Tra i partecipanti Legambiente, Bike Pride, Fridays for Future, ISDE, Greenpeace, Ecoborgo Campidoglio: “Crediamo che la candidatura di Torino tra le 100 città europee che vogliono raggiungere la neutralità carbonica entro il 2030 debba essere resa credibile attraverso una serie di cambiamenti strutturali. Questo richiederà il coinvolgimento attivo di cittadini e cittadine, per questo abbiamo deciso di costituirci in Osservatorio per monitorare l’avanzamento delle azioni”
Il 10 novembre 2021, all’indomani dell’insediamento della nuova Giunta della Città di Torino, 22 associazioni e realtà della società civile hanno inviato una lettera al Sindaco e all’Assessora alla Transizione Ecologica proponendo un programma di azioni strategiche e di azioni di breve periodo da avviare o realizzare nei primi 100 giorni per affrontare efficacemente la crisi climatica ed ecologica. In questi 100 giorni alcuni rappresentanti delle associazioni firmatarie hanno avviato un confronto con l’Assessora Foglietta che ha portato a discutere in modo approfondito le proposte e altre iniziative avviate nel frattempo dall’Amministrazione comunale in tema di mobilità e tutela della qualità dell’aria e del clima.
L’Assessora ha confermato la disponibilità ad avviare le iniziative strategiche proposte:
una campagna di informazione sulla crisi climatica ed ecologica rivolta a cittadini/e;
l’adozione di un piano organico di riduzione delle emissioni climalteranti;
la convocazione entro la fine del 2022 di un’assemblea di cittadini/e.
“Prendiamo atto favorevolmente di questa disponibilità e restiamo in attesa di ricevere informazioni più dettagliate sulle loro modalità e tempi di realizzazione”, commentano le associazioni “Riconosciamo anche la determinazione di voler proseguire al completamento ed al potenziamento di alcune iniziative già avviate dalla precedente amministrazione, in materia di scuole car free – ossia strade davanti alle scuole chiuse al transito di veicoli a motore durante le ore di scuola -, le zone 30 km/h – con la richiesta di andare verso una città con velocità a 30 km/h – e mobilità ciclabile, destinando risorse aggiuntive e affrontando alcune problematiche che si erano già evidenziate”.
Le associazioni hanno però anche evidenziato alcune criticità legate a decisioni che rischiano di allontanare la Città di Torino dal raggiungimento degli obiettivi di decarbonizzazione, come il ritardo nel ripristino della ZTL e di un’assenza per ora di un progetto più efficace di quello attuale, l’inefficacia delle misure di lotta alle emergenze smog, la decisione di eliminare il limite di 20 km/h nei controviali, l’annuncio di voler costruire ulteriori infrastrutture stradali e la difficoltà ad abbandonare progetti destinati a creare ulteriori emissioni e consumo di suolo per far posto a nuovi centri commerciali.
“Crediamo che la candidatura di Torino tra le 100 città europee che vogliono raggiungere la neutralità carbonica entro il 2030 debba essere resa credibile attraverso una serie di cambiamenti strutturali in tutti i settori, che guardino contemporaneamente alla giustizia sociale e alla giustizia climatica. Questo richiederà il coinvolgimento attivo di cittadini e cittadine, per questo abbiamo deciso di costituirci in Osservatorio permanente, per monitorare l’avanzamento delle azioni che abbiamo proposto e più in generale le politiche di decarbonizzazione della Città di Torino e fornire il nostro contributo di idee e competenze. A questo proposito abbiamo rivolto un invito a unire le forze ai docenti e ricercatori delle Università torinesi che hanno recentemente espresso con una lettera aperta all’Amministrazione comunale preoccupazioni analoghe alle nostre, e rivolgiamo un analogo appello alle altre forze della società civile ad unirsi a questa iniziativa”.
Comitato Torino Respira
Fiab Torino Bike Pride
Fridays For Future Torino
Legambiente Piemonte e Valle D’Aosta
Sottoscritto da:
Comunet Officine Corsare
Donne per la difesa della società civile
Ecoborgo Campidoglio Aps
Fiab Torino Bici & Dintorni
Fiab Val di Susa Biketrack
Greenpeace – Gruppo Locale di Torino
Greentoso a.s.d.
IMBA Italia (International Mountain Bicycling Association)
ISDE Torino
Associazione Laqup APS
Legambiente L’Aquilone
Legambiente greenTO
Legambiente Metropolitano
Legambiente Molecola
Legambiente Protezione Civile Piemonte
SEQUS – Sostenibilità EQuità Solidarietà Circolo di Torino “Piero Gobetti”
Sergio Barone: “È assolutamente ridicolo, per un’area urbana tra le più trafficate d’Italia, cercare nell’agricoltura il capro espiatorio dell’inquinamento dell’aria di Torino”
L’agricoltura non può essere responsabile del peggioramento della qualità dell’aria che, da settimane, sta nuovamente ammorbando Torino. Lo afferma Coldiretti Torino.
“Per una ragione molto semplice – precisa il presidente Sergio Barone – In questo periodo dell’anno l’agricoltura è praticamente ferma. Se si esclude la normale vita delle mucche e dei maiali nelle stalle, non ci sono concimazioni, a parte qualche agricoltore che si porta avanti col lavoro spargendo naturalissimo letame, concime principe dell’agricoltura sostenibile che accompagna la produzione di cibo fin dagli albori dell’agricoltura neolitica, cioè da 5.000 anni. È assolutamente ridicolo, per un’area urbana tra le più trafficate d’Italia, cercare nell’agricoltura il capro espiatorio dell’inquinamento dell’aria di Torino”.
Nel suo ultimo rapporto, l’Ispra, braccio tecnico del Ministero della transizione ecologica, ha indicato nel traffico e nelle emissioni industriali le prime cause di emissioni di gas serra. Ne è un esempio il peggioramento della qualità dell’aria dopo i miglioramenti registrati durante i lockdown del 2020: con le chiusure la qualità dell’aria è migliorata perché è crollato il traffico per il divieto degli spostamenti e per la didattica a distanza; questo mentre l’agricoltura e l’allevamento hanno continuato a funzionare a pieno regime per garantire i rifornimenti alimentari. Quando è tornato a crescere il traffico è tornato a crescere anche l’inquinamento da gas serra. Le emissioni dell’agricoltura sono limitate a queste fonti: per il PM10, gli scarichi dei mezzi agricoli, che sono in numero limitato in confronto al parco veicoli circolanti; l’abbruciamento delle stoppie e dei residui colturali, pratica sempre più limitata che oggi non attua quasi più nessuno; le emissioni di gas azotati, come l’ammoniaca, derivati dallo spandimento dei concimi, dall’urina dei bovini e dei suini; Per le emissioni di gas serra, il metano rilasciato dalle deiezioni e la flatulenze degli stessi bovini e suini che vivono nelle stalle. E, per quanto si consigli di migliorare l’alimentazione animale per ridurre le emissioni di gas intestinale, le stalle non sono certo l’attività economica prevalente per l’area urbana torinese. Se si guarda al particolato fine (Pm 10 e PM 2,5) da sempre si sa che è prodotto soprattutto dai fumi di combustione. I maggiori imputati sono i motori diesel e benzina più vecchi, i processi industriali che generano fumi e le centrali termiche non ancora metanizzate. Queste sono fonti dirette di produzione di polveri sottili.
La responsabilità della formazione di particolato da parte del comparto agricolo è, invece, soprattutto, di tipo indiretto: gli effluvi di ammoniaca provocati dalle deiezioni animali e dei concimi reagiscono negli strati alti dell’atmosfera formando anche loro, come avviene per i fumi, solfati e nitrati di ammonio, che costituiscono gran parte della componente, secondaria, inorganica, del particolato. Si tratta del cosiddetto “smog fotochimico” che si forma in alto, molto in alto, negli strati superiori dell’atmosfera, dove viene quasi sempre disperso dalle grandi correnti d’aria intercontinentali che, per l’area torinese, scorrono prevalentemente da ovest-sud ovest verso est. Visto che a ovest di Torino ci sono le Alpi che, in inverno, praticamente non ospitano attività agricole, questo particolato di origine agricola non investe l’area torinese ma vola verso altre zone della Pianura Padana. Inoltre, sempre a proposito di emissioni agricole di ammoniaca leggiamo sul sito di ARPA Piemonte che “dal punto di vista temporale, le emissioni di ammoniaca a seguito dello spandimento di reflui zootecnici si collocano nel periodo compreso fra febbraio e novembre, principalmente in primavera e autunno”, quindi, non può essere la concimazione dei campi la prima causa dell’inquinamento dell’aria di Torino nei mesi invernali.
Altro punto: gli studi sul contributo degli ossidi di azoto nella formazione del particolato e gli studi sul contributo dell’agricoltura nel diffondere ossidi di azoto sono ancora tutti troppo recenti per trarre conclusioni affrettate. Mentre i contributi delle emissioni al suolo di PM10 e di ossidi azoto sono ben conosciuti. Si sa da sempre che sono prodotte direttamente dai motori e dalle caldaie in loco, cioè nella stessa area urbana di Torino e ristagnano con le alte pressioni e con le inversioni termiche invernali.
Senza l’agricoltura l’area urbana torinese non avrebbe il grande contributo verde di sequestro della CO2 e delle stesse polveri sottili determinato dalle colture: le coltivazioni e il verde urbano forniscono, infatti, un efficiente contributo per disinquinare l’aria nelle città e nelle periferie.
Sulla splendida collina morenica di Rivoli, in provincia di Torino, un gruppo di associazioni e comitati ambientalisti ha lanciato “Boschi Liberi”, una campagna per acquistare collettivamente un bosco e prendersene cura in maniera condivisa. Il sogno è salvarlo dalla privatizzazione e avviare progetti di valorizzazione ambientale che coinvolgono i cittadini.
Torino – Proprio dove finisce la Val di Susa, avvicinandosi a Torino, sorge la Collina morenica di Rivoli-Avigliana: un’oasi di natura e pace su cui sorgono ampi boschi e un paesaggio agrario che, forte della sua identità, conserva ancora il sapore di un tempo. Questo territorio, tra i suoi pianalti, i corsi d’acqua, i centri abitati e i caratteristici massi erratici che testimoniano ancora oggi la presenza di antichi ghiacciai, è però in gran parte di proprietà privata.
Per questo motivo nel 2014 un gruppo di cittadini rivaltesi, che prende il nome di Truc Bandiera, ha acquistato collettivamente un appezzamento di bosco nella collina morenica e ha affidato a una associazione ambientalista, Pro Natura Torino, la proprietà e i fondi raccolti in modo collettivo (a cui sono seguite altre acquisizioni e donazioni di privati). Da quel momento è diventato un esempio di gestione collettiva e luogo di relazione di diversi gruppi.
Ora il loro obiettivo è acquistare questo terreno, un bosco ceduo di castagno e trasformarlo in un luogo aperto e condiviso. Un luogo per donare al territorio una gestione naturalistica, facendolo diventare uno spazio di incontro e di sperimentazione, di conservazione della biodiversità, e soprattutto una proprietà collettiva di cui prendersi cura in maniera condivisa.
Salvare un bosco per aiutare le comunità
«Per sostenere l’acquisto abbiamo partecipato al bando Impatto+ lanciato da Banca Etica ed Etica Sgr per cofinanziare in crowdfunding persone under 35 con progetti di attivismo civico e cittadinanza attiva finalizzati alla salvaguardia dell’ambiente e alla lotta al cambiamento climatico e siamo stati selezionati».
Le associazioni e i movimenti coinvolti nel progetto sono accomunati dallo stesso impegno per tutelare il paesaggio e diffondere pratiche virtuose: tra questi ci sono Legambiente Rivoli, Fridays for Future, Rivoli Città Attiva, il Gruppo Scout Rivoli 2, Truc Bandiera e Pro Natura. Insieme, nel 2020 hanno dato vita al Coordinamento per la salvaguardia della collina morenica Rivoli-Avigliana per mettere in atto iniziative volte alla tutela della collina morenica attraverso il progetto Boschi Liberi.
«Dopo un anno e mezzo di pandemia in cui gli spostamenti e anche le relazioni umane sono diventati difficili e limitate, il bosco ha assunto per noi un significato ancora più forte. È un luogo dove incontrarsi all’aperto, in sicurezza, che ci ha permesso di continuare a progettare un futuro diverso. In un momento molto difficile per tutti è stato importante riscoprire le bellezze che abbiamo accanto, che a volte diamo per scontate, insieme ad altri. Questo ha favorito la nascita di nuove relazioni, condivisioni e progetti».
Dall’acquisto al monitoraggio ambientale: cosa prevede il progetto
Il progetto Boschi Liberi si concentra sull’acquisto di una porzione dell’estensione di circa un ettaro: una volta acquisito, l’obiettivo è garantire una gestione naturalistica con l’aiuto di alcuni esperti naturalisti e forestali: «Partendo da quello che già si trova nel boscovorremo impostare una gestione mirata alla conservazione delle specie arboree e arbustive presenti; favorire l’eliminazione delle specie esotiche invasive al fine di migliorare la biodiversità; proporre un modello, replicabile anche sul resto della collina per valorizzare l’ambiente che è molto frequentato per tutto l’anno sia da camminatori che da ciclisti».
A ciò si aggiunge una seconda fase di monitoraggio dell’aria attraverso la collocazione di tre centraline in alcuni punti strategici: una verrà collocata nel bosco, una nel centro storico della città di Rivoli e una nei pressi della tangenziale adiacente, per valutare quanto incidono le attività umane sull’aria che respiriamo e di conseguenza per mostrare quanto sia importante la presenza della collina morenica come polmone verde situato a pochi passi dai centri abitati.
Boschi Liberi: la campagna di crowdfunding
Per realizzare il progetto i nostri protagonisti hanno lanciato Boschi Liberi, una campagna di crowdfunding su Produzioni dal Basso che li aiuterà a concludere l’acquisto del bosco e a iniziare le azioni di monitoraggio ambientale. «Ci serve il vostro aiuto per poter far diventare un piccolo pezzo della collina morenica un bene comune, condiviso e accessibile per vivere questo spazio in modo collettivo e comunitario, oltre che per farlo diventare un luogo di sperimentazione. È un piccolo gesto per prendersi cura del bosco in prima persona e insieme a tante realtà naturalistiche».
Il bosco acquistato sarà un luogo aperto e curato da cittadini e associazioni che hanno a cuore la salvaguardia della collina morenica. Per questo l’invito a partecipare è per tutti: gruppi e singoli che vogliono e vorranno unirsi a questo progetto per renderlo sempre più aperto e condiviso.
Spreco alimentare e povertà sono due concetti che sempre più spesso si incontrano nei progetti di solidarietà e mutuo aiuto: oggi vi parliamo del “Frigo di quartiere”, iniziativa che si sta diffondendo in sempre più città e che è pensata per donare cibo alle persone in difficoltà attraverso frigoriferi collocati in spazi urbani e a completa disposizione di chi ne ha bisogno. Un esempio è l’esperienza di Torino.
Torino – Avete mai sentito parlare del frigorifero di quartiere o di comunità? Si tratta di un’iniziativa che sta facendo molto parlare di sè e che vede negli angoli delle strade, nei condomini o nei parchi, piccoli o grandi frigo in cui i cittadini si impegnano a riporre cibo a disposizione delle persone bisognose.
In particolare, quella del frigo di quartiere è una tra le numerose iniziative incluse nel progetto Im.patto, lanciato da Nova Coop in sinergia con realtà piemontesi e che porterà nelle diverse province della regione progetti che coinvolgeranno la cittadinanza sul tema del cibo, del benessere e della salute.
A Torino, ad esempio, è pensata per coinvolgere le periferie attraverso un effettivo “patto” con il territorio che si concretizza in nuove alleanze con i soggetti che a diverso titolo hanno partecipato alla Call for Ideas di Nova Coop: un patto che vuole mettere in atto azioni di partecipazione ma anche progetti di scambio e reciprocità capaci di generare benefici sull’intera comunità.
L’INIZIATIVA DEL FRIGO DI QUARTIERE
In cosa consiste il progetto? Due frigoriferi verranno allestiti presso Il Boschetto di via Errico Petrella, progetto che vi abbiamo già raccontato in un nostro precedente articolo e che nel quartiere di Barriera di Milano, grazie al lavoro di Re.Te Ong, un angolo di città è stato trasformato in questi anni in un progetto di agricoltura urbana dove bambini, famiglie, soggetti fragili e residenti si prendono cura degli orti che qui sorgono.
L’obiettivo, sin dalla sua nascita, è agevolare l’inclusione sociale di soggetti vulnerabili e svantaggiati attraverso pratiche agroecologiche e stimolare valori di cittadinanza attiva, avvicinando le persone alle pratiche di agricoltura urbana sostenibile e alle tematiche ambientali.
Foto di Peter Wendt tratta da Unsplash
Proprio per questo, il progetto del frigo di quartiere vuole diventare un simbolo per promuovere l’impegno sociale e la solidarietà: i frigoriferi saranno infatti destinati ai cittadini che ne hanno bisogno o che si trovano in condizioni di povertà. Al loro interno potranno trovare frutta fresca, oltre che le eccedenze alimentari donate da Coop e altri negozi, aziende e ristoranti che aderiranno all’iniziativa.
DAI COMMUNITY FRIDGES AL PEOPLE’S FRIDGE
L’iniziativa non è solo pensata per sostenere le persone in difficoltà, ma anche per diventare un elemento culturale di aggregazione sociale e un mezzo di promozione della salute e rafforzamento del legame tra cibo e sostenibilità. D’altronde, l’esperienza dei “frighi di comunità” si sta diffondendo in sempre più città, attraversando i continenti. È il caso dell’America, dove sono nati i “Community fridges”, grazie a movimenti spontanei organizzati dalla comunità per la comunità, per offrire un aiuto concreto a migliaia di americani che si trovano in situazioni di fragilità e la cui situazione già critica è stata resa ancora più difficile con l’arrivo della pandemia. Un altro esempio virtuoso è “The People’s fridge“, iniziativa che è stata realizzata a Brixton da un gruppo di commercianti, ispirata da esperienze simili e precedentemente avviate in Germania, Spagna, India. Così il progetto ha preso piede grazie all’ampio quantitativo di donazioni ricevute dai cittadini attraverso una campagna di crowdfunding che ha riscosso grande successo, stimolando altri quartieri londinesi a replicare l’esperienza. Un’esperienza che riguarda il Regno Unito è poi la comunità formatasi intorno alla Community Fridge Network, rete che ad oggi conta circa 200 realtà che hanno dato vita al loro frigo di comunità. La rete vuole incentivare la nascita di progetti analoghi e per questo offre una guida gratuita ai gruppi di persone che desiderano creare il proprio frigorifero comunitario, fornendo un supporto tra pari e consigli per la progettazione.
Foto tratta da Peoplesfridges
DARE SUPPORTO A CHI È IN DIFFICOLTÁ
Le esperienze, che oltrepassano i confini e si diffondo da una città all’altra, sono diverse e variegate: dai frigoriferi che ospitano cibo appena scaduto o vicino alla scadenza ai frigo collocati nei cortili dei condomini aderenti ai progetti che “salvano” avanzi di frutta e verdura che, a causa di qualche ammaccatura, non sono più considerati facilmente “vendibili”. Ciò che accomuna tutti questi progetti è l’impatto sociale e ambientale che li contraddistingue.
Tutti questi progetti nascono e si sviluppano per creare supporto alle nuove fragilità, con azioni di sostegno basate sulla reciproca responsabilità. La visione di fondo è rafforzare la connessione tra le persone e verso l’ambiente circostante, valorizzare la ricchezza culturale e la tradizione delle comunità locali, dare attenzione alla cura di sé, degli altri e del proprio contesto di vita, educare al consumo consapevole e, certamente, contribuire a una società migliore basata su convivialità e mutuo aiuto.
AltraVia è un progetto che nasce dal basso, dalla scommessa di due amici, Giovanni Amerio e Dario Corradino: insieme hanno dato vita a un percorso che si può compiere sia a piedi che in bicicletta che percorre due regioni, il Piemonte e la Liguria. Il sogno è diventare, assieme a tanti altri meravigliosi cammini italiani, un modo per tornare a vivere e far vivere i territori e le persone che li abitano.
Savona – “Il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuovi orizzonti ma nell’avere nuovi occhi”, osservò Marcel Proust in un suo scritto. Da questa ispirazione e dalla scommessa di due amici nasce Altravia, un percorso che unisce Piemonte e Liguria, dove il cammino lento diventa il punto di arrivo e di partenza. Parliamo di Giovanni Amerio, che da sempre lavora in ambito sanitario, e Dario Corradino, giornalista. Compagni di avventure e viaggi che un giorno si sono chiesti: «Può esistere un altro modo di raggiungere il mar Ligure da un territorio di pianura come quello torinese?». Si badi bene. Come loro specificano, non un modo per forza migliore, ma diverso, altro. Così hanno materializzato il loro sogno: tracciare un’altra via. Una via che unisca, percorrendoli lentamente, territori eterogenei: grandi città e piccoli paesi, centri abitati e borghi sconosciuti, aree coltivate e rinomate a livello internazionale per le loro eccellenze e angoli di mondo selvaggi e impervi, poco noti persino a chi in quei luoghi ci abita da lunga data.
AltraVia è un progetto che nasce dal basso, dalla scommessa di due amici, Giovanni Amerio e Dario Corradino: insieme hanno dato vita a un percorso che si può compiere sia a piedi che in bicicletta che percorre due regioni, il Piemonte e la Liguria. Il sogno è diventare, assieme a tanti altri meravigliosi cammini italiani, un modo per tornare a vivere e far vivere i territori e le persone che li abitano.
Savona – “Il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuovi orizzonti ma nell’avere nuovi occhi”, osservò Marcel Proust in un suo scritto. Da questa ispirazione e dalla scommessa di due amici nasce Altravia, un percorso che unisce Piemonte e Liguria, dove il cammino lento diventa il punto di arrivo e di partenza. Parliamo di Giovanni Amerio, che da sempre lavora in ambito sanitario, e Dario Corradino, giornalista. Compagni di avventure e viaggi che un giorno si sono chiesti: «Può esistere un altro modo di raggiungere il mar Ligure da un territorio di pianura come quello torinese?». Si badi bene. Come loro specificano, non un modo per forza migliore, ma diverso, altro. Così hanno materializzato il loro sogno: tracciare un’altra via. Una via che unisca, percorrendoli lentamente, territori eterogenei: grandi città e piccoli paesi, centri abitati e borghi sconosciuti, aree coltivate e rinomate a livello internazionale per le loro eccellenze e angoli di mondo selvaggi e impervi, poco noti persino a chi in quei luoghi ci abita da lunga data.
Come scrivono, «il turismo lento, sia esso praticato a piedi o sulle due ruote, solitamente privilegia località alpine oppure percorsi attraverso territori poco popolati. Si potevano trovare strade e sentieri fruibili e interessanti, che conducessero a scoprire aspetti e volti nuovi, inaspettati e sorprendenti, di un territorio all’apparenza conosciuto, per andare da Torino a Savona?».
Altravia, a oggi, è un itinerario non ancora ufficiale, bensì un progetto in fase di realizzazione che sta seguendo tutte le procedure affinché possa a breve divenirlo. Come spiegano Giovanni e Dario, si tratta di un percorso «pensato incoscientemente prima della pandemia, testato durante con tutte le inevitabili difficoltà e, speriamo, goduto in pieno dopo».
Sono numerosi coloro che ne hanno già percorso il tracciato e che, in una sezione dedicata sul sito, hanno lasciato le loro foto e testimonianze, contribuendo acreare un viaggio fatto a più voci. Quello di Altravia è un percorso che nasce come atto di speranza: «Vogliamo pensare che saremo nuovamente liberi. È un atto di amore verso terre uniche, dal cuore grande. Un atto a favore di tanti che credono nel proprio lavoro e lo svolgono con passione, ma rischiano di non farcela più».
Come scrivono, «il turismo lento, sia esso praticato a piedi o sulle due ruote, solitamente privilegia località alpine oppure percorsi attraverso territori poco popolati. Si potevano trovare strade e sentieri fruibili e interessanti, che conducessero a scoprire aspetti e volti nuovi, inaspettati e sorprendenti, di un territorio all’apparenza conosciuto, per andare da Torino a Savona?».
Altravia, a oggi, è un itinerario non ancora ufficiale, bensì un progetto in fase di realizzazione che sta seguendo tutte le procedure affinché possa a breve divenirlo. Come spiegano Giovanni e Dario, si tratta di un percorso «pensato incoscientemente prima della pandemia, testato durante con tutte le inevitabili difficoltà e, speriamo, goduto in pieno dopo».
Sono numerosi coloro che ne hanno già percorso il tracciato e che, in una sezione dedicata sul sito, hanno lasciato le loro foto e testimonianze, contribuendo acreare un viaggio fatto a più voci. Quello di Altravia è un percorso che nasce come atto di speranza: «Vogliamo pensare che saremo nuovamente liberi. È un atto di amore verso terre uniche, dal cuore grande. Un atto a favore di tanti che credono nel proprio lavoro e lo svolgono con passione, ma rischiano di non farcela più».
Nel pensare il percorso, inizialmente, il sistema più rapido sarebbe stato quello di seguire il tracciato autostradale della A6, ovvero l’Autostrada dei Fiori, quella che collega Torino a Savona. Invece, almeno fino a Ceva, ma anche nel tratto successivo, Dario e Giovanni hanno optato per una scelta completamente diversa: allungando di due tappe il percorso ipoteticamente più breve. Così hanno tracciato un itinerario assolutamente inedito, privo di tratti in pianura, che attraversa la collina di Torino, il Monferrato, il Roero, le Langhe, per affrontare poi in tre tappe finali le Alpi Liguri, che alla fine divengono Appennino.
Il sentiero di Altravia è stato pensato per essere percorso a piedi e, con opportune varianti, in bicicletta. Attualmente sono in fase di allestimento punti di appoggio e servizi, sono disponibili servizi cartografici oltre a una parziale segnaletica e alla pubblicazione delle tracce GPS, da considerarsi per ora indicative. Ma non solo: Dario e Giovanni hanno anche realizzato una guida dedicata che permetterà di conoscere e immergersi ancora più profondamente nelle realtà locali. Il non dover seguire un percorso prestabilito ha poi permesso di creare tappe sostanzialmente omogenee in termini di percorrenza e ricercando, ove possibile, strade bianche o sentieri, molto sovente ombreggiati.
Nel pensare il percorso, inizialmente, il sistema più rapido sarebbe stato quello di seguire il tracciato autostradale della A6, ovvero l’Autostrada dei Fiori, quella che collega Torino a Savona. Invece, almeno fino a Ceva, ma anche nel tratto successivo, Dario e Giovanni hanno optato per una scelta completamente diversa: allungando di due tappe il percorso ipoteticamente più breve. Così hanno tracciato un itinerario assolutamente inedito, privo di tratti in pianura, che attraversa la collina di Torino, il Monferrato, il Roero, le Langhe, per affrontare poi in tre tappe finali le Alpi Liguri, che alla fine divengono Appennino.
Il sentiero di Altravia è stato pensato per essere percorso a piedi e, con opportune varianti, in bicicletta. Attualmente sono in fase di allestimento punti di appoggio e servizi, sono disponibili servizi cartografici oltre a una parziale segnaletica e alla pubblicazione delle tracce GPS, da considerarsi per ora indicative. Ma non solo: Dario e Giovanni hanno anche realizzato una guida dedicata che permetterà di conoscere e immergersi ancora più profondamente nelle realtà locali. Il non dover seguire un percorso prestabilito ha poi permesso di creare tappe sostanzialmente omogenee in termini di percorrenza e ricercando, ove possibile, strade bianche o sentieri, molto sovente ombreggiati.
Quello che Giovanni e Dario propongono è un viaggio fuori dagli schemi che percorrerà più di 200 chilometri tra Piemonte e Liguria, attraversando 4 province e 49 comuni. In Piemonte, lungo Altravia «transiteremo attraverso città come Torino, Alba, Savona, borghi storici come San Damiano d’Asti e Millesimo, territori patrimoni dell’Unesco come il Monferrato e le Langhe, eppure per molti tratti sembrerà di entrare in un’altra dimensione, fatta di luoghi e di tempi remoti, inghiottiti da un paesaggio e da una naturache ci sorprenderà, perfino se siamo originari o frequentatori di queste terre».
In un’alternarsi tra città e campagna, soste e partenze, si giungerà in Liguria. «Una Liguria dove attraverseremo torrenti dal sapore alpino e in certi periodi dell’anno potremo essere bloccati da una nevicata. Ogni tappa sarà profondamente diversa dalla precedente, ricca di sorprese e scoperte. Scopriremo il rifugio di una principessa e del suo innamorato, usciremo dal centro di una città di un milione di abitanti fermandoci a un solo semaforo, conosceremo la storia di una mongolfiera arrivata dall’America» . Così, passo dopo passo Altravia attraversa le Alpi per giungere agli Appennini e infine raggiunge il mare.
In Piemonte la Comunità Laudato Sì ha dato vita a un forno solidale e collettivo che vuole portare la lunga tradizione dei grani antichi e della lievitazione naturale sulle tavole delle famiglie bisognose. Il progetto si chiama “Impastiamo umanità” e si fonda su una rete di persone che insieme collabora superando il concetto di “assistenzialismo”. L’idea è piaciuta così tanto che è stata esportata anche a Riace, dove presto nascerà il “forno dei popoli”. A Stupinigi tutte le domeniche mattina i volontari e i cittadini si incontrano, lavorano, infornano e distribuiscono il pane ancora caldo, per donarlo alle persone bisognose. Nell’ultimo anno e mezzo hanno rimesso in funzione l’antico forno del paese rimasto inattivo dagli anni ’50, restituendogli una nuova vocazione non solo ecologica ma anche ambientale e sociale. Insieme producono un centinaio di pagnotte con ingredienti di alta qualità, a lievitazione lenta e realizzate con pasta madre attraverso un processo collettivo e condiviso per” impastare” insieme un’umanità dove le diversità sono gli ingredienti che rendono unica questa ricetta. L’esperienza del forno collettivo e solidale è nata un anno e mezzo fa per aiutare il territorio da sempre considerato “fragile” per via dell’alto tasso di povertà delle famiglie che qui vivono. Si pensi che dall’inizio della pandemia sono aumentate vertiginosamente le persone che hanno richiesto assistenza alimentare.
In Piemonte la Comunità Laudato Sì ha dato vita a un forno solidale e collettivo che vuole portare la lunga tradizione dei grani antichi e della lievitazione naturale sulle tavole delle famiglie bisognose. Il progetto si chiama “Impastiamo umanità” e si fonda su una rete di persone che insieme collabora superando il concetto di “assistenzialismo”. L’idea è piaciuta così tanto che è stata esportata anche a Riace, dove presto nascerà il “forno dei popoli”. A Stupinigi tutte le domeniche mattina i volontari e i cittadini si incontrano, lavorano, infornano e distribuiscono il pane ancora caldo, per donarlo alle persone bisognose. Nell’ultimo anno e mezzo hanno rimesso in funzione l’antico forno del paese rimasto inattivo dagli anni ’50, restituendogli una nuova vocazione non solo ecologica ma anche ambientale e sociale. Insieme producono un centinaio di pagnotte con ingredienti di alta qualità, a lievitazione lenta e realizzate con pasta madre attraverso un processo collettivo e condiviso per” impastare” insieme un’umanità dove le diversità sono gli ingredienti che rendono unica questa ricetta. L’esperienza del forno collettivo e solidale è nata un anno e mezzo fa per aiutare il territorio da sempre considerato “fragile” per via dell’alto tasso di povertà delle famiglie che qui vivono. Si pensi che dall’inizio della pandemia sono aumentate vertiginosamente le persone che hanno richiesto assistenza alimentare.
Come ci raccontano Francesca Miola e Alessandro Azzolina della Comunità Laudato si’ di Stupinigi, «in questo periodo ci stiamo mettendo in contatto con le famiglie bisognose e la semplice azione di offrire il pane diventa “una scusa” per incontrarsi, conoscersi, raccontarsi e cercare di capire se ci sono altre esigenze all’interno di una determinata famiglia». Superando la logica dell’“assistenzialismo” a favore dell’inclusione, il cambiamento sta già avvenendo. «Alcune di queste famiglie vengono ad aiutarci e a loro volta si attivano per dare una mano». E questa è la vera missione: ridurre l’emarginazione sociale e far sentire le persone non un peso, bensì una risorsa fondamentale. Al forno la “domenica tipo” inizia la mattina molto presto: il gruppo lavora in squadre e la prima, quella più mattiniera, si occupa di accendere il forno a legna; successivamente la seconda, dopo che il pane è lievitato tutta la notte, impasta e inforna, per poi passare il testimone alla terza squadra che impacchetta il pane e lo distribuisce alle varie famiglie. Non manca poi un momento condiviso a fine giornata in cui i volontari si confrontano sul lavoro fatto in preparazione alla settimana successiva.
Come ci raccontano Francesca Miola e Alessandro Azzolina della Comunità Laudato si’ di Stupinigi, «in questo periodo ci stiamo mettendo in contatto con le famiglie bisognose e la semplice azione di offrire il pane diventa “una scusa” per incontrarsi, conoscersi, raccontarsi e cercare di capire se ci sono altre esigenze all’interno di una determinata famiglia». Superando la logica dell’“assistenzialismo” a favore dell’inclusione, il cambiamento sta già avvenendo. «Alcune di queste famiglie vengono ad aiutarci e a loro volta si attivano per dare una mano». E questa è la vera missione: ridurre l’emarginazione sociale e far sentire le persone non un peso, bensì una risorsa fondamentale. Al forno la “domenica tipo” inizia la mattina molto presto: il gruppo lavora in squadre e la prima, quella più mattiniera, si occupa di accendere il forno a legna; successivamente la seconda, dopo che il pane è lievitato tutta la notte, impasta e inforna, per poi passare il testimone alla terza squadra che impacchetta il pane e lo distribuisce alle varie famiglie. Non manca poi un momento condiviso a fine giornata in cui i volontari si confrontano sul lavoro fatto in preparazione alla settimana successiva.
L’iniziativa nasce grazie alla collaborazione con la Cooperativa Panacea, il patrocinio dell’assessora all’agricoltura e all’ambiente della Città di Nichelino, Valentina Cera, e al prezioso lavoro dei volontari che hanno preso a cuore il progetto. «Per noi la panificazione ha due significati importanti: uno è di sostegno, finalizzato a dare un piccolo contributo, seppur simbolico, all’economia di una famiglia. L’altro consiste nel fare educazione alimentare, trasmettendo alle persone l’importanza di alimentarsi correttamente. Ciò vale soprattutto per coloro che hanno problemi economici e che spesso, per risparmiare, hanno bisogno di rivolgersi ai discount dove in molti casi i prodotti non sono di qualità».
Uno degli aspetti più interessanti del forno solidale è la sua capacità di essere replicabile ovunque. Proprio per questo la Comunità Laudato Si’ è in contatto con realtà di altre regioni interessate al progetto. Una di queste è la comunità di Riace, piccolo comune dell’entroterra calabro conosciuta ai molti per essere diventata un caso virtuoso sul tema dell’accoglienza grazie al sindaco Mimmo Lucano e alla sua capacità di aver trasformato, negli anni passati, un luogo a rischio spopolamento in un esempio di riattivazione territoriale e di creazione di un nuovo tessuto economico locale.
L’iniziativa nasce grazie alla collaborazione con la Cooperativa Panacea, il patrocinio dell’assessora all’agricoltura e all’ambiente della Città di Nichelino, Valentina Cera, e al prezioso lavoro dei volontari che hanno preso a cuore il progetto. «Per noi la panificazione ha due significati importanti: uno è di sostegno, finalizzato a dare un piccolo contributo, seppur simbolico, all’economia di una famiglia. L’altro consiste nel fare educazione alimentare, trasmettendo alle persone l’importanza di alimentarsi correttamente. Ciò vale soprattutto per coloro che hanno problemi economici e che spesso, per risparmiare, hanno bisogno di rivolgersi ai discount dove in molti casi i prodotti non sono di qualità».
Uno degli aspetti più interessanti del forno solidale è la sua capacità di essere replicabile ovunque. Proprio per questo la Comunità Laudato Si’ è in contatto con realtà di altre regioni interessate al progetto. Una di queste è la comunità di Riace, piccolo comune dell’entroterra calabro conosciuta ai molti per essere diventata un caso virtuoso sul tema dell’accoglienza grazie al sindaco Mimmo Lucano e alla sua capacità di aver trasformato, negli anni passati, un luogo a rischio spopolamento in un esempio di riattivazione territoriale e di creazione di un nuovo tessuto economico locale.
Un incontro con Mimmo Lucano
Come ci raccontano Francesca e Alessandro, «siamo attualmente in contatto con l’ex sindaco Mimmo Lucano, che abbiamo avuto modo di conoscere durante un’esperienza a Riace e che ha molto apprezzato il nostro progetto». L’idea è quella di realizzare un vero e proprio “forno dei popoli” dove, attraverso la panificazione collettiva, le famiglie multiculturali racconteranno i loro territori di provenienza.
Ci sono avvisi di garanzia ai vertici istituzionali di Regione Piemonte e Comune di Torino, non soltanto quelli attuali, in una inchiesta della procura del capoluogo subalpino sull’inquinamento ambientale
La sindaca di Torino, Chiara Appendino, e il presidente della Regione Piemonte, Alberto Cirio, sarebbero tra i destinatari degli avvisi di garanzia nell’ambito dell’inchiesta della procura di Torino sull’inquinamento ambientale. Secondo quanto si apprende, analogo provvedimento sarebbe stato notificato ai loro predecessori, Piero Fassino e Sergio Chiamparino, oltre agli assessori all’Ambiente che si sono succeduti negli ultimi anni. Gli avvisi di garanzia riguardano dunque i vertici istituzionali di Regione Piemonte e Comune di Torino, non soltanto quelli attuali. Il reato per il quale si procede è quello di Inquinamento Ambientale, disciplinato dall’art. 452 bisc.p. del Codice Penale, un “ecoreato” entrato in vigore nel maggio del 2015. L’inchiesta è coordinata dal pm Gianfranco Colace e nasce dall’esposto di Robeeto Mezzalama, ingegnere esperto di valutazioni in impatto ambientale, appartenente al comitato Torino Respira. Il documento, del maggio 2017, sostiene che la Città di Torino versa in una “situazione di illegalità da almeno dieci anni” per il ripetuto sfondamento dei valori Pm10 previsti da una direttiva comunitaria del 2008 ed è per questo che la Commissione europea ha avviato una procedura di infrazione contro l’Italia. Secondo l’esperto, che ha corredato la propria relazione con dati, riferimenti giuridici e stralci di rapporti ufficiali, gli atti e le misure adottate da Regione e Comune sono inadeguati.
Le reazioni a caldo
“Il lavoro di questa Amministrazione a difesa della qualità dell’aria, dell’ambiente e della sostenibilità è sotto gli occhi di tutti. Gli sforzi e le iniziative messe in campo in questi anni ci sono stati riconosciuti anche a livello europeo. Porteremo tutto il lavoro svolto le iniziative intraprese a difesa della qualità dell’aria sul tavolo del magistrato che sta svolgendo le indagini” a dichiararlo è la sindaca di Torino, Chiara Appendino. “In merito alla gestione degli interventi di contrasto all’inquinamento sono assolutamente tranquillo: pur avendo affrontato una situazione ampia e complessa, ritengo di avere sempre lavorato per ridurre l’inquinamento e per migliorare la qualità ambientale della nostra Regione e di essermi impegnato per tutelare il Piemonte insieme alle altre Regioni dell’area padana; quando mi saranno mossi gli specifici addebiti risponderò nelle sedi preposte” così il Consigliere regionale del Partito Democratico Sergio Chiamparino commenta la notizia dell’avviso di garanzia per smog.
Il commento di Paolo Hutter, ex assessore all’Ambiente del Comune di Torino
“Sono stato assessore comunale all’Ambiente da settembre 1999 a maggio 2001. Quello fu il periodo in cui venne fuori l’emergenza smog in tutta Italia. L’allora ministro Ronchi varò le domeniche a piedi. Ci furono molte discussioni e molte polemiche sui primi provvedimenti anti smog” dichiara Paolo Hutter, ex assessore all’Ambiente del Comune di Torino.
“L’allora pubblico ministero Parodi aprì un’indagine. Come assessore all’Ambiente, prima ancora che mi chiamasse chiesi di contattarlo. Ci incontrammo e gli procurai anche i documenti che in quel periodo stavamo studiando con Arpa per capire le questioni dello smog. L’indagine si concluse senza nessun accusato” aggiunge l’ex assessore.
“Mi rendo conto che possa sembrare un po’ grottesco ma ricordo che io gli chiedevo di incriminarmi, tra il serio e il faceto. Perché? Una qualche forma di accusa precisa avrebbe sicuramente scosso i miei colleghi e il sindaco e avrebbe facilitato l’adozione di quelle politiche anti inquinamento che facevo fatica ad affermare. Finché si rimane su un piano puramente politico, culturale, ideale; finché si discute solo della salute in generale, è difficile far passare le misure anti smog. Infatti molti progressi sono stati fatti solo dopo la direttiva europea e la minaccia delle multe agli Stati e alle Regioni. Una responsabilità penale in capo ai sindaci e agli assessori non c’è mai stata e sarebbe una novità se ci fosse adesso” ha concluso Paolo Hutter.
L’Osservatorio Metropolitano rifiuti di Torino riprende la pubblicazione dell’annuale Rapporto sullo stato del sistema di gestione dei rifiuti. Eco dalle Città ha intervistato Agata Fortunato, responsabile dell’Ufficio Programmazione e controllo del Ciclo Integrato dei Rifiuti della Città Metropolitana di Torino. Dopo tre anni di fermo l’Osservatorio Metropolitano rifiuti di Torino riprende la pubblicazione dell’annuale Rapporto sullo stato del sistema di gestione dei rifiuti. Abbiamo chiesto un commento ad Agata Fortunato, responsabile dell’Ufficio Programmazione e controllo del Ciclo Integrato dei Rifiuti della Città Metropolitana di Torino.
Quali sono le novità registrate negli ultimi anni?
Prima di tutto voglio ringraziare le colleghe dell’ATO-Rifiuti: senza il loro lavoro la pubblicazione non sarebbe stata possibile. Gli ultimi vent’anni sono stati caratterizzati da una forte spinta alla raccolta differenziata con effetti ben visibili, benché i risultati non siano uniformi in tutti gli ambiti del nostro territorio. Nel trend di crescita è intervenuta nel 2017 la modifica del calcolo della raccolta differenziata il cui effetto immediato è stato un complessivo e consistente aumento della percentuale di RD, determinata però solo da una differente modalità di contabilizzazione. Più di recente invece abbiamo assistito ad una lenta crescita della raccolta differenziata nella città di Torino, grazie all’estensione dei servizi domiciliari che dovrebbe concludersi nel 2023. Pur con questi risultati l’ambito metropolitano è complessivamente ancora lontano dall’obiettivo fissato dalla normativa per il 2012 e pari al 65%: nel 2019 il nostro territorio raggiunge “solo” il 58% di raccolta differenziata; diversi ambiti hanno già traguardato l’obiettivo nazionale ma, fatta eccezione per la Città di Torino (che sta procedendo), in quelli in cui il risultato non è ancora stato raggiunto non sembrano previsti al momento interventi in grado di dare una ulteriore spinta e pertanto non si può ipotizzare nel breve periodo un sostanziale cambio di scenario. La qualità della raccolta, sebbene sia sempre difficile fare valutazioni specifiche e puntuali a causa dei diversi passaggi cui il rifiuto è sottoposto a scapito della tracciabilità, non risulta complessivamente eccellente. Più in particolare la raccolta differenziata della plastica mostra livelli accettabili (ma anche eccellenze) per quella multimateriale leggera (realizzata in 264 Comuni – 896.958 ab.), meno per quella monomateriale ( realizzata in 49 Comuni – 1.356.304 ab.) che necessita ancora di interventi di prepulizia prima del conferimento agli impianti di selezione. Per la RD plastica vi è inoltre un problema più strutturale e non determinato dalla raccolta del territorio; infatti ancora più della metà viene avviata a recupero energetico o discarica (per quantità residuali) poiché costituita oltre che da scarti veri e propri, da imballaggi non riciclabili, per i quali ancora troppo poco si sta facendo. Le altre raccolte differenziate (organico, carta/cartone, vetro) continuano a soffrire di una qualità non sempre eccellente che determina oltre che un minore incasso per i Comuni, una minore resa in termini di riciclo. La nuova negoziazione dell’Accordo Quadro, peraltro non conclusa (alla data di pubblicazione del rapporto non risultano sottoscritti tre dei sei Allegati Tecnici), spinge molto sulla qualità del rifiuto conferito: la condivisibile necessità di un miglioramento qualitativo delle raccolte si scontra con un territorio non sempre sufficientemente pronto a modificare abitudini e sistemi organizzativi.
Oltre ai valori di raccolta differenziata sembra si parli ancora troppo poco della produzione totale e del rispetto della gerarchia della gestione dei rifiuti: cosa è successo da questo punto di vista?
Sul fronte della produzione totale, diversi ambiti registrano valori significativamente alti ed anche in questo caso non si possono ipotizzare sostanziali modifiche, essendo interventi, allorquando presenti, sporadici e non inseriti in un quadro complessivo: per questo rischiano di risultare poco visibili a livello sovra-locale. Il raggiungimento di ambiziosi obiettivi di prevenzione dei rifiuti è possibile solo attraverso un complesso sistema di azioni e buone pratiche che, inserite in un disegno articolato, divengono elemento imprescindibile per la modifica del modello di produzione e consumo finalizzato alla prevenzione dei rifiuti, in modo da portare all’auspicato disallineamento fra crescita dei rifiuti e crescita economica.
E sul sistema impiantistico ci sono dati confortanti?
Anche grazie alle scelte lungimiranti fatte nel passato il territorio non presenta criticità per lo smaltimento del rifiuto non recuperabile, che peraltro vista la crescita della raccolta differenziata non solo è completamente assorbito dal termovalorizzatore (impianto che la Regione già da qualche anno ha individuato come impianto regionale), ma riesce a trattare anche una buona quantità di rifiuti speciali. Al tempo stesso però, la complessa situazione del sistema nazionale e le difficoltà di accesso alle infrastrutture di smaltimento, creano anche a livello del nostro territorio numerose criticità che rischiano di avere effetti sulla corretta gestione del rifiuto speciale, caratterizzata da impianti sempre più prossimi alla saturazione. Sebbene il nostro Rapporto ormai da diversi anni è limitato ai soli rifiuti urbani, il tema degli impianti di trattamento di rifiuti speciali è comunque di interesse, poiché tali impianti costituiscono il destino per i sovvalli delle raccolte differenziate oltre che per particolari tipologie di rifiuti urbani (ingombranti e abbandoni stradali soprattutto).
Ci sono altre criticità che emergono?
Il percorso di razionalizzazione della governance avviato negli anni scorsi e definitivamente tracciato con la L.R. 1/2018, pur con tutti i limiti della legge – il doppio livello CAV/ATO, due CAV per il territorio metropolitano, la frammentazione degli attuali Consorzi di Bacino – appare ancora lontano dal realizzarsi, mentre avanza il processo di aggregazione industriale che potrebbe portare ad un effetto di asimmetria fra livello della regolazione/controllo e quello della esecuzione. Permane, infine, come problema il fattore economico: la cittadinanza ed il sistema delle imprese sono sempre più sensibili all’impatto finanziario del sistema di gestione dei rifiuti e le modalità di gestione dei rifiuti secondo criteri di sicurezza per la salute e l’ambiente comportano investimenti e risorse crescenti rispetto al passato. Il mantenimento del difficile equilibrio tra queste istanze è a mio avviso un compito centrale per le istituzioni preposte al controllo e alla regolazione del sistema.
Rapporto sullo stato del sistema di gestione dei rifiuti
A Torino riapre il centro del riuso “Tricircolo”. Lo storico negozio dell’usato di Via Regaldi 7/11 si apre alla sperimentazione di nuove economie basate sul riuso e sul lavoro manuale. A Torino riapre il centro del riuso “Tricircolo”. Lo storico negozio dell’usato di Via Regaldi 7/11 si apre alla sperimentazione di nuove economie basate sul riuso e sul lavoro manuale. Per presentare queste “nuove forme”, Tricircolo Reuse Center ha allestito un calendario di dimostrazioni pratiche e di attività di co-progettazione rivolte a makers, artigiani ed entusiasti dell’upcycling.
In vista del primo evento, sabato 7 novembre 2020, abbiamo intervistato Pier Andrea Moiso, presidente di Triciclo che racconta la preparazione e gli obiettivi del progetto. “Abbiamo preparato la sede con tutti gli adempimenti sanitari. Abbiamo investito tanto per permettere alle persone di esserci, anche se in maniera contingentata, sia per fare le attività che per comprare”. In caso di nuove norme più stringenti gli appuntamenti si terranno comunque, in forma rimodulata: “Se questo non basterà rimoduleremo alcune attività in modalità digitale e manterremo i due workshop che ci consentono di accedere alla sede”.
Uno dei punti fondamentali per lo sviluppo del progetto sarà il lavoro manuale. “Crediamo che le competenze residenti nei territori siano fondamentali per sviluppare una nuova economia. E sappiamo che tra queste competenze ci sono quelle manuali. Queste sono quelle che vogliamo far emergere nuovamente con dei percorsi diversi rispetto a quelli del passato o rispetto a quelli della formazione istituzionale. La nostra esperienza legata al mondo del riuso – spiega Moiso – ci ha reso subito evidente che le competenze manuali sono quelle che sono indispensabili per far effettivamente ricircolare dei materiali. Senza quelle tutto ciò è impossibile. Le riteniamo preziose di per sé, ancor di più se applicate effettivamente al riuso”.
All’interno del Centro di Riuso saranno dedicati servizi e spazi di lavoro in forma innovativa, come sottolinea il presidente di Triciclo: “Dentro il nostro luogo storico di attività in via Regaldi ci sarà una speciale forma di co-working: non la classica condivisione da ufficio, bensì un luogo in cui si posso fare delle attività di produzione artigianale tradizionali e moderne (up-cycling e makers). Vorremmo generare, rispondendo al primo bisogno, che è quello di avere un luogo dove poter lavorare, quel ciclo virtuoso di competenze diverse che si incontrano e generano dei prodotti che in maniera isolata non si sarebbero prodotti e che, forse, non si sarebbero neanche immaginati. Mettiamo insieme un sarto con un produttore di bici: potrebbe venir fuori la creazione di sellini e coprisella che altrimenti non sarebbe avvenuta” conclude Moiso.
On line il testo dell’appello lanciato da Fondazione di Comunità Porta Palazzo, Fuori di Palazzo, Comitato Oltredora, Cohousing Numero Zero, Circolo Decrescita Felice
Oggi, in Piemonte c’è una legge di cui dovremmo essere fieri, per la quale è legale che delle persone si guadagnino da vivere, per sé e per le proprie famiglie, con un lavoro.
Un lavoro dignitoso, che evita di far entrare le persone che lo fanno nei circuiti dell’assistenza sociale.
Un lavoro che consente a quelli che comprano di poter disporre di beni di uso comune, carrozzine, vestiti, scarpe, piatti, letti, tavoli, bicchieri, giocattoli e molto altro, a prezzi compatibili con i soldi nelle loro tasche.
Un lavoro con un profondo valore ecologico ed etico, contro lo spreco e il consumismo fine a se stesso, che recupera oggetti destinati alle discariche, e dona loro una seconda, terza vita.
Un lavoro con regole, che consente ai raccoglitori/espositori di pagare al Comune l’utilizzo del suolo pubblico, il servizio di pulizia e l’organizzazione del mercato.
Domani, in Piemonte, un assessore regionale vorrebbe che, con un semplice tratto di penna, questo lavoro diventasse illegale, motivando la sua richiesta con supposti problemi di sicurezza e di degrado per i residenti.
A noi non sembra un problema di sicurezza un luogo allegro e vivace di incontro come lo è questo mercato. Piuttosto lo è uno scenario di sempre maggiore incertezza economica.
Non crediamo sia fonte di degrado un luogo in cui si incontrano persone diverse, italiani e non, poveri e non. Invece lo è una politica che non dà dignità al riuso, non dà valore a integrazione e incontro e non affronta le crescenti diseguaglianze. Chi ha visto e vissuto il mercato svolgersi sa che non ci sono problemi di sicurezza e di degrado. Non c’erano quando era il cuore del Balon, lo è tanto meno oggi, purtroppo relegato in periferia e lontano dai residenti.
È chiaro che non esiste alcun valido motivo per la proposta dell’assessore.
Nel video dell’intervista ad un giornale locale, alla domande del giornalista su possibili problemi di ordine pubblico in seguito alla chiusura l’assessore risponde che questo è compito delle forze dell’ordine e a quella sul mancato guadagno degli espositori, che il sostegno al reddito non è compito della regione. Vorrebbe che altri si occupassero dei problemi che lui intende creare.Qualcuno sostiene sia il bisogno di visibilità in vista della campagna elettorale per l’elezione del prossimo sindaco, qualcuno la semplice stupidità e pochezza.
Comunque sia, inconsistente o strumentale, questa proposta deve essere fermamente respinta.
La città che vogliamo, è una città che non nasconde e ghettizza la povertà e i più deboli, ma che anzi offre loro spazi e strumenti di emancipazione. Anche per questo molti di noi si sono opposti allo spostamento del Libero Scambio da Porta Palazzo. Rivolgiamo quindi un appello a tutte le realtà responsabili, cittadini, associazioni, forze politiche perché ognuno per la sua parte, sul piano sociale, politico e amministrativo si opponga a questa decisione sbagliata replica watches, ingiusta e dannosa per tutti.