L’Asino e la Luna: cambiare vita nel segno della permacultura.

Una psicoterapeuta e una militare dell’aeronautica si incontrano a un corso di facilitazione e scoprono di avere entrambe cambiato vita per lo stesso sogno e con gli stessi strumenti. E allora decidono di fondare un luogo che possa ispirare altre anime in transizione a svoltare e ritrovarsi. La storia di Manuela e Denia e del loro centro esperienziale in permacultura a Cerveteri, la fiaba dell’asino e della luna.

RomaLazio – «Abbiamo conosciuto tante persone che volevano cambiare vita e che non sapevano da dove iniziare. E allora abbiamo fondato un centro esperienziale per fargli toccare con mano alcune fra le opzioni più interessanti». C’erano una volta (e ci sono ancora) Manuela e Denia, le due facce della Luna, l’energia femminile. Attorno a loro gironzola Silvio, il loro asino, forza fisica e semplicità maschile. Il luogo, così incantato da fungere da perfetto scenario per una moderna fiaba senza antagonisti, ha un nome non casuale: L’Asino e la Luna.

IL CAMBIO VITA

Eh sì, loro di cambio vita se ne intendono. Prendete Manuela Bocchino, per esempio. Originaria di Cerveteri, sulla costa a nord di Roma. Nel 2005 si arruola in aeronautica militare e si trasferisce a Milano. A poco a poco, la città finisce per starle sempre più stretta. E così, a partire dall’esigenza di alimentarsi in maniera più sana, incontra lo yoga, la meditazione, la ricerca della spiritualità, la riduzione dei bisogni, con tutto quel che ne consegue.

Non è una sorpresa se nel 2015 – pur non mollando il lavoro – sceglie di trasferirsi in natura, «per evolvere, rallentare, cambiare», dice. E così torna nella sua terra e compra 4 ettari tra mare e bosco, con sopra una casa, una vigna dismessa e qualche quercia spelacchiata. Il suo sogno? Un castello chiamato ecovillaggio. E adesso prendete Denia Franco. Toscana che più non si può, ha sempre condotto a Firenze «una vita normale: la famiglia, gli amici, lo studio, l’università». Nel 2016 si accorge che manca qualcosa, che si sente in gabbia. «Non volevo più vivere per lavorare, il lavoro doveva diventare solo uno strumento per vivere secondo i miei desideri».

E così traccia una bella riga e tira le somme. Nel senso letterale del termine. Gli addendi: cura delle persone, più cura degli animali (è una psicoterapeuta che lavora anche con i cavalli), più desiderio di armonia con la natura. Totale: downshifting, pure lei, e ritorno all’essenziale. Senza mollare il lavoro, pure lei, ma senza soccombere ad esso. Il suo sogno? Un castello chiamato ecovillaggio.

Ebbene, cosa accade quando due persone con lo stesso sogno nel cassetto si incontrano al momento giusto? Nella vita normale ci provano, vero, avete indovinato. Ma nelle fiabe? Ecco, nelle fiabe non solo ci provano. Nelle fiabe riescono. È il 2017. Manuela vive da due anni sul suo terreno a Cerveteri, ma il suo progetto non decolla, i contrasti imperano e la sua comunità è ancora nella sfera di cristallo.

La permacultura è come una valigetta degli strumenti: quando impari a usarla poi resta con te e da lì puoi estrarre lo strumento che ti serve di volta in volta, approfondendone l’uso con il tempo

Denia ci è già passata. Il suo gruppetto si è appena sciolto, definitivamente, e lei si è iscritta a un corso di facilitazione per evitare di cadere nelle stesse trappole in futuro. A quel corso di facilitazione incontra Manuela, che ci è arrivata per lo stesso motivo. La domanda di Manuela sorge spontanea: «Mi aiuti a risollevare il mio gruppo?».

Non penserete mica che siamo arrivati alla fine della storia? Un po’ di pazienza. Persino nelle più brevi fiabe per bambini la principessa dev’essere rinchiusa nella torre prima che qualcuno – o qualcuna – accorra a liberarla. Qui succede che, nonostante l’intervento di Denia, il gruppo di Manuela non si risolleva. Anzi, si scioglie. Restano loro due, da sole. Vengono entrambe da un radicale cambio vita che ha salvato solo il loro lavoro, desiderano entrambe il contatto con la natura, hanno lo stesso sogno comunitario e la stessa ferita ancora aperta.

Insomma, anche stavolta due più due fa quattro. E così Manuela e Denia decidono di sperimentarsi insieme. Prima un mese, poi altri due, poi ulteriori tre. I periodi di prova vanno bene, ognuno meglio di quello precedente. La comunità, sebbene meno numerosa di quella che avevano immaginato da sole, è nata; insieme a un senso di famiglia elettiva che entrambe mai avevano provato prima. Cosa manca ancora, direte voi? Semplice. La pozione magica.

LA PERMACULTURA

Nel 2017, poco prima di conoscere l’altra metà della Luna, Manuela scopre la permacultura. Un altro mondo le appare improvvisamente all’orizzonte, al punto che riesce finalmente a ipotizzare la possibilità di coltivare il suo terreno senza aver ancora sviluppato alcuna competenza in campo agricolo. L’altra metà della Luna, dal canto suo, aveva cominciato ad avvicinarsi alla permacultura da qualche anno; e più l’approfondiva, più scopriva che quella poteva essere una cornice di riferimento su cui impostare persino il quotidiano. È Denia stessa a raccontare che la permacultura «mi risuonava perché era composta da elementi che ho sempre sentito dentro, sebbene separati l’uno dall’altro». Per cui, quando li ha trovati integrati tutti insieme in quella che poi ha iniziato a considerare come una vera e propria filosofia di vita, ha capito che aveva ormai imboccato la sua strada: «Era ciò che sentivo e che non riuscivo a esprimere a parole».

Manuela e Denia hanno dunque trovato nella permacultura la loro pozione magica, ossia la visione comune che hanno scelto di usare come intento per riprogettare il terreno di Manuela, che dal 2019 hanno deciso di chiamare “centro esperienziale”, basandolo sulle tre etiche della Permacultura: cura della Terra come fosse un organismo, cura della propria specie e condivisione. Nel video che trovate in questo articolo, le due protagoniste raccontano cos’è oggi L’Asino e la Luna e cosa si immaginano potrà essere in futuro.

«Il centro è “esperienziale” perché la permacultura è come una valigetta degli strumenti: quando impari a usarla poi resta con te e da lì puoi estrarre lo strumento che ti serve di volta in volta, approfondendone l’uso con il tempo», spiegano. Una valigetta che contiene anche uno specchio fatato. «A volte quando ci si forma in qualcosa ci si estrania e si finisce sul tecnicismo», continua Denia. «Invece con la permacultura questo non accade, perché il suo approccio, che tende alla massima integrazione possibile, conserva dentro di sé gli strumenti per evitarlo».

E ora, come in tutte le fiabe che si rispettino, è il momento dei doni, ossia dei meritati premi che gli eroi o le eroine ricevono per le loro peripezie. Manuela stila una lunga e ricca lista: «Sono gli ottimi rapporti con i contadini e gli allevatori della zona e la rete di telecomunicazioni Noinet, che ci ha sponsorizzato nella realizzazione della nostra food forest».

E ancora, «sono le reti di cui facciamo parte, in particolare la RIVE e l’Accademia Italiana di Permacultura, che ci ha dato persino l’onore di ospitare un’assemblea plenaria nazionale; sono gli altri eventi che abbiamo ospitato e che ospiteremo; sono i tanti volontari pronti ad aiutarci in ogni iniziativa; sono gli alberi che abbiamo seminato in questi anni e che presto inizieranno a produrre frutti».

Cosa manca ancora, dunque? Ah, la morale. Beh, per quella vi toccherà cliccare sulla loro intervista video e ascoltare le parole finali di Denia. Perché la luna, in fondo, non è poi così lontana: montare su un asino per raggiungerla lentamente, passo dopo passo, possono farlo tutti. E tutte. Fonte: https://www.italiachecambia.org/2022/03/lasino-e-la-luna-permacultura-2/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

Permacultura, rigenerazione e una food forest: la nuova vita di Chris e Mario in Calabria

Due giovani, uno svizzero e uno spagnolo, hanno unito i loro cammini in un percorso comune che li ha portati a Badolato, in Calabria. Qui hanno lanciato un progetto in permacultura che punta alla rigenerazione del suolo e alla creazione di un modello incentrato sulla condivisione, sulla sostenibilità e sull’autosufficienza.

CatanzaroCalabria – È difficile riassumere in poche righe la ricchezza trasmessa da Chris e Mario, due giovani europei interessati alla permacultura che hanno deciso di cambiare vita e portare avanti il loro progetto di rigenerazione del suolo a Badolato, un paesino di circa 3000 abitanti sulle pendici della costa ionica in Calabria. «Non abbiamo ancora molto da far vedere, il nostro progetto è soltanto all’inizio», mi avevano detto prima che li incontrassi. Eppure non mi ero lasciata fermare da queste parole. Già tante volte mi ero chiesta come mai uno svizzero (Chris) e uno spagnolo (Mario) dovrebbero decidere di venire a vivere qui in Calabria, in un piccolo paese, e intuivo la complessità di questa scelta. Così, ancora una volta, decido di macinare qualche chilometro per andare a trovarli. Il casolare in cui vivono Chris e Mario è nella campagna badolatese, a metà fra la montagna e il mare. È un’oasi di verde, azzurro e tante sfumature di giallo, molto intense in un periodo caldo come l’agosto 2021.

Il loro progetto è frutto di tanti anni di viaggio e cambiamento interiore: Chris ha lavorato per molto tempo nel mondo del cinema e Mario in quello del marketing, prima di decidere che questo tipo di vita non faceva per loro. Inizia una fase di ricerca legata al mondo della permacultura e a un tipo di vita che fosse in connessione con loro stessi, con gli altri e con la natura. Durante questa fase, i loro cammini si sono incrociati nel 2016 in Portogallo in occasione di un corso e i due hanno capito di essere destinati a rimanere connessi nel tempo, anche se si trovano in diverse parti d’Europa.

«Cercavo un posto in cui applicare i principi di permacultura che stavo studiando e costruire un progetto di vita, finché non sono arrivato qui a Badolato nel 2018 perché la mia ex ragazza partecipava a un progetto di home school e ho visto tutta la ricchezza e la biodiversità di questa terra», racconta Chris, che coinvolge anche Mario in questa possibilità. La ricchezza della terra, il calore degli abitanti del paese, la possibilità di una vita più sana e a contatto con la natura e la bellezza del borgo li convincono a compiere il passo definitivo: nel marzo 2020 si trasferiscono così in un casolare che decidono di acquistare con i loro risparmi. E così cominciano i lavori, che mirano in primo luogo a rigenerare il suolo e la terra. È questo il punto focale del loro impegno, nella convinzione che «non esistono terreni poveri, ma piuttosto una mancanza di vita nel suolo». Si dedicano molto allo studio del terreno e istituiscono il primo laboratorio di vita del suolo in Calabria, grazie al quale possono valutare gli ecosistemi presenti nel terreno (così come nei compost e negli stagni) e quindi anche la loro capacità di dare vita.

«Nel corso delle mie ricerche mi chiedevo quale fosse l’elemento che fa davvero la differenza nella vita e alla fine mi sono detto: è il suolo, la terra. Perché quando la terra è in salute, anche l’essere umano che ci vive sta bene», racconta Mario.

In connessione a questo studio, iniziano a lavorare alla creazione di compost, proprio nell’ottica di nutrire la terra e darle la capacità – a lungo andare – di riprendersi le sostanze vitali che anni di agricoltura convenzionale le hanno tolto. Tramite un processo di compostaggio a caldo creano compost solido biologicamente attivo, composto di tre parti (letame, materiale carbonioso e materiale ricco azoto come le foglie verdi) ed estremamente nutriente per il terreno. Inoltre, utilizzano il compost solido per creare compost liquido per due scopi: in un caso lo utilizzano così com’è per irrigare in modo più nutriente il terreno; in altri lo mescolano con delle sostante nutrienti al fine di creare il “té di compost”, cioè un fungicida completamente naturale che può poi essere spruzzato su alberi e piante, formando una patina protettiva. La rigenerazione del suolo è quindi il filo conduttore di ogni lavoro e nel futuro Chris e Mario sognano di costruire un impianto di compostaggio per lavorare meglio e con quantità più grandi. Ma già ci sono i primi frutti di questo impegno, dal momento che nel giro di un anno e mezzo sono riusciti a ripristinare un piccolo orto (la cui terra non era più fertile) e a gestire l’uliveto, producendo olio. L’attenzione per il suolo poi, si ritrova anche in altri progetti già in campo, sempre ispirati alla permacultura: uno di questi, ad esempio, è il bosco alimentare, che si trova in un piccolo avvallamento del terreno e che, mi spiegano, è «una piantagione diversificata di piante commestibili che cerca di imitare gli ecosistemi e i modelli trovati in natura». Annone, arance, pesche, bergamotti sono solo alcuni dei frutti che crescono in questo piccolo giardino dell’Eden che, una volta stabile, sarà resistente in modo naturale e a sua volta nutrimento per la terra che lo ospita.

«Il nostro obiettivo nel lungo termine è costruire una comunità in questo spazio», spiega Chris. «Qui ognuno porta un pezzetto, che però è in sincronia con il tutto». Anche chi viene per un breve periodo: in questo anno e mezzo, infatti, già molte persone sono passate di qui, grazie alla piattaforma workaway o anche semplicemente tramite il passaparola.

E così nel corso del tempo Chris, Mario e gli altri volontari hanno attrezzato l’area in modo da poter accogliere diverse persone: c’è un’area camping, dove ci sono docce fatte con canne di bambù, un’area comune e una compost toilet, come a rimarcare il concetto che non siamo separati dalla terra su cui poggiamo i piedi ma che, anzi, contribuiamo noi stessi a sostenerla, come insegna la permacultura. Sempre grazie ai volontari, sono riusciti a costruire due cisterne che raccolgono l’acqua piovana: questo garantisce un’autosufficienza di circa sei mesi all’anno.

Possiamo quindi affermare che quella che vi abbiamo appena raccontato non è affatto la storia di chi decide di scappare dal mondo perché è brutto e cattivo e quindi isolarsi, ma è anzi quella che celebra chi ha voglia di cercare la bellezza che già c’è e condividerla con altre persone. Per questo Mario e Chris hanno continuato a ripetermi fino all’ultimo che «ci sono ancora tante cose da fare», perché di certo non tutto si è concluso con la loro sistemazione a Badolato. «Sentiamo che stiamo crescendo molto e che c’è un processo che segue tanti impulsi diversi, è parte di un percorso», aggiunge Chris e conlcude: «Siamo ancora in viaggio».

Fonte: https://www.italiachecambia.org/2021/09/permacultura-calabria/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

Cucunci: arte, autosufficienza e permacultura nel cuore della Sicilia

Come tanti grandi progetti di cambiamento, anche quello che vi portiamo a visitare oggi è nato come risposta a una domanda interiore, un anelito che dall’animo di un singolo si è diffuso mischiandosi al caldo vento siciliano. Nel siracusano si trova Cucunci Rural Hub, in cui arte, musica, autoproduzione, autonomia energetica, permacultura e buone pratiche condividono lo stesso tetto. Immersa tra le campagne di Noto, ci aspetta un’imperdibile tappa della Sicilia in cambiamento. È una piccola comunità rurale dove si coltivano buone pratiche ispirate alla permacultura, all’autosufficienza energetica e alimentare, all’ecologia profonda, alla comunicazione nonviolenta. È anche un luogo dove dare spazio all’arte, alla cultura e alla creatività, a stretto contatto con la natura. Si chiama Cucunci Rural Hub e i ciceroni che ci accolgono in questo luogo magico sono Stefania Corallo e Gesualdo Busacca. Stefania è la fondatrice del progetto, esperta in permacultura, artista e autrice di gioielli prodotti con materiale naturale. Da quindici anni vive a Cucunci in una bellissima yurta. «Cucunci è un sogno almeno in parte realizzato – ci racconta – che è nato dall’esigenza di staccarmi da una società che non mi rappresentava, in cui non trovavo spazio per potermi esprimere nella mia interezza». Due grandi domande esistenziali, tanto antiche quanto attuali, hanno albergato nella mente di Stefania per anni, fino a spingerla a creare questo spazio: “Cosa ci faccio qui?”. “Ci sarà un’alternativa a questo sistema?”.

Il percorso lungo cui la fondatrice di Cucunci sta cercando le risposte è più che mai variegato. Il suo punto di partenza è stato la macrobiotica, una filosofia dell’alimentazione che per lei ha assunto un valore politico, una presa di responsabilità e coscienza nei confronti di sé stessa e del mondo. «Successivamente si è palesata l’esigenza di creare un luogo come punto di incontro, un esempio pratico di vita sostenibile dove potersi riconoscere. Il sogno rimane quello di creare una comunità più allargata, ma intanto il luogo da cui partire c’è”, conclude Stefania. Cucunci si estende su un terreno adagiato tra le colline di Noto, vicino a Siracusa; un paesaggio suggestivo formato da antichi terrazzamenti realizzati per ospitare coltivazioni di mandorli, ulivi e carrubbi. Il suo nome – difficile da scordare, che rimane impresso – deriva dal frutto del cappero, pianta che cresce rigogliosa tra i muretti a secco del terreno, regalando nei periodi estivi fioriture di incontenibile bellezza. Cucunci Rural Hub è un luogo di condivisione, ma prima ancora è la casa di Stefania, che con passione e sacrifici ha creato ciò che è ora: un contenitore di bellezza e idee fantasiose per la rigenerazione della Terra, della Persona e delle Relazioni. È anche un laboratorio a cielo aperto dove si coltivano buone pratiche, si promuovono corsi dedicati all’agricoltura naturale – potatura, innesto, realizzazione di colori e tinture naturali, raccolta di erbe selvatiche… – e si svolgono seminari culturali e concerti. Proprio il giorno seguente alla nostra partenza ci sarebbe stata una cena con piatti tipici della cucina turca seguita da un concerto.

Gesualdo, invece, è lì da poco: dopo un dottorato in archeologia a Stanford, ha deciso di tornare nella sua isola d’origine poco distante dalla sua città natale, Caltagirone. Per lui Cucunci «rappresenta un percorso di transizione, un cammino verso un modo più armonioso di stare al mondo». Un modo di vivere naturale che Cucunci può offrire «tramite alcuni strumenti tra cui l’autosufficienza energetica e alimentare, la cura della terra e delle relazioni umane. Ma è anche una palestra per sperimentare questo stile di vita».

Una delle caratteristiche più innovative del progetto è quella di unire a uno stile di vita ecologico l’attenzione verso l’arte e la cultura: «La transizione ecologica non è solo un dovere, ma anche un piacere che va unito alla musica, alle arti, alla cultura», sottolinea Gesualdo. «Questa per me rappresenta la libertà, una forma di fare politica quotidiana anche attraverso l’arte, un mezzo molto importante e forte che unisce, utile a connetterci con le nostre parti più nascoste e intime», aggiunge Stefania.

Cosa c’è nel futuro di Cucunci? Fra i vari progetti, ce n’è uno volto a incrementare gli eventi legati al vivere sostenibile, ma è prevista anche la costruzione di una cucina in bioedilizia e la diffusione sempre maggiore delle buone pratiche sperimentate a Cucunci.

Fonte: https://www.italiachecambia.org/2021/03/cucunci-arte-autosufficienza-e-permacultura-nel-cuore-della-sicilia/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

Il Filo di Paglia: quando coltivare è un atto politico.

In un mondo sfiancato da un’agricoltura intensiva e orientata al profitto, c’è chi sceglie di non stare al gioco e recuperare antiche pratiche votate alla sostenibilità umana e naturale. È il caso di Giancarlo e Lucia, che cinque anni fa hanno cambiato la loro vita dedicandosi anima e corpo a un progetto fondato su permacultura e autoproduzione: Il Filo di Paglia. Coltivare la terra può essere un atto politico? Sì, se l’intento non è solo quello di crescere verdure gustose e naturali, ma è riconducibile anche alla ferma volontà di affermare valori oggi non solo dimenticati, ma addirittura minacciati da un mondo sempre più a misura di multinazionale: autoproduzione, riduzione di scala, baratto, naturalità, lentezza.

E proprio un istinto ribelle sta alla base della scelta di vita e di lavoro di Giancarlo e Lucia, fondatori de Il Filo di Paglia, che ha portato una ventata di “antica innovazione” in terra siciliana. «Abbiamo voluto cambiare la nostra vita, rimetterci in gioco, e siamo ripartiti da zero», racconta Giancarlo, permacultore che negli anni ha coltivato – letteralmente – una vera e propria passione per questo sistema di progettazione. Gli fa eco Lucia ricordando quando, nel 2016, dopo essere rimasti affascinati da un corso per la realizzazione di un orto sinergico, hanno preso il coraggio a due mani e deciso di abbandonare il loro lavoro per iniziare una nuova avventura: «Abbiamo visto un’alternativa a quella che era la nostra vita in quel periodo e quest’alternativa ci è piaciuta perché sviluppava le nostre passioni».

Siamo a Comiso, in provincia di Ragusa. Il Filo di Paglia è stata una tra le tappe più belle (e calde) del viaggio in camper nella Sicilia Che Cambia. Un’occasione speciale per conoscere meglio non solo una famiglia accogliente, ma anche la piccola rete nata dall’iniziativa di Giancarlo e Lucia, articolata in una struttura ricettiva e in un orto in cui sperimentano varie tecniche di progettazione permaculturale destinato alle esigenze familiari e alla distribuzione ai GAS locali.

Ma come sono articolate le attività del Filo di Paglia? Grazie all’orto sinergico, implementato con i principi della permacultura, viene autoprodotto il cibo necessario al sostentamento della famiglia, mentre ciò che avanza viene distribuito a due Gruppi di Acquisto Solidali della zona. Lucia si dedica alla produzione del pane con lievito madre e alla cura dello splendido giardino, che fornisce generosamente frutta e ortaggi, oltre a una deliziosa vista sulla rigogliosa prosperità della Natura siciliana. Meno incoraggiante è ciò che restituisce un rapido sguardo al circondario: foreste di serre e teloni di plastica che testimoniano un approccio all’agricoltura orientato più alla quantità che alla qualità e decisamente poco rispettoso dei ritmi naturali. Ciononostante, la visione di Giancarlo e Lucia ha permesso loro di coltivare un orto naturale ad alta produttività in uno spazio limitato, meno di mezzo ettaro. Una relazione sinergica con la natura che salta subito all’occhio: c’è un hotel dedicato agli insetti che impollinano i fiori del loro terreno, c’è una food forest che garantisce equilibrio all’ecosistema, ci sono i bancali per l’orto. Non manca neanche una parte dedicata alla germinazione delle sementi.

Coerentemente con la loro visione ispirata alla sovranità alimentare, la coltivazione dei semi è un aspetto curato con particolare attenzione. «È un modo per ribellarci alle multinazionali che controllano la quasi totalità del mercato dei semi», rivendica Giancarlo. Nel loro giardino circa il 70% delle piantine proviene da semi autoprodotti e l’obiettivo è quello di incentivarne lo scambio. Riguardo la lentezza del processo Lucia osserva che «è stata una palestra di umiltà nei confronti della natura, ma non solo: grazie all’orto sinergico abbiamo imparato a vivere la nostra vita».

Il progetto del Filo di Paglia prevede anche un b&b, dei percorsi didattici per le scuole e degli eventi aperti ad appassionati e curiosi. L’apertura e l’inclusività hanno spalancato le porte della casa a viaggiatori provenienti da tutte le parti del mondo, con cui Giancarlo e Lucia condividono spazi e saperi. Fonte: https://www.italiachecambia.org/2021/03/filo-di-paglia-nuova-vita-ribelli-autoproduzione-io-faccio-cosi-322/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

La Permacultura Umana, un approccio sistemico all’evoluzione personale e sociale

In una visione sistemica ed ecologica, una relazione diversa con la terra richiede una diversa relazione con le persone. È il presupposto da cui prende vita la Permacultura umana che comprende metodi e tecniche di progettazione utilizzabili sia in ambito personale che collettivo. In Italia sta per arrivare una scuola dedicata a questo approccio: un percorso per imparare a prendersi cura delle persone, dei gruppi, delle comunità, partendo dalla cura di sé e prendendo ispirazione dai sistemi naturali. Stiamo vivendo in un periodo molto particolare della storia e della cultura umana. Negli ultimi secoli ed in particolare negli ultimi decenni, la nostra civiltà è stata in grado di raggiungere risultati straordinari dal punto di vista tecnologico e materiale. Eppure ci sono tanti segnali, sempre più evidenti, che qualcosa non sta andando per il verso giusto. L’ultimo è stato quello dell’epidemia di Covid-19, che ha messo in ginocchio il sistema sanitario di tanti paesi e sta provocando enormi problemi economici a milioni di persone in tutto il mondo. In realtà questa epidemia è solo uno dei “nodi” che stanno venendo al pettine e nemmeno il più grave: l’aumento di insoddisfazione e di infelicità nelle persone dei paesi industrializzati (come testimonia il crescente utilizzo di psicofarmaci e di sostanze stupefacenti), gli effetti drammatici del cambiamento climatico, l’erosione delle risorse energetiche e minerarie, la perdita di biodiversità, l’inquinamento pervasivo in ogni angolo del Pianeta, l’economia condannata a crescere all’infinito per non crollare, e l’elenco potrebbe continuare. Ma c’è una buona notizia: la maggior parte di questi problemi sono il frutto della nostra cultura, delle nostre convinzioni e, di conseguenza, delle nostre scelte e delle nostre azioni. Siamo ancora immersi in una cultura che tende a dividere in compartimenti stagni tutti gli ambiti e le discipline, che privilegia un approccio riduzionista nell’analisi dei problemi, che ricerca soluzioni lineari e veloci. Fortunatamente tanti germogli di una nuova cultura sistemica ed ecologica si stanno già sviluppando in parallelo al crollo delle certezze della nostra società consumistica, riduzionista ed iper-tecnologica.

Uno dei germogli più rigogliosi e promettenti è quello della Permacultura. Nata negli anni ‘70 grazie al lavoro pionieristico di Bill Mollison e di David Holmgren, si è diffusa in tutto il mondo grazie al suo approccio che integra sistemi di progettazione e di gestione di insediamenti umani in un modo efficace e sostenibile. Lo scopo della Permacultura non è quello di sfruttare al massimo la terra grazie a mezzi meccanici ed a prodotti chimici, ma quello di imitare la natura, creando ecosistemi che producano cibo in abbondanza e che siano al tempo stesso sostenibili e resilienti. Fin dal principio i pionieri di questo approccio si sono resi conto che avere una relazione diversa con la terra, richiede anche una relazione diversa con le persone. Per questo tra le etiche fondamentali della Permacultura non c’è solo la “Cura della Terra”, ma anche la “Cura delle persone” e l’”Equa condivisione delle risorse”.

La Permacultura Umana esplora si focalizza proprio sulla Cura delle persone e nasce dalla consapevolezza che, in un approccio sistemico ed ecologico come questo, la separazione tra esseri umani e natura, che è implicita nella nostra cultura, tende a dissolversi e ci porta verso un’evoluzione integrale del nostro modo di vivere personale e sociale.

Uno dei primi ad applicare i Principi della permacultura in ambito sociale è stato Rob Hopkins, quando ha ideato il modello delle “Transition Towns” (Città di Transizione) per rendere più resilienti le nostre comunità locali di fronte ai grandi problemi globali del Picco del petrolio e del Cambiamento climatico. Le pioniere della Permacultura Umana sono soprattutto delle donne. Looby Macnamara, Robin Clayfield e Starhawk hanno traslato i principi appresi dal contatto con gli ecosistemi naturali e li hanno applicati con coraggio nell’ambito delle relazioni umane. Il libro più significativo in questo campo è “People & Permaculture” di Looby Macnamara, dove l’autrice ha delineato la meravigliosa cornice sistemica della Permacultura Umana in cui si inseriscono metodi e tecniche di progettazione utilizzabili sia in ambito personale che collettivo. Uno degli aspetti più innovativi ed appassionanti della Permacultura Umana, consiste nell’integrazione di aspetti che nella nostra cultura spesso teniamo separati: la crescita personale e il contatto con la natura, l’evoluzione personale e quella sociale, i modelli di comportamento umano e quelli degli ecosistemi naturali. Questa integrazione è una sorta di meta-messaggio che ha un effetto sul nostro modo di pensare, di sentire e sulla percezione delle relazioni con i diversi contesti della vita ancora prima di utilizzare metodi di progettazione.Fino ad ora in Italia la Cura delle persone utilizzando i Principi della Permacultura non aveva avuto molto spazio, ma adesso questo vuoto è stato colmato dalla nascita della Scuola di Permacultura Umana. Una scuola nata dalla collaborazione fra l’Associazione Culturale Albero della Vita e Permacultura e Transizione, che in settembre 2020 comincerà le sue attività con il primo “Corso Annuale Online di permacultura personale e sociale”. Un’iniziativa che ci auguriamo possa rendere ancora più ricco l’ecosistema del cambiamento culturale italiano.

Fonte: https://www.italiachecambia.org/2020/07/permacultura-umana-approccio-sistemico-evoluzione-personale-sociale/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

La Vita al Centro, la scuola parentale immersa nel verde.

Scuola parentale e biocentrica con micronido, giardino d’infanzia, elementari e medie. La Vita al Centro è una realtà educativa dove, al centro, c’è la vita di bambini e bambine che in questo luogo magico imparano nella natura e dalla natura. Ci racconta il progetto Tiziana Coda-Zabet, la sua fondatrice, testimoniando che un’educazione diversa è possibile. Le fiabe che preferivo da bambina erano quelle ambientate nella natura. Boschi incantati e creature magiche erano i protagonisti di un mondo avvincente e avventuroso, a metà fra realtà e magia. Mai più avrei pensato di rivivere quelle sensazioni fino a quando siamo andati a conoscere il progetto della scuola “La vita al Centro“, che ha risvegliato in me quelle sensazioni da lungo tempo assopite. E proprio qui, sulla collina torinese a due passi dalla città, la scuola nasce dal sogno di un’associazione culturale di educatori e genitori che vogliono dimostrare che un nuovo tipo di educazione, basato sulla curiosità, l’affettività e la consapevolezza, è possibile.

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Questo è un luogo dove la vita viene celebrata ogni giorno, dove la natura e le sue creature si trasformano in sagge insegnanti, dove il tempo è vissuto come un dono prezioso da custodire e condividere e dove l’esperienza è la lezione più grande da cui apprendere. Giunti a destinazione ci accorgiamo che qui tutto è scuola: dalle classi al giardino coi giochi, dall’enorme parco verdeggiante al bosco limitrofo. Incontriamo Tiziana Coda-Zabet, fondatrice del progetto. Come ci racconta nel video, all’inizio la scuola contava soltanto tre bambini, che ora hanno raggiunto il centinaio.

«Non ci aspettavamo una risposta del genere e questo dimostra che c’è una forte ricerca da parte dei genitori di un’educazione diversa». Per questo motivo nasce la scuola parentale, dal desiderio comune dei genitori di offrire un’educazione alternativa ai propri figli. E mentre Tiziana ci parla, siamo circondati da bambini e bambine che incuriositi ascoltano la nostra intervista, come il miglior pubblico che si possa desiderare, mentre i loro compagni corrono liberi coprendo quasi completamente le nostre voci con le loro risate e gioia di vivere. Come ci racconta Tiziana, si tratta di un’esperienza simile all’home schooling ma, in questo caso, i genitori scelgono una struttura e degli accompagnatori per la crescita dei loro figli. Al termine di ogni anno viene effettuato un esame finale monitorando il percorso di apprendimento e fornendo regolarmente ai bambini e alle bambine le certificazioni. La Cooperativa “La Rete della Vita al Centro” qui gestisce tutte le attività didattiche: dal micronido, alla materna, alle elementari, ad una classe di medie. Uno degli elementi fondanti della scuola è che si basa su un’educazione biocentrica. Come ci spiega Tiziana, si tratta di una visione che vede l’uomo abitante del pianeta alla stessa stregua di ogni altra forma vivente e quindi è tenuto a rispettarla e vivere in armonia con essa.Non si tratta quindi di un’educazione individualista ma di un’educazione alla socialità che supera la visione antropocentrica che è stata alla base delle metodologie pedagogiche occidentali degli ultimi secoli. Formulata dallo psicologo cileno Rolando Toro Araneda, fondatore della biodanza, insegna che tutti gli esseri viventi, nessuno escluso, appartengono ad un’unica grande “rete della vita”.

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All’interno della scuola la biodanza è materia curricolare: «Praticandola, conduce bambini e bambine a conoscere meglio se stessi, a entrare in relazione armoniosa con ciò che li circonda e con le proprie emozioni e ad esprimere ciò che sentono». E durante le lezioni non mancano momenti in cui grandi e piccoli praticano la biodanza insieme, facendo ciò che vi è di più bello: prendersi cura reciprocamente. La presenza della natura diventa l’habitat perfetto dove crescere: qui si è liberi di poter sbagliare e di imparare dalle proprie esperienze. Ma non solo. Durante le lezioni si fa ogni giorno amicizia con l’ambiente circostante. «Entrando nel parco i bambini hanno individuato due grandi querce, che per loro sono le guardiane del bosco. Sotto alle chiome degli alberi suoniamo i djembe, facciamo poesia guardandoci negli occhi» ci spiega Tiziana nel video. «Insegniamo che il bosco cambia a seconda delle stagioni, invitiamo bambini e bambine all’osservazione della natura che si trasforma ogni giorno, stimolandoli ad attivare i sensi perché sono proprio i nostri sensi la porta che permette al mondo di entrare dentro di noi».

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Oggi la scuola conta una ventina di insegnanti ed educatori. Oltre alle lezioni si svolgono laboratori creativi come storytelling, yoga, circo e teatro. «Quest’anno abbiamo anche introdotto nelle nostre lezioni la permacultura. Abbiamo costruito insieme ai bambini una compostiera per mostrare loro il valore degli avanzi di cucina e il fatto che in natura non c’è mai spreco».  L’alimentazione, poi, è parte integrante dell’apprendimento. L’istituto ha scelto di seguire una linea vegetariana e biologica aderendo a un Gas, con alimenti sani e naturali, forniti dai piccoli produttori locali. Tiziana ci spiega che l’obiettivo ora è diventare una scuola aperta a tutti. Per coloro che hanno difficoltà economica sono possibili delle rette agevolate che vengono scambiate con lavoro, cercando di renderla accessibile a chiunque. Diversi genitori, in questo modo, danno il loro contributo in attività che sono molto importanti per la sopravvivenza del progetto.

«Per noi il valore del singolo è fondamentale. All’interno della scuola conosciamo uno ad uno tutti i bambini e le bambine, li vediamo crescere, evolvere, ci confrontiamo sui problemi che possono attraversare nelle loro vite, cerchiamo, come adulti, di essere sempre presenti ma non sostituendoci mai a loro».

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In compagnia di Tiziana il tempo è volato ma ci soffermiamo ancora un attimo per farci raccontare quella che per lei è la sua più grande vittoria.

«Per noi è una grande vittoria il fatto che alle nostre riunioni partecipino insegnanti delle scuole statali. Questo significa che è in atto una contaminazione positiva che si sta trasformando in un’influenza reciproca, proprio come è avvenuto con la scuola nella quale abbiamo svolto per diversi anni l’esame finale e che ora si è trasformata in una “scuola senza zaino”. La vita al centro è per noi uno studio continuo. Il nostro sogno è portare un nuovo metodo nelle scuole, esportando la visione biocentrica che qui sperimentiamo e trasformandola in uno strumento positivo per la crescita di tutti i bambini». Fonte: https://www.italiachecambia.org/2020/01/vita-centro-scuola-parentale-immersa-verde/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

La Tabacca: due donne si autocostruiscono il futuro tra permacultura e socialità

Vi proponiamo la storia di Giorgia e Francesca, due giovani donne che hanno riabitato una vecchia casa nell’entroterra ligure, ristrutturando l’abitazione e ridando vita al terreno agricolo, passo dopo passo e seguendo i principi della permacultura. La Tabacca è oggi un progetto ambientale e sociale e la dimostrazione di come si possa passare dalla teoria alla pratica rimboccandosi le maniche e avendo chiaro l’obiettivo da raggiungere. Il giorno in cui finalmente intervisto Giorgia Bocca e Francesca Bottero (dopo anni in cui ci ripromettiamo di incontrarci) è davvero fuori dal comune. Arrivo, infatti, con il mio camper a Voltri, nei pressi di Genova, e lì incontro una troupe della Rai, “capitanata” dalla giornalista Elisabetta Mirarchi. Sono venuti ad intervistarmi sul nostro lavoro con Italia che Cambia e contestualmente a seguirmi mentre intervisto Giorgia e Francesca. Lasciamo il mio camper e la macchina della RAI in un vicino parcheggio e saliamo su una piccola auto 4X4 con la quale è venuto a prenderci un volontario che collabora a La Tabacca. La strada per raggiungere la sede del nostro incontro, infatti, è impervia e impossibile da percorrere con mezzi ordinari. In effetti ci inerpichiamo su una stradina tipicamente ligure che ci porta a passare in pochi minuti dal mare a terre interne, premontane, selvatiche. Ed eccoci giunti a casa di Giorgia e Francesca. Dopo aver gustato tutti insieme un pranzo meraviglioso e aver visitato gli orti e la casa che si sono auto-ristrutturate in molti anni e secondo i criteri della bioedilizia, intervistiamo le due ragazze.

I primi passi

Francesca e Giorgia si sono conosciute molti anni fa e hanno lavorato entrambe per l’Associazione Terra! Onlus. Qui hanno incontrarono uno psichiatra di Torino che, inaspettatamente, decise di donar loro la sua casa e il suo terreno a patto che ci realizzassero un progetto sociale. Racconta Francesca: “È stato un percorso travagliato, perché lui non era mai venuto qua, e aveva a sua volta ereditato questo luogo da alcuni zii, ma in breve tempo siamo riuscite a risolvere i problemi di successione. Il primo gennaio 2011 siamo venute qui in perlustrazione per la prima volta. Abbiamo incontrato subito gli alberi che custodiscono questo luogo, che ti accompagnano lungo il sentiero. È spuntata questa casa in mezzo alla natura spoglia, completamente rustica; una casa che aveva l’imprinting della casa contadina di un tempo; sotto c’erano stalle e mangiatoie, cucina con vecchi manufatti, un vecchio forno di mattoni e una vecchia cucina fatta con un rufo. Questo era lo scenario: una casa immersa in un bosco, con un solo pezzo di terra coltivato. Non c’era una strada di accesso e tutta la casa era da ricostruire… ma il sogno era talmente grande che ci siamo messe subito in cammino per poterlo realizzare”. 

Il primo passo fu ricostruire il tetto. Per farlo, tagliarono 12 castagni del loro bosco e con essi costruirono le travi del nuovo tetto. “L’inizio è stato abbastanza turbolento – continua Giorgia – qui non ci conoscevano, eravamo come piantine infestanti che si stavano insediando in un luogo non loro. Abbiamo cercato sin da subito di creare rapporti con le famiglie del borgo, ma all’inizio è stato un po’ difficoltoso: siamo due donne, che volevano vivere di agricoltura in un bosco e che per di più si portavano dietro tutti questi giovani vestiti colorati che sapevano di spezie e curcuma… sembravamo una banda del ’68 e questo ha creato resistenza. Ma piano piano, le persone si sono abituate a vederci, a parlare con noi, i bambini hanno iniziato a curiosare, e oggi in molti ci vogliono bene. La signora Tina, ad esempio, ci prepara le focacce”.

La progettazione in permacultura

La ristrutturazione della casa e la coltivazione della terra sono state realizzate seguendo i principi della permacultura e le logiche della bioedilizia. La progettazione è stata realizzata su tutto: l’uso e riutilizo dei materiali, la luce e il design interno, i mobili antichi, il recupero delle acque di sorgente e la successiva fitodepurazione. Prima hanno sperimentato “nel piccolo” e poi replicato “nel grande”. Per questo ci sono voluti otto anni per ristrutturare l’abitazione e avviare l’azienda agricola. Questa è composta da sette ettari di bosco. Francesca si sta occupando personalmente del miglioramento boschivo così come in passato molti dei lavori di ristrutturazione sono stati eseguiti fisicamente con l’aiuto delle due donne. Qui, infatti, mancava fino a pochi mesi fa una strada di accesso. Giorgia e Francesca, quindi, hanno trasportato con la carriola i materiali dalla strada alla casa, attraversando il bosco, giorno dopo giorno e spesso con l’aiuto di amici e volontari. Lo stesso è avvenuto con bosco e parte agricola: Francesca ha lasciato la sua attività in Terra Onlus per avviare l’azienda agricola e realizzare potature e giardini. Racconta Francesca: “Nelle zone limitrofe a casa abbiamo già avviato un piccolo frutteto recuperando delle vecchie varietà di prugne che erano tipiche di questo luogo. Inoltre stiamo valorizzando piante autoctone, come la Mela Carla, tipica delle zone liguri, e abbiamo inserito altre varietà generose, per la futura autosufficienza delle galline. Coltiviamo anche alcuni grani antichi e facciamo orticultura”.

Le attività ambientali e sociali

Non è tutto. Accanto alle attività agricole, la Tabacca ospita percorsi di educazione ambientale ed è la sede di riferimento de La Scuola diffusa della Terra Emilio Sereni. Non meno importante, il filone sociale: “Crediamo – continua Giorgia – che nello scambio con le persone ci sia sempre un aumento di possibilità e una maggiore capacità di risolvere i problemi. Inizialmente abbiamo coinvolto la nostra prima rete sociale, costituita dalle persone amiche e da quelle collegate all’Associazione, per poi passare ad innescare processi di partecipazione con il territorio, con le famiglie vicine, facendo comunicazione, creando relazione, facendoci conoscere, coinvolgendo le persone e mettendo a disposizione quello che noi avevamo in competenze e risorse in termini di scambio. Questo ha soddisfatto i bisogni anche di altri. In questo momento storico, infatti, sempre più persone sentono il bisogno di luoghi di accettazione, senza giudizio. Partecipiamo e organizziamo eventi culturali, occasioni di divulgazione, campeggi. L’apporto dell’associazione Terra Onlus è fondamentale in questo processo e cambia completamente il nostro approccio, perché ci permette di fare formazione con obiettivi precisi da raggiungere”.  

Molte delle scelte portate avanti dalle due donne hanno anche un risvolto politico: l’idea, infatti, è quella di andare a influenzare il legislatore locale per rendere più semplici le soluzioni architettoniche e di servizio che loro stanno mettendo in pratica nella loro abitazione in modo che possano poi essere adottate anche da altri.

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Le radici

“Ho memoria delle mie fotografie da bambina – confida Francesca – venivo sempre ritratta mentre scavavo una buca per terra o in mezzo alle vigne o in un campo, e rivedendo quelle foto ho visto il mio desiderio di vivere in campagna, in modo semplice, a contatto con la natura, e forse questo è stato il regalo più bello di questi sette ettari di bosco”.  

“Il nome La Tabacca – continua Giorgia – deriva dal contrabbando del tabacco che – come ci hanno narrato gli anziani del posto – si svolgeva in queste terre. Già allora, una donna teneva le fila della famiglia e curava le piante. Il luogo viveva quindi una gestione molto matriarcale: i bambini venivano qui a giocare e c’era una forte integrazione. Noi ci sentiamo un prolungamento di questa famiglia”. 

Il futuro

“Io sono pronta per La Tabacca 2.0 – esclama Giorgia – a ottobre verremo finalmente a vivere qui e saremo pronte per valorizzare l’esterno soprattutto dal punto di vista dell’economia basata sul turismo culturale. Sogno una multifunzionalità dell’agricoltura legata all’accoglienza e al turismo. Stiamo già collaborando con una azienda agricola vicina, che è sempre di una donna, con cui faremo trasformazione del prodotto e quindi piano piano vorremo espandere il nostro modello nella valle. Vogliamo creare un modello replicabile che sia utile per tutti”. 

Intervista e riprese: Daniel Tarozzi

Montaggio: Paolo Cignini

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2019/07/la-tabacca-due-donne-autocostruiscono-futuro-permacultura-socialita-io-faccio-cosi-255/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni

L’abbondanza miracolosa che cambierà il mondo

I media mainstream continuano a dispensare informazioni superficiali, inutili e funzionali al sistema; intanto c’è chi si dà da fare per realizzare rivoluzioni pacifiche, partendo dal quotidiano e riuscendo a fare grandi cose!

Mentre i grandi (per dimensioni e soldi, ma piccoli di contenuti) media continuano, nella maggior parte dei casi, a bombardarci di notizie superficiali, inutili, stupide che servono solo a fare da cornice alla pubblicità che li mantiene in vita, ci sono costanti conferme di quello che noi, come associazione Paea e giornale Il Cambiamento, proponiamo da sempre. Nella realtà, persone motivate che non credono ai media dispensatori di pubblicità, che non credono alla scienza e tecnologia al servizio del profitto, invece di lamentarsi, si rimboccano le mani e trovano strade diverse da quelle segnate e insegnate da un sistema totalmente allo sfascio. 

Charles e Perrine Hervé-Gruyer erano rispettivamente un marinaio e una avvocata internazionale e ad un certo punto della loro esistenza decidono di comprare un piccolo appezzamento di terra in Normandia in cui iniziano a coltivare fondando la Fattoria del Bec Hellouin. La loro esperienza pregressa con l’agricoltura era zero e all’inizio del loro percorso si imbattono nella Permacultura e da lì in poi iniziano a sperimentare varie metodologie e sistemi di coltivazione biologica. Lo fanno così bene, con così tanta cura e attenzione che iniziano ad interessarsi a loro sia esperti del settore, che accademici ed università.

Con grande lavoro, sforzi e sacrifici e non senza problemi, mettono a punto un sistema di coltivazione così efficiente che riescono a dimostrare nella pratica come senza trattori quindi senza meccanizzazione dell’agricoltura e senza ausilio della chimica, si possono avere rese maggiori rispetto alla agricoltura tradizionale. Uno dei segreti è quello di pensare in micro appezzamenti, unendo le pratiche della Permacultura con la Food Forest ovvero un sistema di coltivazione che rispecchia l’organizzazione boschiva. Il loro esperimento ha grande successo e iniziano a postulare una possibile pianificazione del sostentamento alimentare dell’intera Francia con queste metodologie.  Anche il loro lavoro dimostra che non bisogna credere ai voli pindarici e deliri fantascientifici di chi dice che le macchine ci sostituiranno tutti; infatti accadrà esattamente il contrario, per ovvi motivi legati a costi energetici, complessità tecnologica e scarsità di risorse per costruire macchine sofisticatissime.

Ma leggiamo alcune delle loro parole illuminanti tratte dal libro Abbondanza miracolosa, iniziando dal potenziale dei micro appezzamenti coltivati.

«Il censimento mondiale dell’agricoltura realizzato dalla FAO e altri lavori condotti  dalle Istituzioni internazionali mettono in evidenza il fatto che le piccole fattorie sono più produttive rispetto a quelle grandi. Le fattorie comprese tra 0,5 e 6 ettari sono in media 4 volte più produttive rispetto alle fattorie che hanno più di 15 ettari, e in alcuni casi anche 12 volte più produttive. Negli Stati Uniti nel 2002, le fattorie che avevano meno di 1 ettaro generavano redditi da 10 a 50 volte maggiori per unità di superficie rispetto alle fattorie americane più grandi. Se una superficie coltivata di 1000 metri quadrati, come al Bec Hellouin, permette di produrre tutto l’anno l’equivalente di 60 o 80 cassette di frutta e ortaggi alla settimana, allora anche il più piccolo giardino, la più piccola corte può diventare una possibile azienda agricola. Un prato di 200 metri quadrati con una terra buona e un agricoltore competente può produrre una dozzina di cassette a settimana e un balcone di 10 metri quadrati può produrre quasi una cassetta a settimana».

Sulla rinascita dell’agricoltura e dell’artigianato scrivono:

«La rinascita di una agricoltura manuale si accompagnerà ad una rinascita dell’artigianato. I decenni a venire vedranno la progressiva diminuzione delle grandi aziende agricole e degli impianti industriali, forse anche alla loro scomparsa, cosa che porterà alla soppressione di un gran numero di posti di lavoro. Ma la simultanea diffusione delle micro fattorie e dei laboratori artigiani dovrebbe permettere di assorbire la manodopera vacante. La decrescita energetica farà scomparire del tutto alcuni impieghi (tutti quelli connessi a professioni che richiedono enormi quantità di energia); ma ne creerà molti altri, perché proprio il ricorso alle energie fossili e la diffusione dei motori meccanici ed elettrici hanno reso meno necessarie le braccia dell’uomo».

Poi c’è la nuova economia:

«Una nuova economia basata sulla madre terra costituirebbe invece una base solida per la nostra civiltà. Il giovanissimo movimento Slow Money, lo afferma con forza: ”Crediamo nel suolo!” è il suo motto. Il bisogno primario di un essere vivente è quello di nutrirsi e gli essere umani non sfuggono a questa regola. Le ricchezze finanziarie che provengono dalle borse non sono commestibili: ricollocare l’agricoltura come fondamento di una economia reale, solida e ben radicata sarà la nostra ancora di salvezza nella tempesta che verrà».

I due autori parlano anche di come soddisfare i bisogni alimentari:

«Tre o quattro milioni di micro fattorie dovrebbero essere in grado di soddisfare la totalità dei bisogni alimentari di una popolazione di 70 milioni di persone (escludendo i prodotti esotici).

Nell’elaborazione degli scenari futuri bisogna tenere conto di un dato: il fatto che un numero sempre maggiore di individui produrrà da sé tutto o parte del proprio cibo.

Ben presto risulterà più gratificante ed entusiasmante gestire in maniera creativa una fattoria, allearsi con le forze della natura e vivere liberi all’interno di un territorio coltivato amorosamente, piuttosto che rinchiudersi in casa, nei mezzi pubblici affollati, negli uffici climatizzati. Abbiamo la sensazione che questo mutamento sia già in corso. Esso subirà una accelerazione quando la diminuzione delle energie fossili farà aumentare il prezzo delle derrate alimentari. Quando il cibo diventerà più prezioso e quando usciremo dal dominio della plastica, il sapere dei contadini e degli artigiani sarà considerato con molto più rispetto».

Sradicare la disoccupazione:

«Con la creazione di 3 o 4 milioni di impieghi agricoli, ai quali vanno aggiunti gli impieghi indiretti e vari impieghi artigianali, l’affermazione della micro agricoltura potrebbe contribuire a sradicare la disoccupazione. La diffusione delle micro fattorie  offrirebbe ciascuna una alimentazione biologica di qualità. Questo mutamento sociale permetterebbe di chiudere il famoso “buco della Sanità”, perché una alimentazione, sana e locale per tutti, migliorerebbe il livello di salute dei nostri concittadini. Senza parlare dei benefici di una attività all’aria aperta per tutti coloro che decideranno di tornare alla terra!».

I benefici di un ritorno alla dimensione locale:

«Il ritorno ad una dimensione più locale, che auspichiamo, si accompagnerà, quando si sarà realizzato, a un ritorno dei servizi pubblici: trasporti comuni, servizi postali, sanità, cultura… Gli operatori di questi settori accresceranno a loro volta il dinamismo dei piccoli centri urbani. L’aumento della popolazione nelle cittadine e nei piccoli paesi porterà all’aumento della clientela di contadini e artigiani. Poiché un numero maggiore di beni e servizi diverrà disponibile a livello locale e dal momento che sarà sempre più facile trovare lavoro direttamente sul posto, la circolazione di beni e persone si ridurrà considerevolmente. Questo mutamento permetterà di diminuire le notevoli emissioni di anidride carbonica legate al trasporto delle persone, che rappresenta il 19% del nostro impatto ambientale e che continua ad essere una delle fonti di emissioni più difficili da ridurre».

Prendere in mano il proprio destino:

«In futuro ogni comunità locale prenderà in mano il suo destino. Il principio della solidarietà, che consiste nel conferire il massimo potere decisionale al più basso livello di organizzazione possibile, sprigionerà una immensa energia creativa. Ciascun popolo sarà dunque in grado di affrancarsi dai canoni obbligatori della modernità, dagli stereotipi del benessere e degli stimoli consumistici che essa porta con sé, per essere finalmente artefice del proprio destino. Ma tutti i popoli avranno sviluppato, lo speriamo vivamente, valori comuni, primo fra tutti l’imperante bisogno di proteggere tutte le forme di vita con le quali condividiamo questo pianeta e senza le quali non potremmo vivere. Il mondo post-petrolio sarà allo stesso tempo più radicato nella dimensione locale e più aperto verso una dimensione universale».

C’è poco da aggiungere a tanta lungimiranza, intelligenza e concretezza.

Fonte: ilcambiamento.it

Un anno che può cambiare la vita, praticamente

“Practical Sustainability”, ovvero sostenibilità pratica. Questo il tema al centro del corso annuale proposto in Inghilterra dall’organizzazione Shift Bristol. Un percorso basato su soluzioni pratiche, creative e positive per contribuire ad un futuro più sostenibile, resiliente e in equilibrio con gli ecosistemi che ci circondano. Da Leslie Griffiths, che ha vissuto questa esperienza, ecco il racconto di un anno che le ha davvero cambiato la vita. Anche un giorno qualunque può cambiare completamente la nostra direzione. Io mi trovavo nel centro della cittadina inglese di Bristol per un evento sui cambiamenti climatici quando per caso la mia attenzione cadde su un volantino un po’ stropicciato appoggiato su una panchina. Riportava a grandi lettere tre parole che in quel momento mi sembravano la cura perfetta contro il senso di frustrazione, sfiducia e impotenza nei confronti delle sfide che il nostro pianeta sta affrontando: Practical Sustainability e Shift. Le prime due “Practical Sustainability”, ovvero sostenibilità pratica, racchiudono tutto ciò che possiamo fare con le nostri mani ogni giorno per soddisfare i nostri bisogni senza compromettere le risorse disponibili alle generazioni future. Nonostante la parola “sostenibilità” fosse diventata molto comune negli ultimi decenni, la concepivo spesso come un concetto piuttosto astratto, difficilmente applicabile ad azioni pratiche e scelte quotidiane. Tuttavia, dentro di me sentivo che molti aspetti della mia vita non erano in sintonia né con la natura circostante né con la mia coscienza interiore. Distratta da impegni in apparenza prioritari e accecata da tecniche di manipolazione sociale, queste sensazioni rimanevano spesso nascoste e quando affioravano non sapevo come gestirle. Fu la terza parola che lessi su quel volantino ad aprire una breccia sul da farsi: “Shift”, che significa cambiare. Era giunto il momento di cambiare.DSC_0513.jpg

Venni così a conoscenza di un’impresa sociale no-profit chiamata Shift Bristol organizzatrice di un corso annuale in Practical Sustainability basato su soluzioni pratiche, creative e positive per contribuire a un futuro più sostenibile, resiliente e in equilibrio con gli ecosistemi che ci circondano.  Attraverso un percorso di educazione non-formale, laboratori, attività pratiche e lavoro di gruppo, Shift Bristol si propone di affrontare temi come ecologia profonda, energie rinnovabili, rigenerazione del suolo, economia circolare e transizione. Visite a realtà locali che mettono in pratica principi di permacultura e condivisione permettono di avvicinarsi a stili di vita in sintonia con la natura, a sperimentarsi in autoproduzione, bioedilizia, orticoltura, riutilizzo di materiali di scarto e ad esplorare la propria creatività. Mi innamorai immediatamente dell’idea, tutto sembrava risuonare, ma ci volle tempo per riuscire ad ascoltare la mia spinta interiore, mettere da parte l’esitazione nel lasciare un lavoro sicuro e lo scetticismo di alcuni nell’appoggiare una scelta che mi avrebbe portato a vivere in una delle città più care del Regno Unito con metà delle risorse finanziarie guadagnate fino a quel momento. Alla fine mi iscrissi al corso. Contro ogni aspettativa, già dopo poche settimane iniziai a risvegliarmi la mattina con un paio di occhi nuovi sul mondo, sulle mie responsabilità come consumatrice e come essere umano in connessione con tutto il resto della vita sul pianeta in qualsiasi forma. Iniziai a vedere come tutto sia collegato, a divorare i libri messi a disposizione dalla “biblioteca del cambiamento” e a confrontarmi con insegnanti esperti provenienti da background diversissimi ma che condividono con passione saperi ed esperienze.DSC_0723.jpg

Un ruolo unico ed essenziale in questo percorso appartiene alle persone con cui l’ho condiviso. Ventisei menti e ventisei cuori alla ricerca di qualcosa di più profondo, sotto la superficie delle cose, al di là di ciò che ci viene servito dai media. Avere la possibilità e soprattutto il tempo di osservare insieme le dinamiche di gruppo, risolvere conflitti, prendere decisioni consensuali, affrontare paure e riflettere sul cambiamento ha creato non solo grandi collaborazioni e amicizie vere ma anche la certezza di non essere soli in questo nostro percorso verso un futuro sostenibile. Indubbiamente ci furono anche momenti di sconforto e rabbia, nell’apprendere le conseguenze dell’uso di glifosato, gli effetti della vendita di semi della Monsanto in India, nel vedere foto di luoghi di natura incontaminata spazzati via per accedere alle sabbie bituminose da cui ricavare petrolio, nell’assistere al salvataggio di creature rimaste intrappolate in imballaggi di plastica etc. Ma qualsiasi percorso di cambiamento inizia anche scontrandosi con la realtà che ci disgusta e, fortunatamente, Shift Bristol seppe fornire supporto, strumenti e occasioni in cui trasformare la disperazione e l’apatia di fronte a travolgenti crisi sociali ed ecologiche, in azioni costruttive e collaborative. Ogni mese si attendevano con ansia le “gite fuori porta” che per un paio di giorni permettevano di immergersi in meravigliose realtà come quella della comunità di Brithdyr Mawr nel Galles occidentale, che si prende cura della terra lasciando la minima impronta possibile, come l’antico bosco accudito da Ben Law, l’ecovillaggio di Lammas e molti altri.

A primavera inoltrata per evitare la pioggia e per coronare la fine prossima del percorso, fu prevista la costruzione di una casetta di legno che in futuro avrebbe ospitato un asilo nel bosco, corsi di yoga e meditazione. Sembra incredibile come mesi di collaborazione, scambio, discussioni accese e apprendimento portarono un gruppo con una manciata di nozioni in bioedilizia a realizzare una struttura non solo solida e robusta ma anche bellissima. Sotto l’occhio attento ed esperto di tre guru dell’autocostruzione e della falegnameria potemmo mettere insieme i pezzi di un’esperienza che ha lasciato un segno. Considero questo corso come un prato fiorito, su cui io e gli altri, come api, abbiamo potuto trarre ispirazione come nettare e assaggiare approcci e soluzioni diverse unite da una visione comune di sostenibilità e benessere. Apprezzo infinitamente il fatto che ci siano state presentate le mille sfaccettature di ogni realtà, opinioni opposte, cause e conseguenze di ogni scelta senza la presunzione di giudicarle giuste o sbagliate. Ora, a un anno dalla fine del corso, mi ritrovo infinitamente più ricca di prima, di un bagaglio unico, di un’esperienza intensa, e posso confermare che – come suggerisce il nome Shift che a me inizialmente appariva molto ambizioso – dopo un percorso simile il cambiamento accade veramente. È inevitabile.

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2018/06/come-un-anno-puo-cambiare-vita/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni

Amka: dal seme alla sovranità alimentare in Guatemala

Contribuire al raggiungimento della sicurezza alimentare e della sostenibilità sociale, economica ed ambientale del Petén, una delle regioni più povere del Guatemala. Questo l’obiettivo del progetto di Amka Onlus. Tra le azioni in programma vi è la piantumazione di 15.000 alberi da frutto che permettono in tempi brevi di godere di un’alimentazione più variata e sana.

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Roni, il referente di Amka in Guatemala, con il logo di Creciendo Unidos

Creciendo Unidos è il progetto di Amka per garantire, attraverso la permacultura, la sicurezza alimentare, e la sostenibilità sociale, economica e ambientale del Petén, Guatemala. Ma al momento di partire, il finanziatore principale non ha potuto confermare l’immediato contributo economico alle attività, costringendo la Onlus a iniziare un crowdfunding. Ora la meta è di nuovo vicina, ma c’è bisogno di un altro piccolo sforzo.

CHI È AMKA

L’Associazione Amka nasce nel 2001 grazie all’iniziativa di un gruppo di italiani – tra i quali l’attuale Presidente Fabrizio Frinolli Puzzilli – rimasti colpiti dalle condizioni di vita di alcuni loro amici congolesi. In pochi anni l’ONG, con le sue attuali 30 persone sul campo e gli 11.500 beneficiari, è diventata un punto di riferimento nella cooperazione internazionale in Congo. Il metodo scelto da Amka (che in Swahili vuol dire “alzati” o “svegliati”) è quello di operare in maniera integrata sulle leve principali che possono determinare lo sviluppo armonico di una comunità, in particolare sull’istruzione, la salute e le attività produttive. I progetti sono legati tra loro in modo trasversale e le popolazioni locali non sono semplici beneficiarie, ma soggetti attivi che esprimono necessità ed elaborano, da protagoniste, le strategie per farvi fronte. Aspetto costitutivo di tale approccio è l’empowerment (in italiano “rendere capaci di”), che consiste nello stimolare e sostenere le capacità delle persone attraverso l’apprendimento, l’organizzazione e l’azione.

IL FRONTE GUATEMALA

Il successo ottenuto in Africa ha spinto nel 2009 Amka ad aprire un nuovo fronte d’intervento in America Centrale. La regione prescelta è stata il Petén, in Guatemala. Situato nel nord del Paese, il Petén – culla della cultura Maya – è la regione più grande e naturalisticamente più bella e ricca di biodiversità della Guatemala, ma anche la più povera, la più diseguale, con una forte presenza indigena e una situazione socio-economica che risente fortemente degli effetti della sanguinosa guerra civile fra la dittatura militare (e successivamente il governo filo-USA) da un lato, e la resistenza indios dall’altro. Una guerra che per 36 anni – fino agli accordi di pace del 1996 – ha sconvolto il piccolo stato centramericano causando il genocidio portato alla ribalta dall’attivista indigena per i diritti umani Rigoberta Menchú, premio Nobel per la Pace nel 1992. Nel Petén, l’83% dei bambini presenta forme di malnutrizione cronica, le famiglie vivono in condizioni di indigenza e senza elettricità, le disuguaglianze di classe e di genere sono molto diffuse, al punto che il numero di episodi di violenza sulle donne è il più alto del Paese.Valerio-e-i-campesinos

Valerio di Amka insieme ad alcuni campesinos del Petén

CRECIENDO UNIDOS

L’impegno di Amka in Guatemala in questi 9 anni di attività si è concretizzato in quattro filoni di intervento che hanno prodotto benefici effetti sull’alfabetizzazione, sulla sanità di base, sulla malnutrizione, sui rifornimenti di acqua potabili e sulle attività produttive. I quattro filoni sono l’educazione, l’empowerment delle donne, il turismo sostenibile e l’alimentazione. A quest’ultimo filone di intervento appartiene Creciendo Unidos – Dal seme alla sovranità alimentare, progetto che coinvolge 5 comunità indigene della regione del Petén: Nuevo Horizonte (dove verrà localizzata la sede operativa del progetto), Pato, Barrio, Juleque y Zapote. Sono comunità di ex-guerriglieri e indigeni Quechì, che vivono secondo i principi della condivisione e della solidarietà economica. Queste comunità oggi lottano ancora per diritti imprescindibili come quello alla terra, al cibo, all’educazione e alla salute. Il progetto prevede per il 2018 le seguenti 4 fasi di intervento: 1) Semina di 15.000 alberi da frutto, cosa che permetterà in breve di favorire un’alimentazione più sana e variegata. 2) Organizzazione di attività di formazione su tecniche di coltivazione sostenibili, in primo luogo la permacultura, per rafforzare le capacità locali. 3) Realizzazione di un vivaio agroforestale che assicuri autonomia alle comunità sul lungo periodo. 4) Acquisto di 3 ettari di terreni agricoli per aiutare i campesinos a combattere il sistema del latifondo, che li rende schiavi e li obbliga a sottostare alle logiche tipiche dell’agricoltura industriale: calo del reddito, impoverimento dei terreni, inquinamento delle falde acquifere e distruzione della biodiversità.

“Il nostro obiettivo è quello di contribuire al raggiungimento della sicurezza alimentare e della sostenibilità sociale, economica ed ambientale”, ci spiega Giorgia Della Valle, attivista romana di Amka che da settembre 2017 ha partecipato alla fase preparatoria del progetto e che ora dichiara: “Ho deciso di metterci la faccia, perché in primis ci ho messo il cuore”.i-fundraiser-volontari-e-lo-Studio-Controluz

Lo staff di Creciendo Unidos (Giorgia è la prima da sinistra)

L’EVENTO INATTESO E IL CUORE DEI VOLONTARI

E già, perché meno di due mesi fa, proprio quando era tutto pronto per la piantumazione di 15mila alberi da frutto nelle campagne del Petén, il principale finanziatore non ha potuto confermare il supporto economico al progetto. “Dopo tutto quel lavoro, lo sconforto è stato enorme”, continua Giorgia. “Non dimenticherò mai la determinazione di Valerio Frattura, il capo progetto, quando ha detto ‘Noi abbiamo dato la nostra parola in Guatemala e faremo tutto il necessario per mantenerla’. E così è stato. Giorgia e altri volontari hanno infatti deciso di rimboccarsi le maniche, metterci la faccia e far nascere una rete di solidarietà per evitare l’abbandono del progetto da parte di Amka. Una rete nata immediatamente e che dopo 40 giorni ha già dato diversi frutti: tre volontari della Onlus hanno realizzato un video promozionale; una talentuosa illustratrice, Susanna Doccioli, ha regalato il logo del progetto; lo staff di Amka si è attivato per ricercare finanziamenti sulla piattaforma di crowdfunding Gofundme. Infine, la stessa Giorgia, insieme al capoprogetto Valerio e agli altri volontari Simone, Sara e Federica, ha aperto una raccolta fondi personale su Facebook che in poche settimane ha già raggiunto i due terzi della cifra-obiettivo.

Il video promozionale dei volontari Amka

“Un altro piccolo sforzo e ce l’abbiamo fatta”, dichiara Giorgia. “Ora non resta che sperare che le persone non siano vinte dall’indifferenza”. E proprio per aiutare lei e gli altri cooperanti di Amka ad allargare il più possibile questa rete, Italia che cambia ha deciso di fare la sua parte, sostenendo il progetto attraverso i propri canali e invitando i suoi lettori ad attivarsi con una donazione anche minima. Perché, per dirla con la citazione di Eduardo Galeano scritta su una parete di una casa di Nuevo Horizonte, “molta gente piccola, facendo cose piccole, in piccoli luoghi, può cambiare il mondo”.frase-Galeano-a-Nuevo-Horizonte

La citazione di Galeano a Nuevo Horizonte

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Fonte: http://www.italiachecambia.org/2018/04/amka-seme-sovranita-alimentare-guatemala/