Vaccini, le questioni aperte #2 – Il rapporto tra scienza, politica e informazione

Chi controlla la composizione dei vaccini? In che modo i mezzi di informazione comunicano la scienza? E qual è la posizione dei medici all’interno dei dibattito vaccinale in corso? Continua il nostro approfondimento sul complesso tema della vaccinazioni, nel tentativo di fare chiarezza su alcune importanti questioni ancora aperte. Affrontare lequestioni aperte in tema vaccinale coinvolge ambiti diversi tra loro e molto più grandi di ognuno di noi. Un possibile approccio alla complessità può essere la lettura delle relazioni e delle dinamiche che delineano una situazione. Così la titubanza vaccinale deve poter essere ascoltata, compresa e integrata nel processo democratico così come le diverse opinioni, anche tra gli esperti, devono potersi confrontare. In democrazia i dubbi e le preoccupazioni sono sempre leciti, anzi contribuiscono al continuo miglioramento delle possibili azioni da intraprendere, se accolti in una dialettica proficua.  

Una delle questioni aperte è sicuramente il controllo della purezza dei vaccini poiché non c’è trasparenza sui certificati per l’immissione in commercio da parte delle aziende produttrici. Alcuni stati, tra cui la Cina, hanno chiesto le pubblicazioni dei certificati di validità dalle aziende produttrici dopo i numerosi scandali di vaccini scaduti, contaminati o inefficaci (23).  

Negli USA Robert F. Kennedy, Jr. ha ufficialmente vinto la causa contro l’HHS (Health and Human Services – Dipartimento della Salute e Servizi Umani) per la violazione del mandato per la sicurezza dei vaccini pediatrici del NCVIA (National Childhood Vaccine Injury Act) del 1986. Quando il Congresso diede l’immunità economica all’industria farmaceutica che così non avrebbe dovuto risarcire per danni o difetti dei vaccini, in cambio le aziende produttrici si impegnarono a presentare ogni 2 anni i test di sicurezza e sorveglianza delle reazioni avverse all’HHS che avrebbe dovuto controllarle. Non solo questi test non vennero mai eseguiti ma l’HHS non li richiese mai (11).  

Sembra che in Italia le aziende produttrici di vaccini abbiano stipulato accordi per cui non sono ritenuti responsabili in nessun caso: chi paga per eventuali difetti o danni è lo Stato che li compra. Ma come li controlla? 

Il presidente dell’Ordine Nazionale dei Biologi, dott. Vincenzo D’Anna ha chiesto ufficialmente la pubblicazione dei certificati per l’immissione in commercio. Anche lo studio Signum della Commissione Parlamentare sull’aumento di patologie e decessi dei militari in missione all’estero fece emergere la necessità di un controllo dei componenti dei vaccini, oltre alla necessità di attuare vaccinazioni personalizzate e non sommarie che si rilevò potessero aumentare il rischio di patologie gravi. A questa indagine parlamentare partecipò come consulente, insieme all’attuale ministra Grillo, la dottoressa Bolgan, biologa poi incaricata dall’associazione Corvelva di continuare quelle indagini.

VACCINEGATE, LE ANALISI SUI VACCINI

Così in Italia, caso forse unico al mondo, il Corvelva, un’associazione di genitori, ha raccolto fondi per far analizzare alcuni campioni dei vaccini in commercio al posto delle autorità statali che avrebbero dovuto proseguire l’indagine. 

La dottoressa Bolgan ha illustrato i risultati preliminari in una conferenza stampa alla Camera dei Deputati, al convegno sulla sicurezza vaccinale dell’Ordine dei Biologi (22) e in una interessante intervista insieme a Ivan Catalano, vicepresidente della Commissione Parlamentare Signum. Sono solo risultati preliminari a cui devono seguire le validazioni o confutazioni da laboratori certificati per questo tipo di analisi. Spiega la biologa di Harvard, “tali tecnologie di indagine sono usate per analizzare contaminazioni chimiche, proteiche e genetiche dall’FDA (principale istituzione americana su cibo e farmaci) e nei controlli forensi”.

Le analisi rivelerebbero un forte grado di contaminazione tossica e scarsa qualità di produzione. Alcune colture cellulari provengono da linee cellulari vecchissime degli anni ‘60, con contaminanti tossici in quantità non residuali ma veri e propri componenti del prodotto, residui di lavorazione e sostanze con attività prioniche quindi pericolose, poi parti di vermi, erbicidi, altri antibiotici, antiepilettici, “viagra”, diuretici, antimalarico, altri retrovirus, cellule cancerogene. In più alcuni dei principi attivi (antigeni) sarebbero presenti in quantità residuali o proprio non presenti al contrario di virus avventizi (che non dovrebbero esserci) che a volte risultano presenti in quantità maggiori degli antigeni richiesti. Continua la Bolgan: “Le agenzie regolatorie evolvono con le conoscenze tecnologiche di ultima generazione ma queste non sono ancora acquisite e validate nei laboratori accreditati per il rilascio dei lotti da mettere in commercio. Quindi l’indagine del Corvelva, detta Vaccinegate, descrive un sistema di produzione e l’uso di materie prime di bassa qualità con una forte contaminazione di sostanze tossiche”. 

Queste analisi hanno suscitato molte polemiche, proprio per le tecniche usate e perché non eseguite da laboratori accreditati per questo tipo di analisi. Purtroppo, per ora, nessuno ha confutato i risultati. I lotti analizzati nell’indagine, tuttavia, sono ancora in circolazione. Mentre si attendono le conferme è partito un esposto alla Procura della Repubblica (1). 

Inoltre sono già in corso altre indagini, alcune divenute penali nel corso del 2017, sulla presenza non dichiarata di materiale in micro o nano misura che potrebbe scatenare infiammazioni pericolose e altre alterazioni in diversi tessuti dell’organismo (2). Le nano e micro-particelle, già dichiarate dall’OMS come certamente cancerogene, iniziano ad essere studiate dalla nanotossicologia che sembra evidenziarne la pericolosità per l’impossibilità di essere espulse dall’organismo, se iniettate sotto cute, e l’alta mobilità nei diversi distretti del corpo (27, 28, 24). 

Viene da chiedersi: perché le istituzioni e gli organi di informazione hanno ignorato o contestato queste indagini invece di confutarle con prove di laboratorio accreditate? È lecito chiedere di poter utilizzare questo strumento di prevenzione primaria, di indubbio successo, ma nella continua ricerca della riduzione dei rischi? 

Anche i deputati europei hanno affrontato la questione della titubanza vaccinale in un documento pubblicato sul British Medical Journal dal titolo “Le dichiarazioni di sicurezza non reggono al controllo”(5,7). Poter esprimere i propri dubbi è alla base di qualsiasi organizzazione democratica.

IL RUOLO DELL’INFORMAZIONE: COMUNICARE LA SCIENZA

Ma come avviene l’informazione, fondamentale organo democratico, su tali argomenti che stanno creando evidenti problemi alla popolazione? E perché giornali e TV parlano di vaccini, epidemie e comportamenti irrazionali e anti-scientifici ma alcune notizie sono così censurate o banalizzate? Questo introduce un altro tassello nel complesso rapporto tra scienza, istituzioni e società. Comunicare la scienza è difficile, farlo in un contesto violento e urlato lo è a maggior ragione. Affronta la questione anche il dott. Peter Doshi, editorialista del BMJ chiedendo più verità e rispetto per i pazienti (26). 

La Scientific American ha svolto un’indagine su come l’FDA manipola e vincola l’informazione a proprio piacimento, allontanando di fatto la narrazione mediatica dalla realtà dei fatti, al di là delle possibili personali interpretazioni (18). Il campo di battaglia è la gestione della percezione del rischio da parte di TV e giornali. Chi si occupa di comunicazione scientifica si chiede quale sia la strategia migliore per comunicare la scienza. Molti accademici parlano dei Bias cognitivi: pregiudizi e predisposizione ad errori, del nostro sistema percettivo e cognitivo, che attiviamo per districarci nella complessità del mondo. Questo ci porta a selezionare le notizie, e a credervi, sulla base delle nostre convinzioni preesistenti e non su un esame più obiettivo dei dati. Ne siamo tutti vittima ma ognuno sembra che parli di quelli degli altri non fornendo strumenti per riuscire a superare i propri bias; quindi quale utilità? (13, 14) 

Spesso sembra che l’intento sia solo quello di capire quale sia il modo migliore per convincere chi è indeciso o ritarda nel vaccinare i propri figli: usare l’arma della paura sulle potenziali malattie a cui va incontro chi non si vaccina oppure instaurare rapporti dialoganti con i genitori per creare un contesto di fiducia? Usare la censura di chi pone dubbi e chiede vaccinazioni ad personam oppure usare uno stile più profilato per il target a cui ci si vuole rivolgere?

UNO SCONTRO TRA VISIONI

La comunicazione della scienza si occupa prevalentemente di opportunità di convincimento. Dei fatti – come i risultati dello studio Signum, dei danneggiati da vaccino riconosciuti e risarciti dallo stato (12, 19, 20, 21), della richiesta da parte dei ricercatori di ulteriori indagini sulle vaccinazioni multiple – non c’è quasi traccia nella comunicazione della scienza accademica e mainstream. Anzi c’è chi sente il bisogno sempre più forte di delineare chi promuove la verità scientifica e chi invece no. Tutto si riduce ad una polarizzazione tra buoni e cattivi mentre i dubbi sono da screditare. Questo atteggiamento viene da lontano, il tema vaccini ha solo scoperchiato una situazione preesistente. In ogni settore legato alla salute e alla medicina lo scontro di visioni, approcci e gestione del potere corporativo caratterizza il panorama come uno dei più frastagliati e disomogenei. Un interessante suggerimento dello storico Pietro Ratto prova a superare questo scontro tra fazioni arroccate ognuna sulle proprie convinzioni. Egli pone l’accento sulle diverse interpretazioni dei fatti su cui ognuno basa le proprie idee e a cui non deve essere costretto a rinunciare. Solo l’essere disposti ad aprirsi al confronto per poter ragionare sulle prove può far guadagnare un reale dialogo. Egli analizza il bisogno di certezze di ognuno come base fondamentale su cui costruire man mano le proprie idee ma non per dare risposte bensì per fare domande. Altrimenti si diventa sempre più fragili e sempre meno disposti ad esporsi al rischio di essere smentiti arrivando alla chiusura: chi sente di avere certezze è più portato a disprezzare quelle degli altri. Ma la valutazione del rischio/beneficio, basato anche sulle evidenze scientifiche, deve essere un percorso aperto alle diverse istanze in quanto ognuno è portatore di interessi, se no facilmente si ricorre alla delega. Le istituzioni sanitarie diventano quindi un’entità genitoriale cui affidarsi e non un organismo politico da costruire insieme. Affidarsi alla consuetudine di ciò che già sappiamo rischia di farci perdere la possibilità di una crescita individuale e collettiva oltre che condannarci ad una guerra perpetua (25, 26).

E I MEDICI?

Diversi sono state le dichiarazioni e i documenti pubblicati. L’organo ufficiale, federazione di tutti gli ordini provinciali dei medici, la FENOMCEO ha pubblicato una review dal tono rassicuratorio per contribuire a frenare il calo delle coperture vaccinali verificatesi negli ultimi anni. Purtroppo però leggiamo anche delle imbarazzanti scorrettezze: “I vaccini sono sicuri perché prodotti secondo la più rigorosa metodologia, attraverso studi clinici sperimentali controllati e randomizzati, attuati spesso in doppio cieco versus placebo e sottoposti al controllo incrociato di esperti”(8). Ciò non risulta corretto in quanto per definizione essendo somministrati su popolazione sana non possono essere stati testati contro controlli o placebo e in doppio cieco (i requisiti della medicina basata sulle prove EBM). Neanche il documento suggella l’affermazione con questo tipo di dati. Un interessante documento congiunto di diverse società e federazioni di medici tra le più influenti e autorevoli (SIF, SITL, SIP, FIMMG, FIMP) esamina l’importanza della prassi vaccinale globale, e non locale, e promuove un approccio alla vaccinazione “per tutta la vita” (life course) come elemento chiave per un invecchiamento in salute (16). 

Nel documento si dichiara la volontà di superare il paternalismo sanitario cioè l’uso di interventi attraverso i quali l’Autorità interferisce con la libertà dei singoli al fine di meglio perseguire il loro interesse. Viene proposto, invece, il paternalismo libertario, cioè il nudge. Il nudging, che origina dal neuromarketing e dalle scienze comportamentali, propone spinte e incentivi per un condizionamento subdolo ma a fin di bene. Esso non prevede obblighi o penali ma il rispetto delle libertà individuali: una spinta verso un comportamento sano. Non risulta chiaro come questo strumento auspicato nel documento possa coesistere con le rispettive dichiarazioni favorevoli all’obbligo, alle imposizioni e alle pene. Altre associazioni di medici si sono impegnati nella revisione di studi scientifici e hanno pubblicato documenti e review analizzando i singoli vaccini; ecco quello della Rete Sostenibilità e Salute (4) e quello della SIPNEI (3). Ma altri professionisti e docenti universitari hanno prodotto raccolte di letteratura come quella del professor Bellavite dell’Università di Verona (17).  

E qui (9) la famosa lettera di più di 150 medici che nel 2015 sollevarono dubbi sulla vaccinazione indiscriminata di massa che mise in luce come le vaccinazioni, pur essendo uno strumento in generale valido, determinassero una fragilità del sistema immunitario rispetto a chi non le faceva o ne faceva un numero minore con molte evidenze scientifiche segnalate. Questo per poter meglio discriminare tra le diverse opportunità vaccinali e i diversi individui candidati a riceverli. Molti di questi medici iniziarono a subire procedimenti di radiazione dall’Ordine dei Medici due anni dopo, a ridosso dell’approvazione della legge Lorenzin.

Tra i medici esistono visioni e approcci anche opposti su quasi tutto, così come la letteratura scientifica è soggetta a continue correzioni come abbiamo visto nella prima parte dell’articolo. Le discussioni sui vaccini stanno facendo solo venire fuori ciò che già da tempo caratterizzava la difficile ma necessaria coesistenza di diverse interpretazioni, opinioni e pratiche mediche professionali. Dopo le numerose radiazioni di dottori e dottoresse colpevoli di aver posto dubbi sulle vaccinazioni a tappeto, senza alcuna denuncia o errore a carico, e spesso con i figli vaccinati, il clima è cambiato. Ora si ha paura a parlare, perché il rischio è quello di non poter più lavorare se radiati dall’Ordine dei Medici.  Questa è forse la cosa che più delinea lo stato di incapacità al confronto, l’uso della censura e la diffusione dell’autocensura. Chi si sente al sicuro essendo stata zittita una parte dei medici? 

L’autoritarismo, anche in nome della scienza, ha molte forme e rivela la perdita di autorevolezza di un intero sistema.

La preoccupazione ed il dubbio sono sempre leciti in quanto attivano i processi democratici utili ad una società moderna. Poterli esprimere serve a mantenere solida una delle più grandi conquiste nel campo dei diritti umani: il consenso informato, non cancellato dall’obbligo vaccinale. Esso gioca un ruolo strategico anche come strumento per il progresso e l’efficacia della medicina.  La pratica vaccinale è considerata utile dalla stragrande maggioranza dei medici e dei cittadini ma deve poter essere attuata nel miglior modo possibile quindi nella continua ricerca di una maggiore efficacia e sicurezza. Serve più cautela e temperanza nei toni, maggior impegno nell’acquisire nuovi strumenti di dialogo e più trasparenza.

Fonti
1 https://drive.google.com/file/d/1w_Vb61WViASp_X9VqOasOatBcsGEhygd/view
2 https://www.informazionelibera.org/cronaca-sanitaria/vaccini-contaminati-e-boom-mediatico-e-ci-sono-indagini-penali-in-corso.html
3 https://sipnei.it/news-scientifiche/la-posizione-della-sipnei-sulla-legge-sui-vaccini-sul-dibattito-ancora-corso/
4 https://www.sostenibilitaesalute.org/vaccini-una-discussione-oltre-le-ideologie-la-posizione-della-rete-sostenibilita-e-salute/
5 https://www.bmj.com/content/360/bmj.k1378/rr-0
6 https://www.youtube.com/watch?v=PVrPQaX913E
7 https://www.bmj.com/content/360/bmj.k1378.full
8 https://portale.fnomceo.it/wp-content/uploads/import/201801/156001_documento_sui_vaccini_fnomceo_8_luglio_2016-1.pdf
9 http://www.informasalus.it/it/articoli/vaccinazioni_lettera_presidente_sanita.php
10 https://www.youtube.com/watch?v=V3h_G6BN9PM
11 http://www.onb.it/2018/12/02/la-vittoria-di-kennedy-contro-lhhs/
12 http://www.condav.it/document/Homepage/Lettera%20aperta%20Ministro%20Grillo%2009.09.18.pdf
13 https://www.wired.it/scienza/medicina/2019/01/15/comunicazione-scienza-burioni/?fbclid=IwAR3E8A1K5rYKE8jJWxcJTqFrqnaTjkk2UfHt-g4tG-XS4YpZ_wTsnQEf5yo
14 https://www.wired.it/scienza/medicina/2019/01/14/critici-burioni-comunicazione-scientifica/?refresh_ce=
15 https://www.corvelva.it/it/
16  https://www.fimp.pro/images/vaccini.pdf
17 https://www.researchgate.net/profile/Paolo_Bellavite/publication/317505452_SCIENZA_E_VACCINAZIONI_Plausibilita_evidenze_deontologia/links/596e3521aca272d552fe34a1/SCIENZA-E-VACCINAZIONI-Plausibilita-evidenze-deontologia.pdf
18 https://www.scientificamerican.com/article/how-the-fda-manipulates-the-media/
19 http://www.onb.it/2019/02/28/danni-da-vaccino-tar-intima-ministero-a-risarcire-mezzo-milione-di-euro/
20 http://www.diritto24.ilsole24ore.com/art/dirittoCivile/responsabilita/2017-10-16/vaccinazioni-obbligatorie-e-soggetti-danneggiati-141140.php?refresh_ce=1
21 https://www.onb.it/2019/01/08/ecco-lo-studio-segreto-sui-vaccini/
22 https://www.youtube.com/watch?v=qCkOyJphN3I&feature=push-lsb&attr_tag=p482NKpCAqUnb8Cv%3A6
23 https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/01/27/cina-vaccini-senza-controlli-lultimo-caso-dosi-scadute-a-145-bambini-verificato-solo-il-5-dei-campioni/4927619/
24 http://blog.ilgiornale.it/locati/2017/02/11/vaccini-sporchi-minacce-ai-ricercatori-2/
25 https://infosannio.wordpress.com/2019/01/15/limmunologa-maria-luisa-villa-fa-a-pezzi-la-retorica-del-castigatore-di-somari-di-burioni/?fbclid=IwAR0TVk1JKAXHELqflpLxhVy1G_s6s_D-8I7Lm2Wvs9jldQNkwkuof0UAvjE
26 https://www.bmj.com/content/bmj/suppl/2017/03/22/bmj.j661.DC1/translation_italian_peter_doshi.pdf
27 https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC4466342/
28 https://medcraveonline.com/IJVV/IJVV-04-00072.pdf

Tratto : http://www.italiachecambia.org/2019/04/vaccini-questioni-aperte-2-rapporto-scienza-politica-informazione/

Nasce a Torino la Biblioteca Condivisa del quartiere, dove i libri sono di tutti

Nel quartiere Mirafiori Sud di Torino è recentemente nato un luogo molto speciale. Si chiama Biblioteca Condivisa ed è uno spazio pensato per raccogliere i libri abbandonati ed inutilizzati di coloro che vogliono disfarsene, per metterli a disposizione degli abitanti del quartiere. Un progetto sociale ed inclusivo realizzato proprio in periferia, che dà la possibilità a tutte le persone di condividere un libro, una lettura, un momento di compagnia. Un buon libro e una tazza di the sono un rimedio essenziale per fare una pausa dalla routine di tutti i giorni, una vera e propria medicina per l’anima. Ma se ci troviamo in un bar e teniamo tra le mani un libro che è stato donato da qualcun altro, ciò acquisisce un significato ancora più grande. A Mirafiori Sud è nata recentemente la “Biblioteca Condivisa”, un luogo accogliente e aperto a tutti, un bar in cui fermarsi, sorseggiare una bevanda e stare in compagnia di un buon libro che qualcuno, a noi sconosciuto, ha gentilmente messo a disposizione. Lo spazio è pensato con lo scopo di rendere la lettura accessibile a tutti e si basa su un principio fondamentale: la condivisione dei libri.

La biblioteca nasce e cresce grazie alla partecipazione di tutti i cittadini che decidono volontariamente di donare i libri cartacei che non utilizzano più, i manuali abbandonati negli scaffali e nelle cantine della propria abitazione, così come i volumi non più utilizzati a cui si vuole dare una seconda possibilità mettendoli a disposizione di altre persone.
L’iniziativa dà vita ad una vera e propria Biblioteca Condivisa di Quartiere, uno spazio che vuole creare coesione, scambio, collaborazione. L’idea ha un valore sociale molto forte poiché scommette sull’inclusione attiva della comunità che vive nella periferia, ponendosi come filo conduttore capace di far conoscere, dialogare ed avvicinare le persone.

“Potrete venire in qualunque momento e leggere un libro sul posto – affermano gli organizzatori – oppure potrete prendere liberamente un libro, portarvelo a casa, leggerlo con calma e riportarlo quando lo avrete finito. Senza tessera, senza registrazione, nella massima libertà e nella inevitabile fiducia che ci deve essere tra persone che condividono la passione per la cultura”.

Il progetto è stato realizzato all’interno di un bar con l’obiettivo di gestire contemporaneamente la biblioteca e la caffetteria. Nell’immaginario comune il bar rappresenta un luogo di sosta, di ristoro ed è in questo caso pensato per permettere alle persone di sedersi, conoscersi e condividere con amici o sconosciuti la lettura di un buon libro.
Caratteristica molto apprezzata è il fatto che lo spazio accoglie chiunque, senza obbligo di consumazione. L’obiettivo primario rimane infatti quello di valorizzare la funzione aggregativa e culturale.  In virtù della sua vocazione sociale, “la Biblioteca Condivisa organizzerà presto una lunga serie di incontri, appuntamenti a tema, presentazioni di libri, momenti per condividere passioni. Sempre con al centro i libri e le persone”. Le attività sono pensate per tutte le fasce di età e ne sono esempio gli incontri di letture di quartiere che regolarmente coinvolgono i residenti, le attività coi più piccoli e gli incontri con gli scrittori.

La Biblioteca Condivisa di Mirafiori Sud è uno di quei luoghi in continua crescita e trasformazione che si rinnova ogni giorno grazie al quotidiano scambio di libri ed al contribuito di chi vive nel quartiere e che crede fortemente nella bellezza della lettura.

Foto copertina
Didascalia: Libreria
Autore: Unsplash
Licenza: CCO Creative Commons

Fonte: http://piemonte.checambia.org/articolo/nasce-torino-biblioteca-condivisa-quartiere-dove-libri-sono-di-tutti/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni

Mercato Circolare, l’app dell’economia che gira bene

Promuovere l’economia circolare partendo da un utilizzo mirato delle tecnologie digitali. Nasce con questo obiettivo l’app Mercato Circolare, che permette di trovare prodotti, servizi ed eventi presenti sul territorio riducendo i rifiuti. Per sapere cos’è e come funziona abbiamo intervistato Nadia Lambiase, ideatrice del progetto.

Puoi presentarti?

“Mi chiamo Nadia Lambiase, ho 36 anni e sono laureata in Cooperazione, Sviluppo e Mercato Transnazionali. Dopo dieci anni in Banca Etica, in cui mi sono occupata di progetti di microcredito, microrisparmio, innovazione, pianificazione strategica e controllo di gestione, sono oggi dottoranda in Innovation for the Circular Economy all’Università degli Studi di Torino. Sono ideatrice, fondatrice e presidente di Mercato Circolare srl società benefit, come pure dell’Associazione Pop Economix“.

Che cos’è Mercato Circolare?

“Mercato Circolare è una applicazione gratuita che rivela agli utenti chi, in Italia e anche fuori, sta facendo economia circolare. Ed è anche una start-up innovativa a vocazione sociale, nonché benefit company, fondata a giugno del 2018 con la missione di far emergere e far crescere l’attenzione e l’interesse del pubblico per l’economia circolare e le sue imprese, a partire da un uso mirato delle tecnologie digitali. In Italia, va sottolineato, esistono ormai centinaia di imprese che producono e/o vendono beni e/o servizi seguendo i principi dell’economia circolare. E tanti italiani si dicono interessati a prodotti che riducono sensibilmente l’impatto sull’ambiente. Ma non sempre imprese e potenziali clienti si incontrano. Per questo stiamo provando a costruire ponti tra cittadini e imprese che hanno fatto questa scelta coraggiosa e intelligente”.

Com’è nata l’idea?

“L’idea di creare una app nasce nella primavera 2017, contemporaneamente alla messa in scena dello spettacolo Blue Revolution. L’economia ai tempi dell’usa e getta, seconda produzione dell’Associazione Pop Economix che si occupa di aiutare le persone a conoscere l’economia per essere cittadini più consapevoli.  Blue Revolution unisce tre storie – la storia dell’economia dell’usa e getta, il dramma dell’inquinamento da plastica dei mari e la vicenda del giovane imprenditore Tom Szaky, per proporre una nuova visione del rapporto tra produzione, consumo e ambiente: un’alleanza basata sull’economia circolare, quella che trasforma i rifiuti in ricchezza, e l’economia civile, teorizzata da Antonio Genovesi (1763) qualche anno prima del celebre “La Ricchezza delle Nazioni” di Adam Smith. Per Genovesi, in fatti, il fine ultimo dell’economia non è la ricchezza ma la felicità pubblica. Il lavoro di costruzione drammaturgica ha fatto scoprire tante realtà virtuose di economia circolare in Italia, ma poiché, ai fini dello spettacolo, si è scelto di raccontare una storia straniera è nata l’idea di creare un sistema semplice per renderle accessibili a tutti le storie di imprese raccolte, attraverso una app.  Dalla app si è passati a scegliere di dare vita a una azienda a nostra volta, i cui soci fondatori, oltre a me, sono Riccardo Gagliarducci, Paolo Piacenza, Carlotta Cicconetti e la stessa Associazione Pop Economix”.

Che cosa intendete per “imprese circolari” e perché è importante promuoverne la diffusione?
“L’economia circolare rappresenta la risposta strutturale più avanzata e completa al nodo della sostenibilità dello sviluppo economico, in ragione dei quattro principi su cui si fonda. Questi sono anche i criteri alla luce di quali selezioniamo imprese e prodotti da far conoscere attraverso la app. E’ più facile parlarne se facciamo qualche esempio.

Il primo principio postula la necessità di generare valore dallo scarto, come ben rappresenta l’operato di Edizero, nata in Sardegna, che recupera le eccedenze della lana, delle sottoproduzioni di vinacce, di latte, di miele, di formaggi, di potature, per ottenere prodotti isolanti, pitture e intonaci ecologici. O come ha scelto di fare l’azienda Quagga, che produce giacche e maglie a partire da plastica riciclata. Il secondo principio postula la transizione verso l’utilizzo di materiale biodegradabile e l’utilizzo di energie da fonti rinnovabili, come evidenzia il processo produttivo della società agricola Le Erbe di Brillor, di Alice Superiore (Torino), che realizza agridetergenti per bucato e piatti a partire da piante che coltiva e trasforma presso la propria cascina.  Il terzo principio postula la necessità di estendere la vita dei prodotti attraverso il mercato dell’usato, attraverso la riparazione, la vendita di prodotti sfusi, e la rigenerazione. Qui basta è pensare agli artigiani che fanno ancora riparazioni, ai negozi leggeri, a chi costruisce per la durata (lo smartphone Fairphone, ad esempio) o ha introdotto processi di rigenerazione degli elettrodomestici come il progetto Ri-Generation, di Torino, ideato da Astelav. Infine il quarto principio invita a concentrarsi sul valore d’uso piuttosto che su quello di proprietà, come per esempio incentiva a fare la App Paladin con cui è possibile mettere in condivisione le cose che abbiamo ma usiamo raramente, come, ad esempio, il proprio trapano o le ciaspole per andare sulla neve”.

Avete creato un’app. Di cosa si tratta e come funziona?

“La app Mercato Circolare, disponibile in versione beta per Android e Apple, dà accesso a una mappa qualificata e georeferenziata del mondo dell’economia circolare in Italia e non solo: ad oggi censisce più di 400 realtà ed è pensata sia per cittadini, proponendo prodotti e imprese che si rivolgono al consumatore finale, sia per le aziende, proponendo prodotti e imprese che si rivolgono ad altre imprese. Importante anche, la sezione “Partecipa in Prima Persona“, dove si possono trovare non solo eventi sul tema dell’economia circolare ma anche associazioni e organizzazioni eco-sostenibili, come ciclofficine, ferramenta di quartiere e orti urbani. Una mappa, quella di Mercato Circolare, che si arricchisce grazie a un lavoro di scouting quotidiano e grazie al crowdsourcing degli stessi utenti che suggeriscono prodotti, imprese, iniziative in linea con i criteri dell’economia circolare”.

Che attività portate avanti e quali eventi organizzate? Solo a Torino o anche in altre città?

“Oltre alla app, Mercato Circolare conduce attività di formazione e consulenza su tutta Italia. Infatti, cura la realizzazione di eventi formativi, divulgativi e culturali, come la circuizione dello spettacolo teatrale “Blue Revolution. L’economia ai tempi dell’usa e getta” e workshop modulabili. Attiva inoltre percorsi di consulenza e occasioni di networking tra imprese, istituzioni, enti di ricerca, come per esempio il percorso di consulenza che sta portando avanti con il comune di Genola, nel cuneese, per coinvolgere e sensibilizzare la cittadinanza sui temi della raccolta differenziata e dell’economia circolare, includendo alcune imprese circolari del territorio”.

Il progetto Mercato Circolare è nato da poco. Com’è andata questa fase iniziale e quali i prossimi obiettivi?

“Siamo ancora in fase di avvio ma abbiamo già ottenuto un riconoscimento importante: siamo stati selezionati tra le prime 10 start up più innovative dal Circular Economy Network. Uno dei prossimi progetti di Mercato Circolare è quelli di attivare percorsi di uso del gioco – digitale o meno – come modalità di apprendimento su temi specifici come l’energia, il cibo e il fashion, per fare un giro virtuale tra imprese, prodotti, eventi ed esperienze circolari”.

Foto copertina
Didascalia: App Mercato Circolare
Autore: Mercato Circolare

Fonte: piemonte.checambia.org

AAM Terra Nuova: quando il cambiamento parte dall’informazione

Dall’alimentazione alla medicina naturale, dall’agricoltura biologica alla permacultura, dalla bioedilizia al consumo critico, dall’ecoturismo alla ricerca interiore. Nata nel 1977 la rivista mensile AAM Terra Nuova  costituisce un punto di riferimento importante del mondo naturale e delle buone pratiche. Da decenni, inoltre, Terra Nuova funge da collegamento tra le varie realtà della rete ecologica e biologica italiana. Già negli anni ’80, infatti, Terra Nuova si è fatta promotrice del movimento dell’agricoltura biologica, più tardi della Rete italiana degli ecovillaggi (1) e oggi del movimento del co-housing. L’acronimo AAM sta per “Agricoltura, Alimentazione e Medicina” ma gli argomenti trattati dalla rivista abbracciano ogni aspetto del nostro quotidiano. La possibilità di cambiamento, infatti, ci può essere solo quando i vari saperi si incontrano. Ne è convinto Mimmo Tringale, direttore responsabile della rivista e tra i fondatori della Rete Italiana degli ecovillaggi (Rive). “Una delle problematiche attuali – afferma Tringale – è la parcellizzazione dei saperi e delle esperienze. Per fare un esempio, c’è chi cura la propria salute in modo naturale ma allo stesso tempo guida veicoli altamente inquinanti”.

“Per cambiare la propria vita e la società è necessaria una visione d’insieme e servono nuovi strumenti: non si può costruire un mondo nuovo usando strumenti vecchi”. Il primo tra i nuovi strumenti indispensabili secondo Mimmo Tringale è proprio la comunicazione: “la comunicazione ecologica e non-violenta sono strumenti formidabili per imparare a crescere come gruppo”.

Un altro strumento molto importante è la permacultura, come strumento di organizzazione e pianificazione. “Spesso – continua Tringale – la permacultura viene intesa esclusivamente come un tipo di agricoltura; invece se utilizzata bene può rappresentare un modo per pianificare qualsiasi attività”.MG_2943

Un altro tra gli strumenti ai quali fa riferimento Tringale è la crescita personale: “non si può costruire un mondo nuovo senza mettere in discussione le proprie idee. È fondamentale avere degli strumenti per capire se stessi e per capire gli altri. Oggi vedo che c’è più consapevolezza, anche se forse ce ne potrebbe essere ancora di più”.

Malgrado la crisi generale del mondo dell’editoria, negli ultimi 15 anni AAM Terra Nuova è cresciuta sia come copie vendute che come punti vendita dove è possibile acquistare la rivista. Abbiamo chiesto a Mimmo Tringale a cosa, a suo avviso, è riconducibile questo trend positivo. “Questo dato – ci spiega Tringale – ci ha sorpreso, considerata la crisi generale del mondo dell’editoria. Ci siamo interrogati su come mai si continua a registrare questa crescita. La risposta che ci siamo dati è che è che è come se questa crisi avesse smascherato il sistema in cui viviamo tutti: anche coloro che erano rimasti abbagliati dalle luci e dai racconti di terre promesse si sono resi conto che si tratta invece di un grande bluff e improvvisamente si sono trovati senza soldi o con lavori precari. È così che le persone più consapevoli hanno iniziato a cercare di più ciò che per loro poteva essere più salutare e autentico. Non è quindi un caso che esperienze come la nostra hanno sentito molto meno la crisi. Anche il biologico è stato l’unico settore dell’agroalimentare che ha continuato a crescere”.MG_2960

Da sempre un tema centrale di Terra Nuova è quello della decrescita. “La decrescita – spiega Tringale – ha fornito una cornice teorica alla sobrietà e l’ha trasformata da scelta individuale a possibilità collettiva, o forse una delle poche alternative possibili per continuare a vivere su questo Pianeta. Noi oggi stiamo vivendo una decrescita infelice perché non governata, e quindi una decrescita che ampi strati della popolazione stanno pagando a caro prezzo. Questa decrescita, in ogni caso, sta selezionando anche le scelte delle persone. La scelta più ecologica, a mio avviso, è quella di riuscire a tessere delle reti e ricostruire radici laddove si vive”.

“A me piace essere ottimista e sono convinto che ci sia oggi un aumento di consapevolezza. Per esempio nel mondo degli ecovillaggi c’è un grande fermento. C’è un grande numero di progetti che stanno nascendo. Pur con mille difficoltà, c’è molto desiderio da parte dei giovani di cercare un’alternativa. Io spero molto nelle nuove generazioni, che mi sembrano molto meno legate agli schemi ideologici da cui veniamo noi. È a loro che dobbiamo dare fiducia e spazio”.

  1. Della Rete Italiana degli Ecovillaggi, fondata da Mimmo Tringale e oggi presieduta da Francesca Guidotti, parleremo più approfonditamente la prossima settimana nel video-racconto che sarà pubblicato il 25 marzo

 

Il sito di AAM Terra Nuova 

 

fonte: italiachecambia.org

È possibile una medicina sobria, rispettosa e giusta?

Informazione unilaterale, qualità poco misurabile, corruzione, conflitti di interesse, scarsa trasparenza nelle scelte e nelle decisioni. Questa è oggi la sanità, soprattutto nei Paesi industrializzati, il settore economico a più largo consumo di beni e servizi. Ospitiamo l’editoriale del dottor Antonio Casella.buona_medicina

Nella realtà di oggi, almeno nei Paesi industrializzati, quello sanitario è probabilmente il settore economico a più largo consumo di beni e servizi. Si tratta di un settore molto particolare, che si configura come un sistema complesso, caratterizzato dall’incertezza, dall’asimmetria informativa, dalla qualità poco misurabile, dalla variabilità delle decisioni. Questo facilita e rende possibile fenomeni di corruzione, di conflitti di interesse, di scarsa trasparenza nelle scelte e nelle decisioni da cui dipendono sia il funzionamento sia i costi di quel complesso sistema. Tutto è cominciato con un lento ma inarrestabile progresso. In medicina, il progresso ha cambiato radicalmente il destino degli ammalati: pensiamo alla penicillina, e poi agli antibiotici; ai raggi x e alla possibilità di vedere dentro il corpo per scoprire cosa non va. E tutto quello che è seguito: la realizzazione di farmaci capaci di arrestare, curare, guarire malattie che solo pochi decenni prima rappresentavano una condanna certa; l’invenzione di tecnologie diagnostiche sempre più raffinate, che fanno pensare che, entro breve, sarà possibile individuare qualsiasi malattia prima che abbia avuto la possibilità di danneggiarci, e poi di eliminarla, e di vivere sempre più a lungo, sani e forse eternamente giovani. Ecco: ad un certo punto il progresso ha generato illusioni, si è staccato dalla realtà. Fra i cittadini si è diffusa la convinzione che sia meglio un farmaco in più che uno in meno; che qualsiasi esame diagnostico sia utile, meglio ancora se nuovo e molto tecnologico; che in qualunque evento della vita di un essere umano sia più sicuro un intervento medico che l’evoluzione naturale della situazione. Un’inchiesta svolta in Svizzera rileva che la quasi totalità della popolazione (tra il 70 e l’80%) è dell’opinione che la medicina sia una scienza esatta, quindi non soggetta a dubbi, incertezze, percentuali di errore. Alcuni anni fa tre studiosi della qualità dell’assistenza sanitaria e della medicina basata sulle prove di efficacia (Domenighetti G., Grilli R., Liberati A. “Promoting Consumer’s Demand for Evidence-Based Medicine”,International Journal of Technology Assessment Care1998; 14: 97-105) si chiesero come promuovere presso i cittadini una domanda di cure e prestazioni sanitarie scientificamente più fondata di quella che viene utilizzata abitualmente, che si basa in gran parte su convinzioni non verificate e su necessità indotte dal mercato, che poco hanno a che fare con la salute  correttamente intesa. La domanda continua ad essere attuale: esiste un modo per permettere ai cittadini di valutare in maniera corretta e non manipolata la qualità delle cure che vengono loro proposte? La risposta non è facile. Da un lato, si direbbe che per la maggior parte delle persone il sistema sanitario sia una sorta di “scatola nera” i cui contenuti sfuggono agli occhi ed alla comprensione dei non addetti ai lavori: i cittadini non hanno alcun modo di sapere che l’80% dei nuovi farmaci sono copie di farmaci già esistenti, ad eccezione del prezzo che di solito triplica in nome della novità; e che soltanto il 2,5% di quei farmaci rappresenta un progresso terapeutico reale. Oppure che secondo l’ OMS (Organizzazione mondiale della Sanità) le prestazioni che non danno nessun beneficio ai pazienti incidono per una percentuale fra il 20 ed il 40% sulla spesa sanitaria. Che il consumo pro-capite di antibiotici, nel nostro Paese è uno tra i più alti tra i Paesi OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico). Che le tecnologie medicali: per esempio il numero di RMN (Risonnze Magnetiche Nucleari) e TAC (Tomografia Assiale Computerizzata) presenti nel nostro Paese rispetto ad altri paesi sviluppati ha un rapporto rispetto al numero di abitanti tra i più alti; e che le stime sul numero di esami radiologici effettuati ci pongono ancora ai primi posti tra i Paesi OCSE. Ed inoltre, chi ha tentato di valutare lo spreco economico rappresentato dalla corruzione e dalla frode nei sistemi sanitari d’Europa ha stimato questo impatto in 153 milioni di euro al giorno. I cittadini hanno ancora troppo poche possibilità di accedere a informazioni di questo tipo, di comprenderle in maniera corretta e di utilizzarle nella loro relazione con il sistema sanitario e nell’orientamento delle  loro richieste. Il problema è l’inquinamento dell’informazione scientifica.

Come scrive Richard Smith, direttore per molti anni del British Medical Journal (una delle più importanti riviste mediche internazionali), ogni tanto bisognerebbe ricordare all’opinione pubblica che la morte è inevitabile, che la maggior parte delle malattie gravi non può essere guarita, che le protesi qualche volta si rompono, che i farmaci hanno anche effetti negativi, che molti interventi medici offrono benefici marginali o non funzionano affatto e che ci sono modi migliori per spendere soldi che acquistare tecnologia sanitaria. La presa di coscienza e la collaborazione dei professionisti dell’informazione e della sanità è fondamentale per moderare le aspettative  dei cittadini e riportarli ad atteggiamenti più realisti e più critici di fronte alla promessa di nuove cure “miracolose”. Per esempio, è convinzione comune che quanto prima è individuata una malattia, tanto più favorevole è la prognosi, cioè tanto maggiori sono le probabilità di guarigione; effettivamente in molti casi è così, ma non sempre. Studiando l’evoluzione naturale delle malattie ci si è accorti che le cose non vanno sempre in modo così semplice e lineare; per nostra fortuna un numero significativo di malattie regredisce spontaneamente prima di avere dato sintomi che mettano in all’arme la persona. Malattie anche gravi, come i tumori, possono guarire da sole o non manifestarsi mai, grazie alle prodigiose difese naturali messe in campo dal nostro organismo. Per esempio risulta che il 30% dei tumori della mammella riscontrati con gli screening attualmente in uso non si sarebbero manifestati comunque anche se non trattati. Negli ultimi trent’anni con il progredire delle capacità diagnostiche, il numero di diagnosi di cancro della tiroide e della prostata è molto aumentato ma, nonostante tutte queste diagnosi precoci, la mortalità è rimasta pressoché immutata. Ciò significa che si è registrato un eccesso di diagnosi, che ha portato a classificare come malate persone le quali, con ogni probabilità, sono state poi sottoposte  a interventi medici che non hanno modificato gli esiti della malattia. Negli ultimi anni le soglie di molti parametri biologici (come il tasso di colesterolo, la glicemia, la lipidemia, la pressione arteriosa, la densità ossea….) sono state riviste al ribasso, cosicché i confini dei valori considerati patologici si sono allargati moltissimo. Risultato? Tutti gli adulti viventi sono virtualmente affetti da una “malattia” cronica. Chi ha interesse ad aumentare artificiosamente il numero di persone che necessiterebbero di cure, di farmaci, di controlli, di interventi? E’ stato dimostrato, purtroppo, che i criteri diagnostici sono sempre più spesso definiti da gruppi e commissioni che ricevono cospicui finanziamenti da case farmaceutiche direttamente interessate all’espansione del mercato. “Quando visitate un paziente anziano pensate per prima cosa a quali farmaci togliergli, non a quali farmaci dargli”,ripeteva Fabrizio Fabris, grande geriatra e maestro di geriatri.

Medici, cittadini e anche professionisti dell’informazione dovrebbero puntare soprattutto all’assunzione di stili di vita equilibrati e sobri, cioè mangiare con moderazione, non eccedere nell’alcol, non fumare, coltivare interessi diversi. Farmaci ed esami? Solo quando è davvero necessario.

Per uscire dall’illusione pericolosa che una buona sanità coincida con la certezza di diagnosi immediate ed infallibili, di interventi e di cure risolutive per ogni sintomo, compresi quelli legati alla naturale instabilità del benessere  psicofisico e all’invecchiamento, è indispensabile che la “scatola nera”, di cui accennavo prima, diventi più trasparente: i cittadini devono informarsi ed essere informati su come funziona l’organizzazione sanitaria; su cosa c’è dietro l’offerta di farmaci e di interventi più o meno miracolosi; su cosa significa realmente prevenzione, su cosa è la diagnosi, su cosa significa curare e cosa, invece, guarire, e che differenza c’è tra le due cose.

Come aumentare la trasparenza?

La trasparenza passa essenzialmente dalla comunicazione e dall’informazione, in particolare da quella che è stata definita “health literacy” (alfabetizzazione sanitaria): indica la capacità delle persone di ottenere e comprendere le informazioni necessarie per accedere correttamente alle prestazioni sanitarie, per adottare e mantenere stili di vita adeguati, per utilizzare in modo appropriato ciò che il mercato della salute mette a disposizione.

Un cambiamento culturale

L’obbiettivo principale del cambiamento nella cultura della salute è quello di riportare le attese dei cittadini alla realtà, attraverso informazioni più corrette e non influenzate da interessi economici, da parte sia dei professionisti sanitari sia dei mezzi di informazione; di promuovere l’autonomia decisionale degli individui e di ridurre il consumismo inadeguato da parte della popolazione.

La nascita e i principi che ispirano il movimento SLOW MEDICINE

Mentre nel 2012 negli Stati Uniti muoveva i primi passi il progetto Choosing Wisely, in italiano “scegliere con saggezza” promosso  dalla Fondazione ABIM (American Board of Internal Medicine Foundation), in Italia nasceva Slow Medicine, frutto dell’incontro fra due realtà che si muovevano da tempo nella stessa direzione: un gruppo di medici della Società Italiana  per la Qualità nell’Assistenza Sanitaria, che al XX Convegno della SIQuAS di Grado, il 29 maggio 2010, avevano prodotto il Primo Manifesto per una Slow Medicine che contiene le linee di direzione del futuro movimento; e due dei fondatori dell’Istituto CHANGE di Torino (www. Counseling.it), da 25 anni impegnato nella diffusione di una cultura della comunicazione e della qualità della relazione nell’intervento sanitario. Alla stesura del manifesto seguì un atto più ufficiale, la creazione dell’Associazione Slow Medicine nel gennaio 2011.

La medicina slow si propone di promuovere una medicina sobria, rispettosa e giusta.

Sobria significa rifiutare gli spechi. La Slow Medicine riconosce che fare di più non vuol dire fare  meglio. La diffusione e l’uso di nuovi trattamenti sanitari e di nuove procedure diagnostiche non sempre si accompagnano a maggiori benefici per i pazienti. Interessi economici e ragioni di carattere culturale e sociale spingono all’eccessivo consumo di prestazioni sanitarie, dilatando oltre misura le aspettative delle persone, più di quanto il sistema sanitario sia poi in grado di soddisfare.

Rispettosa perché accoglie e tiene in considerazione i valori, le preferenze e gli orientamenti dell’altro in ogni momento della vita; incoraggia una comunicazione onesta, attenta e completa con i pazienti.

Giusta perché promuove cure appropriate, cioè adeguate alla persona e alle circostanze, di dimostrata efficacia e accessibili sia per i pazienti sia per i professionisti della salute.

Chi è Antonio Casella.

Laureato a Pavia alla Facoltà di Medicina e Chirurgia nel 1988. Halavorato per anni  all’Asl di Pavia e presso alcune RSA di città e provincia, dove ha svolto prevalentemente attività clinica.

Dal 2000/2001 ha iniziato ad interessarsi di aspetti gestionali delle Organizzazioni Sanitarie e Sociosanitarie; ha frequentato il “Master of advanced studies in economia e gestione sanitaria e sociosanitaria”presso l’Università di Lugano, nell’ambito della Swiss School of Public Health (SSPH+), network di sei Università Svizzere (Basilea, Berna, Ginevra, Losanna, Lugano, Zurigo). In Toscana ha collaborato con la AUSL Versilia e con le Confraternite delle Misericordie di Pisa, Viareggio e Lucca. Ha  frequentato  il “Master di II livello in telemedicina” presso il Dipartimento di Chirurgia  della Facoltà di medicina e chirurgia dell’Università di Pisa. Ha approfondito alcune aree specifiche come:

  • quella relativa al  Governo Clinico in ambito sanitario, frequentando il corso annuale e conseguendo il Clinical Governace core-curriculum presso il Centro Studi GIMBE (Gruppo Italiano per la Medicina Basata sull’Evidenza) di Bologna, del quale sono diventato docente accreditato per l’area della Clinical Governance;
  • quella relativa alla Metodologia di Rete nell’ambito del sociale, frequentando il corso annuale e conseguendo l’Attestato di Formazione su “La metodologia di rete. Gestione di progetti nel sociale.” presso il Centro Studi Erickson di Trento;
  • ha conseguito, sempre presso il Centro Studi GIMBE, l’Health Education core-corriculum (la nuova ECM: formazione, training e sviluppo professionale; strategie per migliorare la pratica professionale; la valutazione della competence professionale).

Da anni collabora come consulente libero-professionista presso RSA della Regione Lombardia.

È socio della Fondazione GIMBE, dell’Associazione ALESSANDRO LIBERATI (NIC), di SLOW MEDICINE, della SIHTA e di SIMPIOS.

Fonte: ilcambiamento.it

Liberi di essere bambini: l’Asilo nel Bosco, storia di un giardino incantato

Tra concentrazione e spensieratezza la vita ne “L’Asilo nel Bosco” di Ostia Antica prosegue.
In un tempo brevissimo l’esistenza di questo progetto pilota sta muovendo opinioni favorevoli da tutta Italia ed il diffondersi di un modello educativo come questo potrebbe essere un chiaro segnale verso un modo di crescere più sano, oltre che più felice, per i nostri bambini.

Proprio per cogliere quest’onda di movimento e interesse nelle giornate del 7, 8 e 9 novembre si terrà il primo corso di formazione e informazione sull’asilo nel bosco, per condividere l’esperienza che ci ha permesso di arrivare a questo punto, con l’augurio che presto possa diffondersi in Italia. Terminati i preparativi operosi, all’Asilo nel Bosco di Ostia Antica sono diventati realtà la casetta sull’albero, la corda per saltare, il ponte segreto ed i vari utensili. Il tocco più importante è stato quello dei bambini. La stellina più piccola non ha ancora due anni, mentre la più grande cinque e a far merenda sul prato sono presenti tutte le gradazioni intermedie. I bimbi, con la loro coinvolgente allegria, non hanno aspettato un attimo prima di gettarsi, esplorando con sguardi meravigliati questo pezzo di mondo dove l’erba è più alta di loro e ci si può rotolare dentro, si raccolgono i pomodori dall’orto e tutto ciò che di commestibile c’è in circolazione e dopo pranzo si portano gli avanzi al maiale, alle galline e alla capretta. Qui una passeggiata può condurre in mille mondi diversi: a raccogliere il tesoro delle pannocchie, a nascondersi fra i rami, a vedere i cavalli, a mangiare i fichi e le more…

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È un mondo semplice quello che racconto, perché così sono le cose dei piccoli che con la loro semplicità affrontano i primi grandi passi sul cammino per imparare ad essere umani. Ammiro il loro coraggio, perché non esitano davanti alla vita, si gettano e fanno, senza scandalizzarsi dei rametti, delle zanzare, parlando con gli insetti, toccando la terra, il mondo, gli alberi con le mani, con i piedi, con il naso e tutto il loro essere. Per questo mi inchino davanti a loro, al loro tocco, alla loro curiosità, invettiva, stupore, gentilezza. Se un bambino di nemmeno tre anni è capace di affrontare il distacco dai genitori, allora in cambio sento profonda la responsabilità di dargli un mondo che meriti di essere esplorato. Anche per questo riteniamo “L’Asilo nel Bosco” una possibilità unica di crescita. Spesso negli asili settembre rappresenta un mese burrascoso perché coincide col momento in cui i bambini si ambientano nella nuova situazione. Qui è stato l’ambiente stesso che ha attutito e addolcito questo momento così importante, con quella delicatezza con cui giusto la natura talvolta sa fare. Quello che regna qui è un clima dal fare sereno. Col cuore ringrazio anche i genitori, anello così importante per trasmettere tranquillità ai bambini, e ringrazio la loro fiducia, così grande da credere che una possibilità di crescita come questa potesse esistere davvero, anche attraverso i loro sforzi e qualche sacrificio. Un fare sacro.SAMSUNG

È bello giocare senza fretta. Camminare immersi nella natura e vedere quando i bimbi iniziano a correre, ti superano e… continuano. Possono continuare a correre perché non ci sono confini e sono in uno spazio più grande di quanto loro possano riuscire a correre. Può far sorridere, ma è significativo: come una pianta non può crescere bene in un vaso stretto, così una bambina in un mondo vasto e spazioso potrà conoscere le sue capacità e sbocciare in tutti i suoi talenti più che in una stanza dalle pareti anguste! All’aperto un bambino pone le proprie sfide sempre al massimo delle sue capacità. Non solo: nel verde, in contatto con la terra, con il silenzio e con le risa, si impara a respirare, perché nel mondo c’è respiro e questa esperienza è alla base di tutte le altre che faremo.  In questi giorni abbiamo preparato il fagotto con cui iniziare il viaggio: dipingere con colori naturali, giocare agli indiani danzando attorno ad un fuoco vero, lavorare l’argilla, salire sulle balle di fieno, riempirsi le mani di acqua, terra, sabbia, provare le tute da pioggia, cantare e mangiare insieme, sperimentarsi in equilibri sottili.  Come tanti fili, iniziano già a tessersi i legami d’amicizia e le nuove conoscenze. Così, camminando, capita di darsi per la prima volta la mano, grandi e piccoli si mischiano, i primi sguardi complici si incontrano e si aiutano, si mettono d’accordo.10592688_1444846535804465_8309197432492640014_n

Ogni bambino ha diritto a vivere la bellezza, perché ne dona con la sua presenza. Quello che come educatori abbiamo la responsabilità di custodire è proprio un giardino, quello segreto dell’infanzia. Dobbiamo proteggerli, perché queste prime esperienze, queste tinte con cui si incontrano toccheranno la loro anima e abbiamo in questo momento la possibilità rara e preziosa di tutelare, mostrandole, le sfumature. Il primo giorno d’asilo guardandomi intorno ho pensato che non avevo mai visto tanti bambini sorridenti e sereni: questo crea nell’ambiente una gioia particolare, quasi una luminosità, segno che l’incanto del luogo funziona. Custodire un asilo nel bosco significa prefiggersi di alimentare quel fuoco che ne ha illuminato i sorrisi.

 

Leggi anche “Io gioco con la Terra. L’Asilo nel bosco mette radici a Ostia antica” 

Per info:

asilonelbosco2014@libero.it
www.lemilio.it 
www.associazionemanes.it 
info@lemilio.it
06.52169061 – 348.9332959

Fonte: italiachecambia.org

“Etichetta per il cittadino”, il vademecum di Conai per migliorare la raccolta differenziata

E’ stato pubblicato sul sito di Conai “Etichetta per il Cittadino”, un utile vademecum pensato per le aziende e per tutti i cittadini/consumatori allo scopo di agevolare una raccolta differenziata di qualità. Il vademecum è frutto del lavoro del Gruppo di Prevenzione Conai,a cui partecipano, oltre al Consorzio Nazionale Imballaggi, Rilegno e gli altri consorzi di filiera, e alcuni rappresentanti delle imprese e delle loro associazioni
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Il Gruppo di Lavoro Prevenzione Conai ha reso disponibile un vademecum “Etichetta per il cittadino”che guiderà le aziende ad adottare una etichetta volontaria ambientale a favore del cittadino aiutandolo nella raccolta differenziata degli imballaggi. L’esigenza di informazioni relative agli imballaggi per una corretta gestione a fine vita, si sta progressivamente facendo strada fra tutti gli attori interessati e in particolar modo:
– tra i cittadini/consumatori, che quotidianamente chiedono alle aziende come effettuare una corretta raccolta differenziata dell’imballaggio;
– tra le aziende che, raccogliendo le richieste della clientela, vogliono dar loro seguito;
– tra i Comuni, che si organizzano per strutturare le informazioni sulla raccolta.

Il progetto si propone di individuare le informazioni ambientali minime necessarie da riportare volontariamente sull’imballaggio, che permettano al consumatore finale di realizzare una corretta raccolta differenziata. Occorre, comunque, tenere conto che, per alcune tipologie di imballaggio di ridotte dimensioni o che presentano le informazioni in un numero elevato di lingue (come accade nel caso del settore cosmetico/luxury) le indicazioni contenute nelle seguenti pagine potrebbero risultare di difficile applicazione.
Cuore del Progetto sono le “Informazioni di base” necessarie ad identificare, per ogni tipologia di soluzione di imballaggio, il percorso della gestione post consumo, così da:
– essere utile al consumatore nella corretta gestione dell’imballaggio nel suo fine vita/nuova vita;
– consentire un miglior livello qualitativo della raccolta differenziata;
– agevolare le operazioni di selezione e riciclo degli imballaggi stessi.
L’elaborazione grafica dell’etichetta ambientale è lasciata all’impresa che, fermo restando le“Informazioni di base” e i passaggi logici del Progetto, possono integrar la con le proprie esigenze di spazio, comunicazione e grafica. Per ogni approfondimento in merito ai riferimenti normativi di natura legislativa (nazionale o internazionale) o tecnica utilizzati/citati, si rinvia alle “Linee Guida per l’etichettatura ambientale degli imballaggi” pubblicata dalla Commissione Ambiente dell’Istituto Italiano Imballaggio, scaricabile dal sito www.conai.org

Fonte:eco dalle città

 

Crowdfunding per l’ambiente: 1 milione di dollari in Australia per la commissione climatica

Un mese dopo che il nuovo governo conservatore aveva cancellato la commissione climatica, gli scienziati hanno realizzato una raccolta di fondi record per dare vita ad un organismo di informazione indipendente.Climate-Commission-Australia-screenshot

 

Con un’iniziativa sociale straordinaria 20000 cittadini australiani hanno raccolto nell’arco di un mese un milione di dollari (pari a circa 700 000 €) per mantenere in vita la commissione climatica, che era stata cancellata dal nuovo governo conservatore con la scusa dei tagli di bilancio; in realtà è noto che il nuovo primo ministro Abbott è un convinto negazionista, anche se ha le idee un po’ confuse sulla scienza. Quella che vedete in alto è una delle ultime schermate di fine agosto del sito della commissione, consultabile attraverso  Internet Archive; nei quattro anni di governo dei laburisti ha svolto un importante lavoro di ricerca, divulgazione scientifica, informazione sui cambiamenti climatici e promozione di stili di vita più sostenibili. Ora, il sito della commissione è stato addirittura messo offline: se digitate “http://climatecommission.gov.au/” trovate solo il messaggio secco “The Climate Commission ceased operation in September 2013.” In questo modo Abbott sperava forse dimettere a tacere la più importante voce ambientalista d’Australia in modo da fare passare una politica più friendly verso le grandi aziende: in luogo di una carbon tax, un generoso piano di aiuto di due miliardi e mezzo alle industrie inquinatrici per ridurre le emissioni di un risibile 5% entro il 2020. Non ha fatto però i conti con la determinazione  degli scienziati che dirigevano la commissione, che hanno lanciato un fundraising per poter continuare il loro lavoro. Non immaginavano certo un successo di tale portata. La nuova organizzazione si chiamerà Climate Council. La sua missione sarà di fornire un’informazione indipendente ed esperta sui cambiamenti climatici. E’ un buon esempio per l’Europa e per Italia; laddove non arrivano i governi, i cittadini si possono anche organizzare. Se si crede in qualcosa dopotutto non è un gran sacrificio investirci un po’ di euro.

Fonte: ecoblog

Se l’animalista non è uno di noi. Vivisezione e (s)corretta informazione

La qualità dell’informazione in Italia lascia a desiderare anche e soprattutto quando si tratta di questioni delicate e controverse come la vivisezione. L’analisi di Filippo Schillaci è rivolta a una pagina di giornale come tante, per comprendere nel concreto come la costruzione delle notizie incide sul nostro immaginario.vivisezione_milano

Il 20 aprile 2013 un gruppo di animalisti occupò uno stabulario dell’università statale di Milano in cui erano rinchiusi animali usati per ricerche su malattie come il morbo di Parkinson e di Alzheimer. Gli animalisti posero come condizione per la fine dell’occupazione la liberazione di tutti gli animali e portarono infine via con sé circa 200 fra essi, ottenendo la garanzia che anche gli altri sarebbero poi stati liberati, un impegno che però l’università non mantenne. L’azione avvenne in contemporanea con una manifestazione contro la vivisezione e ne generò un’altra, un microcorteo composto da 24 ricercatori universitari favorevoli alla vivisezione. Qui tuttavia non è tanto del fatto in sé che intendo parlare quanto dell’interessante modo in cui un quotidiano nazionale, il Corriere della Sera, ne diede notizia. Interessante perché esemplare di ciò che oggi è l’ “informazione” in Italia. Il quotidiano diede notizia del fatto in due articoli firmati Federica Cavadini apparsi il 22 e 24 aprile rispettivamente in cronaca di Milano e in cronaca nazionale. Ciascuno di essi era illustrato da due fotografie, ed è su di esse che vorrei qui soprattutto soffermarmi. Prendiamo quelle del secondo articolo (quelle del primo sono pressoché identiche). La più grande, impaginata in posizione centrale, di formato orizzontale, raffigura i 24 ricercatori che hanno inscenato quella che il quotidiano chiama “la contro-manifestazione”. Sono quasi tutti in camice bianco, facce da bravi ragazzi, espressioni distese e, in alcuni casi, sorridenti. Due di essi hanno il volto coperto da un fazzoletto bianco, ma quasi non ci si fa caso. Mostrano alcuni cartelli sul più grande dei quali è scritta la frase: “Ribellati contro la cultura dell’ignoranza”. La seconda immagine è impaginata in alto a destra, dunque in posizione periferica, il formato è verticale, è inclinata e un angolo di essa si sovrappone parzialmente alla prima con l’effetto di un cuneo che vi penetra. L’insieme di queste caratteristiche dà la sensazione che l’immagine non appartenga alla pagina ma vi sia appena entrata dall’esterno. La fotografia raffigura un animalista che indossa un giubbotto nero e il cui volto è coperto da una maschera grottesca e ringhiante dai connotati “bestiali”, il quale tiene alto sopra la testa un cartello con la parola «Assassini». Una banda nera diagonale sul suo petto crea un ulteriore effetto dinamico per cui si ha l’illusione che la persona “penda” verso sinistra. Proviamo ora ad analizzarle. Innanzi tutto le dimensioni: l’immagine che raffigura i ricercatori-vivisettori è tre volte più grande di quella che raffigura l’animalista. Poi la collocazione nella pagina: centrale la prima, periferica, anzi, abbiamo detto, idealmente esterna la seconda. Questi due primi elementi sono già portatori di un preciso significato: caro lettore, i ricercatori-vivisettori sono interni, anzi centrali, rispetto al contesto cui tutti noi apparteniamo, sono membri a pieno titolo di quella società civile in cui tutti noi ci identifichiamo. L’animalista invece viene da fuori, è un estraneo, appartiene a una realtà minoritaria e marginale, insomma, non è uno di noi. Un secondo punto è dato dall’insieme di tre elementi: 1) il formato orizzontale (statico) della prima immagine, contrapposto al formato verticale (dinamico) della seconda. 2) la disposizione corretta (statica) della prima immagine, contrapposta all’inclinazione (dinamica) della seconda. 3) la posa naturale dei ricercatori-vivisettori che conferisce loro un’apparenza pacata e tranquilla contrapposta alla posa illusoriamente inclinata e alle braccia enfaticamente alzate dell’animalista che brandisce il cartello. Ciascuno di questi tre elementi concorre a dare dei ricercatori-vivisettori l’immagine di persone equilibrate, stabili, con i piedi ben piantati per terra e dell’animalista l’immagine di una persona agitata, priva di equilibrio interiore, che agisce in base ad impulsi emotivi. Un terzo è punto la raffigurazione dei ricercatori-vivisettori in quanto gruppo mentre della manifestazione animalista (probabilmente ben più numerosa) viene raffigurata una singola persona. Il messaggio è anche qui chiaro, una volta avuto ben presente che l’uomo è in maniera innata un animale sociale e nei suoi criteri di giudizio la contrapposizione fra ciò che è in-group e ciò che è out-group gioca un ruolo fondamentale: i ricercatori-vivisettori in quanto gruppo appartengono a una dimensione sociale, l’animalista è un isolato, un out-group. Ancora una volta, non è uno di noi. Un quarto punto è che dei ricercatori-vivisettori vediamo chiaramente i volti mentre quello dell’animalista è nascosto da una maschera. È un vecchio trucco che risale ai tempi di Ejsenstein il quale, nella celebre scena della scalinata di Odessa, non ci mostra mai i volti dei soldati che sparano sulla gente ma solo, e con gran profusione, i volti delle loro vittime. L’effetto è la disumanizzazione di coloro di cui non vediamo il volto. Così come i soldati di Ejsenstein appaiono simili ad automi senz’anima, l’animalista il cui volto è coperto da una maschera ringhiante appare come “una bestia” furiosa. Sempre di più, non è uno di noi. Un quinto punto è la contrapposizione cromatica fra il bianco arioso dei camici dei ricercatori-vivisettori e il giubbotto nero, cupo e inquietante, dell’animalista-animale. Non è poi secondario notare a questo proposito che, nell’immaginario del “signor Rossi industrializzato”, il camice bianco è ormai da tempo dotato di ben precisi connotati simbolici: è l’icona del detentore del sapere, del Gran Sacerdote della Conoscenza. E poiché, come la psicologia sociale ci insegna, la mente del signor Rossi “in-group” funziona non per analisi razionali ma per un incedere caracollante di stereotipi e pregiudizi, è vano notare, come qualcuno ha fatto, che i camici bianchi li indossano anche i macellai. Una cosa da aver ben presente nell’interpretare quanto detto, è che così come solo una piccola parte dell’attività psichica umana appartiene al livello della coscienza, solo una piccola parte dei messaggi che ciascuno riceve dai mass media e dal gruppo sociale in generale, viene recepito a questo livello. Il resto viene “assorbito” inconsciamente aggirando le capacità di analisi critica. Diciamolo meglio: in un qualsiasi messaggio possiamo distinguere due livelli; il primo è quello esplicito, ovvero l’argomento dichiarato, che recepiamo consapevolmente; il secondo è quello implicito, contenuto nella struttura formale, che recepiamo in maniera inconscia e che spesso, proprio per tale motivo, è molto più pervasivo del primo. In una fotografia il livello esplicito è il soggetto rappresentato (nel nostro caso le due parti contrapposte nei fatti di cronaca narrati), quello implicito è il modo in cui viene rappresentato (nel nostro caso l’insieme delle caratteristiche formali che ho sopra descritte, le quali inducono il lettore, senza che nemmeno se ne accorga, a sentire “simile a sé” una delle due parti, estranea e ostile l’altra). Quanto ai testi dei due articoli, sul primo c’è poco da dire: riporta soltanto le posizioni dei vivisettori, il che non sorprende. Nel secondo va un po’ meglio: agli animalisti è dedicato un amplissimo 20% del testo (696 battute su 3.511) mentre il rimanente 80% è un impeccabile contrappunto fra descrizione dei fatti e puntuale commento di indignata condanna dei medesimi ad opera di ricercatori ed autorità accademiche varie. Il tutto confluisce sulla notizia finale che gli autori dell’occupazione sono stati denunciati. Così imparano. Ho detto che non intendevo entrare nel merito dell’argomento vivisezione tuttavia una frase visibile su uno dei cartelli mostrati dai ricercatori-vivisettori impone un commento. La frase è: “Orgogliosi di salvare la vita anche a voi”. Trovo questa frase arrogante e menzognera, perché se parliamo di malattie cronico-degenerative come la malattia di Parkinson o di Alzheimer, la verità è che i ricercatori, vivisettori o meno che siano, di vite ne salvano ben poche. Queste malattie, come ho avuto modo di constatare io stesso da vicino qualche anno fa, una volta esplose, sono assolutamente incurabili. Punto. Piuttosto ci sarebbe molto da dire sul fatto che esse, come pure molte forme tumorali, sono ritenute da più parti connesse in misura non trascurabile allo stile di vita e in generale alle condizioni ambientali, e dunque molto si potrebbe fare a livello di prevenzione primaria. Ma di prevenzione, chissà perché, non si parla mai. Qualche “marginale” formula a questo proposito un’ipotesi: che la prevenzione sia così sonoramente ignorata perché non frutta nulla alle aziende farmaceutiche, alle quali al contrario giova, e giova molto, che la gente si ammali.

Fonte: il cambiamento

Polveri sottili da combustione e inquinamento diciamo la verità ai cittadini

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Chi già si chiedeva perché a Torino,  una delle città più inquinate d’Europa come qualità dell’aria, fosse stata prevista l’accensione di un inceneritore -massimo produttore di polveri ultrasottili- non può che rimanere sconcertato di fronte ai risultati di due studi pubblicati, sempre il 10 luglio, su Lancet. Il primo studio coordinato dal Centro di ricerca danese sul cancro, ha seguito per 13 anni una popolazione sparsa per tutta Europa di 313mila persone (per l’Italia considerate Torino, Roma e Varese) ha individuato un chiaro nesso fra esposizione a polveri sottili e tumore al polmone. In particolare nella forma che colpisce anche i non fumatori (adenocarcinoma). Respirare quindi polveri fini (PM10) e ultrafini (PM2,5), aumenta il rischio di cancro polmonare. La misurazione delle polveri sottili nei paesi oggetto della ricerca ha dichiarato Torino, Roma e Varese come le più inquinate d’Europa. Il secondo studio mette in luce un’altra conseguenza meno nota dell’inquinamento sul sistema cardiovascolare. E’ stata dimostrata la correlazione esistente tra l’aumento della concentrazione di nano polveri e altri inquinanti con l’aumento dell’insorgenza di scompensi cardiaci che, soprattutto in persone con un cuore già affaticato, possono portare all’infarto. Nel rimandare alla lettura dell’articolo di Luca Carra sui due studi,  alla sintesi sul primo di Federico Valerio, chimico ambientale dell’Istituto Tumori di Genova, vorrei fare alcune semplici ed ovvie considerazioni a disposizione di chi amministra tutte le città afflitte da problematiche ambientali. Ai cittadini andrebbe sempre detta tutta la verità,  anche quando scomoda o sconveniente perché,  solamente così li si mette in condizione di decidere in libertà e coscienza se e come salvarsi la vita, mettendo in essere il principio di precauzione o meno. Per fare alcuni esempi molto concreti.

I genitori dovrebbero sapere se possono mandare i figli a giocare in prossimità di zone estremamente trafficate o nei paraggi di impianti inquinanti, gli sportivi dovrebbero sapere quando è meglio e in quali zone andare preferibilmente a correre. Chi decide di fumare dovrebbe poter avere un’idea del carico inquinante totale a cui sta sottoponendo  il proprio organismo. Allo stesso modo chi coltiva un orto o alleva animali all’aperto dovrebbe  sapere come comportarsi ache a  seconda della posizione geografica. Ci sono infatti conseguenze su queste attività, sia in prossimità di zone ad intenso traffico, che di impianti inquinanti sulle quali andrebbe fatta informazione a scopo sanitario. Ad esempio chi coltiva o alleva in prossimità di impianti industriali dove avviene una combustione dovrebbe venire informato che questo processo determina la produzione e fuoriuscita di sostanze inquinanti. Ad esempio un inceneritore o altro impianto simile che funziona a pieno ritmo emette dai camini sostanze lipofile persistenti e tossiche quali diossine e PCB che, con il tempo, si concentrano nei terreni e negli organismi animali e vegetali che da quei terreni traggono nutrimento. Pur rimarcando che esistono decisioni politiche non partecipate e condivise che i cittadini sono costretti a subire nelle conseguenze, ci sono certamente politiche volte a ridurre l’inquinamento intraprese da amministrazioni locali che i cittadini potrebbero maggiormente sostenere se fossero ben informati sui pro e contro. Mi riferisco all’evitare in primis l’uso dell’automobile (quando non realmente necessario)  e altre azioni dal carattere inquinante o impattante che i cittadini compiono senza capirne le conseguenze, ma che alla fine vanno a peggiorare l’inquinamento di aria e acqua. Per citare le più comuni: buttare l’olio negli scarichi e i mozziconi di sigaretta nelle aiuole  o per terra. In questa seconda modalità quando piove i mozziconi viaggiano attraverso gli scarichi sino ad arrivare a corsi d’acqua e mari dove le sostanze tossiche accumulate nel filtro inquinano così le acque. Se i cittadini a Torino così come in altre città, venissero informati e resi così consapevoli delle problematiche locali,  sarebbero probabilmente molto più disponibili a collaborare e ad accettare, senza troppe levate di scudi,  le decisioni che le amministrazioni dovranno pur prendere per affrontare la questione della qualità dell’aria e non solo.

Fonte: eco dalle città