La contadina Paola Granata, nel cuore della Sila per mantenere e innovare

La storia di una donna che da anni cerca di fare rete, impresa e innovazione in un territorio storicamente ostico, anche se dalle grandi potenzialità. È quella di Paola Granata, la cui azienda si trova sull’altopiano della Sila cosentina e coltiva in modo etico e rispettoso della terra, seguendo due direzioni: l’innovazione e la multifunzionalità.

CosenzaCalabria – Quella di Paola Granata è una storia legata alla terra, alla Calabria e alle donne. Paola Granata è proprietaria, assieme al fratello e la nipote, dell’azienda agricola di famiglia, che si trova a Spezzano Sila – sui monti della Sila cosentina a 1200 metri – ed è impegnata in prima linea come donna che lavora nel mondo dell’agricoltura e che si impegna assieme ad altre donne. Gestisce l’azienda dal 2003, anche se ha sempre avuto una vita legata alla campagna: «Quando eravamo piccoli venivamo qui alcuni mesi l’anno. Era un posto difficile, isolato, ma lo ricordo in modo positivo: eravamo liberi, andavamo in giro, giocavamo con la natura, guardavamo le stelle».

Adesso l’azienda è la vita quotidiana di Paola e di suo fratello, anche se non è rimasta la stessa di tanti anni fa: «Qui cerchiamo di fare innovazione e multifunzionalità», spiega Paola raccontando come solitamente quei terreni siano sempre stati dedicati alla patata, coltura tipica della Sila. Ma ora «abbiamo voluto diversificar, convinti che le colture di tradizione, quali ad esempio i grani e cereali comuni, non siano più sostenibili ed economicamente vantaggiosi».

Si è deciso allora di impiantare una vigna d’alta quota a bacca bianca: «A distanza di molti anni, lavorando con costanza e convinzione, stiamo raggiungendo ottimi risultati. Ci occupiamo anche della coltivazione di grani antichi e cereali minori, puntando sulla loro trasformazione; produciamo farine di vario tipo poco raffinate avendo cura di macinarle in un mulino a pietra. Abbiamo creato un nostro marchio e ci occupiamo anche di distribuirla in negozi specializzati e attraverso la vendita online».

Cambiamenti talmente inusuali in questo territorio che all’inizio Paola Granata e suo fratello erano guardati con diffidenza e con sospetto da chi ha sempre lavorato in modo standard la terra di quelle zone, mentre ora c’è interesse da parte di chi vuole provare a sperimentare: «Io penso che stimolare l’innovazione in un territorio fa sempre bene: so che grazie al nostro esempio molti si stanno avvicinando anche a queste colture».

In azienda si lavorano i cereali, piantando soprattutto quelli meno coltivati come la segale, il verna e altri, utilizzando semi antichi, alternandoli con colture rispettose dell’ambiente e puntando sempre più al mantenimento della biodiversità. Paola ha infatti aderito al regime del biologico e punta alla certificazione dei propri prodotti. In questo modo, riesce a rendere l’azienda multifunzionale e allo stesso tempo a portare innovazione su un territorio più ampio, contaminando grazie all’esempio. L’innovazione va intesa anche in senso più ampio dello stretto ambito agricolo: «Abbiamo impiantato diversi ettari di alberi da legno pregiato per diversificare e arricchire le essenze già presenti nel nostro piccolo bosco, con ciliegi e frassino, alternati a querciole e cerro».

Tutto questo lavoro è collegato al suo impegno all’interno di Confagricoltura e in particolare di Confagricoltura Donna Calabria, di cui per tanti anni ha fatto parte, lavorando con un team di donne e facendo rete fra le aziende. Oggi Paola Granata è presidente di Confagricoltura Cosenza e ricorda che la sua esperienza con le donne «è stata appassionante e piena di fervore: ho trovato un modo di relazionarmi diverso rispetto alla stessa Confagricoltura, nella quale le donne sono ancora poco presenti».

A tutto questo si aggiungono le difficoltà dell’essere donne, con a carico la gestione della vita domestica e familiare: «Le donne solitamente hanno meno tempo degli uomini, avendo anche la famiglia di cui occuparsi: questo influisce sulle loro possibilità di dedicarsi all’azienda. Se contiamo che poi qui le difficoltà sono numerose, il tempo diminuisce drasticamente».

Non è tutto rose e fiori in Calabria. Paola lo ammette – «bisogna essere un po’ folli per essere agricoltori e con una visione positiva», dice – e non nega le difficoltà: la burocrazia che rallenta e ostacola la vita degli agricoltori, le infrastrutture che mancano e che rendono più lente la distribuzione e le vendite, le normative che dovrebbero sostenere questo tipo di lavoro, la perenne lotta per il ribasso dei prezzi delle produzioni . Per questo emerge ancora più forte la necessità di fare rete: «È fondamentale fare rete sui territori mettendo insieme le aziende: un piccolo passo già abbiamo iniziato a farlo, ma bisogna continuare», spiega dicendo che è uno dei suoi obiettivi come presidente della Confagricoltura provinciale. Per quanto riguarda l’azienda in sé, sicuramente c’è l’intenzione di «farla crescere, continuando nella ricerca e realizzazione di produzioni di pregio, magari allargando lo sguardo verso l’accoglienza, il territorio, la riconsiderazione della montagna

La direzione dei prossimi passi è molto chiara. Così come quella più ampia dell’Italia che cambia: «Per me Italia che cambia significa farsi carico in modo responsabile ed etico delle problematiche agricole, semplicemente perché l’agricoltura è dare da mangiare al mondo».

Fonte: https://www.italiachecambia.org/2021/11/paola-granata-contadina/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

Il recupero del Mulino Valsusa rilancia l’agricoltura di un’intera valle

In Val Susa Massimiliano Spigolon ha recuperato un vecchio mulino che ora sta facendo rinascere l’intera filiera agricola locale, stimolando la collaborazione tra gli agricoltori della valle e nuove produzioni agricole improntate alla riscoperta dei grani antichi e di una sovranità alimentare per rilanciare una nuova economia. Ci troviamo nella suggestiva Val Susa e quella che vi raccontiamo oggi è una storia che narra di vecchie tradizioni e di un antico mulino che, attraverso lo scorrere dell’acqua e il movimento della sua macina, ha scandito per più di un secolo il tempo e la vita di un’intera valle. Ora questo antico mulino, rimasto inattivo per lungo tempo, è stato recuperato per rilanciare l’intero territorio e riattivare una filiera locale che unisca i produttori agricoli della zona promuovendo una nuova e diffusa sovranità alimentare. Nel comune di Bruzolo vive Massimiliano Spigolon, protagonista della nostra storia, che qui ha deciso di riportare in vita l’antico mulino ad acqua risalente al 1884 che prende ora il nome di “Mulino Valsusa”. Scopo principale del progetto è contribuire a ripopolare i terreni della Val di Susa tornando a coltivare e diffondere le varietà tradizionali, antiche e moderne dei cereali, salvaguardando e valorizzando la biodiversità. Il tutto per costruire nel tempo e con l’aiuto degli agricoltori del luogo una filiera cento per cento chilometro zero attraverso materie prime nate, prodotte e trasformate localmente.

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Come racconta Massimiliano Spigolon «la riattivazione del mulino è stata avviata inizialmente in una dimensione casalinga, per la produzione di cibi buoni e sani per l’intera famiglia. È stato poi il contatto con diversi mugnai italiani e col variegato mondo dei grani antichi a darmi lo stimolo per sviluppare un progetto agricolo sostenibile e territoriale per l’intera valle. Mi piace dire che il Mulino Valsusa è una bella scusa per riattivare una filiera che parta dall’agricoltura fino alla trasformazione dei prodotti».

Quello di Mulino Valsusa è un sogno che guarda in grande attraverso un progetto di ampio respiro che vuole impattare positivamente le attività produttive ma anche culturali e turistiche del territorio. «La nostra volontà è riuscire, come agricoltori, a ritornare custodi di un patrimonio che nel tempo è andato perduto». E ridare vita al mulino permetterà in questo modo di creare nella valle una nuova economia locale.

«L’obiettivo è quello di rispondere a un’esigenza sempre più sentita, quella di sapere cosa si mangia e da dove proviene, soprattutto per garantire un futuro migliore alle generazioni a venire» aggiunge Massimiliano Spigolon. «Il progetto prende infatti il nome di “Mulino Valsusa. Per un futuro più buono”: buono sia in termini di ciò che sui territori si coltiva sia di ciò che troviamo sulle nostre tavole».

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Il Mulino, che ha incominciato a funzionare a fine ottobre, è il primo a riprendere vita nell’intera valle unendo tradizione e innovazione, attraverso l’utilizzo delle macine in pietra naturale capaci di produrre farine di pregio proprio come si faceva una volta ma anche strumenti tecnologici per una miglior automatizzazione e controllo dell’attività.

«In valle uno degli aspetti più complessi è proprio l’ambito agricolo, per questo il nostro progetto ha voluto trasmettere con forza una nuova fiducia agli agricoltori», spiega Massimiliano Spigolon. «Il Mulino diventa quel progetto che alla Valle di Susa mancava, in grado di generare entusiasmo e ravvivare le collaborazioni, capaci di sviluppare filiere corte e produzioni agricole locali. Abbiamo incontrato e condiviso il progetto con moltissime persone che coinvolgono tutta la filiera, in grado di dare il proprio contributo intellettuale e pratico».

Mulino Valsusa sta collaborando con il Crea – Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria e con altre realtà locali per riportare in Val di Susa alcune varietà di grani antichi migliori dal punto di vista salutistico, nutrizionale e ambientale, con un’attenzione rivolta, oltre che ai grani, ad altre colture ed eccellenze valsusine.

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A livello didattico verranno presto avviate nuove attività. Come mi spiega Massimiliano, «per noi è importante partire dalle cose più semplici: mostrare ai bambini com’è fatta una spiga, far provare loro la sensazione di mettere le mani nel grano e trasmettere l’importanza di un’alimentazione sana e locale. Inoltre, vorremmo lavorare sul territorio in sinergia con le realtà presenti, non creando concorrenze ma bensì collaborazioni attraverso dinamiche didattiche da costruire insieme».

Con l’avvio del mulino, il compito non è solo produrre, ma anche fare cultura. «Non cerchiamo di essere i migliori ma di essere migliori», mi confida Massimiliano. «Se insegniamo a riconoscere e ad utilizzare le diverse farine, allora il progetto può crescere e quindi il nostro compito è trasmettere al meglio le nostre conoscenze».

Fonte: https://www.italiachecambia.org/2019/11/recupero-mulino-valsusa-rilancia-agricoltura-intera-valle/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

Marco Bozzolo: il custode dei castagneti, tra tradizione e innovazione

Si definisce orgogliosamente un “muntagnin”: un testardo. Consiglia a tutti di esserlo, nella vita e non solo nel lavoro. Vi raccontiamo la storia di Marco Bozzolo e della sua azienda agricola, la prima a praticare la trasformazione della Castagna Garessina, protagonista del recupero di una tradizione che, apparentemente perduta, oggi viene diffusa anche a scopo didattico e turistico.

Dolce e delicata. A detta di molti intenditori, la migliore castagna secca in assoluto. Si tratta della Castagna Garessina, frutto tipico di alcune valli del Piemontese come l’Alta Valle Tanaro, la Val Casotto e la Valle Mongia, il luogo da dove vi raccontiamo la storia di Marco Bozzolo e della sua azienda agricola. Marco è un ventottenne che, dopo un’esperienza di studio, è tornato ad occuparsi del castagneto familiare, recuperando una tradizione storica abbandonata e proiettandola in una dimensione presente e futura di filiera. L’azienda di Marco si trova precisamente a Viola, in provincia di Cuneo, e incontriamo il ragazzo durante i nostri viaggi alla scoperta del progetto RestartAlp.  L’azienda agricola si occupa della coltivazione, trasformazione e distribuzione di prodotti basati appunto sulla Castagna Garessina, che viene essiccata dall’azienda con il metodo tradizionale: quaranta giorni di “fuoco, fumo e magia” che avviene ancora oggi nell’essicatoio originale, una costruzione in pietra e legno dell’Ottocento, completamente ristrutturata nel 2018.

Il risultato sono creme, biscotti, torte, farine, miele, pasta secca, tutti prodotti rigorosamente a base di castagna. Si tratta della prima azienda che si occupa della trasformazione della Castagna Secca, altro nome con cui è nota la Castagna Garessina. L’azienda vende i propri prodotti tramite un proprio store online e attraverso molte botteghe specializzate in enogastronomia, basate soprattutto in città come Genova, Milano e Torino, con un’attenzione crescente anche al mercato estero.  Marco proviene da una famiglia che pratica la castanicoltura da secoli. Dopo una Laurea in Economia e Commercio presso l’Università degli Studi di Genova ed un master di primo livello in Economia dell’Ambiente e dello Sviluppo presso l’Università degli Studi di Siena, non ha avuto nessun dubbio nella volontà di sviluppare l’azienda di famiglia. Lo ha fatto a partire dal 2016: “non erano affatto rose e fiori, o un percorso in discesa come può sembrare a primo impatto” ci racconta Marco “perché fino a quando l’azienda è stata gestita da mio nonno questa era l’attività principale di famiglia, quella che ci dava da vivere, per intenderci. Dagli anni Settanta in poi, nella Valle Mongia e anche nelle vallate qui accanto, c’è stato un graduale ma intenso processo di spopolamento, accompagnato da un quasi totale abbandono di molte tradizioni legate alla castagna. Dopo averle mangiate per secoli, le persone ne avevano quasi la nausea”.

Ma un montagnin è un montagnin e la sfida, fatta di testardaggine e passione, era ormai avviata: “ero e sono convinto che la montagna, soprattutto oggi, abbia tanto da offrire, se riusciamo a coniugare innovazione e tradizione”.
Per questo motivo Marco ha deciso di occuparsi della filiera in ogni suo aspetto: dalla conduzione e sviluppo dei castagneti fino alla trasformazione del prodotto. Con un particolare molto importante: “credo che uno dei grandi vantaggi della nostra generazione è aver capito l’importanza del fare rete. Da sempre, in questo territorio, ci sono tante eccellenze ma i diversi operatori non riuscivano mai a fare rete. Io penso che dove non riesco ad arrivare, ci arriva qualcun altro, ed insieme si vince davvero. Per questo tutte le nostre trasformazioni sono conto terzi, abbiamo fatto un accordo di filiera e ci appoggiamo ad un laboratorio della zona. Marciamo entrambi nella stessa direzione: quella della qualità del prodotto”.

L’audacia e il coraggio di Marco hanno beneficiato di una sponda importante: l’attenzione del papà nella cura del terreno. Se molti castagneti della zona sono stati abbandonati, quelli di famiglia hanno sempre ricevuto le cure della famiglia Bozzolo: “è vero che io ho trasformato l’azienda nella mia attività principale, ma nonostante lo facessero come hobby mio padre e mio zio non hanno mai smesso di prendersi cura di questi terreni”. L’attenzione al recupero e al mantenimento delle tradizioni, come antidoto all’abbandono dei territori, ha spinto dunque l’azienda agricola Marco Bozzolo ad ampliare i propri ambiti di azione anche verso la didattica e il turismo.

“I nostri terreni e le nostre strutture sono aperte a tutti i visitatori che vogliono scoprire l’affascinante mondo della Castagna Garessina” conclude Marco “e a tale scopo abbiamo predisposto un castagneto didattico, aperto a studenti, gruppi di turisti e curiosi. Stiamo inoltre cercando di attrezzare un’aula didattica, dove spiegare nel dettaglio il processo dell’essiccazione della castagna e coinvolgere anche i bambini: essendo stato un processo abbandonato per molti anni, necessita di essere divulgato per recuperare metodi e saperi. Collaboriamo con diversi tour operator e sono molti i turisti nordamericani ed nordeuropei che visitano l’azienda”.

Fonte: http://piemonte.checambia.org/storie/marco-bozzolo-custode-dei-castagneti-tra-tradizione-innovazione/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni

L’importanza dell’Autocostruzione, tra innovazione e tradizione

Collaborare per diffondere e divulgare i principi e le tecniche sostenibili è uno degli obiettivi della Rete Solare per l’Autocostruzione che, grazie a una rete capillare di esperti competenti in diverse regioni di Italia, favorisce la conoscenza e l’apprendimento di tecniche nel campo della bioedilizia e dell’autoproduzione.rete-solare-autocostruzione-innovazione-tradizione

“La rete è una struttura aperta a tutti coloro che sono interessati all’autocostruzione e alla condivisione dei saperi in un’ottica di partecipazione, di relazione e di fiducia”. Con queste parole si presenta la Rete Solare per l’Autocostruzione, Associazione che nasce nell’anno 2006 in Emilia Romagna con lo scopo di diffondere le tecniche legate alla sostenibilità e alla bioedilizia, promuovendone la conoscenza e divulgazione in Italia.  La rete nasce inizialmente con l’obiettivo di favorire la diffusione del solare termico, riponendo in un secondo tempo l’attenzione anche ad altri campi della bioedilizia. La volontà è quella di creare una solida collaborazione tra persone ed organizzazioni presenti sul territorio quali realtà associazionistiche, privati, enti pubblici o scuole. Daniela Re è presidente nonché una delle fondatrici dell’Associazione che in questo progetto crede molto e che, grazie alla preparazione nel campo dell’architettura, all’esperienza nell’ambito dell’efficienza energetica ed alla passione per le energie rinnovabili ed i materiali naturali, opera attivamente per aumentare la consapevolezza verso tali tematiche, contribuendo a renderle alla portata di tutti, proprio come ci racconta nell’intervista.

Di cosa si occupa l’Associazione?

“Obiettivo della rete è lavorare nell’ambito dell’autocostruzione promuovendo in Italia la diffusione e la conoscenza delle energie rinnovabili e dei materiali naturali in bioedilizia. L’Associazione è composta da esperti che conducono corsi e laboratori nelle diverse regioni di Italia in base alla richiesta dei soggetti interessati favorendo forme di condivisione e autoproduzione tramite un approccio prettamente pratico che consente loro di apprendere metodologie e tecniche sostenibili. Si tratta di una rete diffusa nelle varie regioni di Italia quali Piemonte, Lombardia, Emilia Romagna, Toscana e Lazio e prevede la collaborazione e la cooperazione tra diverse realtà dislocate sul territorio”.rete-solare-autocostruzione-innovazione-tradizione-1536821291

Quali sono le attività e le esperienze che proponete?

“Proponiamo corsi di autocostruzione eolica che prevedono la realizzazione ed il collaudo di un aerogeneratore; corsi di solare termico per adulti che includono la costruzione di un vero e proprio impianto solare termico ed inoltre attività per le scuole che sono indirizzate alla produzione di un pannello solare per la produzione di acqua calda a scopo didattico. Promuoviamo corsi su intonaci a base di terra e a base di calce; corsi sulla costruzione di forni in terra cruda; autoproduzione di oggetti in feltro con cui produciamo tappeti o pannelli isolanti; laboratori di recupero e riciclo creativo. Infine, da circa un anno, abbiamo avviato corsi di orticoltura secondo i principi dell’agricoltura sinergica, attraverso la realizzazione di impianti di irrigazione goccia a goccia o la piantumazione di piante”.

Come sono strutturati i corsi e chi sono i destinatari?

“I destinatari sono nel complesso persone curiose ed interessate a conoscere i principi dell’autocostruzione e che vorrebbero applicarne le tecniche nella ristrutturazione della propria abitazione. Altri soggetti sono i tecnici con capacità ed interessi progettuali quali gli idraulici, gli architetti o gli ingegneri ed infine gli artigiani come i restauratori o i decoratori, stimolati ad apprendere nuove tecniche e a specializzarsi in nuovi materiali. I nostri laboratori hanno la caratteristica di essere destinati a tutti in modo che chiunque possa imparare, anche chi si trova alle prime armi. Le attività si svolgono prevalentemente durante i week end e sono pensate per realizzare il manufatto della persona che ci ospita e che ne usufruirà”.

Quali sono i principi su cui si basa la rete?

“I principi sono sicuramente lo sviluppo di tecnologie efficienti, semplici, appropriate ed economiche. Nei progetti che implicano un lavoro sull’esistente quali cascinali, rustici o abitazioni in campagna, cerchiamo di proporre l’utilizzo di materiali tradizionali “come si faceva una volta” e quindi favorendone il valore culturale ed evitando l’impiego di prodotti preconfezionati provenienti dall’industria”.

Quali sono gli ambiti in cui ricevete più richieste di consulenza?

“Le richieste più numerose che l’Associazione riceve riguardano i lavori di autocostruzione con la calce, i forni e le stufe in terra cruda. Negli anni passati abbiamo riscontrato un maggior richiamo nei confronti della tecnologia del solare termico che è andata sempre più consolidandosi. Recentemente abbiamo assistito ad un risveglio di interesse nei confronti dei materiali naturali e tradizionali che sosteniamo proponendo corsi con costi non proibitivi ed accessibili al maggior numero di persone”.rete-solare-autocostruzione-innovazione-tradizione-1536821321

Quali sono le criticità legate alla sensibilizzazione a tali pratiche?

“Riscontro nel complesso un grande interesse da parte delle persone ad approfondire le conoscenze su queste tematiche ma molte di loro si arrendono nell’esecuzione di un progetto a causa della difficoltà nel confrontarsi con gli addetti ai lavori causata dalla scarsa presenza di esperti che facciano formazione e che abbiano buone competenze nel campo della bioedilizia. Nel complesso la sensibilità nei confronti dei materiali tradizionali è cambiata positivamente, il problema è che tali tecniche negli ultimi vent’anni non sono più state trasmesse e praticate poiché sostituite dall’utilizzo massivo del cemento che, per via delle sue caratteristiche di praticità, comodità, resistenza e malleabilità, ha rappresentato la soluzione più conveniente. Un progetto che vorremmo sviluppare è proprio quello di proporre corsi formativi alle scuole edili, agli architetti ed agli addetti ai lavori al fine di diffondere e far scoprire le potenzialità delle tecniche sostenibili”.

Quali progettualità svolgi nel tuo studio a Torino?

“A Torino ho uno studio di architettura dal nome “Ecoprogetto” che, coerentemente coi principi della bioedilizia, è stato ristrutturato con tecniche di rivestimento tradizionali quali legno, calce e vernici naturali coniugando i miei interessi nel campo della sostenibilità con il contesto urbano circostante. Le attività che svolgo sono improntate all’efficienza energetica, alle energie rinnovabili e ai materiali naturali. Mi occupo della formazione di tecnici ed artigiani mostrando loro le pratiche da attuare tramite l’uso di materiali tradizionali e fornisco consulenze energetiche sull’utilizzo del solare termico.  Lo studio nel quale lavoro vuole essere uno spazio aperto a tutti, un luogo nel quale proporre attività, incontri e condivisione di pratiche di autocostruzione. Elemento qualificante è la presenza di un piccolo spazio verde che ho recentemente convertito in orto sinergico e dal quale provengono prodotti a Km0. La sua realizzazione è avvenuta in collaborazione con un gruppo di abitanti del quartiere con i quali abbiamo fondato un comitato dal nome “Oltre la Barriera” che si occupa di facilitare i processi sociali sul territorio in cui viviamo, ovvero Barriera di Milano”.

Cosa rappresenta la realizzazione dei tuoi progetti?

“La soddisfazione più grande che ricevo durante i corsi è entrare in contatto e condividere esperienze con persone che hanno una volontà e visioni comuni e che in questo modo creano una forte energia positiva.
Ciò che amo di più del mio lavoro è la consapevolezza di aver contribuito ad apportare un miglioramento nel mondo”.

Foto copertina
Didascalia: Rete Solare per l’Autocostruzione
Autore: Pagin Fb Rete Solare per l’Autocostruzione

Fonte: piemonte.checambia.org

Dalla mobilità sostenibile alla Cyber Security: a Torino con Startuppato in mostra l’innovazione Made in Italy

Intelligenza artificiale, Cybersecurity, Industry 4.0 e molto altro: Startuppato, l’appuntamento organizzato da Treatabit e I3P, torna il 14 giugno dalle ore 18 presso il Toolbox Coworking di Torino, per mettere in mostra  le startup innovative. Tra le novità di quest’anno, un B2B più ricco per incontrare i player del settore ed uno speciale Premio Startuppato, tre mesi di consulenza business gratuita sul proprio progetto beneficiando di tutti i servizi previsti dal percorso di incubazione I3P.

Dall’applicazione che misura il tasso alcolemico allo scooter sharing per promuovere la mobilità sostenibile, dalle soluzioni per la Cyber Security al dispositivo che permette di tenere sempre sotto controllo quanta energia consumano gli elettrodomestici di casa: queste alcune delle idee che saranno presentate durante la nuova edizione di Startuppato, l’evento dedicato alle startup innovative.

L’appuntamento organizzato da Treatabit, il percorso di incubazione di I3P dedicato ai progetti digitali, si svolgerà il 14 giugno a partire dalle ore 18 presso il Toolbox Coworking, importante hub di innovazione e coworking (Via Egeo, 18 – Torino): per tutta la durata dell’evento oltre 100 startup innovative saranno accolte in un’area espositiva  e avranno l’opportunità di mostrare le loro idee in anteprima e farsi conoscere da potenziali utenti e clienti. Non mancheranno occasioni di networking, beta testing, customer validation, crowdfunding, recruitment, acquisizione clienti, anche grazie alla partecipazione del Web Marketing Festival, l’evento più completo sul digitale in Italia, e di SiamoSoci​, la società di riferimento per startup e PMI per la raccolta di capitali privati che nel 2016 ha lanciato Mamacrowd, la principale piattaforma di equity crowdfunding italiana che permette alle più promettenti startup e PMI presenti sul mercato italiano di finanziare la propria crescita con la raccolta online di capitali privati. Tra le novità di quest’anno un B2B più ricco ed un premio che prevede tre mesi di incubazione gratuita (anche virtuale) per usufruire di servizi di networking, spazi e di consulenza business da parte di I3P.

Ecco alcune delle startup che i visitatori potranno conoscere durante Startuppato.

Floome, il tasso alcolemico si misura con lo smartphone

Sicurezza è la parola chiave di Floome, la startup padovana che ha realizzato un dispositivo che, collegato allo smartphone e tramite un’applicazione, permette di verificare il proprio tasso alcolemico in pochi secondi. Il device utilizza gli stessi sensori degli etilometri delle forze dell’ordine e permette così di trasformare lo smartphone in un rilevatore di tasso alcolico. Tramite l’applicazione vengono fornite informazioni utili per evitare danni, incidenti e multe, dal tempo necessario al proprio fisico per smaltire l’eccesso di alcol al limite legale di ebbrezza. Inoltre, l’app consente di chiamare un taxi o un amico per farsi dare un passaggio a casa o di trovare un locale dove mangiare qualcosa, con lo scopo di scoraggiare le persone a mettersi alla guida in stato di ebbrezza.

Cyber Security: con Ermes Cyber Security i dati sensibili sono al sicuro dai furti

Globalmente esistono 20.000 Web Tracker, aziende come Facebook, Linkedin e Google che raccolgono ogni singola informazione che lasciamo sul Web, utilizzando  questi dati in maniera innocua per profilare ogni utente e proporre contenuti mirati. Tuttavia è stato documentato come questi stessi strumenti possano essere utilizzati per spiare costantemente le attività dei dipendenti delle aziende e raccogliere informazioni sensibili e private su utenti mirati come personaggi politici o per lo spionaggio industriale. Per permettere agli utenti di navigare in sicurezza e difendersi dai rischi generati dai Web Tracker Ermes Cyber Security, startup innovativa e Spin-Off del Politecnico di Torino, ha sviluppato e brevettato Ermes Internet Shield, una soluzione totalmente automatica che non richiede alcun intervento umano e che è in grado di assicurare una protezione totale aggiornata in tempo reale. Grazie ad algoritmi basati su machine learning, big data ed intelligenza artificiale, Ermes Cyber Security permette alle aziende di riprendere il controllo delle informazioni che espongono sul Web.

Mobilità sostenibile con MiMoto Smart Mobility, lo scooter sharing elettrico

Viabilità più snella per città sempre più smart e green, abbattimento costi fissi per l’utente, flessibilità di spostamento, mai più problemi di parcheggio: questi alcuni dei vantaggi del servizio di scooter sharing elettrico offerto da MiMoto Smart Mobility, ad ora attivo solo bella città di Milano ma che prossimamente sarà lanciato anche su Torino. La startup, che si propone anche come alleato delle amministrazioni comunali nella battaglia per la riduzione dell’inquinamento e del traffico urbano, mette a disposizione di studenti, cittadini e pendolari scooter elettrici che possono essere noleggiati in totale autonomia per spostamenti urbani tramite App su smartphone. A fine noleggio, raggiunto il punto d’interesse, gli utenti possono rilasciare gli scooter ovunque consentito all’interno dell’area operativa. I veicoli MiMoto sono sempre disponibili 24 su 24, 7 giorni su 7, totalmente elettrici e ad emissioni zero.

ELSE Corp: moda e retail all’insegna della sostenibilità

Moda, Virtual Retail e Cloud Manufacturing sono le parole chiave di ELSE Corp, la startup che ha sviluppato E.L.S.E. (acronimo di “Exclusive Luxury Shopping Experience”). Si tratta di una piattaforma Cloud SaaS e API tecnologicamente avanzata basata sul modello di business Virtual Retail, un concetto innovativo che sfrutta le tecnologie 3D, l’industria 4.0 e l’intelligenza artificiale per consentire alle aziende di offrire esperienze d’acquisto uniche, futuristiche e lussuose, prodotti dalla perfetta vestibilità e processi di produzione più sostenibili. Scopo di ELSE è ridefinire la catena del valore per l’industria della moda attraverso la ricerca applicata, aprendosi all’innovazione e alla collaborazione con i leader del settore e sviluppando tecnologie e processi aziendali sostenibili, trasparenti e tracciabili.

Leaf Space, lo Spazio a portata di tutti

Nata nel 2014 all’interno del Politecnico di Torino con lo scopo di semplificare l’accesso allo Spazio agli operatori di microsatelliti, l’azienda Leaf Space è attualmente impegnata nella realizzazione del progetto Leaf Line: un innovativo servizio centralizzato di telecomunicazione satellitare che garantisce l’accesso ai dati spaziali in maniera molto più semplice, veloce ed economica rispetto alle soluzioni oggi disponibili. Leaf Line è solo il primo di una pipeline di servizi che l’azienda ha in programma di sviluppare per semplificare sempre di più l’accesso allo spazio agli operatori satellitari privati. Il progetto è stato riconosciuto e premiato anche dall’Unione Europea con 1 milioni di euro di fondi.

Midori, con Ned l’energia di casa è sotto controllo

Midori, la startup nata alla fine del 2011 ed ospitata presso l’Incubatore I3P, presenterà a Startuppato gli strumenti di smart metering e di analisi energetica rivolti ad aziende e cittadini. In particolare, Midori mostrerà al pubblico Ned, il primo smart meter made in Italy che permette di tenere sempre sotto controllo quanta energia consumano gli elettrodomestici di casa, attraverso un solo strumento di misura.

L’evento è gratuito ed aperto a tutti, ma per partecipare occorre registrarsi sulla piattaforma Eventbrite o sul sito www.startuppato.techunnamed1

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I3P

I3P è l’Incubatore d’imprese del Politecnico di Torino. È uno dei principali incubatori europei e sostiene startup fondate sia da ricercatori universitari che da imprenditori esterni. Fondato nel 1999, è una società costituita da Politecnico di Torino, Città Metropolitana di Torino, Città di Torino, Camera di Commercio di Torino, Finpiemonte e Fondazione Torino Wireless. Ad oggi ha favorito la nascita di oltre 220 imprese, che hanno ottenuto capitale di rischio per circa 58 milioni di Euro e generato circa 2000 posti di lavoro e un giro d’affari di oltre 124 milioni di Euro nel 2016. I3P offre alle startup spazi attrezzati, consulenza strategica e specialistica, e continue opportunità di contatto con investitori e clienti corporate. In I3P possono accedere studenti, dottorandi, ricercatori, docenti del Politecnico di Torino o degli enti pubblici di ricerca, oltre che imprenditori o esterni interessati a sviluppare una startup innovativa con validata potenzialità di crescita. I settori di attività delle startup variano dall’ICT al Cleantech, dal Medtech all’Industrial, dall’Elettronica e automazione al digitale e al Social Innovation. Nel 2011, I3P ha lanciato TreataBit, un percorso di incubazione dedicato ai progetti digitali rivolti al mercato consumer, quali portali di e-commerce, siti di social network, applicazioni web e mobile. Ad oggi Treatabit ha supportato oltre 330 idee d’impresa, di cui più di 190 progetti sono online e 120 sono diventate impresa. Promotore di importanti iniziative per il trasferimento tecnologico, l’incubazione e la crescita di impresa, l’attività di I3P si inquadra nelle strategie globali del territorio piemontese volte a sostenere la ricerca, l’innovazione tecnologica, l’innovazione sociale e la nuova imprenditoria. Nel 2014 I3P si è classificato al 5° posto in Europa e al 15° al mondo nel ranking UBI Index (University Business Incubator) la classifica annuale degli incubatori universitari che ha preso in esame 300 incubatori di 67 paesi, valutandone l’attrattività e la creazione di valore per l’ecosistema e per i clienti.

Maggiori informazioni: www.i3p.it

Treatabit

Treatabit è il programma di supporto per startup digitali dell’Incubatore del Politecnico di Torino. Lanciato nel 2011, ad oggi ha supportato più di 330 team imprenditoriali che operano nell’ambito digitale, ha lanciato oltre 190 progetti da cui sono nate 120 aziende. Treatabit supporta i team imprenditoriali nella strutturazione dell’idea, nell’identificazione di una strategia di business e nella ricerca dei primi partner e clienti, fornendo supporto operativo nell’attuazione del business model. Mette inoltre a disposizione uno spazio di coworking all’interno della Cittadella Politecnica.

Maggiori informazioni: www.treatabit.com

Toolbox Coworking

8.000 mq di una ex-fonderia dell’inizio del secolo scorso, oltre 450 membri e 150 diverse attività tra freelance, startup e imprese di tutti i settori, più di 300 eventi l’anno, FablabTorino, il laboratorio per artigiani digitali, Print Club Torino, il laboratorio innovativo di stampa e sperimentazione grafica, e Casa Jasmina, il primo progetto pilota di appartamento connesso open source e Turn Into Coders, la scuola per diventare sviluppatore web full-stack con JavaScript. Toolbox Coworking è questo e molto altro: un grande spazio collaborativo in cui la condivisione e la contaminazione di idee e competenze sono il terreno fertile su cui crescono nuove modalità di lavoro e idee di business.

Maggiori informazioni: www.toolboxcoworking.com

Fonte:  agenziapressplay.it

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Exe.it: il primo Data Center in Italia a emissioni zero

Lo sapevate che i data center, se prendiamo in considerazione l’Europa, il Nord America e l’Oceania, sono la prima causa delle emissioni di anidride carbonica? Exe.it è una società che opera nel bolognese dal 1988 nel settore dell’informatica, fornendo servizi ad ampio spettro e di specializzazione. Con il suo Green data center è diventata la prima società in Italia a fornirsi di un data center completamente a emissioni zero, strutturato per l’efficienza energetica.

Dopo aver incontrato Gianni Capra, amministratore della società Exe.it Srl Sb, mi capita spesso di domandare a persone molto informate sul tema dei cambiamenti climatici se conoscono una delle cause di questo problema. In molti mi rispondono: “gli allevamenti intensivi, la produzione e il consumo di carne in generale”. A quel punto rispondo: “ma sai che un quarto d’ora di video su You Tube consuma in termini di emissioni quanto tre giorni di un frigorifero casalingo?” e vedo gli occhi dei miei interlocutori sgranarsi, come a pensare che io sia un tantino pazzo. Non hanno tutti i torti, lo devo ammettere, ma in tanti non sappiamo una cosa davvero importante: esistono documenti ufficiali che certificano come prendendo in considerazione l’Europa, il Nord America e l’Oceania, i data center costituiscono i massimi emettitori di CO2. Se si considera il mondo nel suo complesso sono gli allevamenti intensivi ad essere i maggiori emettitori. Conosciamo tutto di Steve Jobs ma poco di personaggi come Gianni Capra, uno di coloro che hanno trovato una soluzione al problema senza farci sudare freddo mentre guardiamo il video della band che amiamo.

Scopriamo la storia di Exe.it e del suo Green data center.

Che cos’è Exe.it?

Exe.it Srl Sb (vi spieghiamo dopo cosa significa quella sigla finale) nasce nel 1988 come azienda di informatica dedicata ai servizi.  La vera svolta avviene però con la nascita di internet: dopo questo evento, Exe.it si è immediatamente proposta come hosting, realizzando siti internet e offrendo servizi di providing. Qualche anno dopo si è spostata verso i servizi informatici a più ampio raggio rivolti alle aziende, partendo dai lunghi noleggi di hardware. Da azienda commerciale è diventata così un’azienda specializzata nei servizi, cambiando completamente la mentalità aziendale.

Già in questa prima fase di internet, Exe.it si appoggiava ad un data center nella sua vecchia sede di Bologna: si tratta di una sala macchine che ospita server, storage, gruppi di continuità e tutte le apparecchiature che consentono di governare i processi, le comunicazioni così come i servizi che supportano qualsiasi attività aziendale. Se tutti noi abbiamo un blog personale, è all’interno di un data center che questo gira, è grazie a questo assemblamento di macchine (e non solo) che possiamo vederlo. Dopo venticinque anni di attività. la Exe.it ha deciso di costruirsi un proprio data center, oggi attivo a Castel San Pietro Terme in provincia di Bologna. Perché, e cosa ha di particolare?20139671_1476862075694062_4788166544982053265_n-1

Il Primo Green data center in Italia

“Da una piccola ricerca che abbiamo effettuato, abbiamo scoperto che la preoccupazione numero uno in termini di emissioni di CO2 da parte della Comunità Europea, del Parlamento Australiano e Canadese e del Congresso Statunitense sono i data center: una notizia che non sa quasi nessuno” ci spiega allora Gianni Capra, Amministratore di Exe.it Srl Sb.  “Se si considera il mondo nel suo complesso sono gli allevamenti intensivi ad essere i maggiori emettitori. Eppure, ad esempio, nella nostra regione, l’Emilia Romagna, il più grande emettitore di Co2 è un data center molto importante”. Perché questo? Perché anche solo soffermandosi sul territorio italiano, i data center sono migliaia e ognuno consuma delle quantità spropositate di energia elettrica. La causa della loro massiccia presenza è che la totalità delle comunicazioni oggi passa attraverso un data center: cinema, televisione, musica, radio, ovviamente internet e quant’altro. L’esplosione degli smartphone non ha fatto altro che incrementare questa tendenza.

“Avendo preso atto di questo, la nostra idea era quella di provare a costruire, progettare e realizzare il primo data center in Europa ad emissioni zero. Non ci siamo riusciti perché siamo stati preceduti da altri nove data center che sono in Nord Europa (tre in Islanda, due in Norvegia, due in Finlandia e due in Svezia) mentre realizzavamo il nostro. Dunque il nostro Green data center è l’unico data center ad emissioni zero nell’area compresa tra Amburgo, Lisbona ed Atene.6883_1009784319068509_6582728425691563248_n

La struttura

Per raggiungere questo obiettivo, Exe.it ha progettato una struttura che ospita il data center a zero emissioni di anidride carbonica: “Una componente fondamentale di questa struttura è il legno: tutto il data center è costruito con questo materiale, che permette un livello di efficienza termica non comparabile con qualsiasi altra tipologia costruttiva. Le pareti in legno hanno una caratteristica fortemente isolante e conferiscono allo stabile un’altissima efficienza energetica. Noi non abbiamo nemmeno l’aria condizionata negli uffici e non ne sentiamo minimamente l’esigenza. Si aggiunga a questo il tetto completamente ricoperto di pannelli fotovoltaici, in sovrapproduzione di energia da anni ormai. Inoltre i nostri armadi Rack, le strutture dove si installano i server fisici, sono a bassissima densità: noi ne mettiamo al massimo ventuno su quarantadue posti disponibili, permettendo un minore surriscaldamento. Un altro aspetto è l’alta temperatura di funzionamento dei data center: di solito in questo ambiente si lavora a diciotto-venti gradi massimo, e per far questo bisogna raffreddare l’ambiente con i condizionatori. Noi lavoriamo a ventisei-ventotto gradi e tutto è studiato in funzione di questo. Altro aspetto importantissimo è la rinuncia totale ai dischi rigidi: nel nostri data center ci sono solo memorie allo stato solido, come quelle dei nostri telefonini o delle nostre macchine fotografiche. Il combinato disposto di tutte queste scelte permette di condizionare soltanto il ventuno per cento del tempo annuo, contro il cento per cento di un data center tradizionale, che tra l’altro consuma il cinquantacinque per cento del totale proprio per condizionare. Questa è la dimostrazione che un data center ad emissioni zero è sostenibile anche economicamente, persino a queste latitudini”.20604263_1491017070945229_4216119595084781855_n

Le certificazioni

Un altro aspetto che conferma la veridicità e la non autoreferenzialità di quanto affermato da Capra sono le certificazioni ufficiali, obiettivo centrale che Exe.it ha perseguito come dimostrazione del proprio lavoro: “Siamo convinti che la divulgazione sia importante, ma allo stesso tempo crediamo che la certificazione che attesti la veridicità di quanto dichiarato lo sia altrettanto. Ecco perché ci siamo sforzati di ottenerla, sottolineo la parola vera perché ce ne sono molte di certificazioni false! Quelle vere vengono rilasciate da enti accreditati, che fanno capo ad un unico organismo nazionale che risponde al Ministero dello Sviluppo Economico e che si chiama Accredia. Il 27 gennaio 2016 noi abbiamo avuto la nostra certificazione di essere un data center ad emissioni zero da parte di un ente accreditato, con un traguardo in più, molto difficile da ottenere: il diritto legale di emettere delle sub-certificazioni a costo zero da rilasciare a tutti coloro che trasferiscono tutti o in parte i propri dati informatici qui da noi. Oggi tutti i nostri clienti ricevono dunque una certificazione vera, con un numero identificativo univoco che rimanda ad un database che è dell’Ente no-profit che ha stabilito le normative: il massimo dell’oggettività possibile.13007143_1058858434161097_2085150427746808041_n

Gianni Capra, amministratore della società Exe.it

La Società Benefit

Exe.it è anche una SB, una società Benefit, società Profit che però formalizzano e rispettano una particolare attenzione all’ambiente, al sociale o ad entrambe le cose. La Società Benefit è ora riconosciuta ufficialmente dallo Stato Italiano, primo paese in Europa e secondo solo agli Stati Uniti nel Mondo a riconoscere giuridicamente questa formula societaria, con la legge numero 208 del 29/12/15. “Anche questo aspetto della Società Benefit è una certificazione, abbiamo pensato subito che facesse al caso nostro. Lo dimostra anche il nostro stabilimento, dove ci sono tante aree dedicate unicamente al benessere delle persone che lavorano qua. Abbiamo costruito una sala musica, una taverna, una palestra, ci sono gli orti dove poter raccogliere delle verdure: tutto è a disposizione di tutti i dipendenti e questo rende più gradevole il vivere in un posto, quello di lavoro, che porta via tanto tempo della nostra esistenza. Essendo una Benefit Corporation abbiamo tante altre cose formalizzate e inserite nello Statuto, quali per esempio il recupero totale delle acque piovane e una rigorosa raccolta differenziata”.

Arrivato il momento dei saluti, Gianni mi esprime un desiderio: “Noi siamo fieri di questa primogenitura in Italia per quanto riguarda il data center, ma non deve rimanere un unicità: vorremmo che la dimostrazione che un data center, l’oggetto più inquinante al mondo, può essere sostenibile al cento per cento ed emettere assolutamente zero anidride carbonica, fosse divulgato e diffuso.”

Nel nostro piccolo ci abbiamo provato, speriamo di essere seguiti sempre di più anche noi.

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2018/01/io-faccio-cosi-194-exe-it-primo-data-center-italia-impatto-zero/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni

Il Serraglio: una filiera di agricoltura locale e biodinamica

Passione per la natura, attenzione alla qualità dei processi produttivi e la ricerca di rapporti più autentici e diretti con i consumatori. L’Azienda Agricola Biodinamica Il Serraglio, una realtà che da 30 anni opera nel settore dell’agricoltura biodinamica proponendo beni alimentari, servizi e attività formative. Arriviamo al Serraglio col leggero affanno tipico di quando giriamo in camper e incastriamo interviste una dopo l’altra. Eravamo – Paolo, Daniel ed io – in giro da un po’ di giorni per la Romagna a girare video e quella mattina avevamo sconfinato in Emilia, provincia di Ferrara. Ci scusiamo per il ritardo ma Angelica ci guarda con aria comprensiva e dice “tanto siamo qui, prendetevela pure comoda” e chiede a sua madre di prepararci un caffè di benvenuto.

 

L’azienda agricola biodinamica Il Serraglio è una realtà storica, attiva fin dal 1983, portata avanti da una famiglia allargata composta da Marco e Renza, marito e moglie, i due figli Angelica e Daniele a cui si aggiungono alcuni lavoratori più o meno occasionali, fra cui Alessandro, il compagno di Angelica. Oltre al cane Yuri, festoso e giocherellone, grande protagonista della nostra intervista. È una di quelle aziende che, come si suol dire, riesce bene a combinare tradizione e innovazione. Questo si nota sia nel connubio in cucina – giacché Il Serraglio è anche un ristorante – fra i sapori tradizionali di Renza e l’innovazione culinaria di Alessandro, che ha studiato da chef, sia nelle tecniche avanzate di agricoltura biodinamica che vengono praticate. Inoltre si tratta di un’azienda a ciclo chiuso, che produce praticamente tutte le materie prima che servono per l’allevamento del bestiame e per il cibo del ristorante.IMGP2698

L’agricoltura biodinamica, per chi non la conoscesse, si basa su una serie di tecniche elaborate da Rudolf Steiner (già, lo stesso dell’educazione steineriana) che nascono dalla sua visione spirituale antroposofica dell’uomo e dell’universo. Esse tengono conto di molti fattori, fra cui l’influenza della luna, le interazioni interne al suolo e si basano su una visione olistica. Finita l’intervista ci invitano a fermarci per pranzo. Ravioli, insalata di zucca, pomodori appena colti: la decisione è presa, restiamo. Gli ingredienti sono genuini ed incredibilmente saporiti e vengono cucinati in una maniera sapiente, per esaltarne il gusto senza camuffarlo con troppi ingredienti. Faremo un po’ tardi anche all’intervista successiva, ma anche questa è la dura vita del giornalista.

Intervista: Daniel Tarozzi
Realizzazione video: Paolo Cignini

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2017/11/io-faccio-cosi-190-serraglio-filiera-agricoltura-locale-biodinamica/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni

Benvenuti a H-Farm, la Silicon valley italiana

Da oltre 12 anni H-Farm supporta progetti innovativi, forma le nuove generazioni e guida la trasformazione digitale delle aziende. Abbiamo incontrato il fondatore, Riccardo Donadon, che ci ha raccontato la nascita e l’evoluzione della fattoria dove si coltiva il futuro, tra tecnologia e natura. Arriviamo presso la sede di H-Farm in tarda mattinata. Dobbiamo intervistare il fondatore, Riccardo Donadon. Non so bene cosa aspettarmi. Nei film americani ho spesso visto “cittadelle” abitate da centinaia di giovani innovatori impegnati in progetti digitali o in discussioni creative in grado di generare i vari google e facebook, ma sono convinto che in Italia non esista niente del genere. E – come spesso accade – mi sbaglio. Dopo una breve attesa, infatti, Donadon ci raggiunge alla “reception” e inizia subito a condurci nei meandri di quella che a me appare come una “Silicon Valley” italiana. Prati verdi, edifici bassi, musica diffusa, macchinette elettriche ma soprattutto centinaia di giovani provenienti da tutto il mondo che scrivono, progettano, dibattono. Intorno a noi un parco – 1800 ettari – e la laguna di Venezia. Entriamo e usciamo da diverse strutture e osserviamo attoniti una sala multimediale che ricostruisce storia e attività di H-Farm. La sua storia è semplice.

Nasce nel 2005 come “incubatore” di innovazioni con l’obiettivo di aiutare i giovani ad avviare nuove imprese. Oggi è diventata una piattaforma che associa all’avvio di nuove imprese e start-up progetti di formazione e consulenza che servono a gestire il cambiamento che è in atto.

H-Farm, quindi, si è sviluppata in tre aree fondamentali:

  1. Investimenti, attraverso i quali si finanziano le iniziative migliori sui grandi “cluster” di innovazioni in Italia, fashion, food, manufatturiera, ecc. con l’obiettivo di selezionare per le aziende le idee e i progetti migliori proposti dai giovani competenti.
  2. Supporto alle imprese, attraverso duecento persone che lavorano per inserire il digitale all’interno delle aziende più importanti, facilitando loro le attività e i processi.
  3. Education. Da diversi anni vengono proposti percorsi post diploma. Ci sono inoltre tre scuole internazionali, dove viene sperimentato un modulo formativo che si aggiunge a un percorso tradizionale internazionale, aumentato al digitale. Ora l’obiettivo è estendere questo approccio anche all’università e in parallelo alle scuole primarie.18198723_10155496211454573_7622583018071844994_n

“Ho iniziato nel 1995, sviluppando progetti che sono andati bene – ci spiega Donandon – nel 2005, quindi, ho cercato di restituire ciò che avevo ricevuto. Ed ecco che creiamo H-Farm. H sta per Human, l’uomo è ciò per cui lavoriamo ma anche colui che lavora su queste iniziative. Farm – fattoria – vuole mantenere e sottolineare il legame tra il nostro lavoro e il luogo che ci ospita. Qui, infatti, c’era una vecchia fattoria. Volevamo e vogliamo sottolineare una scelta di vita che ci porta a lavorare nel digitale, che è frenetico e bello, in armonia e bilanciamento con la natura e con ritmi naturali”.

E in effetti natura e tecnologia sembrano fondersi in questo angolo di futuro in cui tutti si danno del tu e le persone sembrano serenamente impegnate in attività che – ai nostri occhi inesperti – possono apparire misteriose.

“Vogliamo davvero promuovere un essere umano che si ponga al centro di una creazione tecnologica e al servizio di nuove iniziative. Ci sentiamo un po’ coltivatori anche noi. Seminiamo ed aiutiamo le persone a seminare idee che devono poi germinare. Aver messo la tecnologia in mezzo alla natura crea un ambiente distensivo e ha quindi dei riflessi positivi nel prodotto, perché crea la consapevolezza che l’interlocutore è connesso con il ritmo naturale delle cose”.15977840_10154942186364573_3598494292825862356_n

H-Farm, oltre che in Veneto, ha sedi a Milano, Roma e Catania. Oltre 500 ragazzi si muovono tra di esse.
“Intorno a noi – comunque – sorgono altri progetti sviluppati da talenti che abbiamo finanziato con le nostre startup. Ci sono inoltre gli studenti. Insomma, le persone che vivono questi luoghi sono davvero tante”.

In generale, Donadon ha una visione positiva sulle potenzialità dei giovani: “Credo che questa generazione sia molto fortunata: la tecnologia è sempre più sviluppata, ci sono piattaforme di apprendimento alla portata di tutti e il crowdfunding permette di sviluppare i propri progetti anche da soli. Io sono partito da zero con l’intento di creare le condizioni. Sono nato e cresciuto facendo una starup, e sono riuscito a farla bene. Noi siamo qui per questo, per aiutare chi ha belle idee a far nascere imprese, investendo soldi per farne di più”.

In attesa che si sviluppino appieno le nuove scuole per l’infanzia e la fondazione – H for Human – lasciamo dopo oltre quattro ore Donadon al suo lavoro. Ripartiamo – dopo un breve giro su una “Tesla” (una macchina elettrica all’avanguardia) – con negli occhi e nelle orecchie questo angolo di futuro immerso nel verde tra Venezia e Treviso convinti che questo sia stato solo un primo incontro. Abbiamo gettato i primi semi. Lasciamoli germogliare.

 

Intervista e Riprese: Daniel Tarozzi
Montaggio: Paolo Cignini

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2017/09/io-faccio-cosi-182-benvenuti-alla-h-farm-silicon-valley-italiana/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni

Economia circolare, UrbanWins a Torino lancia le agorà fisiche

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La prima Face-to-Face Agorà di UrbanWins torinese si svolgerà il 29 giugno 2017 presso Open Incet (via Cigna 96/17) per discutere di rifiuti, riuso e sharing economy. UrbanWins, la rete di città europee creata nell’ambito del programma Horizon 2020, lancia le agorà fisiche in otto città pilota europee – Cremona, Torino e due città dell’area metropolitana di Roma capitale, Albano Laziale e Pomezia (Italia), Bucharest (Romania), Leiria (Portogallo), Manresa e Sabadell (Spagna). Lo scopo è di conoscere, condividere e discutere con il maggior numero di cittadini idee sul tema dei rifiuti, delle risorse e dell’innovazione. La Città di Torino, insieme alle altre città della rete, vuole individuare nuove modalità per estendere la raccolta differenziata, aumentare il riuso e riutilizzo di beni a fine vita, stimolare nuovi modelli economici basati sull’economia circolare e la sharing economy. Per fare questo, invita i cittadini al partecipare alle Agorà fisiche, gruppi di lavoro a tema finalizzati all’ideazione e progettazione di proposte concrete e applicabili.

Info e iscrizioni

La prima Face-to-Face Agorà di UrbanWins torinese si svolgerà il 29 giugno 2017 presso Open Incet, via Cigna 96/17, Per iscriversi occorre accedere al sito Urbanwins e seguire le istruzioni. Inoltre sarà possibile comunque seguire i lavori e il progetto on-line accedendo alla piattaforma e registrarsi.

La partecipazione è gratuita, ma è necessaria la registrazione. Per ulteriori informazioni, contattare:

E-mail: urbanwins@comune.torino.it / info@openincet.it

Numero di telefono: Open Incet: +39 011 19482728

Fonte: ecodallecitta.it

 

Alveare on tour: oltre 50 eventi e 20.000 persone coinvolte nel viaggio alla ricerca del Km0

Si è concluso con successo il primo tour de L’Alveare che dice Sì!, la startup che ha portato in giro per l’Italia l’innovazione e il buon cibo, promuovendo l’incontro tra produttori e consumatori e l’acquisto di cibi a Km0. Nelle 6 città coinvolte sono stati oltre 20.000 i visitatori del Food Innovation Village, supportato da Seeds&Chips, il Global Food Innovation Summit. Nel corso del tour, che ha permesso di scoprire le tradizioni culinarie, sociali ed imprenditoriali italiane, è stato presentata ShareTheMeal, l’app gratuita realizzata dal World Food Programme (WFP) per donare pasti nutrienti ai bambini bisognosi.

6 piazze, oltre 30 produttori incontrati, più di 30 startup e oltre 50 eventi: questi i numeri del tour de L’Alveare che dice Sì!, la piattaforma che promuove il contatto tra produttori e consumatori e gli acquisti di prodotti freschi e a km0 via web. Organizzato dalla startup piemontese seguita da Treatabit, il programma di pre-incubazione del Politecnico di Torino, e supportato da Seeds&Chips, il Global Food Innovation Summit, dal 24 settembre al 15 ottobre il tour ha percorso con successo, a bordo di un food truck, più di 1000 km in giro per l’Italia alla ricerca del km0, coinvolgendo oltre 20.000 visitatori.

Dal Nord al Sud alla ricerca del Km0

Torino, Milano, Bologna, Roma, Napoli e Bari: da nord a sud, queste le città che sono state protagoniste del tour e che negli scorsi giorni hanno visto sorgere il Food Innovation Village dell’Alveare che dice Sì! supported by Seeds&Chips, un villaggio itinerante che ha messo in contatto filiera corta, startup e consumatori. Qui i curiosi hanno potuto conoscere da vicino le realtà italiane che promuovono la sharing economy, la food innovation e lotta agli sprechi: tra queste Gnammo, la più grande piattaforma di social eating in Italia, e Last Minute Sotto Casa, piattaforma che permette ai negozianti di vendere prodotti alimentari invenduti a fine giornata a prezzo scontato. Il tour ha dato voce anche alle associazioni locali e ai produttori, che hanno potuto portare in piazza i loro prodotti. Obiettivo: unire socialità e tecnologia, mostrare come sta cambiando ed evolvendo il mondo del food italiano, raccontare l’innovazione e le tradizioni puntando a migliorare i sistemi produttivi, ottimizzare la distribuzione, evitare gli sprechi.
L’Alveare che dice Sì!, 100 gas 2.0 in tutta Italia

Al centro del Food Innovation Village, il Food Truck de L’Alveare che dice Sì! che ha dato modo ai più golosi di assaggiare i prodotti della filiera corta e di entrare in contatto con i produttori locali e con gli Alveari presenti sul territorio. Scopo della startup è proprio quello di far incontrare produttori e consumatori con gruppi di acquisto 2.0: tramite la piattaforma online www.alvearechedicesi.it è possibile infatti vendere e comprare i prodotti locali utilizzando internet e la sharing economy. I produttori locali presenti nel raggio di 250 km possono infatti iscriversi al portale ed unirsi in un “Alveare”, mettendo in vendita online i loro prodotti; i consumatori che si registrano sul sito possono acquistare ciò che desiderano, senza obbligo di frequenza o spesa minima, presso l’Alveare più vicino casa, scegliendo direttamente sulla piattaforma o sulla app per smartphone dedicata. Il ritiro dei prodotti avviene settimanalmente permettendo l’incontro e lo scambio diretto tra agricoltori e consumatori, che così, in modo semplice, avranno sempre accesso ad alimenti freschi, locali e di qualità. Il progetto, nato in Francia nel 2011, è arrivato in Italia un anno fa e ha già visto nascere circa 100 Alveari su tutto il territorio.

“Il tour ci ha portato a scoprire creazioni culinarie, sociali ed imprenditoriali delle diverse realtà locali ed è stata una grande occasione per diffondere la nostra idea di sviluppare la filiera corta, ritrovare il sapore dei propri territori, lottare contro i cambiamenti climatici e ristabilire un legame tra consumatori e produttori. Ci ha permesso inoltre di fortificare la nostra rete con la creazione di diversi nuovi Alveari in tutta la penisola”, spiega Eugenio Sapora, founder di L’Alveare che dice Sì! “È stata un’azione impegnativa quanto divertente che ha permesso di sviluppare nuove collaborazioni non solo tra le startup presenti ma anche con le belle realtà produttive che ci hanno accompagnato”.
ShareTheMeal, con Alveare presentata la app del World Food Programme (WFP)
Con il WFP Italia Onlus, che ha patrocinato l’evento, il Food Innovation Village ha presentato l’app gratuita ShareTheMeal per condividere il proprio pasto con un bambino bisognoso, realizzata dal World Food Programme (WFP), la più grande organizzazione umanitaria che combatte la fame nel mondo. Con un tocco sul proprio smartphone si possono donare 40 centesimi al WFP sufficienti a sfamare un bimbo per un giorno. L’obiettivo? Contribuire a donare 2 milioni di pasti nutrienti – per un intero anno scolastico – a 58.000 bambini che vivono in Malawi. Il World Food Programme, in occasione del 16 ottobre, Giornata Mondiale dell’Alimentazione, ha inoltre  lanciato la nuova funzione “Community”: per amplificare la portata della sua donazione, l’utente di SharetheMeal può creare un gruppo di sostenitori o aderire a quelli esistenti.

Maggiori informazioni su: www.alvearechedicesi.it

Media partner Alveare on Tour:

Chi è l’Alveare che dice sì!

L’Alveare che dice sì! è una startup nata nel 2016 e incubata presso Treatabit, il percorso per le startup digitali dell’Incubatore I3P del Politecnico di Torino. E’ un progetto che ha origine in Francia nel 2011 col nome di “La ruche que dit oui”, e che nel paese transalpino ha ottenuto un enorme successo: ad oggi sono più di 650 gli Alveari presenti Oltralpe.  In Italia, in soli due mesi, sono sorti oltre 30 Alveari su tutto il territorio nazionale.
Chi è Seeds&Chips:

Seeds&Chips, il Global Food Innovation Summit dove cibo e tecnologia si incontrano. Un punto di riferimento per startup, aziende, investitori, opinion leader e policy makers che operano nel FoodTech e un momento di condivisione di contenuti e visioni, progetti ed esperienze. “Perché innovare nel Food System non è solo un’opportunità, è una sfida che riguarda tutti.” Quattro giorni di esposizione, conferenze, business matching, hackathon, pitch e award con i protagonisti e gli innovatori del settore agroalimentare.

Maggiori informazioni: www.seedsandchips.com

Fonte: agenziapressplay.it

 

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