Con la pandemia le ecomafie e i reati ambientali sono cresciuti? Ecco cosa ci dicono i dati

Gli ecoreati non conoscono crisi, dallo smaltimento illegale alle agromafie ai delitti ambientali: dal Rapporto Ecomafia 2021, condotto da Legambiente Piemonte in collaborazione con Libera Piemonte, emerge che tutti i settori dell’illecito ambientale sono in crescita. Il Piemonte si attesta al 9° posto in Italia con oltre 1.326 reati nel 2020 e al 5° per quanto riguarda l’illegalità nel ciclo di rifiuti.

«Va scongiurato in ogni modo il rischio di infiltrazioni ecomafiose nei cantieri del PNRR, opere che servono alla transizione ecologica del Paese». Sono queste le Parole di Legambiente Piemonte e Valle d’Aosta, che a inizio febbraio ha presentato il Rapporto Ecomafia 2021 insieme a Libera Piemonte, per informare e riportare dati aggiornati sulla diffusione delle ecomafie nelle regioni italiane.

Nonostante le drammatiche conseguenze della pandemia Covid-19, i reati ambientali scoperti nel 2020 in Italia hanno toccato quota 34.867 (+ 0,6% rispetto al 2019): in numeri parliamo di oltre 95 reati al giorno, 4 ogni ora. Come ha spiegato Giorgio Prino, Presidente di Legambiente Piemonte e Valle d’Aosta, «la pandemia non ha fermatole attività illegali. In questo periodo le Ecomafie hanno fatto un lavoro “eccezionale”, senza fermarsi. Nel 2020 sono diminuiti del 17% i controlli, eppure sono aumentati del 12% i crimini e del 14% gli arresti per ecoreati».

SCONGIURARE IL RISCHIO DI INFILTRAZIONI MAFIOSE NEI CANTIERI DEL PNRR

Il fatto chenemmeno l’emergenza pandemica sia riuscita a fermare o a far calare l’incidenza delle pratiche delinquenziali è per Legambiente un dato estremamente allarmante. La preoccupazione è rivolta ai soggetti che beneficeranno dei fondi del PNRR e che saranno chiamati a eseguire le opere finanziate. Parliamo, ad esempio, dei cantieri per la realizzazione di opere ferroviarie e portuali, impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili e di riciclo dei rifiuti, depuratori, interventi di rigenerazione urbana, infrastrutture digitali, ovvero le opere coinvolte nella transizione ecologica del Paese. Per quanto riguarda i dati, «un elemento di preoccupazione è rappresentato dalla crescita dei reati ambientali accertati nelle quattro regioni a tradizionale presenza mafiosa (Campania, Puglia, Calabria e Sicilia) che corrisponde, per il 2020, al 46,6% del totale nazionale. Il Piemonte si colloca al nono posto nella classifica generale nazionale e al quinto per quanto riguarda l’illegalità nel ciclo di rifiuti».

INSERIRE L’INCENDIO BOSCHIVO E LE AGROMAFIE TRA I DELITTI AMBIENTALI

Dal 1994 Legambiente lavora sul tema degli Ecoreati. Come ha raccontato Stefano Ciafani, «ci abbiamo messo 21 anni a ottenere la legge sugli Ecoreati, legge di cui ancora oggi sottolineiamo la bontà e l’importanza». Come afferma, ora è fondamentale un deciso cambio di passo che porti a completare il sistema normativo inserendo i delitti ambientali e di incendio boschivo tra i reati per cui è possibile, vista la loro particolare gravità e complessità, prorogare i termini di improcedibilità previsti dalla riforma della giustizia, approvata dal Parlamento.

Con Libera condividiamo la volontà di lanciare un segnale forte su come andranno utilizzati i fondi del PNRR

Andrebbe anche aggiornato il Codice penale «inserendo tra i delitti anche le agromafie, il traffico di opere d’arte e di reperti archeologici e il racket degli animali». Risulta poi fondamentale alzare il livello qualitativo dei controlli pubblici ambientali in tutta Italia, a partire dal Centro-Sud. «Servono nuove risorse finalizzate all’aumento del personale per le valutazioni, le ispezioni e all’acquisto della strumentazione innovativa per effettuare i monitoraggi».

LA CRIMINALITÀ DEL CICLO DEI RIFIUTI

Nel 2019 il ciclo dei rifiuti resta il settore maggiormente interessato dai fenomeni più gravi di criminalità ambientale: a guidare la classifica per numero di reati è la Campania, seguita a grande distanza dalla Puglia e dal Lazio (che con 770 reati sale al terzo posto di questa classifica, scavalcando la Calabria). In Italia quasi 2,4 milioni di tonnellate di rifiuti sono finiti sotto sequestro (la stima tiene conto soltanto dei numeri disponibili che contano 27 inchieste), corrispondenti a una colonna di 95.000 tir lunga 1.293 chilometri, poco più della distanza tra Palermo e Bologna.

I DATI PIEMONTESI

Nella classifica dell’attività operativa (in applicazione della l.68/2015 sui reati ambientali) il Piemonte si classifica al quinto posto. La corruzione ambientale è lo strumento principale usato dalle mafie per legarsi al mondo economico, oltre che a quello istituzionale, raggiungendo obiettivi di lungo periodo e garantendosi affari illimitati. Nell’ultimo anno il Piemonte si classifica ottavo (con 14 inchieste che corrispondono al 3,6% sul totale nazionale). Nel 2020, nella classifica regionale dell’illegalità del ciclo dei rifiuti, il Piemonte si aggiudica la quinta posizione (in classifica con 569 reati accertati, il 6,8% del totale nazionale). La classifica degli incendi negli impianti di trattamento, smaltimento e recupero dei rifiuti conferma anche in questo caso la quinta posizione del Piemonte a livello nazionale (con 101 incendi in corrispondenza degli impianti) mentre nella classifica regionale degli incendi dolosi, colposi e generici il Piemonte si trova al decimo posto (con un totale di 142 reati).

I FANGHI DI DEPURAZIONE CHE AVVELENANO L’AGRICOLTURA

I fanghi di depurazione rimangono uno dei tasti dolenti della gestione dei rifiuti, che molte volte attiva percorsi ecocriminali. Una delle inchieste più importanti è quella che ha riguardato una parte della provincia di Brescia, rivolta ai fanghi prodotti dall’azienda Wte che si sono rivelati contaminati da metalli pesanti, idrocarburi e altre sostanze inquinanti e che sono stati scaricati senza adeguati trattamenti nei campi agricoli di Lombardia, Piemonte, Veneto ed Emilia-Romagna.

IL BUCO NERO DELLE CAVE ILLEGALI

Secondo Legambiente, risale agli ultimi mesi del 2020 una vicenda avvenuta in Piemonte e più precisamente a Romagnano, in provincia di Novara, lungo le sponde del fiume Sesia. In quest’occasione i Carabinieri forestali hanno messo i sigilli a una cava abusiva di materiale litoide e di sabbie che veniva riempita di fanghi. Come emerge, «il proprietario di un impianto di frantumazione di terre e rocce da scavo presente accanto alla cava è stato denunciato per gestione di rifiuti e attività estrattiva non consentita».

IL CAPORALATO NELL’ASTIGIANO

Un’operazione di particolare interesse per quel che riguarda le filiere illecite dell’agroalimentare ha riguardato il Piemonte e in particolare l’area dell’astigiano. «Nel Nord più economicamente sviluppato, con un’agricoltura specializzata e vicina alle grandi vie commerciali europee, venivano praticate forme particolarmente gravi di caporalato e sfruttamento della relativa manodopera».

La manodopera è nella maggior parte dei casi di origine straniera e originaria di paesi come Nigeria, Gambia, Senegal e Mali. «Nello specifico, alcuni criminali sfruttavano braccianti agricoli immigrati, durante la vendemmia nel Monferrato, pagandoli 3 € l’ora e facendoli lavorare fino a dieci ore ininterrotte al giorno, tutti i giorni del mese».

Tutti questi e molti altri dati sono disponibili nel Rapporto Ecomafia 2021 di Legambiente e Libera Piemonte.

Fonte: https://www.italiachecambia.org/2022/03/ecomafie-reati-ambientali-dati/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

IT.A.CÀ: il tema dell’edizione 2021 sarà il diritto a respirare

Dopo l’edizione virtuale del 2020, conclusasi lo scorso novembre, IT.A.CÀ migranti e viaggiatori, il Festival del Turismo Responsabile, si sta preparando per il 2021, raccogliendo i preziosi spunti offerti da questo difficile anno e incentrando la rinascita sul tema del Diritto e Respirare. Dopo aver raggiunto oltre 2 milioni e mezzo di utenti nella prima parte completamente online dell’evento, che da maggio a giugno ha virtualmente accolto 165 esperti del turismo, IT.A.CÀ ha appena concluso anche la sua seconda parte ‘live’: da agosto a novembre, infatti, il festival che per primo ha raccontato in Italia i temi legati al turismo responsabile è tornato ad organizzare gli eventi sui territori.

Con la sua rete composta da oltre 700 realtà nazionali e internazionali, formata da 21 tappe presenti in 12 regioni italiane, il festival ha potuto raccontare, dal punto di vista di ciascun territorio, il tema 2020 – Bio-diversità: paesaggio e umana bellezza – attraverso l’organizzazione di oltre 200 eventi dal vivo (nel pieno rispetto delle norme anti-Covid19). Ma lo ‘stop’ del festival è solo apparente. IT.A.CÀ infatti con la sua rete non si è mai fermata e, dopo aver salutato gli ultimi eventi di novembre, è già al lavoro per l’edizione 2021.

«Puntiamo maggiormente a fare del turismo il volano di sviluppo delle aree interne, che offrono quel benessere ormai compromesso nei centri urbani, impegnandoci a realizzare un programma capace di coniugare il diritto di respirare dei visitatori con la qualità della vita degli abitanti», afferma Pierluigi Musarò, Direttore di IT.A.CÀ.

Foto di Sonjita Brez tratta dalla pagina facebook Itaca migranti e viaggiatori

Ed è proprio Diritto di Respirare il tema portante di quella che nel 2021 sarà la XIII edizione del festival: un pensiero che trae ispirazione da Achille Mbembe, filosofo camerunense considerato uno dei più importanti teorici del post-colonialismo. IT.A.CÀ già in questi giorni sta accogliendo le numerose richieste di nuove realtà del nostro Paese, a riprova di un interesse verso le tematiche del festival che cresce sempre di più.

Territori e regioni che intendono proporre percorsi, itinerari, piccoli eventi nel rispetto della natura e dell’ambiente. E nel pieno rispetto del respiro: il tema 2021 è una riflessione sul respiro non solo come bisogno, ma come diritto. Un fluire lento e fondamentale, una presenza e un ascolto di ciò che c’è intorno e dentro di noi. Il respiro che manca dal corpo malato, il respiro che non c’è nella natura quando la si inquina. Diritto di respirare è la risposta della rete del festival all’emergenza in atto: per ricordare a tutti che esistere non è avere o possedere, ma significa semplicemente respirare. Ed è un diritto fondamentale della Terra, degli esseri che la abitano, delle nostre esistenze.

«La pandemia ci ha messo di fronte alla cruda realtà dei fatti, ovvero che l’attuale sistema economico non è più sostenibile: è giunta l’ora di fare veramente un cambio di paradigma per rimettere al centro delle nostre vite l’ambiente in cui viviamo e la cura delle comunità», dichiara Sonia Bregoli, co-fondatrice del festival. L’azione della rete del festival su nuovi modelli di viaggio continua da sempre e, in un anno segnato dalla pandemia, ora più che mai l’intero settore del turismo deve fare i conti con la necessità di ridisegnare il proprio futuro verso scelte sostenibili e più attente alle comunità e ai territori.

Fonte: https://www.italiachecambia.org/2021/04/itaca-edizione-2021-diritto-a-respirare/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

Unep: la pandemia non ha fermato il riscaldamento globale, serve una ‘ripresa green’

Secondo il Programma ambientale delle Nazioni Unite, con una ripresa verde si potrebbero ridurre fino al 25% le emissioni di gas serra e avvicinare il mondo al raggiungimento degli obiettivi dell’accordo di Parigi

Secondo il nuovo rapporto del Programma ambientale delle Nazioni Unite

Emissions Gap Report 2020

una “ripresa green” dalla pandemia potrebbe ridurre fino al 25% le emissioni di gas serra previste per il 2030 e avvicinare il mondo al raggiungimento dell’obiettivo previsto dall’accordo di Parigi di limitare al di sotto dei 2 gradi Celsius il riscaldamento medio globale rispetto al periodo preindustriale, puntando a un aumento massimo della temperatura pari a 1,5 gradi.  Il rapporto Unep rileva che, nonostante un calo delle emissioni di Co2 nell’anno corrente a causa del Covid-19, il mondo viaggia ancora verso un aumento della temperatura superiore ai 3 gradi. Tuttavia, dice l’organizzazione, se i governi investissero in azioni per il clima come parte della ripresa dalla pandemia e consolidassero gli impegni per emissioni zero alla prossima Cop di Glasgow nel novembre 2021, potrebbero portare le emissioni a livelli sostanzialmente coerenti con l’obiettivo dei 2 gradi. Se non addirittura coerenti con quello più ambizioso di un grado e mezzo, combinando una ripresa green con nuovi impegni sulle emissioni anche nei programmi nazionali (NDCs) .

“L’anno 2020 è destinato a essere uno dei più caldi mai registrati, mentre gli incendi, le tempeste e la siccità continuano a provocare il caos”, ha affermato Inger Andersen, Direttore esecutivo dell’Unep. “Tuttavia, il nostro rapporto mostra che una ripresa green da una pandemia può eliminare un’enorme fetta delle emissioni di gas serra, esorto i governi a sostenerla e ad aumentare in modo significativo le loro ambizioni climatiche nel 2021”.

Ogni anno il Gap Report dell’Unep valuta il divario tra le emissioni di gas serra previste e i livelli coerenti con gli obiettivi dell’accordo di Parigi. Il documento rileva che nel 2019 le emissioni totali di gas climalteranti, incluse quelle derivanti dal cambiamento nell’uso del suolo, hanno raggiunto un nuovo massimo di 59,1 gigatonnellate di CO2 equivalente (GtCO2e). Le emissioni globali di gas serra sono aumentate in media dell’1,4% all’anno dal 2010, con un aumento più rapido del 2,6% nel 2019 a causa di un forte aumento degli incendi boschivi. Come risultato della riduzione dei viaggi, della minore attività industriale e della minore generazione di elettricità quest’anno a causa della pandemia, si prevede che le emissioni di anidride carbonica diminuiranno fino al 7% nel 2020. Tuttavia, questo calo si traduce solo in una riduzione di 0,01 grado del riscaldamento entro il 2050. Nel frattempo, gli NDCs rimangono inadeguati.

Ripristino green critico

Una ripresa green potrebbe invece portare le emissioni nel 2030 a 44 GtCO2e, invece delle 59 GtCO2e previste, superando di gran lunga le riduzioni delle emissioni previste negli NDCs incondizionati, che lasciano il mondo sulla strada di un aumento della temperatura di 3,2 gradi. Un tale recupero ecologico collocherebbe le emissioni entro l’intervallo che offre una probabilità del 66% di mantenere le temperature al di sotto dei 2° C, ma sarebbe comunque insufficiente per raggiungere l’obiettivo di 1,5° C.

Le misure per dare la priorità ad una ripresa fiscale green includono il supporto diretto per le tecnologie e le infrastrutture a zero emissioni, la riduzione dei sussidi ai combustibili fossili, l’assenza di nuove centrali a carbone e la promozione di soluzioni basate sulla natura, tra cui il ripristino del paesaggio su larga scala e il rimboschimento. Finora, rileva il rapporto, l’azione per una ripresa fiscale verde è stata limitata. Circa un quarto dei membri del G20 ha dedicato al massimo il 3% del PIL a misure a basse emissioni di Co2. Ciononostante rimane una significativa opportunità per i paesi di attuare politiche e programmi verdi. Il rapporto rileva inoltre che il numero crescente di paesi che si impegnano a raggiungere obiettivi di emissioni nette zero entro la metà del secolo rappresenta uno “sviluppo significativo e incoraggiante”. 

Riformare il consumo critico

Ogni anno la relazione esamina anche il potenziale di settori specifici. Nel 2020 prende in considerazione il comportamento dei consumatori e i settori della navigazione e dell’aviazione. I settori marittimo e aereo, che rappresentano il 5% delle emissioni globali, richiedono molta attenzione. I miglioramenti nella tecnologia e nelle operazioni possono aumentare l’efficienza del carburante, ma l’aumento previsto della domanda significa che ciò non si tradurrà in decarbonizzazione e riduzioni assolute di Co2. Entrambi i settori devono combinare l’efficienza energetica con una rapida transizione dai combustibili fossili, rileva il rapporto. Per quanto riguarda invece il settore privato, l’Unep rileva che quando si utilizza la contabilità basata sui consumi, circa due terzi delle emissioni globali sono legate alle famiglie private. I ricchi hanno la maggiore responsabilità: le emissioni dell’uno per cento più ricco della popolazione mondiale rappresentano più del doppio della quota complessiva del 50 per cento più povero. Questo ristretto gruppo dovrebbe ridurre la propria impronta di 30 volte per permettere a tutti di rimanere in linea con gli obiettivi dell’accordo di Parigi. Possibili azioni per sostenere e consentire consumi a minor impatto ambientale includono la sostituzione dei voli nazionali a corto raggio con la ferrovia, incentivi e infrastrutture per consentire la mobilità ciclistica e il car-sharing, migliorare l’efficienza energetica degli alloggi e politiche per ridurre lo spreco alimentare.

Fonte: ecodallecitta.it

Una comunità nella Natura che ha preso vita durante la pandemia

Daniela e la sua famiglia sono in viaggio da tempo per sperimentare nuovi stili di vita, liberi e nomadi; poi è scoppiata la pandemia. Come a volte accade, la crisi è diventata un’opportunità e il piccolo gruppo ha scoperto un villaggio in mezzo alla Natura dove trascorrere la quarantena e praticare la vita comunitaria.

 “Insieme di persone unite tra loro da rapporti sociali, linguistici e morali, vincoli organizzativi, interessi e consuetudini comuni: comunità nazionale, cittadina; agire nell’interesse della comunità; comunità umana, la società degli uomini, il consorzio umano; comunità di affetti, la famiglia”.

Questo è il significato generale che troviamo sul dizionario della lingua italiana alla voce Comunità. L’immaginario che si crea intorno a questo termine, oggi più che mai, rimanda la maggior parte delle persone a un bisogno insoddisfatto di condivisione e calore, a contesti lontani e non quotidiani, resi ancora più distanti dalla spaccatura sociale causata dall’isolamento forzato dopo gli ultimi accadimenti mondiali.

Dalla cima di una collina, ecco la terra che ci ha ospitato durante la quarantena, vicino a Odemira, Portogallo.

Se ritorniamo al significato proprio del termine, comunità è un concetto molto ampio e può riguardare ogni gruppo di persone che sceglie consapevolmente di dichiarare come comuni dei valori e delle pratiche di vita, e lavorare insieme per portarle avanti e rispettarle. Un condominio ospita potenzialmente una comunità; un quartiere, una squadra di lavoro, una scuola, un gruppo sportivo, un insieme di persone che condividono un progetto o una passione, sono terreni fertili per coltivare il senso di comunità. Ma da dove si comincia a costruire un progetto comune, soprattutto quando si parla di comunità di vita quotidiana? Identificare il progetto e i valori sui quali fondarlo è sicuramente il miglior punto di partenza. In questo primo passo è insita la necessità individuale e familiare di avere ben chiaro quale sia il proprio progetto di vita e su quali valori vuole essere fondato, step fondamentale per poi confrontarsi con gli altri, accettarne le differenze e trovare compromessi e soluzioni, dove possibili. Questo primo gradino, che sembrerebbe il più semplice, è tuttavia molto delicato: conoscere se stessi, i propri bisogni, lavorare per portare alla luce la propria visione di vita richiedono un lavoro di introspezione profonda. Io e la mia famiglia, per scoprire noi stessi, siamo andati alla ricerca della nostra visione con un camper, in giro per il mondo.

Le intense esperienze condivise insieme hanno unito grandi e piccoli, creando un clima di genitorialità condivisa.

Sembra paradossale pensare di fare il primo passo verso la costruzione di una comunità abbandonando il tessuto sociale nel quale si vive e girare il mondo, liberi da qualsiasi vincolo con altre persone. Invece questa scelta ci ha permesso di scoprire cosa davvero ci fa battere il cuore, cosa ci fa vivere sereni, cosa per noi è superfluo, cosa è fondamentale. Ed è successo che, più ci sentivamo a nostro agio nella vita on the road, più i nostri incontri con altre famiglie si facevano frequenti, e più eravamo attirati da persone che avevano scelto una vita simile alla nostra. Scegliere è la strada per trovare il proprio cammino. Lo scorso autunno, scegliendo di lasciare definitivamente le quattro mura che ci legavano al territorio lombardo, abbiamo deciso di dare spazio alla vita che sentivamo corrispondesse ai nostri valori e l’abbiamo seguita. E più le davamo spazio, più la nostra visione si palesava ai nostri occhi e nelle nostre vite.

Il nostro cammino, che ci ha condotto in Portogallo passando per Francia, Spagna e Marocco, si è incrociato nuovamente con quello delle famiglie con cui sentivamo di avere un legame profondo e, spontaneamente e senza forzature, gli avvenimenti vissuti insieme ci hanno condotto su un sentiero comune.

Appena sapute le restrizioni portoghesi per arginare l’epidemia covid, cerchiamo di trovare soluzioni per poter stare insieme, in luoghi isolati dell’Algarve e vicino all’oceano, che purtroppo si sono dimostrate non conformi alle leggi decise dalle istituzioni statali. Mentre eravamo in riva al mare, con amici vecchi e nuovi, su una bellissima spiaggia dell’Algarve, siamo stati travolti dallo tsunami della pandemia mondiale, che ci spingeva ad allontanarci uno dall’altro e a trovare ognuno una casa in affitto o a tornare ai nostri paesi di origine, per rispettare le normative sulla quarantena. In un momento in cui le istituzioni mondiali chiamavano all’isolamento, noi abbiamo deciso di stare uniti, di cercare un luogo adatto per poter passare la quarantena tutti insieme, trovando rifugio in un grande terreno di un amica tedesca. Proprio lì, in una stupenda radura tra i boschi del distretto di Odemira, abbiamo cominciato a sperimentare cosa volesse dire vivere come una comunità, come un piccolo villaggio, condividere spazi, tempi e progetti. Le assemblee in cerchio sono state un altro passo fondamentale per confrontarci ed esprimere visioni generali su ciò che desideravamo, e a prendere decisioni riguardanti la vita quotidiana, come l’orto comune e lo spazio per i bambini. Ma ancora più importante è stato, giorno dopo giorno, ascoltare noi stessi e gli altri, chiedendoci se ciò che stavamo vivendo corrispondeva a ciò che volevamo per noi e la nostra famiglia; le risposte sincere che ci siamo dati hanno portato a separare la nostra strada da una famiglia con cui non condividevamo lo stesso progetto di vita e, al contempo, hanno rafforzato la coesione con quelle a noi affini. Il passo successivo dopo la quarantena è stato affittare un terreno insieme, dove proseguire il cammino verso il nostro progetto di comunità: un gruppo spontaneo di persone libere, amiche, che non ha doveri o progetti comuni obbligatori, ma condivide il calore dello stare uniti.

Donne, mamme, compagne, amiche, sostenitrici della comunità, camminano insieme sulle radure nel distretto di Odemira, Portogallo. Crescere insieme e imparare quotidianamente uno dall’altro, aiutarsi a vicenda, sorreggersi, costruire un piccolo villaggio in mezzo alla natura, che le sia rispettoso, una cucina comune e uno spazio di apprendimento per i bambini e le bambine, sono le basi su cui abbiamo deciso di lavorare insieme; il resto sarà un fluire di energie, volontà e sincronicità, in cui tutto è possibile e niente è forzato. Chi fosse interessato a seguire il nostro viaggio di vita può trovare informazioni e contatti sul sito www.sentierinontracciati.com oppure su facebook sulle pagine Il mandala acchiappasogni e sul profilo personale Daniela De angelis. Fonte: https://www.italiachecambia.org/2020/07/comunita-natura-durante-pandemia/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

I Am the Virus / We Are not the Virus: un esperimento in Sicilia durante la pandemia

In Sicilia l’arte sperimenta nuove forme durante la pandemia. I am the virus/We are not the virus è il nome del progetto artistico residenziale e collaborativo lanciato a Mazara del Vallo, in provincia di Trapani, da Periferica, organizzazione che si occupa da anni di rigenerazione urbana nella periferia della città. Periferica è un’organizzazione che da anni si occupa di rigenerazione urbana nella periferia di Mazara del Vallo, in provincia di Trapani. È un gruppo di ragazzi e ragazze che hanno deciso di investire nel territorio di Mazara per ripensare il tessuto urbano a partire dalle sue periferie, sfruttando il patrimonio immobiliare in stato di abbandono e al tempo stesso valorizzando le cave di tufo con cui è stata costruita gran parte della città di Mazara. Dal 2013 hanno avviato un processo di indagine, progettazione e costruzione partecipata con l’obiettivo di contribuire al miglioramento del territorio, in particolare delle periferie. Puntano a ridefinire il ruolo dell’architettura e della pianificazione urbana attraverso una prospettiva multidisciplinare ed inclusiva che prevede la collaborazione con università, associazioni, imprese e cittadini. La loro base è un’area dismessa di 3000 mq, composta da una cava di tufo di 2500 mq più un ex asilo degli anni ’80.

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Grazie al passaggio di tanti artisti Periferica nel corso di questi anni ha preso forma. E tanti sono i progetti già realizzati, in particolare un festival annuale di rigenerazione urbana. Il festival, ogni estate, coinvolge studenti, accademici e artisti europei che tra rigenerazione, arte e creatività condividono le loro competenze con altri esperti e abitanti. Per 10 giorni vengono ospitati workshop, laboratori, seminari ed eventi. “La comunità globale e locale si mescolano, dando vita a un micro-villaggio temporaneo vicino l’area di progetto”.

Nell’ultimo periodo, grazie ad alcuni bandi e concorsi, stavano lavorando per garantire forme di produzione e promozione culturale tutto l’anno attraverso un parco culturale contemporaneo, Casa Periferica. Anche loro, però, hanno dovuto confrontarsi con l’emergenza COVID-19 e decidere di reinventarsi. Da qui è nata la nuova iniziativa: I’m the virus/ We are not the virus. Un curatore in quarantena in un parco culturale co-creato diventa un avatar dell’artista. I am the virus / We are not the virus è un progetto di residenza remota (artist-in-through-residence) sviluppato da Carlo Roccafiorita durante la sua quarantena in Periferica, il parco culturale contemporaneo di cui è fondatore e direttore.

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Carlo Roccafiorita

Carlo vivrà in questo luogo fino alla fine della pandemia. Come un virus, vivrà in un mondo in miniatura, dividendolo in due parti: una distruttiva e una produttiva.

  • La parte distruttiva (I am the virus) ospiterà “first day-last day”. “Cosa faremo con tutto questo vuoto?” è il nome della performance in cui ogni giorno, per 10 minuti a partire dalle 12, Carlo scaverà sempre nello stesso punto fino al giorno in cui non verrà dichiarata la fine della pandemia;
  • La parte produttiva (Noi non siamo il virus) è uno spazio totalmente vuoto. I creativi di tutto il mondo sono invitati a partecipare con un’opera d’arte, che verrà prodotta attraverso di lui. Opera senza tema specifico, realizzabile in massimo 3 giorni solo attraverso la mano di un avatar temporaneo. Mentre ogni forma d’arte è accettata, le opere d’arte devono essere fattibili con risorse limitate.

Per anni, Periferica ha ospitato numerosi artisti e creativi per condurre un processo di rigenerazione urbana collaborativo, inclusivo e aperto. Ma come cambia il ruolo di luoghi pensati fin dall’inizio per la comunità? Come le forme di co-produzione? Lo scopo di questo esperimento è cercare di misurarne i limiti, usando gli strumenti disponibili in questa situazione di pandemia.

Fonte: https://www.italiachecambia.org/2020/04/i-am-the-virus-we-are-not-the-virus-esperimento-sicilia-durante-pandemia/?utm_source=newsletter&utm_medium=email