere l’ambiente insalubre. Anche ammettendo che il problema della xylella momentaneamente si risolva.
Spesso dico che non bisogna forzare una coltura. Se le piante si ammalano nonostante buone pratiche forse non è il loro posto, e di conseguenza bisogna fare scelte colturali che rispettino la vocazione del territorio. Con gli ulivi centenari della Puglia non mi sento di fare questo tipo di discorso che di solito applico per pomodori e fagiolini. Sono però convinto che non bisogna forzare una coltura a discapito del resto dell’ambiente. D’altra parte, quelle piante sono lì grazie a quell’ecosistema. Grazie alle api, ai lombrichi, ai funghi e tutti i microrganismi nel suolo. Ecco perché credo che tutti i tentativi che è giusto fare per proteggere quelle piante stupende debbano rispettare l’ambiente e debbano essere biologici. Con l’uso di pesticidi e diserbi cosa otterremo? Un ambiente meno ricco, più suscettibile ad altri imprevisti e avversità, oltre ad una sputacchina resistente agli insetticidi, perché ormai sappiamo come si ripercuotono a lungo termine certe scelte agricole.
Sperimentazione fallita, diffusione dolosa o importazione incontrollata di piante illegali? La Procura di Lecce indaga. Niente scambio dei ramoscelli d’ulivo nella domenica delle Palme.
L’invasione della Xylella fastidiosa è diventata un’emergenza per il Salento e per tutta la filiera dell’olivicoltura. Per la Commissione Ue la soluzione è una soltanto, “dolorosa” ma necessaria: abbattere tutti gli olivi del Salento colpiti dal batterio killer che nel 2014 ha messo in ginocchio la produzione locale facendo lievitare i prezzi dell’olio di oliva.
L’Ue si è detta preoccupata per la diffusione della malattia che minaccia anche viti e agrumi. Il commissario alla salute Vytenis Andriukaitis ha spiegato che tutti i problemi connessi alla diffusione della Xylella fastidiosa sono in discussione con le autorità italiane, ma che misure decisive “devono essere prese con urgenza immediata”. Anche se ha utilizzato il plurale, il commissario Ue non ha dato molte alternative affermando che “devono essere rimossi tutti gli alberi colpiti, questa è la cosa numero uno da fare”.
La prospettiva di un abbattimento generalizzato degli olivi ha seminato il panico fra gli olivicoltori che vorrebbero salvare l’immenso patrimonio di piante “costruito” in centinaia di anni. Il Cnr ha invitato a non farsi illusioni confermando come l’unica soluzione plausibile sia l’abbattimento:
Stiamo parlando di un organismo nuovo per noi ma già ben noto nel mondo, studiato da almeno 130 anni negli Usa e in tutti questi anni non hanno ancora trovato una terapia,
ha dichiarato Donato Boscia del Cnr-Istituto per la protezione sostenibile delle piante che ha sottolineato come il “sacrificio” degli ulivi salentini sia il “male minore”:
Non si tratta di essere d’accordo o meno con la Comunità loro atteggiamento è quanto meno comprensibile visto che il problema è ancora confinato in un lembo molto piccolo dell’intero continente europeo; a rischio in effetti, c’è tutto il bacino mediterraneo che al momento è pulito.
Al contempo Boscia sottolinea come l’eradicamento non sia la soluzione finale, ma una soluzione di contenimento del problema. Secondo Federolio e Assitol, il “dramma della Xylella” deve essere trasformato in un’opportunità per nuovi impianti più moderni e maggiormente produttivi. La situazione è talmente drammatica da far prendere una drastica contromisura per domenica 29 marzo, la tradizionale domenica delle Palme nella quale ci si scambia, per tradizione, i ramoscelli d’ulivo. Quest’anno l’usanza verrà vietata per scongiurare la diffusione della Xylella fastidiosa che proprio nel periodo pasquale dischiude le proprie uova. Intanto intorno alla diffusione della malattia stanno sorgono le tesi più disparate, da quelle complottiste a quelle seguite dalla magistratura. Ieri su Il Fatto Quotidiano Tiziana Colluto ha raccontato le due piste seguite dalla magistratura: quella dell’importazione incontrollata di piante ornamentali che avrebbe fatto da vettore e quella di una sperimentazione finita male. La Procura di Lecce sta indagando da un anno per capire a chi attribuire la responsabilità della diffusione della malattia. Secondo Gian Carlo Caselli, presidente del comitato scientifico dell’Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura, la presenza e le modalità di diffusione dell’agente patogeno presentano “aspetti che potrebbero andare oltre la fatalità”. Gian Maria Fara, presidente dell’Eurispes che ha realizzato un report sulle agromafie insieme a Coldiretti, si spinge addirittura nei territori del complottismo:
È una vicenda unica. Per i suoi contorni e implicazioni, non ha eguali. Che Xylella sia stata importata è un fatto, come pure che in questa storia paiono esserci tutti i presupposti di una guerra chimica o batteriologica.
E spunta il nome della Monsanto, il colosso dell’agricoltura geneticamente modificata che da anni vuole standardizzare i mercati imponendo i propri prodotti e le proprie leggi. Nel 2002 il Dna della Xylella è stato sequenziato per la prima volta da Alellyx una società che studia le piante resistenti alla Xylella. Questa società nel 2008 è stata acquistata dal colosso delle sementi Monsanto e la Procura di Lecce vuole capire se vi sia un nesso di causalità fra le politiche espansionistiche della multinazionale e questa epidemia.