Break free from plastic a favore del trattato globale contro la plastica deciso dall’Onu

I governi intraprendono azioni per affrontare l’inquinamento in ogni fase, dall’estrazione, produzione, uso e smaltimento alla bonifica. Von Hernandez, coordinatore globale, Break Free From Plastic: “Questa decisione fondamentale pone le basi per un approccio all-inclusive per risolvere la crisi dell’inquinamento da plastica”

Il movimento globale Break free from plastic si esprime con favore all’adozione di un mandato storico che chiede lo sviluppo di un trattato globale sulla plastica, che è stato adottato al termine della ripresa della quinta sessione dell’Assemblea delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEA 5.2).

Il mandato “Fine dell’inquinamento da plastica: verso uno strumento internazionale legalmente vincolante“, pone le basi per la negoziazione da parte dei governi di un trattato completo e giuridicamente vincolante che riguarderà le misure lungo l’intero ciclo di vita della plastica. Il mandato servirà a guidare lo sviluppo del trattato stesso, che un Comitato di negoziazione internazionale (INC) avrà il compito di redigere nei prossimi due anni.

Oltre a gettare le basi per un trattato legalmente vincolante che consideri l’intero ciclo di vita della plastica, dall’estrazione di combustibili fossili, alla produzione e al consumo di plastica, ai rifiuti post-consumo, il mandato stabilisce anche un ampio campo di applicazione per il trattato globale da coprire tutto l’inquinamento da plastica in qualsiasi ambiente o ecosistema, che va oltre i precedenti concetti di “plastica marina” che sarebbero stati insufficienti per affrontare la vera portata della crisi della plastica.

L’inquinamento da plastica non si ferma alle frontiere. Le particelle di plastica tossiche esistono nell’acqua che beviamo, nell’aria che respiriamo e nelle parti più remote del pianeta. Particelle microplastiche sono state osservate anche nella placenta umana materna. La plastica rilascia anche sostanze chimiche pericolose che possono danneggiare la salute umana, tra cui l’interruzione del sistema endocrino, problemi riproduttivi e una serie di impatti potenzialmente letali. Ogni anno vengono prodotte oltre 460 milioni di tonnellate di plastica e il 99% della plastica è prodotta da combustibili fossili. Ciò significa che affrontare la crisi della plastica alla fonte, ovvero la produzione di plastica, è anche un elemento importante per affrontare la crisi climatica.

Un recente sondaggio globale ha rivelato che il 75% delle persone desidera che la plastica monouso venga bandita il prima possibile per tutti questi motivi e altro ancora. Un trattato globale sulla plastica rappresenterebbe un punto di svolta nella lotta all’inquinamento da plastica, come richiesto da oltre un milione di persone in tutto il mondo che hanno presentato una petizione ai delegati del governo prima dell’incontro di Nairobi. Questa dimostrazione di sostegno pubblico è supportata anche da 450 esperti scientifici, 1.000 organizzazioni della società civile e 70 imprese.

Sfortunatamente, i negoziati per un trattato forte che copra l’intero ciclo di vita della plastica stanno anche affrontando la resistenza delle aziende petrolchimiche e di combustibili fossili che si oppongono alle proposte di limitare la produzione di plastica, che è destinata a raddoppiare nei prossimi due decenni.

Questa decisione fondamentale pone le basi per un approccio all-inclusive per risolvere la crisi dell’inquinamento da plastica“, ha affermato Von Hernandez, coordinatore globale, Break Free From Plastic. “Ricevere il riconoscimento che questo problema deve essere affrontato lungo l’intera catena del valore della plastica è una vittoria per i gruppi e le comunità che da anni si confrontano con le trasgressioni e le false narrazioni dell’industria della plastica. Il movimento #breakfreefromplastic è pronto a contribuire in modo significativo a questo processo e contribuire a garantire che il trattato risultante preverrà e fermerà davvero l’inquinamento da plastica”.

Fonte: ecodallecitta.it

Deposito cauzionale, l’arma per sconfiggere plastica e monouso in Italia

Ove applicato, il deposito cauzionale per gli imballaggi monouso per bevande ha portato ottimi risultati. È per questo che una cordata di associazioni ha rivolto un appello ai ministeri competenti affinché anche l’Italia – secondo maggior inquinatore di plastica nel Mediterraneo – punti su questo sistema ricco di vantaggi per l’economia e per l’ambiente.

Al fine di accelerare la transizione verso un’economia circolare e facilitare il raggiungimento degli obiettivi europei in materia di raccolta e riciclo, l’Associazione nazionale dei Comuni Virtuosi insieme a: A Sud Onlus, Altroconsumo, Greenpeace, Kyoto Club, LAV, Legambiente, Lipu-Bird Life Italia, Oxfam, Marevivo, Pro Natura, Slow Food Italia, Touring Club Italiano, WWF e Zero Waste Italy, chiede l’introduzione di un efficiente sistema di deposito cauzionale per gli imballaggi per bevande monouso in Italia.

Come sta avvenendo in molti Paesi europei, dal luglio scorso anche in Italia viene discussa l’introduzione di un sistema di deposito cauzionale per gli imballaggi monouso per bevande (in plastica, alluminio e vetro). Il dibattito nasce dall’esigenza di raggiungere gli ambiziosi obiettivi europei imposti dal pacchetto economia circolare e in particolare dalla direttiva sulla plastica monouso – SUP, con lo scopo di ridurre la dispersione delle plastiche nell’ambiente e gli effetti dannosi correlati che colpiscono la biodiversità.

La direttiva SUP impone un tasso di raccolta del 90% per le bottiglie di plastica per bevande entro il 2029 (con un obiettivo di raccolta intermedio del 77% entro il 2025) e un minimo del 25% di plastica riciclata nelle bottiglie in PET dal 2025 (30% dal 2030 in tutte le bottiglie in plastica per bevande). Questi obiettivi sono raggiungibili unicamente attraverso l’introduzione di un sistema di deposito cauzionale, unico modello di raccolta selettiva al mondo capace di raggiungere tassi di intercettazione e riciclo così elevati con benefici ambientali ed economici.

L’appello

Per questo motivo un fronte di quindici Organizzazioni no profit nazionali che condividono l’obiettivo di preservare la natura, combattere la dispersione dei rifiuti nell’ambiente e favorire la transizione ecologica si è unito per rivolgere un appello al Governo e alle istituzioni, all’industria e alla società civile per accelerare un processo decisionale che porti anche in Italia all’introduzione di un sistema cauzionale efficace ed efficiente.

Un fronte trasversale ai portatori di interesse si è già espresso a livello europeo a favore dei sistemi cauzionali. Organizzazioni come Natural Mineral Waters Europe (NMWE), UNESDA Soft Drinks Europe e Zero Waste Europe (ZWE) hanno recentemente sollecitato l’Unione Europea a riconoscere il ruolo chiave dei sistemi di deposito cauzionale nel facilitare la transizione verso un’economia circolare, richiedendo di inserire nella revisione della direttiva UE sugli imballaggi e i rifiuti da imballaggio delle linee guida che contengano i “requisiti minimi” per lo sviluppo di sistemi di deposito cauzionali efficaci.

Come funziona un sistema di deposito cauzionale (deposit return systems – DRS)

L’interesse nei confronti di tali sistemi è cresciuto enormemente negli ultimi anni anche a livello globale: attualmente 291 milioni di persone al mondo hanno accesso a sistemi di deposito per il riciclo e questo numero aumenterà di altri 207 milioni entro la fine del 2023.

Il sistema di deposito massimizza la raccolta selettiva degli imballaggi per bevande incentivando la partecipazione dei consumatori attraverso il pagamento di una cauzione che viene aggiunta al prezzo di vendita del prodotto (in Europa solitamente tra i 10 ed i 25 centesimi di euro), la quale viene restituita nella sua totalità al momento del conferimento dell’imballaggio vuoto da parte del consumatore. I sistemi DRS sono attivi in dieci Paesi europei (Croazia, Danimarca, Estonia, Finlandia, Germania, Islanda, Lituania, Paesi Bassi, Norvegia e Svezia) e raggiungono tassi di intercettazione e riciclo che superano il 90%. Ulteriori tredici Paesi si stanno accingendo ad introdurre il deposito nei prossimi quattro anni.

Perché l’Italia ha bisogno di un sistema di deposito cauzionale

Con i suoi quasi ottomila chilometri di coste l’Italia è, dopo l’Egitto e prima della Turchia, il maggior responsabile di sversamento di rifiuti plastici nel Mediterraneo. Un sistema di deposito cauzionale sugli imballaggi per bevande permetterebbe al paese di ridurre sensibilmente l’inquinamento ambientale, di raggiungere gli ambiziosi obiettivi europei in materia di raccolta e riciclo prima citati, e di favorire il perseguimento di obiettivi di riuso per una reale transizione verso un’economia più circolare. Secondo un recente studio di Reloop Platformin Italia oltre 7 miliardi di contenitori per bevande sfuggono al riciclo ogni anno, uno spreco che potrebbe essere ridotto del 75-80% attraverso l’introduzione di un sistema di deposito efficiente. Inoltre, l’attuale sistema di raccolta differenziata del PET permette un’intercettazione solo del 58%, ben lontano dall’obiettivo del 90% imposto dalla direttiva SUP.

Nel decreto Semplificazioni del luglio 2021 è stato inserito uno specifico emendamento che apre all’introduzione di un sistema di deposito anche in Italia. Il Ministero della transizione ecologica in collaborazione con il Ministero dello sviluppo economico si trovano adesso a dover redigere i decreti attuativi per l’introduzione di tal sistema.

Auspichiamo dunque che i ministeri competenti nel definire le caratteristiche di un sistema di deposito nazionale vogliano ispirarsi alle esperienze europee di maggiore successo che vedono sistemi cauzionali di portata nazionale, obbligatori per i produttori di bevande e che coprono tutte le tipologie di bevande nelle diverse dimensioni commercializzate in bottiglie di plastica, vetro e lattine.

Trattasi di sistemi cauzionali regolati e gestiti da un ente no profit formato e finanziato dai produttori di bevande che opera in modo da raggiungere gli ambiziosi obiettivi di raccolta e riciclo stabiliti dal Governo organizzando un modello di raccolta conveniente e facilmente accessibile dai consumatori in cui l’importo della cauzione è un elemento chiave per raggiungere e mantenere tali obiettivi.

I vantaggi

I vantaggi dei sistemi di deposito in breve

  1. I sistemi di deposito cauzionale europei raggiungono tassi di raccolta degli imballaggi per bevande del 94%, contro una media del 47% nei paesi che non adottano tali sistemi.
  2. I sistemi DRS permettono il raggiungimento degli obiettivi di raccolta e di contenuto riciclato minimo previsti dalla direttiva SUP, favoriscono il raggiungimento di ulteriori obiettivi legati al riciclo degli imballaggi ed alla diminuzione di conferimento di rifiuti in discarica.
  3. Stimolando il consumatore a partecipare al processo di raccolta attraverso un incentivo monetario, trasformando il rifiuto in risorsa favorendo un cambio culturale nell’ottica di un’economia circolare. Inoltre, tali sistemi rappresentano una chiara applicazione del principio “chi inquina, paga”.
  4. I sistemi DRS riducono l’inquinamento e la dispersione di imballaggi nell’ambiente. In Germania, l’introduzione del sistema di deposito nel 2003 ha avuto un effetto positivo immediato sul fenomeno del littering: le bottiglie e le lattine sono scomparse dai parchi, dai luoghi pubblici e dalla natura praticamente da un giorno all’altro. Oggi, il 98,5% dei contenitori per bevande viene conferito nel modo corretto.
  5. I sistemi di deposito riducono i costi per le autorità locali, responsabili di dover rimuovere i rifiuti dispersi nell’ambiente, creando vantaggi socioeconomici per le comunità e per diverse industrie, tra cui quella del turismo e dello sport.
  6. Sondaggi europei dimostrano che i cittadini sono favorevoli all’introduzione di tali sistemi.
  7. I sistemi di deposito favoriscono il design sostenibile degli imballaggi, favorendo l’utilizzo di materiali più facilmente riciclabili e riusabili.
  8. I sistemi di deposito possono supportare la creazione e lo sviluppo di sistemi di vuoto a rendere volti al riutilizzo degli imballaggi. Un DRS finalizzato al riciclo, infatti, offre attraverso le sue infrastrutture di raccolta le condizioni per una maggiore immissione al consumo di contenitori ricaricabili per bevande in risposta a obiettivi di riuso definiti per legge.
  9. I sistemi forniscono l’approvvigionamento di materie prime seconde di alta qualità per l’industria del riciclo, favorendo processi virtuosi come il bottle-to-bottle anziché processi di downcycling.
  10. I sistemi di deposito sono finanziati dall’industria delle bevande in assolvimento della loro responsabilità estesa del produttore (EPR: Extended Producer Responsability) e non necessitano di alcun finanziamento pubblico.
  11. I sistemi di deposito riducono il consumo di materie prime con conseguente riduzione delle emissioni climalteranti.

Fonte: https://www.italiachecambia.org/2021/11/deposito-cauzionale-italia/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

Mari e laghi: inquinamento, plastica e mala-depurazione. L’analisi impietosa di Goletta Verde

Nei nostri mari e coste un punto su tre è inquinato; per i laghi un punto campionato su quattro è risultato fuori dai limiti di legge. E dilaga la plastica usa e getta. I dati di “Goletta verde” di Legambiente.

Il mare

Un totale di 259 punti campionati lungo le coste italiane, in 18 regioni, e il risultato è che un punto ogni 3 è fuori legge. Criticità maggiori riscontrate sul versante tirrenico, a ridosso delle foci di fiumi, rii e canali che, sfociando in mare, portano con sé cariche batteriche a volte molto elevate. Situazione preoccupante in diverse regioni del sud come Campania, Calabria e Sicilia, ma anche nel Centro Italia, in particolare nel Lazio. Sul banco degli imputati, come sempre, c’è la ‘mala depurazione’, una delle principali opere incompiute del nostro Paese per la quale l’Ue ci ha già condannati a pagare 25 milioni di euro, cui se ne aggiungono 30 ogni semestre di ritardo nella messa a norma. E’ quanto emerge dai risultati di Goletta Verde, la campagna di monitoraggio di Legambiente che indaga parametri microbiologici (Enterococchi intestinali, Escherichia coli): vengono considerati ‘inquinati’ i campioni in cui almeno uno dei due parametri supera il valore limite previsto dalla normativa sulle acque di balneazione vigente in Italia; ‘fortemente inquinati’ se almeno uno dei due parametri viene superato per più del doppio del valore normativo. Negli ultimi 3 anni di ricerche in mare (dal 2017 al 2019) su 1.756 km monitorati, la campagna di Legambiente ‘Goletta Verde’ ha contato 111 rifiuti per ogni km di mare e almeno 1 rifiuto su 3 è usa e getta di plastica, per lo più imballaggi, buste, cassette di polistirolo e bottiglie. La situazione non migliora sulle spiagge dove a destare più preoccupazione è la plastica che costituisce l’83% di rifiuti trovati e, in particolare, l’usa e getta: sulle spiagge italiane almeno il 42% dei rifiuti trovati è plastica monouso, se ne trovano 3 per ogni metro di sabbia. 

I laghi

Sono 28 i laghi italiani monitorati in 11 regioni e il risultato è che 1 punto campionato su 4 è risultato oltre i limiti di legge. Colpa, anche in questo caso come per il mare, della mala depurazione, il principale nemico delle acque interne. Nel lago Maggiore la metà dei prelievi (50% di 12) è fuori legge: 2 inquinati, 4 fortemente inquinati. Tutti oltre i limiti i tre prelievi effettuati nel lago Ceresio (Lombardia), ma anche il lago di Como non se la cava bene visto che la metà esatta dei 10 prelievi effettuati è risultata fuori legge (2 inquinati e tre fortemente inquinati). Ma ci sono anche le buone notizie come, nel Lazio, il lago di Bracciano in cui nessuno dei 4 prelievi effettuati ha sforato, così come Albano e Sabaudia; il lago di Santa Croce in Veneto (0% oltre i limiti) o il lago Matese in Campania (0%). Su 102 prelievi per le analisi microbiologiche, è stato giudicato fuori legge il 28% (8 inquinati e 20 fortemente inquinati). In totale sono 53 i campioni prelevati in foce, 49 quelli prelevati a lago. Dei campioni giudicati oltre i limiti, l’82% è stato prelevato in foce a canali, fiumi o torrenti. Dei 102 punti oggetto di analisi, 37 corrispondono a porzioni di laghi definiti balneabili dalle autorità competenti; 8 di questi sono risultati con cariche batteriche oltre i limiti di legge (di questi 3 giudicati Inquinati e 5 sono fortemente Inquinati). I laghi al centro dell’edizione 2020 sono stati: in Piemonte i laghi d’Orta, Viverone, Avigliana e Maggiore, nella sua sponda piemontese; in Lombardia la sponda corrispondente del Maggiore, il Ceresio, il lago di Como, d’Iseo e la sponda occidentale del Garda; in Veneto, l’altra metà del Garda (la cui parte più settentrionale ricade nella provincia autonoma di Trento) e il lago Santa Croce. Nel centro Italia in Umbria sono stati campionati Trasimeno e Piediluco, nel Lazio i laghi di Bolsena, Bracciano, Vico, Canterno, Albano, Fondi, Sabaudia e Fogliano. In Campania i laghi Patria e Matese, in Molise il lago di Occhito, in Puglia il lago di Varano, in Calabria i laghi Arvo e Cecita e in Sicilia i laghi Soprano, Pergusa e Prizzi. Goletta dei laghi 2020 è stata realizzata anche grazie al sostegno dei partner principali: Conou, Consorzio Nazionale per la Gestione, Raccolta e Trattamento degli Oli Minerali Usati, e Novamont.

Fonte: ilcambiamento.it

La plastica che uccide

La plastica è ormai una minaccia serissima e onnipresente per l’ambiente e per la salute umana. Milioni di tonnellate di plastica si sono riversati come una marea sulle terre e sui mari, sono finite negli inceneritori, nelle discariche, sui bordi delle strade, nei fiumi, sulle chiome degli alberi. È ora di dire basta.

La plastica che uccide

LA MINACCIA

La plastica è ormai una minaccia serissima e onnipresente per l’ambiente e per la salute umana. Inquina le acque e la terra, mette a rischio lo sviluppo dei feti e dei neonati, è responsabile di malattie gravi, copre aree immense di oceano uccidendo tutti gli esseri viventi che vi si trovano; viene portata sulle coste dalle correnti, trasformandole in estese discariche e causando la morte degli uccelli marini che vi nidificano.

IL PROFITTO

La plastica è stata un grande affare per l’industria petrolifera e per quella chimica, veri potentati economici globali, e come tutti i grandi affari, ha continuato a crescere, sostenuta dalla pubblicità, dall’organizzarsi del commercio e sopratutto della grande distribuzione in funzione del suo uso, dalle leggi fatte ad hoc per eliminare la concorrenza di altri materiali un tempo usati nella trasformazione e confezione degli alimenti, come la terracotta, il giunco, il legno. Sostenuta anche dal suo bassissimo prezzo, che è possibile solo perché le grandi industrie petrolchimiche sono sovvenzionate dagli stati.https://www.riusa.eu/it/notizie/2018-sovvenzioni-plastica.html

Il prezzo dunque lo pagano tutti i cittadini, con le loro tasse e con la mancanza di servizi pubblici, mentre i soldi statali vengono ancora una volta dirottati nelle tasche della grande industria. Il basso prezzo della plastica e gli alti profitti delle aziende che producono la plastica “grezza”, e qui parliamo di multinazionali dall’enorme potere economico e, di conseguenza, politico, come Chevron, Dupont, Exxon, hanno creato il disastro. La plastica ha sostituito carta, vetro, spago, corda, legno, stoffa, ceramica, metallo.

IL DISASTRO

Milioni di tonnellate di plastica in forma di bottiglie, piatti, bicchieri, borse della spesa, sacchetti, contenitori per il cibo, pannolini per i bambini, siringhe, polistirolo per imbottire i pacchi, pennarelli e biro usaegetta si sono riversati come una marea sulle terre e sui mari, sono finite negli inceneritori, nelle discariche, sui bordi delle strade, nei fiumi, sulle chiome degli alberi. Nelle acque del solo mare Mediterraneo finiscono ogni anno 570.000 tonnellate di plastica (570 milioni di chili di plastica).  Una ricerca scientifica ha appurato che nei terreni contaminati da plastica muoiono anche i lombrichi, questo vuol dire che il suolo, oltre che tossico, diviene sterile. Forse bisognerebbe cominciare a ricordare che è la terra che ci dà il cibo. E’ la terra che dà da vivere a tutti, ricchi e poveri, bianchi e neri, uomini e donne. La stiamo distruggendo con ogni tipo di inquinamento e con il cambiamento climatico per far crescere un’economia di morte. Mangeremo il petrolio? La plastica? I soldi?

LA MALATTIA

Infine, la plastica è arrivata nel nostro sangue e nei nostri organi. E’ stato calcolato che nell’arco di una settimana ingeriamo circa 5 grammi di plastica, due etti e mezzo all’anno, e i cibi più contaminati sono il pesce e le acque minerali.  Le plastiche sono composte da un miscuglio di sostanze chimiche, e di molte non conosciamo la tossicità. Ma bastano quelle che conosciamo per capire che il danno alla salute è inquantificabile e spaventoso.

1. Alcune sostanze di cui è composta la plastica inducono tossicità generale (cioè intossicano tutto l’organismo);

2. altre danneggiano il sistema immunitario;

3. gli ftalati, presenti in molti tipi di plastica (tutti i contenitori in PET, le bottiglie di acqua minerale e bibite, le pellicole per alimenti, i contenitori in plastica per scaldare nel forno a microonde, ecc.), danneggiano il sistema endocrino, cioè le ghiandole ormonali. Quindi possono provocare infertilità, tumori al seno e all’utero, malformazioni dell’apparato genitale nei neonati, danni al fegato. Non è finita, gli ftalati assunti da una donna durante la gravidanza e l’allattamento possono danneggiare il cervello del bambino, le sue capacità cognitive e neurologiche.

E infatti, gli ftalati sono stati proibiti nei giocattoli per bambini… ma non nei contenitori di cibo!!!

Le plastiche, queste sostanze derivate dal petrolio, estranee alla vita e alla biologia, le mangiamo, le beviamo, le respiriamo, ci fanno ammalare e inquinano tutto il pianeta. E il motivo principale di tanto disastro e’ l’interesse economico delle grandi industrie petrolchimiche, che condizionano politiche e leggi. E’ ora di rifiutare tutta la plastica, e in particolare imballaggi e confezioni, e’ ora di protestare contro chi ce la propina, di “disturbare” commercianti e sopratutto grande distribuzione con i nostri reclami, individuali o collettivi. E’ ora di evitare la plastica come la peste, perche’ sta facendo come la peste danni epocali e, peggio della peste, oltre a danneggiarci ora, contamina le fonti della vita e il futuro dei nostri figli.

Fonte: ilcambiamento.it

Stop usa e getta, il futuro è adesso!

Zero Waste Italia, Movimento per la Decrescita Felice e Italia Che Cambia lanciano la campagna permanente #stopusaegetta. L’invito a partecipare è esteso ad associazioni, imprese, istituzioni e singoli cittadini. Il futuro è adesso!

Che bello non avere il pensiero di dover mettere piatti, posate e bicchieri in lavastoviglie a fine pasto o addirittura doverli lavare a mano! Che comodità andare al supermercato e trovare la frutta già tagliata, riposta in comode confezioni. E sicuramente è più semplice bere l’acqua in bottiglia, che è più pratica di quella del rubinetto. Ma ti sei mai chiesto dove finiscono bicchieri, posate, piattini, contenitori, confezioni, bottigliette e gli altri numerosissimi oggetti che nella tua vita usi una sola volta e poi butti via? Sai qual è la loro destinazione finale? Sei tu! Già, proprio tu!

stopusaegetta 1

Ogni settimana nel tuo stomaco finiscono 5 grammi di plastica. Nei tuoi escrementi si trovano pezzi di plastica, fino a 20 frammenti per ogni 10 grammi di feci. Ogni settimana, insieme all’acqua che bevi, ingerisci 1769 particelle di plastica.  

E non è tutto! La plastica e altri materiali monouso stanno distruggendo il Pianeta. Ogni anno finiscono negli oceani 8 milioni di tonnellate di plastica.

La direttiva europea 904 prevede il bando della plastica monouso a partire dal 2021. È troppo tardi: dobbiamo agire oggi! Non aspettare che l’industria si adegui e ti proponga soluzioni “sostenibili”. Probabilmente non lo farà mai. L’unico in grado di cambiare veramente le cose sei tu! È ora di dire BASTA alla cultura dell’usa e getta! Le risorse del pianeta che ci ospita sono finite, non possiamo continuare a sfruttarle pretendendo che non finiscano mai.  

Il Movimento per la Decrescita Felice, Zero Waste e Italia Che Cambia lanciano la campagna permanente #stopusaegetta, per bandire una volta per tutte – e non solo per una settimana! – tutte le confezioni e i dispositivi monouso.

Proporremo approfondimenti per mettere in guardia il grande pubblico sui danni che l’usa-e-getta sta provocando all’ecosistema e indicheremo le alternative virtuose che ciascuno può adottare nella vita di tutti i giorni.  

Anche tu puoi fare la tua parte seguendo i nostri suggerimenti e aiutandoci a far circolare questo messaggio. 

Non aspettare il 2021, il futuro è adesso!

 Fonte: http://www.italiachecambia.org/2019/07/stop-usa-e-getta-il-futuro-e-adesso/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni

L’Italia del plastic-free è pronta al recepimento della Direttiva? – Parte 2

Nella prima parte di questo articolo abbiamo spiegato cosa prevede la nuova direttiva europea sulle plastiche monouso (cosiddetta SUP, Single Use Plastics), quali sono gli oggetti e gli imballaggi che vengono messi al bando e il fatto che il divieto sia esteso anche alle plastiche biodegradabili e compostabili. In questa seconda parte vogliamo quindi spingerci oltre e analizzare come l’Italia si stia preparando al recepimento della direttiva, se le iniziative “plastic- free” sono coerenti con le indicazioni contenute nella direttiva e quali sono le reazioni dei comparti industriali interessati dal divieto che riguarda le stoviglie monouso in materie plastiche. 

Leggi anche “Cosa prevede veramente la direttiva Ue sulle plastiche monouso – Parte 1“ 

Nonostante la direttiva SUP sia stata accolta con entusiasmo nel nostro paese, c’è più di un legittimo sospetto che non ne siano state pienamente comprese le misure e il potenziale che essa racchiude per un superamento del consumo monouso e per una transizione verso modelli di economia circolare. La cosa non è di per sé eccezionale, e neanche sorprendente, poiché per “decifrare” o commentare le direttive europee, è richiesta una certa conoscenza tecnica dell’argomento e una familiarità con il linguaggio giuridico-amministrativo.

Qualche dubbio in tal senso nasce dall’analisi dei provvedimenti contenuti nelle numerose iniziative Plastic Free da parte di Atenei, Regioni, Comuni, Associazioni di categoria e altri soggetti che si susseguono negli ultimi mesi. Quasi ogni giorno vengono rese note nuove iniziative che, ricordiamo, si ispirano alla “Plastic Free Challenge” l’iniziativa collegata alla campagna #Iosonoambiente di cui si è fatto promotore il Ministro Costa. Tra le misure oggetto della maggior parte delle ordinanze Plastic Free, che interessano oltre 100 comuni, c’è un comune denominatore che consiste nel divieto di utilizzo e distribuzione di stoviglie, bicchieri e posate in plastica. A seconda dei casi questo provvedimento può arrivare anche al divieto di vendita di questi manufatti da parte di negozi e supermercati e interessare anche tutto il territorio comunale, oppure solo determinate aree cittadine o determinati uffici pubblici, servizi gestiti dal comune come le mense scolastiche o eventi e manifestazioni. Entrando nel merito dei prodotti interessati dalle ordinanze si può inoltre rilevare che una parte di esse vietano l’utilizzo o la vendita di prodotti che rientrano tra i 10 che la direttiva bandisce (ad esempio cannucce o mescolatori per bevande), e altre si spingono oltre includendo invece prodotti come bottiglie, bicchieri, bicchierini da caffè con palette e altri contenitori monouso che non sono invece soggetti a restrizioni d’uso.   In quasi tutti questi casi l’amministrazione comunale dichiara, impropriamente di “anticipare la Direttiva SUP” che dovrà essere recepita negli ordinamenti normativi dei paesi membri entro la metà del 2021. Questa affermazione si ritrova praticamente in tutte le comunicazioni inviate ai media dai soggetti prima citati, e non risparmia neanche le regioni, dalle quali sarebbe legittimo aspettarsi una maggiore precisione quando si entra nel merito di provvedimenti legislativi. Come si può leggere in un articolo di e-gazette.it sulle iniziative Plastic Free Andrea Netti, esperto di diritto amministrativo afferma “Il 47% dei provvedimenti analizzati include erroneamente i bicchieri tra i prodotti monouso in plastica da abolire e ancora il 52% vuole abolire anche le bottiglie d’acqua quando la Direttiva UE richiede invece nuovi requisiti di fabbricazione”.

Un rischio insito in queste ordinanze “fai da te” , sicuramente motivate da nobili intenti, è quello di esporre  le amministrazioni a ricorsi al TAR da parte dei soggetti economici colpiti dai vari divieti, e di alimentare, allo stesso tempo, la confusione dei cittadini e degli operatori commerciali con provvedimenti che cambiano a seconda dei confini comunali.

Resta in qualche modo sorprendente il fatto che, ad oggi, non ci sia stato alcun intervento istituzionale (o di qualche altro ente autorevole) che abbia “contestato” questa interpretazione, o almeno espresso qualche dubbio sul fatto che le iniziative Plastic Free non siano sempre sono coerenti con le indicazioni della direttiva SUP. Probabilmente sono i recentissimi accadimenti,  che vedremo più avanti, a offrire una chiave di lettura che chiarisce questa situazione.

Biodegradabile e compostabile: la confusione regna 

Con l’avvento delle bioplastiche, termini prima raramente utilizzati nel quotidiano come biodegradabile, compostabile e ultimamente anche biobased, sono diventati sempre più ricorrenti nel linguaggio comune. Facendo una ricognizione sui social è facile rilevare che anche chi fa uso di questi aggettivi ha una conoscenza approssimativa del loro significato, non conosce la differenza tra compostabile e biodegradabile, e tende a ritenere che un bene marchiato compostabile possa biodegradarsi in natura.

Allo stesso tempo, da quando la plastica è nell’occhio del ciclone, questi aggettivi hanno assunto in modo automatico una valenza positiva, e a prescindere dal prodotto al quale vengono attribuiti. Non per nulla il marketing aziendale si sta adeguando a questo nuovo sentire  nella scelta dei materiali per vecchi e nuovi prodotti/imballaggi, in modo da sfruttare il potenziale vantaggio competitivo. L’impressione è che si voglia “cogliere l’attimo” senza una valutazione del ciclo di vita delle nuove proposte rispetto alle precedenti che vanno a rimpiazzare, e soprattutto senza voler entrare nel merito di quali siano le conseguenze del loro fine vita sui sistemi esistenti di avvio a riciclo dei vari flussi di rifiuti. Il fatto che le ordinanze balneari Plastic Free proibiscano stoviglie, posate o bicchieri in plastica  ma ammettano le versioni biodegradabili e compostabili si presta a rafforzare questa interpretazione errata piuttosto che confutarla. Neanche i testi delle ordinanze e i relativi comunicati aiutano a fare chiarezza, poiché gli aggettivi biodegradabile e compostabile [1] vengono usati alternativamente, come se fossero sinonimi. Raramente la comunicazione verso i cittadini si avvale di spiegazioni a chiarire che la biodegradazione avviene solamente all’interno di impianti di compostaggio industriale e dalla citazione della norma di riferimento EN 13432 che definisce le condizioni e i termini in cui avviene la compostabilità.

 E ora anche Supermercati Plastic free

 Purtroppo  non sono solamente le amministrazioni locali a “creare confusione” sul tema perché anche la Grande Distribuzione Organizzata tramite un comunicato di Federdistribuzione, ha annunciato qualche giorno fa la partenza della “lotta alla plastica monouso” della GDO che prevede che, entro il termine massimo del 30 giugno 2020, tutte le stoviglie in plastica monouso escano definitivamente dagli scaffali delle insegne associate.  Curioso che sia proprio la GDO  a voler ingaggiare “una guerra santa” contro la plastica quando sono state proprio le politiche commerciali delle insegne ad aumentarne l’utilizzo. Ad esempio aumentando progressivamente la quota di offerta di prodotti freschi pronti al consumo, di tutti i tipi, con un conseguente aumento nell’utilizzo di packaging e di banchi refrigerati che non è proprio la migliore ricetta per ridurre le emissioni climalteranti. La competitività e il fatturato di un punto vendita della distribuzione organizzata si gioca soprattutto sui prodotti freschi. Rispetto al peso del packaging abbiamo avuto l’informazione che nel nord e centro Italia solamente  il 30% circa degli acquisti tra prodotti di gastronomia, inclusi formaggi e salumi viene acquistato al banco e il restante 70% viene acquistato confezionato dai banchi frigo. Questo risultato viene ribaltato solamente nel sud dell’Italia.

Il manifesto della campagna di Unicoop Tirreno

 Tornando ai fatti recenti, la prima a passare ai fatti è stata Unicoop Tirreno che dal primo giugno scorso non ha più questi manufatti in vendita, con l’effetto che anche Conad Tirreno ha annunciato di voler seguire l’esempio. Unicoop Tirreno è stata anche la prima a fare riferimento alla direttiva nel suo comunicato stampa  “Lo stop al monouso inquinante batte sul tempo tutti e anticipa in concreto la direzione di marcia indicata dall’Europa che, lo scorso marzo, ha approvato una direttiva con cui, dal 2021, mette al bando sul territorio europeo alcuni oggetti di plastica monouso, che costituiscono il 70% di tutti i rifiuti marini.”

Ci sono altri passaggi nella comunicazione ambientale adottata dall’insegna, a partire dal suo claim “L’Ambiente non è usa e getta”, che suscitano qualche perplessità. Come l’affermazione che si possano ridurre i rifiuti usa e getta passando a stoviglie in bioplastica. Di fatto la decisione, presa per poter “ garantire un servizio”, non diminuirà questa tipologia di rifiuto, anche qualora la destinazione fosse l’impianto di compostaggio. A meno che un possibile prezzo più alto di questi manufatti, abbinato a una “corretta” interpretazione dello slogan dell’iniziativa, possano avere l’effetto di scoraggiare gli acquisti.  Tornando invece all’annuncio di Federdistribuzione, l’associazione non esclude che alcune insegne affiliate possano anticipare questa tempistica e nel comunicato stampa ribadisce che  “Nei punti vendita della Distribuzione Moderna Organizzata acquistano 60 milioni di persone ogni settimana, che si aspettano da noi comportamenti etici (…). Siamo consapevoli di questa responsabilità e vogliamo essere attori di cambiamento, coerenti con i nuovi valori, anticipando le leggi e stimolando i consumatori verso atteggiamenti e azioni sostenibili e favorevoli alla tutela dell’ambiente”.Un percorso graduale ma determinato, coerente con lo sviluppo dei nuovi materiali secondo le indicazioni della Direttiva Europea e con i tempi necessari per la riconversione del comparto industriale.”

Il giorno seguente alla presentazione del quinto Rapporto annuale di Assobioplastiche il direttore dell’area legale di Federdistribuzione Marco Pagani ha spiegato che la decisione di anticipare l’entrata in vigore del provvedimento “è stata presa per fornire un sufficiente lasso di tempo alle aziende della grande distribuzione e ai loro fornitori per adeguarsi alle nuove norme in modo graduale, evitando il caos seguito all’introduzione degli shopper compostabili. Mentre la decisione di mantenere a scaffale le stoviglie ‘bio’ anche dopo il 2021 dipenderà da come la direttiva SUP sarà recepita nel nostro paese”.

Il ragionamento fatto da Federdistribuzione per arrivare a questa linea d’azione, così come viene illustrata, non ci appare tuttavia così lineare, a meno che l’associazione consideri molto probabile un recepimento della direttiva che non vieti anche le versioni compostabili.

Guerre commerciali  

In occasione del convegno prima citato Assobioplastiche ha reso noto che si sta muovendo presso il Ministero dell’Ambiente e le commissioni parlamentari per far esentare le bioplastiche compostabili dai divieti imposti dalla direttiva sugli articoli monouso. Secondo il Presidente dell’associazione Marco Versari vi sarebbero una serie di elementi  presenti nel pacchetto sull’economia circolare e nella strategia europea sulla plastica e all’interno dell’art. 3 della direttiva  che aprirebbero la strada ad un possibile recepimento italiano della direttiva che escluda le bioplastiche dal suo campo di applicazione. Non si è fatta attendere la reazione di Federazione Gomma Plastica FGP a difesa di un settore che conta 25 aziende, 3mila dipendenti e 1 miliardo di fatturato, che in una nota inviata ai media,  si è dichiarata sconcertata dal “repentino cambio di rotta di Assobioplastiche“ che  “preannuncia forse un recepimento “truffaldino” dei contenuti della Direttiva, che il Gruppo Promo e Unionplast contestano nella sua interezza”.

La nota firmata da Angelo Bonsignori Direttore di FGP dichiara inoltre che “Questa notizia si aggiunge alla sorprendente decisione di Federdistribuzione di anticipare i termini della “SUP” al 30 giugno 2019. Con questi atteggiamenti, questi comportamenti e queste inutili e dannosissime fughe in avanti stiamo aprendo le porte dell’Unione Europea a massicce importazioni di materiali di origine asiatica di dubbia composizione, di dubbia igienicità e di incertissima sostenibilità ambientale!”.

Che dire se non che siamo di fronte a due competitor che hanno l’interesse a mantenere o a conquistare il mercato dei prodotti monouso, supportati da studi e analisi che sono legittimamente “di parte”. Ci auguriamo che la politica faccia il suo dovere e vada oltre al mero ruolo di arbitro tra i diversi interessi economici. Se vogliamo avere una minima chance di poter mitigare il riscaldamento climatico servono urgentemente politiche ambiziose di decarbonizzazione dell’economia che inducano allo stesso tempo drastici cambiamenti negli attuali stili di vita e di consumo “spreconi”  che hanno una diretta influenza sul consumo di risorse e la conseguente perdita del capitale naturale.

Effetti collaterali sulle politiche di riduzione da parte dei comuni 

Da un’analisi dei provvedimenti contenuti nelle ordinanze Plastic Free emerge che è ormai passato il messaggio sul fatto che le misure adottate siano in linea con la direttiva Sup. Chi si sia fatto carico, volontariamente o meno, di inviare questo messaggio è ormai di secondaria importanza. In riferimento alle potenziali politiche di riduzione dei rifiuti da parte dei comuni l’avere chiaro che gli articoli monouso più frequentemente utilizzati nel settore alberghiero e della ristorazione (cosiddetto Ho.re.ca) non potranno essere sostituiti con altri tipi di monouso, potrebbe avere un effetto propulsivo, rendendole più ambiziose. Poter giocare la carta della direttiva all’interno di azioni verso le attività commerciali che fanno un massiccio utilizzo di articoli monouso, potrebbe essere per le amministrazioni la mossa vincente per spingerle ad adottare alternative riutilizzabili e/o sistemi di riutilizzo. Mentre le stoviglie e i sistemi usa e getta sono appetibili per la comodità di non dover lavare e gestire i manufatti (che per l’industria significa risparmi economici importanti sulle ore del personale), i sistemi di riutilizzo lo sono molto meno perché richiedono cambiamenti e investimenti iniziali per cambiare l’operatività dei servizi e renderli invitanti per gli utenti. Venire a conoscenza che il nostro paese sta lavorando per mantenere nel mercato questi manufatti monouso, senza che siano comunicate allo stesso tempo misure per scoraggiarne l’uso a favore di sistemi riutilizzabili, non avrà l’effetto di stimolare un cambio di paradigma verso modelli di riuso. È difficile mantenere l’ottimismo se guardiamo a cosa è successo quando è stato introdotto lo scorso anno il divieto di commercializzazione per i sacchetti ultraleggeri in plastica, a favore delle alternative in bioplastica. L’ultimo atto è stata la circolare da parte del ministero della Salute, che, sollecitato dal ministero all’Ambiente ad esprimersi sulla possibilità di mettere a disposizione sacchetti riutilizzabili nel comparto ortofrutta da parte della GDO, ha di fatto bocciato la proposta per ragioni di ordine sanitario. Mentre in quel caso solamente la catena NaturaSì ha introdotto ugualmente tali sacchetti, Federdistribuzione e le sue associate non hanno ritenuto di fare prevalere il ruolo di “attori del cambiamento” che  “stimolano i consumatori verso atteggiamenti e azioni sostenibili e favorevoli alla tutela dell’ambiente” menzionato nel  loro comunicato del 30 maggio. Il nuovo rapporto Preventing plastic waste in Europe a cura  dell’Agenzia Europea per l’Ambiente (EEA) ha preso in esame le politiche di prevenzione dei rifiuti plastici in  27 diversi paesi UE e concluso che la performance è altamente insufficiente. Solo 9 paesi si sono dotati di un programma con obiettivi stringenti di prevenzione per i rifiuti di plastica, e sono risultati  pochissimi anche i casi di iniziative adottate in cui è stata fatta una misurazione e una valutazione adeguata dei progressi ottenuti. Questa situazione che fotografa lo stato dell’arte delle politiche di prevenzione dei rifiuti dimostra quanto sia invece necessario un approccio fatto di azioni ex ante, prima che che la produzione dei rifiuti avvenga.

Come intervenire concretamente ? 

A nostro parere è necessario sia cambiare la comunicazione che è stata fatta ad oggi verso il pubblico, che aprire urgentemente un confronto con tutti gli stakeholder per sviluppare un piano condiviso di azioni di prevenzione dei rifiuti da usa e getta che sia ispirato alla gerarchia europea di gestione dei rifiuti [2]. Questo prima ancora di andare a pensare come sostituire al meglio i materiali con cui realizzare prodotti monouso.  Un esempio su tutti ci fa capire quanto sia importante cambiare la comunicazione: da quando sono stati introdotti i sacchetti biodegradabili/compostabili è successo che articoli o servizi che trattano di inquinamento da plastica dei mari, o delle conseguenze sulla fauna marina, finiscano per fare un accenno alla legge che ha vietato i sacchetti in plastica come un esempio di best practice europea.

Ugualmente, in qualsiasi iniziativa in cui si sono sostituiti i manufatti in plastica con opzioni compostabili è stato fatto riferimento alla problematica della plastica in mare. Questa “presunta” relazione tra l’utilizzo di manufatti compostabile e salvaguardia dei mari rafforzata da immagini e video è inoltre il “piatto forte” di quasi tutte le iniziative Plastic Free. Viceversa nelle occasioni in cui sono state riportate notizie di avvenute sostituzioni di manufatti monouso con versioni riutilizzabili (purtroppo rarissime) questa associazione non si è mai esplicitata. Fatta eccezione, per fare un esempio concreto, dei casi in cui si è annunciato la sostituzione di cassette in polistirolo per il pesce con alternative riutilizzabili  (da parte di Unicoop Tirreno e di Eataly per un progetto pilota) in cui esisteva un chiaro rapporto di causa effetto. Per affrontare l’attuale confusione ed evitare interpretazioni “sbagliate” sarebbe invece necessario, a nostro avviso,evitare accostamenti tra temi come la salvaguardia di mari e dei fiumi dalla minaccia della plastica e l’utilizzo di materiali compostabili.

Gli impatti delle bioplastiche sui sistemi di raccolta e l’impiantistica nazionale  

Per quanto riguarda il fine vita dei manufatti  compostabili è evidente che si sta delineando un potenziale problema che verrà causato da un loro aumento incontrollato nella raccolta dell’umido, a seguito dei provvedimenti Plastic Free e dalla decisione degli associati a Federdistribuzione. Questo avverrà prima ancora di un eventuale possibile recepimento dell’Italia a favore delle bioplastiche. Gli impianti di compostaggio industriale sono infatti in grado di smaltire correttamente le plastiche compostabili solo se non superano una certa percentuale del totale del materiale organico.

E non ci riferiamo solamente a stoviglie e bicchieri, ma anche a varie tipologie di imballaggi compostabili che l’industria del largo consumo, in fuga dalla plastica, ha adottato, o è in procinto di adottare. Al momento, le opzioni di imballaggio che sono già presenti sul mercato si sono orientate sul PLA  (acido polilattico) come monomateriale o in abbinamento alla carta nel caso di imballaggi multistrato. Si tratta di involucri per surgelati e altri prodotti, vaschette e bottiglie per l’acqua minerale. Da una ricognizione effettuata in altri paesi risulta che ad oggi il PlA non venga riciclato e neanche compostato trattandosi di un materiale difficile da gestire e valorizzare a fine vita. I motivi sono diversi e non si riducono solamente al fatto che non ci siano quantità sufficienti per rendere economicamente sostenibile una loro gestione post consumo come flusso separato. Senza parlare del problema che il PLA e altre bioplastiche vengono facilmente confuse con la plastica fossile e quando conferiti con la plastica ne contaminano il riciclo. Evenienza che si verifica nel caso della biobottiglia della nota marca di acqua minerale che invita i suoi clienti a conferirle nell’umido. Questa difficoltà di individuazione del materiale che per molte persone avviene  “ad occhio” non si risolverà facilmente con una corretta etichettatura.

Servirebbe pertanto a nostro avviso l’affidamento urgente a un ente terzo di uno studio che valuti lo stato dell’arte e l’impatto sul breve e sul lungo termine che si determinerà in seguito ad un massiccio aumento di questi materiali sulla tecnologia degli impianti a digestione aerobica e anaerobica presenti in Italia. Impatto che sarebbe da verificare sia a livello ambientale che economico e tenendo anche conto dell’inevitabile aumento di conferimenti impropri dovuti al fattore umano e dei conseguenti effetti sulla qualità del compost. La dichiarazione del presidente del Consorzio Italiano Compostatori (CIC) Flavio Bizzoni nel corso della tavola rotonda del convegno di Assobioplastiche, che ha sottolineato come la presenza nel compost di plastiche non biodegradabili incida per il 15% sui costi di recupero della frazione organica dei rifiuti, farebbe supporre che qualche studio o analisi in tal senso sia già stata fatta, nel qual caso sarebbe interessante poterla visionare.   

Per chi abbia voglia di approfondire, segnaliamo come approfondimento la guida rilasciata da Zero Waste Europe,  per un corretto recepimento della Direttiva (di cui si consiglia la lettura) scaricabile qui. 

NOTE: 

[1] Un materiale biodegradabile deve, per definirsi tale secondo la normativa europea, degradarsi per almeno il 90% entro 6 mesi, mentre uno compostabile deve ottenere lo stesso risultato entro 3 mesi. Il materiale compostabile può essere conferito nel compost, mentre quello biodegradabile no. In nessun caso, se di origine artificiale come nel caso delle plastiche, possono essere dispersi in natura.  

[2] La gerarchia di gestione dei rifiuti è inclusa nel Pacchetto europeo sull’economia circolare e prevede, nell’ordine: 1. riduzione/prevenzione della produzione di rifiuti; 2. Riuso; 3. Riciclo; 4. Recupero di altro tipo (energia); 4. smaltimento. Fonte: http://www.italiachecambia.org/2019/06/italia-plastic-free/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni

Beeopak, la pellicola naturale che si prende cura del cibo e dell’ambiente

Clarien e Monica, all’interno del loro laboratorio nel cuore di Torino, hanno ideato Beeopak, una pellicola riutilizzabile e biodegradabile per avvolgere e conservare gli alimenti nel totale rispetto dell’ambiente. Una soluzione 100% naturale per sostituire gli imballaggi in plastica che quotidianamente utilizziamo nelle nostre cucine e promuovendo gli ingredienti biologici del territorio piemontese. Vi ricordate la vecchia carta cerata, proprio quella con cui le nostre nonne avviluppavano il formaggio prima che la plastica invadesse le nostre tavole? È un ricordo conservato nella memoria di molti di noi, di quell’attenzione e di quella cura per il cibo che ora è nostro compito far sopravvivere.

STOP USA E GETTA! IL FUTURO E’ ADESSO!

E se plastica e stagnola usa e getta immancabilmente occupano un posto fisso nel nostro cassetto o sul ripiano della nostra cucina, esistono delle soluzioni con le quali possiamo far rivivere quelle antiche abitudini messe in pratica proprio dalle nostre nonne. Proprio come Beeopak, la soluzione nuova ed ecosostenibile ideata a Torino come sostituto alla pellicola di plastica. Beeopak deriva dall’unione dei termini “bee” (ape) e “pack” (impacchettare, avvolgere) ed è il risultato di una lunga amicizia nata dall’incontro tra due sognatrici: Monica Fissore e Clarien van de Coevering. Si tratta di una pellicola alimentare riutilizzabile e biologica per conservare gli alimenti e portare colore e bellezza in tavola e in cucina, riducendo il quantitativo di rifiuti.

“Questo progetto – mi racconta Monica – nasce da un’idea condivisa in un pomeriggio dell’estate del 2018, durante una passeggiata nel noccioleto dell’Azienda Agricola di Clarien. Confrontandoci sull’argomento ci siamo rese conto che l’idea di una pellicola alimentare riutilizzabile era già presente in diversi Paesi del mondo ma non in Italia. Così abbiamo pensato di crearla noi e da quel momento, all’interno dell’azienda, abbiamo dato vita a quello che sarebbe diventato il nostro primo laboratorio e iniziato a sperimentare”. 

Beeepak nasce con una sola condizione: quella di essere realizzata in modo artigianale con ingredienti 100% naturali. Per questo sono stati scelti cotone biologico impregnato in cera d’api, resina di pino e olio di nocciole, ovvero alimenti autoctoni piemontesi totalmente a chilometro zero. Si tratta di cera biologica e quando possibile biodinamica, che viene fornita a Monica e Clarien direttamente dai produttori locali. “Abbiamo iniziato a conoscere delle realtà piccole sul territorio del torinese, dell’astigiano e del cuneese e abbiamo quindi provveduto a mapparle, per costruire delle relazioni che vedessero protagonisti proprio i produttori del luogo, che sono per noi i veri custodi della terra, della natura e dell’ecosistema”, mi spiegano.

Piccole realtà, che testimoniano la volontà di favorire più produttori che, proprio come Clarien e Monica, stanno crescendo sul territorio e cercano di proporre un’agricoltura sana e naturale che valorizzi le tipicità locali. “Nel complesso abbiamo riscontrato molta curiosità e interesse da parte dei produttori agricoli, proprio perché il nostro è un prodotto nuovo ed insolito che anch’essi hanno voluto testare e scoprire”. 

Beeopak ha delle proprietà antibatteriche che permettono di conservare il cibo fresco e più a lungo. La cera è infatti ricca per natura di propoli e altre sostanze con cui la plastica non potrà mai competere. “È traspirante e modellabile – mi spiega Clarien – perfetta per avvolgere cibi perché, scaldandola con le mani, si adatta alla forma dell’alimento. Inoltre, contiene resina di pino al suo interno, che conferisce una perfetta capacità aderente, ottimale per conservare gli alimenti”, aggiunge Monica. Insomma, un prodotto versatile che funziona proprio come una seconda pelle: “Ha mille utilizzi, c’è chi lo usa come se fosse un piano di lavoro per far lievitare la pasta del pane, chi ci avvolge la saponetta da portare in viaggio al posto della custodia di plastica, chi incarta il panino da mangiare a scuola o a lavoro, chi conserva formaggi, frutta e verdura facilmente deperibili”, mi raccontano.

“Beeopak è per noi un’alternativa alla pellicola, ma non solo”. Come mi spiega Clarien, è un modo diverso per prendersi cura del cibo. “Nel momento in cui una persona compra un alimento, lo avvolge, lo conserva, lo presenta in tavola, ne gode e se ne nutre, dando così valore ai doni che la natura ci offre”.  

L’idea di una pellicola naturale riutilizzabile vuole ricordarci l’importanza di introdurre alternative sostenibili nella nostra quotidianità, a cominciare da subito. Beeopak rappresenta una delle sempre più numerose ed innovative soluzioni contro lo spreco e la cultura dell’usa e getta, che trova la sua soluzione ideale in una dimensione locale proprio perché capace di valorizzare i prodotti caratteristici di un territorio.

“Da quando abbiamo avviato il progetto nel 2018, l’attività è cresciuta molto. Abbiamo sempre più richieste da piccoli negozi locali che prediligono il biologico e la spesa sfusa senza imballi oppure gruppi di acquisto collettivi o i privati, nonché realtà che stanno intraprendendo percorsi virtuosi. Ci accorgiamo che le persone sono curiose, vogliono cambiare e sono pronte a cambiare, cercando delle alternative più sostenibili”, mi raccontano.

Oltre ad una finalità ambientale, tramite Beeopak, Monica e Clarien stanno promuovendo intorno al progetto una dimensione sociale legata allo sviluppo di comunità. “Abbiamo avviato un rapporto di collaborazione con un’agenzia formativa sul territorio attivando degli stage nel nostro laboratorio per lavoratori svantaggiati, con l’idea che alcuni di questi stage si trasformino poi in tirocini e rapporti di lavoro. Stiamo inoltre sviluppando una dimensione educativa e pedagogica attraverso collaborazioni con musei, bioparchi e realtà attive nell’ambito dell’educazione, accompagnando i bambini, i ragazzi e i futuri cittadini del nostro domani verso la scoperta di soluzioni che, proprio come Beeopak, possono aiutarci a vivere in maniera più consapevole”. 

Intervista: Lorena di Maria e Paolo Cignini

Realizzazione video: Paolo Cignini

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2019/07/beeopak-pellicola-naturale-cura-cibo-ambiente-io-faccio-cosi-256/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni

Plastic Radar: come segnalare da WhatsApp la plastica nelle acque

Greenpeace ha riattivato Plastic Radar, l’applicazione per segnalare la presenza di rifiuti in plastica sulle spiagge, sui fondali o che galleggiano sulla superficie del mare. Novità di questa edizione la possibilità di segnalare i rifiuti in plastica anche nei nostri fiumi e laghi. Greenpeace ha riattivato Plastic Radar il servizio per segnalare la presenza di rifiuti in plastica che inquinano spiagge, mari e fondali e che, a partire dall’edizione di quest’anno, include anche l’inquinamento da plastica nei nostri fiumi e laghi. Partecipare è semplice, basta avere un telefono cellulare su cui sia installata l’applicazione WhatsApp e, una volta ritrovato un rifiuto di plastica in mare, spiaggia, in fiumi o laghi, segnalarlo al numero di Greenpeace +39 342 3711267 tramite l’applicazione. Per effettuare una segnalazione è necessario inviare a Plastic Radar una foto in cui sia ben riconoscibile il tipo di rifiuto/oggetto e, se possibile, anche il marchio dell’azienda produttrice, insieme alle coordinate geografiche del luogo dove è stato individuato il rifiuto. La chatbot di Plastic Radar porrà successivamente delle domande per reperire le informazioni necessarie per registrare e validare la segnalazione. I dati saranno disponibili in forma aggregata – nell’arco di 24-48 ore – sul sito. Greenpeace invita tutti i partecipanti a raccogliere i rifiuti, differenziarli e depositarli negli appositi contenitori una volta effettuata la segnalazione.

“Nella nostra recente spedizione di ricerca e documentazione “MAYDAY SOS Plastica” nel Tirreno abbiamo verificato che i nostri mari e le nostre spiagge sono soffocate dalla plastica. Tra i punti più contaminati la foce del Sarno, a conferma che i fiumi sono una delle principali vie di ingresso dei rifiuti in mare. Per questo raccogliamo anche segnalazioni relative alla presenza di rifiuti in plastica lungo fiumi e laghi”, dichiara Giuseppe Ungherese, responsabile della Campagna Inquinamento di Greenpeace Italia. “Chiediamo una mano a tutti: insieme possiamo denunciare cosa sta succedendo e accendere i riflettori su una delle emergenze ambientali più gravi dei nostri tempi”. 

Attraverso il sito Plastic Radar sarà possibile scoprire quali sono le tipologie di imballaggi più comuni che inquinano mari, spiagge, fiumi e laghi, a quali categorie merceologiche appartengono e quali sono le aziende che dipendono maggiormente dalla plastica monouso nell’offerta dei propri prodotti.  

“L’iniziativa lanciata l’anno scorso ha avuto un enorme successo con oltre 6.800 segnalazioni valide e ci ha aiutato a far luce sui rifiuti in plastica più presenti nei mari italiani. La maggior parte erano prodotti usa e getta, in primis bottiglie di plastica, e appartenenti a marchi ben noti come San Benedetto, Coca Cola e Nestlè. Le grandi aziende continuano a immettere sul mercato enormi quantitativi di plastica usa e getta non assumendosi alcuna responsabilità circa il suo corretto riciclo e recupero. Se vogliamo veramente fermare l’inquinamento da plastica nei nostri mari è necessario che le grandi aziende avviino immediatamente programmi per ridurre drasticamente il ricorso all’utilizzo di imballaggi e contenitori in plastica usa e getta” , conclude Ungherese.

 Delle quasi 6.800 segnalazioni valide ricevute nell’estate 2018, il 91 per cento ha riguardato rifiuti in plastica usa e getta, ovvero oggetti progettati per un utilizzo che va da pochi secondi ad alcuni minuti, e in gran parte rappresentati da bottiglie per l’acqua minerale e bevande (25 per cento); a seguire, nell’ordine: confezioni per alimenti (circa il 10 per cento), frammenti (6 per cento), sacchetti di plastica (4 per cento), bicchieri, flaconi di detersivi, tappi e reti (tutti al 3 per cento) e contenitori industriali, flaconi di saponi e contenitori in polistirolo (tutti al 2 per cento).  

Nei mesi scorsi Greenpeace ha lanciato una petizione, sottoscritta da più di un milione di persone in tutto il mondo, in cui si chiede ai grandi marchi come Coca-Cola, Pepsi, Nestlé, Unilever, Procter & Gamble, McDonald’s e Starbucks di ridurre drasticamente l’utilizzo di contenitori e imballaggi in plastica monouso

Leggi il report “Plastic Radar 2018

Fonte:  http://www.italiachecambia.org/2019/07/greenpeace-rilancia-plastic-radar-per-segnalare-plastica-nostre-acque/

Plastica nello stomaco del capodoglio spiaggiato: “L’SOS disperato del mare”

Nello stomaco del capodoglio spiaggiato due giorni fa a Cefalù, in Sicilia, è stata trovata molta plastica. “Bisogna intervenire subito per salvare le meravigliose creature che lo abitano”. Lo afferma Greenpeace pronta a salpare insieme a The Blue Dream Project per monitorare lo stato di salute dei nostri mari. A pochi giorni dalla partenza di una spedizione di ricerca, monitoraggio, documentazione e sensibilizzazione sullo stato dei nostri mari, organizzata insieme a The Blue Dream Project, Greenpeace diffonde le immagini di quanto è stato ritrovato nello stomaco del capodoglio spiaggiato due giorni fa sulle coste della Sicilia.

«Quello che è stato trovato due giorni fa sulla spiaggia di Cefalù era un giovane capodoglio di circa sette anni appena. Come si può vedere dalle immagini che diffondiamo, nel suo stomaco è stata trovata molta plastica. Le indagini sono appena iniziate e non sappiamo ancora se sia morto per questo, ma non possiamo certo far finta che non stia succedendo nulla», dichiara Giorgia Monti, responsabile campagna Mare di Greenpeace Italia.  

«Sono ben cinque i capodogli spiaggiati negli ultimi cinque mesi sulle coste italiane. Nello stomaco della femmina gravida ritrovata a marzo in Sardegna sono stati trovati addirittura 22 kg di plastica. Il mare ci sta inviando un grido di allarme, un SOS disperato. Bisogna intervenire subito per salvare le meravigliose creature che lo abitano».

Greenpeace e The Blue Dream Project monitoreranno per tre settimane i livelli di inquinamento da plastica in mare, in particolare nel Mar Tirreno Centrale. Una spedizione di ricerca che si concluderà in Toscana l’8 giugno, in occasione della Giornata mondiale degli oceani. In occasione della conferenza stampa di presentazione del tour, che si terrà martedì 21 maggio alle ore 11 presso la Sala conferenze Lega Navale di Ostia, i ricercatori del Dipartimento di Biomedicina Comparata e Alimentazione dell’Università degli Studi di Padova, centro di riferimento per le autopsie sui grandi cetacei spiaggiati lungo le coste italiane, presenteranno un report preliminare sullo spiaggiamento dei cetacei in Italia, con un focus proprio sui capodogli e la plastica. 

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2019/05/plastica-stomaco-capodoglio-spiaggiato-sos-disperato-mare/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni

Spiagge invase dai rifiuti: l’80% è plastica

Con l’approssimarsi della primavera, nelle località balneari si è in procinto di iniziare le operazioni di ripulitura delle spiagge in previsione della stagione estiva che verrà. E Legambiente denuncia una situazione insostenibile: l’80% dei rifiuti che invadono i nostri litorali è costituito da plastica.

L’indagine Beach litter 2018 di Legambiente ha monitorato 78 spiagge con 48.388 rifiuti rinvenuti in un’area complessiva di 416.850 mq (pari a circa 60 campi di calcio) e una media di 620 rifiuti ogni 100 metri di spiaggia (lineari) campionata, 6,2 per ogni metro di spiaggia.

Quello che si trova sulle spiagge italiane è soprattutto plastica (80%). L’associazione ambientalista sottolinea come oltre la metà dei rifiuti raggiungono le spiagge perché non vengono gestiti correttamente a terra. La cattiva gestione dei rifiuti a monte è, infatti, la causa principale del continuo afflusso dei rifiuti in mare. Ma non è la sola. Anche i rifiuti abbandonati direttamente sulle spiagge o quelli che provengono direttamente dagli scarichi non depurati e dalla cattiva abitudine di utilizzare i wc come una pattumiera.

Sul podio dei rifiuti più trovati lungo le spiagge ci sono i frammenti di plastica, ovvero i residui di materiali che hanno già iniziato il loro processo di disgregazione, anelli e tappi di plastica e infine i cotton fioc, che salgono quest’anno al terzo posto della top ten. Gli oggetti che si trovano praticamente in tutte le spiagge monitorate sono tappi e anelli di plastica (95% delle spiagge), bottiglie e contenitori di plastica per bevande (96% delle spiagge) e bicchieri, cannucce, posate e piatti di plastica (90% delle spiagge monitorate).

Questi oggetti usa e getta di uso diffuso rappresentano un problema comune per tutte le spiagge. Altro rifiuto molto diffuso sono i materiali da costruzione, presenti nell’85% delle spiagge monitorate. L’indagine di Legambiente è una delle più importanti azioni a livello internazionale di citizen science, ovvero il risultato di un monitoraggio eseguito direttamente dai circoli di Legambiente, da volontari e cittadini, che ogni anno setacciano le spiagge italiane contando i rifiuti presenti, secondo un protocollo scientifico comune e riconosciuto anche dall’Agenzia Europea dell’Ambiente, a cui ogni anno vengono trasmessi i dati dell’indagine per completare il quadro a livello europeo. Questi dati infatti vanno a integrare quelli rilevati dalle agenzie ambientali di tutta Europa nell’ambito della Marine Strategy, la strategia marina dell’Unione Europea.

Fonte: ilcambiamento.it