Si è conclusa qualche giorno fa con l’archiviazione dei dieci indagati l’inchiesta della procura di Lecce sul caso Xylella. Eppure sono molti gli aspetti ancora da chiarire circa il batterio incriminato per il disseccamento degli ulivi del Salento. Sebbene ci siano pareri discordanti circa le cause del fenomeno e l’entità dell’emergenza, non è stato previsto dal Governo nessun intervento curativo ma solo l’eradicazione di piante secolari o addirittura millenarie. Una misura che cambierebbe per sempre il volto della Puglia. Perché non prendere in considerazione un altro approccio?
Il CoDiRO (Complesso Disseccamento Rapido dell’Olivo) in Puglia porta con sé perplessità e contraddizioni da ogni punto di vista si voglia guardare il problema. Scontri tra enti, produttori, ricercatori, politici e società civile stanno caratterizzando il processo in atto dal 2013. Anche la recente sentenza della procura di Lecce fa emergere un quadro allarmante di come si è affrontato il problema. Ma partiamo dalla fine.

L’inchiesta leccese
L’inchiesta della
Procura di Lecce sul caso Xylella degli ulivi salentini si chiude con
l’archiviazione dei 10 indagati tra ricercatori dell’Ipsp-Cnr di Bari,
dell’allora commissario per l’emergenza Silletti, generale della Forestale,
dirigenti dell’Osservatorio Fitosanitario della Puglia, dirigenti di centri di
Ricerca e un docente dell’Università di Bari. Non è stato provato un nesso
causale tra le condotte degli indagati e la diffusione del batterio. Sono
state però accertate condotte con “molteplici aspetti di irregolarità,
pressappochismo, negligenza”, scrive il Gip e ancora definisce i comportamenti
di “Incredibile sciatteria da mettere in seri dubbi anche gli accertamenti in
campo su cui poi si sono basate le conclusioni degli enti coinvolti”; “di
omertà insuperabili e insuperate”; “un’imbarazzante attenzione ai riflessi
della notorietà sul piano scientifico e alle prospettive economiche della
gestione del fenomeno, avvenuta in regime di sostanziale monopolio”.
In una mail del 2014 il ricercatore Donato Boscia scrive alla collega Maria
Saponari: “Non banalizziamo la prova, se usiamo la Coratina [una varietà di
ulivo] la infettiamo con la (Xylella, ndr) fastidiosa, la osserviamo
asintomatica per uno, due, tre …quindici anni. Poi quando Martelli sarà morto,
Savino forse, io non so, la professoressa avrà avuto una crisi isterica perché
non ci ha guadagnato nulla in tutti i sensi, tu avrai la mia età e pubblicherai
che (Xylella, ndr) non è patogenica (ma questo lo sappiamo già): embé?”. Resta
l’accusa di falso che passa alla Procura di Bari.
Il quadro descritto lascia sgomenti. Non c’è certezza se il batterio incriminato sia endemico o importato, se sia la causa del disseccamento, quali siano le varietà realmente resistenti, né se le manovre di ricerca e monitoraggio finora decise siano state opportunamente svolte.
Vi sono inoltre dubbi sulla fattibilità tecnica, sulle prove di efficacia e sostenibilità del Piano Silletti che ha imposto a proprietari di ulivi e amministrazioni comunali l’espianto degli alberi, malati e non. Su quali basi tecniche e scientifiche si è scelto l’abbattimento della popolazione del presunto vettore “sputacchina” a mezzo dell’irrorazione di pesticidi, da ripetere più volte nell’anno e a tempo indefinito? Eppure l’EFSA , l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare, ha più volte documentato l’impossibilità di eradicare la Xylella una volta entrata in campo aperto: quando il batterio penetra in un territorio e vi si insedia, la sua eradicazione non è più possibile. Dichiarazioni fatte anche dal professor Purcell che è uno dei maggiori esperti mondiali sulla Xylella.

La scienza ufficiale, i protocolli e i finanziamenti
Gli enti europei
che hanno accolto gli studi dei ricercatori di Bari e che hanno investito e
promosso politiche sulla questione Xylella si sono basati sulle
informazioni del CNR di Bari, quindi gli esiti finali della ricerca rimangono
sempre gli stessi e la ricerca chiusa. Anche se questi esiti non sono mai
apparsi su riviste scientifiche internazionali, come accade normalmente per le
pubblicazioni scientifiche, hanno costituito il fondamento per tutti i decreti,
le azioni politiche e i finanziamenti per la ricerca e per gli espianti. Lascia
perplessi proprio questo aspetto di monopolio scientifico dei ricercatori di
Bari, degli unici laboratori accreditati e dei decreti dell’ex ministro
Martina e dell’attuale ministro dell’Agricoltura Centinaio con cui si ostruisce
la via ad un pluralismo scientifico, ad una più ampia collaborazione
scientifica. Quindi la scienza “ufficiale”, enti nazionali ed europei,
associazioni di categoria non hanno dubbi: il problema è la Xylella e vanno
abbattuti gli alberi e reimpiantate le 2 varietà resistenti, le cui
certificazioni sono basate sul parere degli stessi enti indagati dalla procura
di Lecce. Così si è deciso che il Leccino e l’F17, quest’ultimo brevettato
appunto dal Isps-Cnr con enormi ricadute economiche, siano le uniche varietà
permesse per accedere ai protocolli. Già l’Unione Europea ha investito 30
milioni di euro per 2 progetti di ricerca entrambi coordinati dall’Ipsp, senza
bando. E solo 3 vivai (in Sicilia, Puglia e Umbria) hanno la licenza per
coltivarli e venderli. (Il fatto quotidiano 24/01/2019).
Molte aziende agricole, grazie alla pioggia di finanziamenti in arrivo, si
adeguano alle direttive ufficiali, così anche la Coldiretti. Le due varietà
sono adatte alle coltivazioni super-intensive e meccanizzate con ciclo di vita
di 12/15 anni; ci sono protocolli già pronti, anche per l’uso di fitofarmaci ed
erbicidi e per altre sperimentazioni chimiche e batteriologiche. Grazie agli
aiuti economici europei, le aziende intravedono un futuro assistito, più
sicuro. A Gennaio il ministro per l’agricoltura Centinaio ha stanziato 100
milioni per l’espianto di massa degli ulivi infetti, per poi reimpiantare le 2
varietà selezionate nei 23.000 ettari della provincia di Lecce, piantine di 1
metro che in 5 anni entreranno in produzione. Chi si oppone all’espianto
rischia 5 anni di carcere.

L’emergenza
Ma vediamo quale è l’entità delle piante infette. I dati ufficiali disponibili
forniti dalla Regione Puglia su 450.000 piante campionate, solo il 2% risulta
infetto dal batterio Xylella fastidiosa e non tutte si disseccano. A
Melendugno, in piena zona infetta, quando nell’aprile 2018 la Trans Adriatic
Pipeline (TAP) per la costruzione del gasdotto ha chiesto alla Regione Puglia l’autorizzazione
allo spostamento di piante di olivo, è emerso che su 450 solo 3 erano
positive al batterio, lo 0,7%. Dallo stesso Piano Xylella risulta che
all’analisi sono state individuate il 2% di piante infette nella zona di
contenimento e 0,1 % nella zona cuscinetto.
“La xylella non sembra avere numeri superiori ad una qualsiasi batteriosi vegetale con cui gli ulivi ben trattati hanno imparato a convivere nei secoli – ripetono i ricercatori indipendenti e – bisognerebbe sapere quante di queste piante infette siano veramente malate”.
Tanto è vero che nella classificazione della EPPO, organizzazione intergovernativa che si occupa di protezione delle piante in area euromediterranea, la Xylella è stata declassata nella lista A2, quindi catalogata tra gli organismi da quarantena ormai endemici, sebbene non largamente diffusi, e considerati sotto controllo. La situazione risulta ambigua: migliaia di piante malate che non hanno la Xylella e ancora più piante che hanno la Xylella ma che non sono malate, di solito attorno agli alberi malati. Il piano finanziato dal ministro Centinaio non prevede il ricorso a trattamenti curativi, solo espianti. Invece la Regione Puglia dal 2015 sta investendo negli agricoltori che studiano rimedi per il disseccamento. Queste le richieste da parte dei salentini: perché se cento ulivi guariscono, essi non possono essere l’oggetto di uno studio scientifico approfondito prima che due milioni di alberi della Puglia vengano distrutti e che il volto della Regione cambi per sempre?

L’approccio agro-ecologico
La diffusione del CoDiRO (il disseccamento) ha una serie di concause: i suoli analizzati hanno meno dell’1% di materia organica: humus ridottissimo cioè la terra è ormai inerte. Proprio la provincia Leccese è quella in cui si è fatto il maggior uso di diserbanti che hanno impoverito e inquinato il terreno. Altre concause possibili: le potature che “capitozzano” la chioma, la grande uniformità delle varietà coltivate, la monocoltura e la trascuratezza di imprenditori agricoli o contadini che hanno mal gestito i propri appezzamenti. Leggiamo in questo approfondito documento a cura di Massimiliano Bianco, ricercatore dell’Ispra e dirigente di European Consumers, che “pur riconoscendo la gravità del contesto, anche gli oliveti salentini, se ben gestiti, possono guarire e che quelli gestiti in modo biologico stanno già meglio di quelli convenzionali adiacenti. Considerano del tutto irrazionali, dannose e inutili le misure draconiane, di sradicamento e avvelenamento diffuso e propongono accorgimenti mirati, naturali ed ecocompatibili. Le misure agro-ecologiche mirano a rendere possibile, e non sintomatica, la coesistenza con il batterio, tramite il rafforzamento delle capacità di autodifesa biologica degli ulivi e di altre specie vegetali, da ottenersi con le buone pratiche agronomiche generali sulle piante, con la rigenerazione della fertilità naturale organica e microbiologica del suolo e con l’uso, quando necessario e con le opportune dosi, sia del rame, dello zolfo o altri minerali da contatto, che di oligoelementi per nutrizione fogliare”.

Esperienze Positive nella cura degli ulivi ammalati
Cominciano ad accumularsi evidenze osservazionali e scientifiche di risultati positivi, sotto il profilo della netta ripresa vegeto-produttiva di ulivi malati o perfino ischeletriti e dati per morti, di prove sperimentali in campo condotte da vari gruppi di ricerca e perfino da singoli olivicoltori. (Prof. Lopes e Prof.sa Carlucci, in collaborazione con COPAGRI, ecc.). Nel territorio di Seclì (Lecce), Giorgio Greco, piccolo proprietario, ha da tempo avviato una “cura” degli alberi a base di Potatura, Arieggiamento, Cenere ed Erba (il metodo “PACE”). Dopo 6 anni dalla rilevazione dell’infezione i suoi alberi “infetti” resistono al disseccamento rapido dell’Olivo, pur appartenendo alle varietà sensibili Cellina di Nardò ed Ogliarola Leccese. Le piante hanno ricominciato a vegetare già con la potatura, eliminando il secco, evitando di fare tagli drastici, trattando le ferite con solfato di rame. Si è trattato il terreno sovesciando i mugnuli sulle ferite della potatura con solfato di rame; tronchi e branche principali sono state disinfettate con solfato di ferro, pure usato in agricoltura biologica, la chioma con biofertilizzante. 450 alberi di Giuseppe Coppola, proprietario di un oliveto in contrada Santo Stefano, tra Alezio e Gallipoli, molti dei quali secolari, sono tornati a germogliare dopo un anno di cure tradizionali e biologiche. Altre attività sono proposte da Federbio in questo documento che descrive le proprie proposte; le aziende biologiche hanno visto mettere in pericolo le proprie coltivazioni per l’imposizione dell’uso massiccio di fitofarmaci ed erbicidi non permessi nel biologico. Buoni risultati ha la cura Scortichini, dirigente al Consiglio per l’Agricoltura (Crea): un aerosol di zinco, rame e acido citrico che penetra nel sistema vascolare dell’ulivo, qui la pubblicazione scientifica.
Ivano Gioffreda, Presidente dell’Associazione Spazi Popolari e agricoltore, porta avanti da qualche anno una sperimentazione su circa 100 ulivi che presentavano segno di disseccamento e che sono stati interamente salvati: gli alberi sono floridi, vivi, stanno benissimo: “Perché la scienza non ha voluto approfondire le cure degli alberi come abbiamo fatto noi ed altre associazioni che stanno portando avanti la sperimentazione con l’aiuto di centri scientifici? Si sarebbe potuto fare su larga scala”.

Altre esperienze
sono raccontate nel sito di Elena Tioli da tempo impegnata nel raccontare e promuovere
esperienze realmente sostenibili. Grazie a lei e all’incontro con altre realtà
come Il bosco di Ogigia e altri giornalisti è in lavorazione un documentario
sulla situazione pugliese: Xylella Favolosa. Qui il sito per vedere l’anteprima
e partecipare alla raccolta fondi. Sembrano quasi fuori dal tempo le diffamazioni
dirette a chi sperimenta metodi di cura alternativi a quelli ufficiali:
santoni, antiscientifici. Emerge una visione obsoleta della biologia che la
mentalità scientifica riduzionista non ha ancora superato: la ricerca solo del
singolo agente causale (il batterio), dai risvolti economicamente vantaggiosi,
ignorando che agiamo in un sistema complesso, dove processi di autoregolazione,
adattamento e integrazione richiedono strumenti di valutazione sistemica. Le
industrie della chimica, dei brevetti e delle biotecnologie condizionano
pesantemente la catena di eventi anche dei singoli territori, avvicinano
facilmente una scienza “ufficiale” priva di finanziamenti pubblici e con dubbie
basi etiche, la quale chiude le porte a qualsiasi confronto; la scienza lo può
fare, non mettersi in discussione. Ormai dall’Onu alla Fao si è indicato
chiaramente che per i problemi del futuro non si può che scegliere una agricoltura
sostenibile, per l’ambiente, la salute e le economie delle comunità.
L’agricoltura intensiva basata sulla monocoltura, meccanizzata e inquinante
peggiora le condizioni di tutto il sistema e fa perdere velocemente fertilità
al suolo. La perdita di biodiversità condanna agli eventi catastrofici, frane,
epidemie, instabilità del clima.
In questo caso risulta evidente anche la responsabilità di chi non ha
saputo trattare e curare la propria terra, non ha saputo far evolvere le
proprie conoscenze e ha delegato alla consuetudine, non ha curato le risorse
che aveva a disposizione o non ha riconosciuto la propria terra come una
risorsa.
Per le altre fonti dell’articolo clicca qui Fonte: http://www.italiachecambia.org/2019/05/xylella-opportunita-disastro-ecologico/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni