Fondazione Senza Frontiere: il giardino dove si incontrano biodiversità e solidarietà

Fondazione Senza Frontiere Onlus è un’organizzazione ideata da Anselmo Castelli per sostenere economicamente progetti di solidarietà sociale a favore di bambini e comunità in difficoltà, con un’attenzione particolare alla formazione e all’autodeterminazione. Non da meno è l’impegno di Senza Frontiere nel promuovere la biodiversità e il rispetto per la natura, tanto che ha riqualificato la propria sede trasformandola in un Parco Naturale visitabile da tutte e tutti.

MantovaLombardia – Solidarietà, responsabilità, autodeterminazione, salvaguardia della natura e rispetto per la biodiversità trovano la propria sintesi in una persona (e nella sua organizzazione): quella di Anselmo Castelli e della Fondazione Senza Frontiere. Grazie a una segnalazione di Elena Peverada del Consorzio CAES, da anni partner di Italia che Cambia, incontriamo Anselmo nella splendida sede della Fondazione, presso il Parco Giardino Tenuta Sant’Apollonio, a Castel Goffredo in provincia di Mantova.

Un tempo era un terreno in cui aveva sede l’azienda agricola del nonno e successivamente del papà di Anselmo: oggi è uno splendido parco naturale di oltre settantamila metri quadrati, che a partire dal 1973 ospita piante autoctone della Pianura Padana  che rischiavano l’estinzione. Grazie a questa opera di riqualificazione, oggi anche molti degli animali e degli uccelli che un tempo abitavano questi luoghi stanno tornando oggi a viverli. Perché allora abbiamo citato anche le parole solidarietà e responsabilità?

VIAGGIO E CONSAPEVOLEZZA

Sin dai suoi quindici anni Anselmo Castelli ama viaggiare: «Nel corso della mia vita l’ho fatto tante volte, iniziando dall’Italia e finendo poi per visitare numerosi paesi in tutto il Mondo». Per raggiungere l’Africa e il Sud America, a un certo punto della sua vita, si è appoggiato ai Frati Cappuccini di Assisi, che organizzavano viaggi all’interno delle loro missioni: «All’inizio non avevo ancora la sensibilità per aiutare e sostenere le loro azioni, ero solo interessato a scoprire nuove realtà, popoli diversi da quelli a cui ero abituato; volevo capire come vivevano».

La svolta arriva durante un viaggio nella foresta amazzonica brasiliana, dove Anselmo si mise in contatto diretto con alcune popolazioni indigene. In quei luoghi conobbe un missionario italiano che da alcuni anni, oltre alla sua missione, si occupava dei bambini delle periferie povere del Brasile. Spesso infatti i piccoli vivevano in uno stato di semiabbandono e il religioso cercava di agire per offrirgli del cibo e un’opportunità di studio.

«Dopo questo incontro capii che anche io dovevo fare la mia parte – ci spiega Anselmo – e inizialmente cercai di sostenere le attività di questo missionario e di altre comunità religiose che aiutavano queste persone e i loro bambini».
Nel frattempo, in Italia Anselmo faceva il commercialista e aveva aperto uno studio personale a Castel Goffredo.

Da questo viaggio in Brasile, iniziò il suo percorso nel mondo della solidarietà e dal 1998 la sua attività ha preso la forma di una vera e propria Fondazione Onlus, che si pone l’intento di sostenere economicamente progetti di solidarietà sociale a favore di bambini e comunità in difficoltà.

RESPONSABILITÀ, CARITÀ E ISTRUZIONE

Uno dei pilastri dell’azione della Fondazione Senza Frontiere è la responsabilità: «Dopo il Brasile, capii che io volevo sostenere le comunità e i bambini che ne avessero bisogno, ma non faceva per me lo scopo della carità, cioè la sola e semplice donazione, che poi non comportava progetti di più ampio respiro, ma creava solamente dipendenza e mancanza di autonomia delle comunità interessate» ci spiega Anselmo.

«Io volevo e voglio che queste comunità, che questi uomini e donne, possano autodeterminarsi, crearsi le condizioni per poter emergere e sconfiggere la povertà». Di fatto, queste sue parole sono il manifesto dell’azione della Fondazione senza Frontiere. Come prima cosa, ovunque la Fondazione operi (ha seguito e segue più di sessanta progetti in giro per il mondo), l’obiettivo primario è l’apertura di una scuola in loco

L’alfabetizzazione rappresenta, secondo l’organizzazione, l’apripista essenziale per l’autodeterminazione. Collegato a ciò infatti, Senza Frontiere incentiva e promuove l’apprendimento di diverse attività economiche che possono aiutare le comunità a migliorare le proprie condizioni di vita. «L’esempio che mi viene in mente è quello degli Indios Krahô in Brasile», spiega Anselmo.

Quando il nostro contesto non ci piace, non possiamo lamentarci se rimaniamo con le mani in mano

«Stavano scomparendo, perché il Governo brasiliano li aveva confinati in una zona dove erano vietate caccia e pesca. Ma loro vivevano di questo, non sapevano coltivare! Siamo intervenuti inviando loro tre agricoltori brasiliani che li hanno aiutati a sviluppare le competenze necessarie in agricoltura, e diversi capi di bestiame per sostenerli».

Quando la Fondazione Senza Frontiere ha iniziato le sue attività lì, i Krahô erano circa novanta persone, che formavano un Aldeia – il nome con cui si identifica un piccolo agglomerato rurale. Oggi le Aldeie sono almeno tre e gli Indios Krahô circa trecento. Senza Frontiere infine si caratterizza per una precisa scelta di metodo: la direzione dei progetti non è mai affidata a persone italiane, ma il più possibile alle comunità coinvolte dall’azione di sostegno. «Dall’Italia si può andare nei luoghi interessati per insegnare, collaborare e rendere possibile la realizzazione dei nostri progetti. Ma ci teniamo al fatto che siano le popolazioni del luogo a scegliere il proprio destino, senza imposizioni e condizionamenti da parte nostra». 

IL PARCO GIARDINO E L’ATTENZIONE ALLA BIODIVERSITÀ

Anselmo Castelli, nel suo peregrinare, ha un pezzo di cuore anche per l’Italia, specialmente per il suo luogo natale.
Grazie alla riqualificazione della Tenuta Sant’Apollonio, a cui abbiamo accennato all’inizio di questo articolo, oggi la Regione Lombardia riconosce al Parco la funzione di elemento importante facente parte della R. E. R., ossia la Rete Ecologica Regionale. 

Il Parco Giardino è aperto al pubblico, specialmente alle scuole che da decenni lo visitano perché dotato anche di diversi percorsi culturali  e didattici. Mentre visitiamo il parco girando le immagini per il video che accompagna e integra il racconto di questo articolo, siamo colpiti dalla serenità che infonde questo luogo, circondati da alberi maestosi colorati dal giallo delle loro foglie e da minuscoli laghi e corsi d’acqua costellati di diversi tipi di fiori colorati.

Confidiamo ad Anselmo, che raggiungiamo successivamente per l’intervista, di aver ascoltato anche il curioso canto di diversi uccelli: «Qua fino a pochi anni fa non c’erano quasi più uccelli, ora sono tornati quasi tutti quelli che vedevo da bambino – ci racconta – come l’upupa, diverse specie di picchi, il Martin Pescatore solo per citarne alcuni. In inverno, nel periodo tra gennaio e febbraio, vengono a svernare nei nostri laghetti circa duecento anatre e siamo circondati da Aironi. Un piccolo paradiso per tutta la comunità, era questo il mio sogno».

Di fatto, nella storia di Anselmo e nell’azione della Fondazione Senza Frontiere abbiamo ritrovato molti dei principi che ispirano il nostro giornale e i 7 sentieri che lo guidano: «La responsabilità, il prendersi carico delle proprie azioni senza delega ma con l’impegno che proviene dal cuore, è un valore che ha sempre disegnato il percorso della mia vita».

«Se ci fermiamo e non mettiamo in gioco ciò che abbiamo dentro rischiamo davvero che tutto rimanga così com’è», conclude Anselmo. «Quando il nostro contesto ci piace va anche bene, ma quando non ci piace non possiamo lamentarci se rimaniamo con le mani in mano. Io da solo, anche nella mia attività professionale, avrei ottenuto ben poco: un aiuto decisivo l’ho avuto da chi ha avuto il coraggio di proporsi e agire».

Fonte: https://www.italiachecambia.org/2022/01/fondazione-senza-frontiere/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

Arte Horto, quando il giardino nasce in un dipinto

1502_IMG_artehorto_ortobotanicobrera

I capolavori dell’arte e quelli della natura si incontrano grazie ad Arte Horto, il progetto nato dalla collaborazione fra la Pinacoteca di Brera, l’Orto Botanico dell’Università degli Studi di Milano e Aboca, azienda specializzata in prodotti naturali e fitoterapici. L’idea è quella di ritrovare la bellezza delle piante dei dipinti antichi nella dimensione reale di un orto botanico, nella fattispecie quello, affascinantissimo, di Brera a Milano. La borragine e il cipresso dipinti da Vittore Carpaccio, la corona di spine fatta di rami di marruca e immortalata nella Pietà di Giovanni Bellini, e, ancora, la rosa di Luini, l’oleandro di Raffaello, la persa di Crivelli, l’edera di Tiziano e il pino mugo di Segantini sono riproposti nell’orto botanico, creando un suggestivo link fra realtà e rappresentazione. Apertasi lo scorso 3 luglio, la mostra proseguirà fino al prossimo 31 ottobre; il visitatore amante dell’arte e della natura potrà compiere, in modo autonomo tramite una guida-sussidio appositamente creata, il percorso ArteHorto che dalle sale della Pinacoteca si articola fino alle aiuole dell’Orto Botanico o viceversa procede dalle piante reali a quelle interpretate dai pittori.

Fonte:  Aboca 

Tempo di semine, raccolte e… divisioni!

Come praticare al meglio la divisione di cespi, rizomi o rami per talee per avere nuove piante per l’orto e il giardino 3

Ogni volta che qualcuno si avvicina alla coltivazione di un orto o di un giardino e mi scrive per sapere cosa è meglio seminare in un determinato periodo nel posto in cui vive, chiedo sempre: “Solo semine? Niente divisioni?”. La reazione, in genere, è di stupore. Divisioni?! La divisione, che sia di cespi, rizomi o rami per talee, è fondamentale per chi pratica l’orto e il giardino e chi si limita solo alla semina, sta perdendo molte occasioni. In questa primavera anticipata, che qui sull’Appennino sembra essere già cominciata in un gennaio soleggiato e in un febbraio tiepido, una delle mie divisioni abituali è quella del topinambur (Helianthus Tuberosus). I topinambur si trovano anche allo stato selvatico e sono facili da coltivare in un orto, basta contenerli per evitare che lo occupino completamente. Questo piccolo miracolo della natura, oltre a donarci deliziosi tuberi ricchissimi di inulina e a ridotto apporto calorico, svetta verso il cielo con i suoi alti fiori gialli, utili ad attirare insetti dai dintorni, specialmente coccinelle. I miei ultimi rizomi, lasciati appositamente nella terra perché formassero nuovi germogli, li estraggo in marzo e li divido in più parti: un germoglio per ogni parte. Li re-interro distanziandoli di una quindicina di centimetri uno dall’altro, così che un rizoma, una “patata” di topinambur darà vita a due, tre, quattro altre piante, altrettanto fruttuose. Ma in tema di divisioni c’è solo l’imbarazzo di scegliere con cosa arricchire il proprio orto in questi mesi: i carciofi (Cynara Cardunculus), separando i carducci giovani dalla pianta adulta e ottenendone altrettante nuove piante, piuttosto che nuove varietà di patate (Solanum Tuberosum) con lo stesso metodo utilizzato sopra per il topinambur.

Nuove piante per l’orto sul balcone

Per chi dispone di un orto sul balcone, la procedura è la stessa e non conterrà l’entusiasmo davanti ai primi carciofi autoprodotti o alla quantità di topinambur che si può coltivare in un vaso da fiori. Tornando alle mie divisioni, quest’anno mi tocca la divisione delle erbe perenni, cosa che faccio ad anni alterni per ottenere nuove piantine per sostituirne alcune o da regalare agli amici. Lavanda (non tutte le specie amano la talea, ma sicuramente le più diffuse Lavandula officinalis e Lavandula latifolia), salvia (Salvia officinalis, tutte le specie) e rosmarino (Rosmarinus officinalis, tutte le specie) amano essere moltiplicate per talea: si pratica ad inizio primavera o ad inizio autunno, quando i getti nuovi non sono ancora legnosi. Io di solito effettuo un taglio netto poco sotto un nodo fogliare e infilo questa talea di 10-15 cm massimo in un vasetto con terriccio ben bagnato. Non utilizzo ormoni radicanti, li trovo inutili per le aromatiche che sono già ben predisposte a replicarsi, basta solo un buon taglio e annaffiature parsimoniose con acqua piovana perché detestano i ristagni di acqua e il cloro. Ricovero il tutto davanti alla finestra della cantina, così da non soffrire eccessi di caldo o di freddo. Mettendo quattro talee per vasetto, mi assicuro di solito un’ottima riuscita di tutti i vasi e nuove piantine per l’anno successivo. … e per il giardino Ma le divisioni non mancano nemmeno in giardino: dalle talee di rosa, di cui ho già parlato in un numero precedente, alle divisioni ben più semplici degli arbusti. Questi crescendo producono più di un fusto e mentre sono ancora a riposo possiamo fare in tempo a sfoltire qualche cespo prelevandone una parte con la forca e riempiendo di terriccio nuovo e compost ben maturo il buco rimasto: l’arbusto ringrazierà per la maggiore aerazione e nutrimento, mentre il cespo prelevato, subito interrato, andrà a formare una nuova pianta. Tra questi, i più comuni nei nostri giardini e facili alla divisione dei cespi sono gli iperici, le peonie, le forsizie, le spiree, i lillà (vedi box) e i filadelfi.

La divisione è anche condivisione: un dono gentile a chi ammira le nostre piante, un gesto di amicizia verso un vicino di orto o all’amico che si appresta a cominciarne uno.

Lillà: non solo un arbusto ornamentale

Il lillà è una delle piante simbolo di aprile-maggio, quando con le sue pannocchie dense di fiori dal viola al rosa, profumatissimi, riempie i giardini e alcuni viottoli di campagna, in forme che vanno dal selvatico all’accuratamente selezionato. Ma il lillà non ha solo un uso ornamentale, è possibile ricavarne profumo, olio essenziale, tintura ed un ottimo oleolito, facile da realizzare anche per i meno esperti. L’oleolito di lillà si utilizza per massaggi, soprattutto in caso di gambe e piedi gonfi per il caldo estivo o sforzi sportivi. Un massaggio con oleolito di lillà allevia i dolori muscolari, reumatici e articolari. Utilizzato sul viso la sera, dopo la pulizia, è un ottimo astringente e antinfiammatorio in caso di eritemi (come tutti gli oleoliti non è adatto però a chi ha la pelle grassa o mista con zone acneiche). Svolge anche un’azione idratante e, se l’oleolito è ben eseguito, il profumo del lillà si manterrà intatto per mesi, svolgendo anche un’azione aromaterapica di rilassamento. Non a caso in molte regioni il lillà è conosciuto come “serenella”.2

1

OLEOLITO DI LILLÀ O SERENELLA (SYRINGA VULGARIS)

La ricetta per 300 ml di oleolito di lillà

500 gr di fiori di lillà (pannocchie fiorite, la parte verde andrà rimossa) 350 ml di olio di semi di girasole spremuto a freddo, da agricoltura biologica 2 vasetti da 250 ml in vetro con tappo ermetico 1 casseruola che possa contenere i due vasetti coperti di acqua 1 pezzo di spugna o un canovaccio per la bollitura dei vasetti 1 colino a maglie molto fitte 1 ciotola da 500 ml 1 cucchiaio di legno.

Lavate bene con acqua fredda le pannocchie di fiori e lasciatele asciugare in penombra o al buio su un canovaccio pulito.

Una volta asciutti i fiori, sgranate dal basso all’alto con due dita chiuse: i fiori cadranno facilmente. Rimuovete il più possibile la parte verde. Riempite i vasetti con i fiori, premendo leggermente. Versate metà olio nel primo vasetto, deve arrivare a coprire gli ultimi fiori. Chiudete ben stretta la capsula e capovolgete per fare uscire l’aria. Procedete nello stesso modo per il secondo vasetto.

A questo punto comincia la fase detta della digestione, ovvero la cessione meccanica a freddo dei principi attivi dalla pianta all’olio. Una volta riempiti i vasetti, lasciateli al sole, capovolti, per una giornata. Trattandosi di fiori freschi, è più indicata questa digestione a caldo, che permette un’estrazione migliore da materia fresca organica e soprattutto evita la maggior parte dei problemi di irrancidimento dell’olio a cui si va incontro con una pianta fresca e il metodo tradizionale dei quindici giorni. Nel tardo pomeriggio, ancora tiepidi di sole, immergete i vasetti in una casseruola di acqua tiepida in cui avrete già posto un canovaccio in modo da evitare che i vasi sbattano tra loro durante il riscaldamento. Riscaldate, senza far mai bollire, sempre a fuoco lentissimo, per 3 ore. Se avete un cestino per la cottura al vapore abbastanza capiente, potete utilizzarlo per questo scopo facendo una digestione a vapore. In questo caso però, non coprite come per la normale cottura a vapore, altrimenti si raggiungono temperature troppo alte. Dopo la digestione a calore, fate riposare i vasetti, di nuovo capovolti, in un posto buio e asciutto, fino alla mattina successiva. Alla mattina filtrate il contenuto dei vasetti utilizzando un colino a maglie fitte posto sopra una ciotola. Fate colare tutto l’olio, premendo bene con un cucchiaio di legno. Il macerato di fiori va buttato, non è riutilizzabile. Lavate bene i vasetti e riempiteli di nuovo con l’olio estratto che sarà di un colore verde scuro, denso. Riponete i vasetti con l’oleolito in un luogo buio e asciutto per 48 ore, trascorse le quali controllate se ci siano depositi sul fondo. In questo caso, filtrate nuovamente l’olio utilizzando una garza a trama fitta o un filtro di carta. Ora è pronto per essere utilizzato!

Se desiderate una profumazione ancora più intensa, basta ripetere tutto il procedimento utilizzando, al posto dell’olio di girasole, l’oleolito ottenuto dalla prima digestione.4

Grazia Cacciola

È specializzata in tecniche agronomiche ecosostenibili e in scienze naturopatiche, con un lungo percorso di studi e ricerca sugli stili di vita etici che ha cominciato insieme alla scelta, molti anni fa, di vivere in modo più sostenibile. Da più di un decennio attua un percorso di autosufficienza e bio-regionalismo, documentando la possibilità concreta di un diverso modo di vivere alla portata di chiunque. Teorica della decrescita, nei suoi saggi sostiene l’urgenza di un’azione individuale diffusa e l’abbandono della grande distribuzione alimentare, insieme alla necessità di passare all’alimentazione naturale. È autrice di saggi professionali e manuali divulgativi sull’alimentazione consapevole e gli stili di vita etici, tra cui L’orto sul balcone. Coltivare naturale in spazi ristretti (FAG), e Scappo dalla città. Manuale pratico di downshifting, decrescita e autoproduzione (FAG). Ha collaborato a progetti dell’Unione Europea per l’incentivazione delle coltivazioni con metodo biologico e biodinamico ed è stata l’esperta di coltivazione naturale nella trasmissione Geo&Geo, Rai3. Collabora come consulente per la coltivazione e nutrizione sostenibile con diverse tv e radio. Pratica l’alimentazione vegetariana (vegan) da molti anni. Sta preparando per Macro Edizioni Il grande libro dei germogli. Per info e contatti: erbaviola.com.

Fonte: viviconsapevole.it

AUTUNNO nell’orto e nel giardino

Le raccolte autunnali e i progetti per le nuove stagioni

Grazia Cacciola

Sebbene questi mesi (settembre, ottobre e novembre) siano più di raccolta che di semina, si possono prevedere e attuare nuove coltivazioni per il prossimo anno. Una pianta che secondo me non dovrebbe mai mancare in un orto-giardino è l’iperico. Sebbene si possa raccogliere facilmente allo stato selvatico, non è presente proprio ovunque e non sempre raggiungibile. Inoltre, disponendo ormai di una decina di varietà reperibili nei vivai, funziona bene anche come pianta ornamentale e come nutrimento per molti insetti impollinatori, grazie alla quantità notevole di pistilli. Mettendo a dimora ora una nuova pianta di iperico, saremo in grado di avere già in primavera-estate un buon raccolto per gli usi molteplici dei suoi fiori e frutti. Questo è anche il tempo in cui ritornano a essere particolarmente famelici alcuni aggressori delle nostre coltivazioni, complice la maggiore umidità. Sì, esatto, quelle ingorde “lumache”, termine con cui indichiamo dalle chiocciole alle limacce. Devo ammettere che in alcuni momenti mi sono trovata come molti a combattere una lotta impari e a vedere divorate le mie insalate, grazie anche a vicini poco amanti del biologico che sterminavano qualunque forma di vita entrasse nel loro orto. Ecco due modi con cui tengo a freno queste signore ingorde. Il primo potrà suscitare il riso di molti: gli do da mangiare. Qualunque specie è ghiotta di crusca: nei mesi di punta, come settembre, ne lascio dei mucchietti sul terreno sotto dei vasi capovolti. Alla mattina le trovo riunite sotto il vaso basta raccoglierle delicatamente con i guanti e traslocarle lontano dall’orto.

Iperico: le sommità

fiorite (foto G. Cacciola)

iperico

IPERICO (Hypericum perforatum L.)

L’iperico è una pianta erbacea che cresce dalle zone marittime a quelle alpine più secche, soprattutto nelle radure dei boschi e ai bordi delle strade. Di facile coltivazione e propagazione, richiede un’esposizione in pieno sole o massimo a mezz’ombra. Si diffonde maggiormente grazie al rizoma sotterraneo. Ha foglie opposte sessili, di forma ovale allungata e fiori giallo intenso, raccolti in corimbi ramificati, che si distinguono per i gruppi folti, i cinque petali e un numero alto di stami che può arrivare fino a un centinaio nelle varietà più rigogliose. Il frutto, che segue la fioritura, è una capsula ovale rosso vivo che alla piena maturazione si apre lasciando cadere i semi neri. Dell’iperico si utilizzano sia le sommità fiorite che i frutti. Le sommità fiorite si raccolgono in giugno-luglio quando la maggior parte dei fiori è aperta, mentre i frutti vanno raccolti in luglio-agosto, quando sono pieni e turgidi, poco prima che si aprano per lasciar cadere i semi. Generalmente si raccoglie in mazzi, anche se i fusti sono inutili: è più semplice farlo seccare appeso che disporre a seccare tutti i fiori. Si può poi conservare in sacchetti di carta o di tela grezza: in ambienti areati, si conserva fino a due anni. Gli utilizzi sono dei più svariati. Sia con i fiori che con i frutti si possono fare liquori digestivi, qualità che l’iperico ha già come tisana, insieme a proprietà antispasmodiche e ipotensive. Per un infuso digestivo o coadiuvante per modesti problemi di pressione alta: 1 g delle sommità fiorite in 100 ml di acqua calda, una o due volte al giorno. L’utilizzo più diffuso resta comunque quello cosmetico, infatti già anticamente l’iperico veniva utilizzato per piaghe, ferite e scottature, sia in forma di decotto che in forma di oleolito (tintura oleosa). Sia il decotto di sommità fiorite di iperico che l’olio di iperico (vedi ricette) sono meravigliosi balsami per la pelle, soprattutto in caso di eritemi solari, ma anche come doposole ridonano alla pelle elasticità e prevengono gli arrossamenti. Il secondo metodo invece prevede la mia trasformazione in provetta albergatrice… di ricci! In un muretto dell’orto, con diversi buchi a livello del terreno che abbiamo coperto con erbacce e fogliame lasciati appositamente davanti, si è ricoverata spontaneamente una famigliola di ricci. Il primo, nella foto, aveva in realtà scelto la legnaia, gli altri invece hanno scelto le più comode suite nell’orto. Sono inquilini ideali: pagano l’alloggio puntualmente, tenendo l’orto sgombro da larve, lumache, piccoli roditori e piccoli rettili.tana

Una tana, con foglie secche e rovi di copertura, da riparo a una famiglia di ricci che collaborano nella lotta biologica dell’orto. (Foto G. Cacciola)

Le ricette con l’iperico

Ricetta per il decotto di iperico per uso esterno

15 g di sommità fiorite fresche

o 5 g di sommità fiorite secche

100 ml di acqua minerale o acqua naturale priva di cloro

Mettere in infusione i fiori nell’acqua calda. Lasciare intiepidire e fare impacchi e compresse lasciando i fiori in infusione fino al raffreddamento dell’acqua. Il decotto freddo rimasto può essere utilizzato per un pediluvio ammorbidente (insieme a 1 cucchiaino di bicarbonato di sodio) oppure come acqua per innaffiare le piante.

Ricetta per la tintura oleosa di iperico

30 g di sommità fiorite fresche oppure di frutti maturi

100 ml di olio di semi di girasole biologico spremuto a freddo

5 g di alcol etilico 90°

La ricetta più tradizionale prevede l’olio di oliva, ma dato l’alto contenuto di vitamina F dell’olio di semi di girasole se spremuto a freddo, si può ottenere una funzione eudermica migliore sostituendolo all’olio di oliva. Invasare l’iperico con l’olio e lasciare al sole per 15 giorni, agitandolo quotidianamente. Trascorso questo tempo, filtrare e utilizzare fino a 6 mesi dall’apertura del barattolo. Si mantiene in barattolo chiuso, al buio, fino a 16 mesi.

 

Grazia Cacciola (www.erbaviola.com), è specializzata in tecniche agronomiche ecosostenibili e in scienze naturopatiche. È autrice di saggi professionali e manuali divulgativi sull’alimentazione consapevole e gli stili di vita etici, tra cui  L’orto sul balcone. Coltivare naturale in spazi ristretti (FAG), e Scappo dalla città. Manuale pratico di downshifting, decrescita, autoproduzione (FAG). Ha collaborato a progetti dell’Unione Europea per l’incentivazione delle coltivazioni con metodo biologico e biodinamico ed è stata l’esperta di coltivazione naturale nella trasmissione Geo&Geo, Rai3. Collabora come consulente per la coltivazione e nutrizione sostenibile con diverse tv e radio. Pratica l’alimentazione vegetariana (vegan) da molti anni.

Fonte: www.viviconsapevole.it

Lunario agricolo per dummies: giugno

Come ormai da abitudine, torniamo a parlare di orto, giardino e agricoltura dando uno sguardo a quello che il calendario lunare ci suggerisce nel mese di giugno. Abbiamo già imparato, infatti, a fidarci delle fasi lunari per organizzare i lavori agricoli e condurli senza l’utilizzo di sostanze chimiche inquinanti, traendo il massimo risultato dalla semplice osservazione dei ritmi naturali della terra, del sole e della luna. E siccome giugno è un mese fondamentale per le nostre fioriture e colture, comprese quelle che verranno, vediamo insieme cosa ci aspetta.orto_lavori-400x250

Innanzitutto occorre sapere che a giugno 2013 la luna sarà calante dal 1° al 7 e dal 24 al 30, mentre tornerà a crescere dall’11 al 24. Nella prima settimana e nell’ultima, quindi, ci dedicheremo a controllare bene i parassiti presenti nel terreno, eliminare le foglie appassite o marce dalle nostre piante, così come dai bulbi e dai tuberi a fioritura primaverile. Nell’orto questo è il momento ideale per preparare in semenzaio i cavoli, sarchiare le melanzane, seminare il radicchio, il porro e il sedano. Procediamo con la cimatura di angurie e meloni e con il diradamento della vite dai grappoli in esubero, così da ottimizzarne la crescita e lo sviluppo degli altri acini. In questo periodo alcuni frutti ben maturi possono essere raccolti e conservati in gustose marmellate e confetture, mentre in giardino si potrà iniziare la potatura degli arbusti sfioriti e l’estirpamento dei bulbi. In fase di luna crescente, invece, il momento è propizio per raccogliere timo, maggiorana e melissa e cominciare l’essiccazione. Forse le anomale temperature di quest’anno non hanno ancora favorito ovunque la maturazione di ciliegie albicocche, ma ove possibile è consigliabile iniziarne la raccolta e la conservazione. Nell’orto possiamo seminare all’aperto cardi, fagiolini e fagioli rampicanti e iniziare la riproduzione della fragola per stoloni. Gran da fare, con la luna crescente, soprattutto in giardino dove potremo piantare le prime piante annuali come campanule, garofani, primule e viole. La messa a dimora delle specie a fioritura estiva riguarderà  gladioli, dalie e canna indica. Massima attenzione in cantina per chi si diletta anche nella produzione del vino: bisogna mantenerla sempre pulita e a temperatura costante!

Fonte: tuttogreen.it

Come fare un orto domestico coinvolgendo i bimbi: ecco alcuni trucchi

Non è difficile organizzare un orto in casa propria. Basta avere un piccolo giardino, un terrazzo oppure un’aiuola, anche nello spazio condominiale, per poter dare vita ad un esperimento tutto naturale che coinvolga anche i bambini.Gazette_KatiesKrops-e1371799933883-400x250

Scegliere le piante, scavare il terreno nei punti giusti per piantare i semi, sporcarsi e veder crescere la vita da un giorno all’altro può essere un’esperienza incredibile, un momento coinvolgente da condividere in armonia con la propria famiglia, senza tralasciare il piacere di assaporare i frutti della terra, scusa utilissima per avvicinare i più piccini alla verdura! Di seguito vi esporremo alcuni semplici passi da seguire per allestire un piccolo ma lussureggiante orto domestico:

Rifornirsi di strumenti: prima di dare il via al proprio orto bisogna rifornirsi di alcuni attrezzi necessari per la cura e la manutenzione di base. Vi serviranno una zappa, un rastrello, una piccola pala e guanti da giardinaggio (di solito di cotone resistente). Poi, a seconda del tipo di orto, potranno essere necessari anche vasi e terriccio. Se volete far divertire i vostri figli e avete un minimo di manualità è facile trovare in rete le istruzioni per costruire un pratico annaffiatoio partendo da un grosso contenitore di succo di frutta.

Trovare la giusta posizione: è chiaro che se il giardino è grande non si avranno problemi a trovare la giusta collocazione all’orto, ma non è necessario vivere in campagna per iniziare. Basta un piccolo spazio condominiale e se non c’è si possono comprare diversi vasi di terracotta e destinare ognuno di essi ad un tipo unico di coltura. Se non si dispone di spazio in casa allora si può fare affidamento su una tendenza da poco arrivata anche in Italia ma che si è diffusa in poco tempo, l’orto urbano. Sono zone comunali – spesso aree cittadine dismesse –  da curare (magari durante il weekend) chiedendo un semplice permesso. Qualunque sia la partenza ricordate di fotografare il prima, il durante e il dopo; sarà divertente ed istruttivo vedere i cambiamenti radicali che solo la nascita delle piante sanno portare in un qualsiasi luogo.

 

Scelta dei semi:  per garantirsi il successo dell’orto bisogna saper scegliere i semi giusti a seconda dello spazio a disposizione, del clima e dell’esposizione solare. La cosa migliore da fare è affidarsi ai titolari di consorzi o dei vivai in cui si va a comprare i semi. L’esperienza sul clima e le piante adatte alla stagione degli addetti al settore può esservi ancora più utile se spiegate loro il tipo di orto che state cercando di organizzare, lo spazio a vostra disposizione e le ore di luce e di ombra a cui è esposto durante il giorno. Non dimenticate mai di dire che siete principianti, così il venditore potrà consigliarvi un tipo di coltura semplice da far crescere (pomodori, ravanelli, fagiolini e peperoncini dolci sono semplici da curare, mentre cavoli e mais possono essere una sfida facile da perdere). In fine, cercate di conciliare tutto questo con i gusti dei vostri figli, così che l’esperienza “orto domestico” sia divertente anche durante la cena.

 

Iniziare a piantare:  per i bambini questo è il momento più emozionante; possono giocare con la terra, imbrattarsi i vestiti  e le mani mentre imparano cos’è un seme. Curare l’orto per almeno un paio di pomeriggi a settimana, fotografando i vari cambiamenti, significherà per loro imparare come nasce la vita. Cogliere le piante mature per mangiarle impartirà una lezione sul rispetto che bisogna portare per ogni forma di vita.

 

Avere cura del proprio giardino: la cura del giardino è la parte più importante, anche di più del piantare. Se non le si dedica abbastanza tempo ci sono poche possibilità che ogni pianta prosperi e dia tanti frutti. Può essere utile portare sempre i bambini con voi, insegnargli a tastare la terra per capire se ha bisogno d’acqua e lasciare che siano loro ad innaffiare una piantina per volta. Fategli capire quali sono le erbacce e come estirparle, quando è il momento migliore per cogliere un frutto e mentre lo fate, le parole d’ordine saranno: divertirsi e rilassarsi guardando i propri figli che entrano in contatto con la Terra.

Il giardino dei ricordi: per rendere memorabile il tempo passato nell’orto e far si che non sia un momento passeggero ma un esperienza che si rinnova ogni anno si può organizzare una gara, ad esempio quella del vegetale più grande o dello zucchino più lungo. Saranno i bambini a giudicare il vincitore e potranno creare un album con le foto dei primi classificati di ogni stagione. Si può organizzare anche una  piccola festa per la premiazione invitando i compagni di scuola o gli amici più stretti.

Fonte: tuttogreen.it

Food Forest Un’alternativa all’orto tradizionale

Lavora con la natura e non contro, ti fa ottenere più di un raccolto, imita l’ecosistema foresta, è energeticamente efficiente, aumenta la biodiversità: perché non convertire il tuo giardino in un forest garden?

Elena Parmiggianiforest orto

I nomi per questa tecnica in Italia sono molti: foresta giardino, foresta commestibile, orto-bosco. La food forest/forest garden è un tipo di coltivazione multifunzionale a bassa manutenzione che prende a modello l’ecosistema foresta (da qui

il nome) e nel quale si coltivano piante da frutto e noci, piante da legno, ortaggi, aromi, fiori, erbe medicinali, fibre tessili, piante mellifere e tanto altro, in armonia con le necessità umane e della natura. Può essere realizzata in giardini e appezzamenti di qualsiasi grandezza, anche molto piccoli. È una tecnica che in sé non è permacultura, ma viene utilizzata molto spesso perché imita l’ecosistema foresta, svolge molteplici funzioni e, se rivisitata e inserita correttamente, facilmente rispetta molti dei princìpi di progettazione in permacultura.

Un po’ di storia

Grazie al lavoro di Robert A. de J. Hart, un pioniere della food forest, oggi si sente spesso parlare di foresta commestibile. Hart ha iniziato il suo lavoro negli anni Sessanta e, fino alla sua morte nel 2000, ha continuato a coltivare

la sua food forest di 500 m2 in Inghilterra, creando l’opportunità per molti di conoscere questa metodologia e di diffonderla ad altri. Dagli studi e dagli esperimenti di Hart sulle food forest tropicali è stato tratto un primo testo1 che ha influenzato, e influenza tutt’ora, un pubblico sensibile all’ambiente e molti permacultori2, e a circa 35 anni dalla sua pubblicazione si sono moltiplicate le esperienze e le conoscenze.

I 7 livelli:

Hart ha schematizzato la food forest in 7 livelli, dopo aver studiato gli ecosistemi foresta in Paesi tropicali. In sostanza Hart ha proposto di copiare la natura e di lavorare a strati, proponendo un modello utilizzabile anche nei climi temperati:

1) alberi di alto fusto (Chioma primaria)

2) alberi di media altezza (Chioma

secondaria)

3) arbusti

4) erbacee

5) rizomatose

6) tappezzanti

7) rampicanti

Il minimo di strati richiesti per una food forest è tre, incluso almeno un tipo di albero, il minimo spazio richiesto è idealmente quello della dimensione della chioma dell’albero a crescita completa e senza potature. I funghi sono un ulteriore strato molto interessante da aggiungere a questa lista.food forest

La food forest in Fattoria dell’Autosufficienza

Il 13 settembre 2013, grazie alla partecipazione di una ventina di studenti, abbiamo realizzato la FF in Fattoria dell’Autosufficienza. Dove c’è ora la food forest prima c’era un orto per noi difficile da gestire e raggiungere, specialmente in inverno. La food forest che abbiamo realizzato si basa sull’architettura a 7 livelli di Hart e include il livello delle micorrize/funghi, che forniscono minerali e acqua alle piante e le difendono da malattie. Molti alberi introdotti sono adatti alla micorizzazione col tartufo (Bagno di Romagna è una zona famosa per i suoi tartufi bianchi e neri). In 1200 m2 di area abbiamo messo a dimora:

  • alberi: ontani (5), pero, melo, prugno, nespolo germanico, fico, mandorlo, ciliegio (2), asimina (3), ginkgo (3), tiglio (4)
  • arbusti: eleagnus x ebbingei (30), ginestra (30), noccioli (5), goji (12)
  • perenni e/o Erbacee: asparagi (240), salvia (50), salvia ananas (35), origano (50), consolida (250), bamboo, dragoncello (5)
  • radici: aglio, cipolle, porri (350)
  • tappezzanti: fragole (70)
  • rampicanti: kiwi (3), viti (10), luppolo (1).

Nella seconda fase metteremo a dimora anche altre piante tra cui varie ombrellifere, melissa, rafano, topinambur, altre

aromatiche, more, ribes e, nella zona più umida ma soleggiata, i lamponi.

Perché trasformare il proprio giardino in una food forest

La food forest, con i suoi numerosi aspetti vantaggiosi (accelera le successioni, lavora con la natura e non contro, ti fa ottenere più di un raccolto, imita l’ecosistema foresta, è energeticamente efficiente, aumenta la biodiversità, ecc) ci offre la possibilità di convertire un orto (annuale, intensivo e ad alta manutenzione) in qualcosa di perenne, stabile, autofertile,

dove possiamo coltivare alberi da frutto tradizionali ma anche sperimentare una serie di abbinamenti con piante inconsuete (asimina, goji). È un’alternativa valida al frutteto familiare, poiché ottimizza una serie di risorse, quali materiale organico, acqua, minerali, e offre una molteplicità di piante e di raccolti nell’arco dell’anno da giugno a novembre.

Note

1 Forest Farming: Towards a Solution to Problems of World Hunger and Conservation, ROBERT A de J HART co-authored with James Sholto Douglas, Rodale Press (1976). Il testo offre indicazioni pratiche su come realizzare un forest garden.

2 AlcuniAlcuni dei permacultori che hanno introdotto e utilizzato il concetto di food forest: Bill Mollison (Permaculture, A Designer’s Manual) David Holmgren (Permaculture, : Principles and Pathways beyond Sustainability) Patrick Whitefield (The Earth Care Manual e How to Make a Forest Garden) Martin Crawford (Creating a Forest Garden: Working with Nature to Grow Edible Crops) Dave Jacke, Eric Toensmeier (Edible Forest Gardens Vol. 1 e Vol. 2) Toby Hemenway (Gaia’s Garden: A Guide to Home- Scale Permaculture)

Geoff Lawton, DVD Establishing a food forest P. A. Yeomans, The Keyline Plan (1954)

Scritto da Elena Parmiggiani

Originaria di Reggio Emilia e da sempre amante della natura, Elena Parmiggiani si occupa di Permacultura, di Agricoltura Sinergica e di Città in Transizione. Collabora con la rivista «ViviConsapevole» e con la Fattoria dell’Autosufficienza sull’Appennino Romagnolo. Ha frequentato il corso di 72 h di Permacultura con Saviana Parodi, Stefano Soldati e Angelo Tornato nel 2009. Si è diplomata presso l’Accademia Italiana di Permacultura nell’aprile 2012. Per approfondire le sue conoscenze di Forest Gardening/Food Forest ha frequentato nell’agosto 2009 e nel maggio 2012 i corsi di Forest Gardening di Martin Crawford, esperto internazionale di foresta commestibile in clima temperato.

Fonte: viviconsapevole.it

Giardino, orto e piante d’appartamento, i lavori da fare nel mese di febbraio

orto-disegno-400x250

 

Febbraio ricordiamolo è un mese invernale; come tale freddo e soggetto a gelate, tutti elementi da tenere in considerazione prima di mettere le mani sulla terra con semine sbagliate. Quindi continuiamo a seguire le sane e vecchie tradizioni contadine: a febbraio, si lavora il suolo e si interra il letame; si potano gli alberi da frutta con accuratezza e, seguendo le fasi lunari, si procede alle semine degli ortaggi che mangeremo in primavera. Ecco qualche consiglio green su come organizzare a Febbraio il vostro lavoro su giardinoorto e piante d’appartamento:

 

Vasi
A fine mese iniziate a rinvasare le piante che necessitano di vasi più grandi, facendo attenzione ad usare contenitori ben lavati e poco più grandi di quelli usati precedentemente.

Piante rampicanti

Questo è il momento giusto per ripulire e preparare alla nuova stagione i rampicanti, eliminando tutti i rami secchi di passifloraclematidirose e gelsomini. Se si desidera un bel roseto occorre agire adesso e potare la pianta, così come per la stella di Natale. La potatura, è il caso di ricordarlo, non è un’operazione semplice fate quindi molta attenzione.

Irrigazione
Innaffiate 
con una certa regolarità le vostre piante d’appartamento senza esagerare. Inoltre, mantenete sempre umide le palline d’argilla espansa o i sassolini presenti nei sottovasi e vaporizzate periodicamente le foglie.

Concime
Per le piante di casa che hanno un vaso capiente aggiungete il terriccio di lombrico

Siepi e alberi da frutto

Per quanto riguarda il vostro giardino, alle prime avvisaglie di clima tiepido iniziate la potatura delle siepi e degli alberi da frutta, gli arbusti da fusto e si continua a preparare il terreno con concimi vari. Occhio alla vangatura, deve essere profonda in modo da portare in superficie i parassiti che verranno così distrutti dal freddo. Anche in questo caso è importante porre la massima attenzione, in caso di potatura sbagliata questa potrebbe impedire all’albero di fiorire e portare frutta. Le regole al riguardo sono semplici: non bisogna essere insicuri, meglio procedere con un taglio netto e deciso; farlo alla giusta distanza dalla gemma; il più possibile inclinato.

Per quanto riguarda invece l’orto ecco cosa fare:

Per avere un buon raccolto a febbraio è necessario iniziare a preparare il terreno vangandolo e concimandolo e quando le temperature saranno più miti iniziate la semina di carote, cavolfiori, cipolle, fave, lattughe, melanzane, meloni, peperoni, piselli, porri, prezzemolo, ravanelli, rucola, spinaci, valeriana, zucchini. L’operazione, come suggerito dagli antichi contadini, va fatto quando la luna è più favorevole: “Gobba a ponente luna crescentegobba a levante luna calante”: recita un famoso detto. Per cui occhi sul calendario e, soprattutto, sulla gobba della luna. Con la luna calante conviene seminare al riparo gli ortaggi di foglia e il sedano e a dimora le bietole, gli spinaci, la lattuga. Con la luna crescente, che ci guarda da lassù, si preferisce concimare all’aperto carote, ravanelli e piselli mentre al riparo le aromatiche.

Fonte. Tuttogreen.it

WWF: “grandi navi a Venezia come tir nel vostro giardino”

“È ridicolo chiedere una svolta sostenibile del turismo veneziano e poi consentire il più brutale metodo di visita”. È quanto afferma il WWF in merito al passaggio delle grandi navi a Venezia.navi_laguna_venezia

Fareste mai passare i tir nel vostro giardino? Di questo si tratta infatti, far passare mezzi estremamente pesanti in un ambito delicato e contenuto che ci appartiene esattamente come un nostro giardino. Venezia è patrimonio dell’umanità, quindi anche nostro. Visitare questa meraviglia è possibile a chiunque, i monumenti e la laguna sono accessibili, aperti, fruibili, ma almeno si faccia il favore di scendere la scaletta di una nave e di vederla perdendosi nelle calli o attraversando i canali e non già invece dall’oblo di un transatlantico o dalla terrazza di questo. È ridicolo continuare a parlare da un lato di moto ondoso che distrugge la città di Venezia e poi autorizzare il transito di navi che con un minimo movimento inevitabilmente spostano enormi quantità di acqua che crea degli squilibri nel sistema lagunare. È ridicolo chiedere una svolta sostenibile del turismo veneziano e poi consentire il più brutale metodo di visita che altera il contesto storico architettonico, pone a rischio l’ambiente e la sicurezza dei transiti locali, afferma una tipologia di visita usa e getta basata su “ci sono stato” anziché “ho conosciuto e visto”. Il WWF da oltre 20 anni si batte per una messa in sicurezza dell’intera laguna veneta. Questo da un lato ha visto progressivi passi avanti nel campo dei traffici pericolosi legati all’attività industriale, soprattutto per l’obbligatorietà dei doppi scafi e per il rafforzamento dei protocolli di sicurezza sui transiti, da un altro, nonostante le dichiarazioni e gli intenti, non ha ancora dato nessun risultato soddisfacente rispetto al turismo crocieristico e alla nautica da diporto che risulta invasiva, sproporzionata rispetto ai luoghi, potenzialmente pericolosa e comunque segno di un malcostume.

Fonte: il cambiamento

Il compostaggio domestico senza giardino: “bastano undici vasi”

Pratica diffusa soprattutto fra chi vive in campagna e coltiva un orto o un giardino, molto meno fra chi ha a disposizione soltanto un piccolo balcone e abita in una grande città. Per queste persone il compostaggio domestico è destinato a rimanere un miraggio? Lo abbiamo chiesto a Alberto Confalonieri della Scuola Agraria del Parco di Monza375826

Lorenzo Marinone

Tra le frazioni per cui è prevista la raccolta differenziata l’organico è quella che rende di meno ai Comuni. Carta, plastica, vetro e lattine raccolte separatamente vengono avviate a riciclo con un notevole recupero di materia. L’ organico diventa compost tramite gli impianti di compostaggio che producono anche energia , ma i costi di tutto questo lavoro, dalla raccolta in giù, superano i ricavi. Si può azzerare questa voce grazie alla pratica del compostaggio domestico. Pratica diffusa soprattutto fra chi vive in campagna e coltiva un orto o un giardino, molto meno fra chi ha a disposizione soltanto un piccolo balcone e abita in una grande città. Per queste persone il compostaggio domestico è destinato a rimanere un miraggio? Lo abbiamo chiesto a Alberto Confalonieri della Scuola Agraria del Parco di Monza.
Il compostaggio domestico è una pratica possibile anche per chi abita in una grande città e non ha a disposizione un giardino?

Tecnicamente sì, non ci sono controindicazioni né problemi insormontabili.

A Torino la produzione di organico compostabile pro capite raggiunge i 50-60 kg l’anno. Che possibilità ha una famiglia media (2,5 persone) di utilizzare il compost che ne ricava?

Facciamo due conti. 60 kg l’anno significa 150 kg in totale a famiglia. Considerando che nel corso del processo di decomposizione l’organico arriva a perdere fino al 70% del proprio peso in 12 mesi, a fine anno la nostra famiglia media ottiene circa 45 kg di compost puro (che occupano un volume minimo, adatto a balconi di qualsiasi dimensione). Compost che non può essere utilizzato così com’è, ma va diluito. Questo prodotto infatti ha un’elevata salinità, deve essere mescolato in parti uguali con il comune terriccio. Se poi il compost ottenuto non è perfettamente maturo (cioè “respira” ancora, come si dice in gergo) è possibile che entri in competizione con l’apparato radicale delle piante concimate: diluirlo riduce notevolmente questo rischio.

Per intenderci, a quanti vasi corrispondono questi 45 kg?

Prendiamo i vasi più comuni, quelli rettangolari di dimensioni 20x20x50 cm, quindi con un volume di 0,02 m3. Se la densità del compost è di 0,4 t / m3 allora ogni vaso potrà contenere 4 kg di compost e altrettanti di terra. Questo significa che a una famiglia media serviranno poco più di 11 di questi vasi per utilizzare tutto il compost prodotto; se consideriamo invece un nucleo familiare di 4 persone il numero di vasi sale a 18.

Quindi si produce più compost di quanto è ragionevolmente possibile utilizzare per le piante da balcone, a meno che non si abbia un terrazzo. Sempre che i vicini siano d’accordo. Per quanto riguarda possibili odori sgradevoli?
In realtà anche in questo caso si tratta di un falso problema. Non tutto l’organico è compostabile: bisogna evitare soprattutto gli scarti di origine animale (che possono invece essere conferiti nel bidone della raccolta differenziata dell’organico) perché rilasciano una quantità importante di ammoniaca, che può creare una situazione di disagio per la puzza. Altra regola fondamentale è fare in modo che la compostiera sia ben areata, in particolare rivoltandone regolarmente il contenuto. L’ammoniaca infatti viene rilasciata anche a fronte di un’ossigenazione insufficiente. Tutte operazioni semplici che chiunque può eseguire senza che si vengano a creare problemi per sé e per gli altri.

Fonte: eco dalle città