L’Italia ritorni alla sua vocazione agricola e artigianale

Nel seguire l’impossibile coesistenza di un sistema della crescita infinita in un pianeta dalle risorse finite, l’Italia ha stravolto la sua natura e vocazione. Le vere risposte sono artigianato, agricoltura e benessere vero.

Nel seguire l’impossibile coesistenza di un sistema della crescita infinita in un pianeta dalle risorse finite, l’Italia ha stravolto la sua natura e vocazione. Scimmiottando i paesi anglosassoni si è pensato di competere sul piano della potenza industriale. Una gara che ci ha visto sempre rincorrere affannosamente anche per la mancanza di risorse interne di fonti fossili e ora per l’impossibilità di uscire economicamente vincitori da una competizione con paesi come la Cina. Inoltre una industrializzazione senza freni e scrupoli, ha il non indifferente contraccolpo della distruzione ambientale, quindi delle nostre risorse e ricchezze. L’Italia infatti è storicamente un paese a vocazione agricola e artigianale. La capacità di produrre con la nostra inventiva e le nostre mani si riflette anche nelle bellezze artistiche che ci sono sulla penisola in una innumerevole quantità. Non è certo un caso che l’Italia sia meta turistica ambita anche per le sue realizzazioni create da persone di una capacità artigianale eccezionale che erano lo specchio di una conoscenza diffusa nella popolazione. Che gli italiani siano ottimi artigiani dalla grande creatività è un fatto evidente. Inoltre la nostra ricchezza e varietà dal punto di vista agricolo e alimentare è testimoniata anche dal movimento Slow Food diffuso a livello internazionale. Dove se non in Italia una realtà con queste caratteristiche poteva nascere? Un paese dove cresce una varietà e qualità strepitosa di piante commestibili e alberi da frutto, dove in ogni angolo, anche il più remoto, c’è una specialità alimentare. Tutto questo è stato progressivamente messo in pericolo dalla massiccia e costante importazione di “cinafrusaglie” e di cibo spazzatura prodotto da paesi che hanno una cultura e ricchezza del cibo neanche lontanamente paragonabile a quella italiana. Cibo e altri prodotti realizzati con prezzi ambientali e umani altissimi e quindi conseguentemente con costi irrisori. Come si fa a competere con chi utilizza milioni di lavoratori super sfruttati e pagati miserie e non mette in nessun conto i disastri ambientali che provoca nella realizzazione delle merci?

Tentare di competere su piani che ci vedono sconfitti in partenza, non solo è illusorio ma assai poco intelligente e per nulla lungimirante. Non è certo correndo la corsa alla produzione illimitata di merci, per lo più superflue e dannose per l’ambiente, che faremo un servizio al nostro paese che invece deve necessariamente ritrovare la sua inclinazione, la sua natura che è il saper fare e il saper coltivare. Artigianato, agricoltura e benessere quindi sono la risposta, laddove il nostro “saperci godere la vita” ci è invidiato proprio da quei paesi anglosassoni e non, continuamente protesi alla performance, al segno più, mentre la loro vita si consuma in grafici e numeri. Anche noi però rischiamo di non saperci più godere la vita in questa impossibile rincorsa alla “performance” che con la nostra natura e saggezza mediterranea, hanno ben poco a che vedere.

E se si ritiene che ritrovare la via dell’artigianato e dell’agricoltura sia impossibile, anacronistico, utopico, si valuti se è più realistico proseguire a sfruttare tutte le risorse possibili e immaginabili, produrre quantità incalcolabili e ingestibili di rifiuti, competere con il mondo per vendere qualsiasi cosa, crescere in una corsa sfrenata verso il nulla e con ciò ottenere solo due risultati: una vita impazzita priva di senso e una natura distrutta dal nostro agire che ci porterà all’inevitabile suicidio collettivo. Quindi volenti o nolenti, anche a causa dell’esaurimento delle risorse e della catastrofe ambientale, bisognerà ritornare a quello che ci contraddistingue e in cui siamo grandi maestri: costruire una società a misura di persona il più possibile autosufficiente e con un forte tessuto artigianale ed agricolo. Agendo in questo modo si possono ridurre drasticamente le importazioni di merci superflue, spesso dannose e ambientalmente impattanti, considerato che tutto quello che arriva da lontano lascia una scia di inquinamento non indifferente. Cosa c’è poi di più bello che creare con le proprie mani o coltivare vedendo crescere e assaporare i propri alimenti? Si può in questa direzione calibrare e pianificare una industria utile e sostenibile, alimentata da fonti rinnovabili, per le quali, a differenza delle fonti fossili, abbiamo potenzialità enormi e che supporti i settori artigianale e agricolo biologico. L’Italia può ridiventare un giardino fiorito pieno di creatività, saggezza e prelibatezze, dove finalmente vivere e non competere, dove aiutarsi, cooperare e non farsi la guerra, tanto alla fine non ci sarà nessun vincitore e saremo tutti perdenti. Abbiamo il nostro paese che è già potenzialmente un paradiso terrestre, bisogna solo riscoprirlo e riscoprire i nostri talenti e le nostre capacità. Possiamo diventare un faro internazionale per un cambiamento epocale, sta a noi renderlo possibile.

Fonte: https://www.ilcambiamento.it/articoli/l-italia-ritorni-alla-sua-vocazione-agricola-e-artigianale?idn=113&idx=29812&idlink=7

Pianiano, il borgo di undici abitanti che sogna di rinascere fra arte e artigianato

Immerso nella natura tra Tuscia e Maremma si trova il borgo medievale di Pianiano, un luogo in apparenza senza tempo che tra le sue mura custodisce una lunga storia di abbandoni e ripopolamenti. E così anche oggi c’è chi si impegna con passione per la rinascita di questo piccolo paese con un passato e presente di musica, cultura e artigianato.

«Pianiano tornerà a vivere».

Questo minuscolo borgo medievale, tra la Tuscia e la Maremma, assiso su una collina circondata da uliveti, è un gioiello incastonato nella pace di un paesaggio incontaminato. Frazione del Comune di Cellere (VT), da cui dista 5 chilometri, conta oggi 11 abitanti (e almeno tre gatti in co-proprietà tra cui la maestosa Giuditta). Le persone che hanno scelto di vivere qui sono state affascinate da un luogo senza tempo, dove il silenzio conserva ancora la sua voce. Un fascino che conquista il viaggiatore alla ricerca di esperienze autentiche di un’Italia a torto considerata minore.

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Una veduta panoramica del borgo di Pianiano, tra Tuscia e Maremma

In un’antica casa, affacciata sulla piazzetta del borgo, vivono Tahir e Valeria. Insieme, nel laboratorio adiacente, producono diari artigianali fatti a mano con in copertina la riproduzione di foto di paesaggio scattate da Valeria, fotografa di professione. La loro è, al momento, l’unica attività produttiva entro le mura (fuori c’è il frantoio della famiglia Perello). Un’avventura cominciata tre anni fa, con l’idea di aprire, prima o poi, una vera e propria bottega e dare avvio ad un processo virtuoso che riporti Pianiano a ripopolarsi. «Mi piacerebbe che questo piccolo, meraviglioso borgo medievale riprendesse vita – racconta Valeria, che di cognome fa Peppetti e ha 41 anni -. Qualcosa si muove, anche se la pandemia ha rallentato, se non congelato, le iniziative. Ho un paio di amiche che sognano l’una di avviare qui una libreria, aperta il fine settimana, e l’altra un’attività di ristorazione, che sarebbe un punto di attrazione importante».
Intanto, dal 2017, ogni mese di luglio, Valeria e Tahir, insieme a un’altra abitante del borgo, Tiziana Stefanelli, in collaborazione con La Proloco di Cellere e le sue due “colonne portanti”, il presidente   Alessandro Strappafelci e Francesca Mariotti, con il sostegno di alcuni sponsor privati, organizzano “Musa”, un festival di musica, arti e spettacolo, patrocinato anche dalla Regione Lazio, che richiama appassionati da tutta Italia e dall’estero.

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Tahir e Valeria

Tahir, 65 anni, vive a Pianiano dal 1996, anno in cui tornò dalla Germania dove aveva vissuto per 22 anni esercitando la professione di medico naturopata. La madre, una scultrice romana di talento, vi aveva acquistato una casa nel 1981, la stessa in cui lui abita ora con la compagna.

«In Germania avevo un’associazione culturale con la quale organizzavamo eventi – racconta –, quando sono arrivato qui ho capito la potenzialità di questi luoghi, dove una natura magnifica e integra può, deve sposarsi con la cultura e con l’arte».
E così nel 1999 nasce il primo concerto di musica classica in uno dei luoghi più affascinanti e misteriosi della Tuscia: l’eremo di Poggio Conte, un antichissimo edificio di culto scavato nel tufo sotto una cascata, che custodisce simboli pagani e cristiani, a poche centinaia di metri dal fiume Fiora. Quel primo evento – un concerto d’archi – registrò duecento spettatori. L’iniziativa, sposata con entusiasmo dall’Amministrazione di Ischia di Castro, prosegue da allora con successo, ogni anno, una domenica di luglio. Poi è arrivata “Musa” che però quest’anno si è dovuta interrompere a causa del Covid: la piazzetta del paese contiene tra le 150 e le 200 persone e dimezzare i partecipanti non avrebbe reso economicamente insostenibile l’iniziativa.

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Il borgo di Pianiano

Il borgo si anima anche a fine agosto con l’ormai storica cena medievale che si tiene da vent’anni: gli abitanti del paese mettono a disposizione le cucine per preparare le deliziose portate consumate nei tavoli disposti all’aperto lungo le due vie di cui è costituita Pianiano. Nell’atelier di Valeria e Tahir c’è un mini studio di registrazione. E viene naturale chiedersi a cosa e a chi serva qui. È il ricordo di un’avventura artistica e amicale che non viene smantellato per affetto. «Per dieci anni il compositore Alessandro Alessandroni in questo studio ha registrato le sue musiche», racconta Tahir. Alessandroni (1925-2017), autore delle colonne sonore di molti film italiani, fu noto anche per la sua grande abilità nel fischiare, ingaggiata soprattutto nei film di Sergio Leone. Del passaggio di quest’artista, rimane la sua chitarra lasciata in dono a Tahir che la custodisce con devozione mostrandola con orgoglio a chi entra nella sua casa. 
Pianiano, che ha probabilmente origine etrusche testimoniate anche da alcune leggende come quella della principessa Rasenna, possiede una lunghissima storia di spopolamenti e ripopolamenti. A fine Seicento, il borgo si svuotò a causa della malaria che decimò gli abitanti, ma nel 1754 tornò ad essere abitato grazie a una comunità di duecento rifugiati cristiani fuggiti dall’Albania ottomana, a cui Papa Benedetto XIV lo assegnò. La colonia trovò il borgo completamente in rovina, abbandonato a se stesso ma in poco tempo lo rimise in piedi creando una nuova comunità. Del loro passaggio rimane il nome di una via, appunto “degli Albanesi”. Perciò non è detto che il XXI secolo non segni un nuovo tempo di rinascita per Pianiano. Grazie all’amore e alla resilienza di chi lo ha scelto per vivervi una vita semplice, essenziale, affatto banale. Fonte: https://www.italiachecambia.org/2021/01/pianiano-borgo-undici-abitanti-sogna-rinascere-fra-arte-artigianato/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

Duv’Art, dentro le botteghe degli artigiani di Bologna

Dieci botteghe bolognesi sono le protagoniste di “Duv’Art – Le strade dell’artigianato”, un documentario web dedicato alla produzione artigianale di Bologna, ancora viva tra le sue strade, dal centro alla periferia. Una vera e propria visita guidata virtuale tra giovani creativi aperti alla sperimentazione di nuove tecniche e antichi custodi del lavoro dei padri, che tramandano i segreti del saper fare. Sedetevi, rilassatevi e calmate la mente. State per entrare virtualmente dentro dieci botteghe che sembrano essersi fermate nel tempo. Qui si respira ancora il profumo del legno appena intagliato, si vedono mani che accarezzano delle materie prime per dar vita a creazioni uniche che richiamano arti tramandate attraverso le generazioni, ricordando un tempo dove il “saper fare” era, oltre a una necessità, uno stile di vita e dove i pensieri e la creatività si trasformavano in oggetti di uso quotidiano o per le occasioni speciali.

L’artigiana della bottega PG ceramiche dove potrete ammirare traforati, palloncini e bellissime maioliche in ceramica

Ancora oggi all’interno di queste botteghe le creazioni vengono disegnate e realizzate a mano, grazie alla passione di chi ha scelto di salvare e tramandare la qualità, la creatività e l’autenticità, caratteristiche che spesso non vengono considerate in una società che preferisce oggetti risultanti da una catena di montaggio, che costano il meno possibile e che verranno rimpiazzati da altri identici quando non servirà più. 

Duv’Art – le strade dell’artigianato è un progetto realizzato dall’Associazione Culturale Emiliodoc che attraverso un webdoc multimediale racconta le storie di dieci botteghe del territorio bolognese. Abbiamo incontrato Cecilia, giovanissima portavoce del progetto da cui traspare ancora tutta l’emozione e la meraviglia di aver potuto toccare con mano queste creazioni uniche. “È stato difficilissimo – racconta – fare una selezione degli artigiani presenti nel territorio bolognese”. Alcune botteghe si trovano in zone periferiche, altre godono di maggiore visibilità ma ognuna di loro ha una sua unicità ed è portavoce di mestieri e utensili che meritano di essere riportati alla luce.

Nella Bottega Prata si lavora il ferro battuto trasformandolo in lampadari, letti e tantissime altre creazioni originali

“Abbiamo scelto le botteghe che hanno creato una sinergia tra la tradizione e l’innovazione, generazioni attuali che tramandano le tradizioni imparate in famiglia”, continua Cecilia. “Sentire le loro storie, scoprire a cosa serve quell’utensile appartenuto al nonno e tenerlo in mano, è stata un’emozione indescrivibile”.

Il web doc racconta le storie di ognuna di loro, si “passeggia” lungo le strade che sono state disegnate rigorosamente a mano, ricostruendo fedelmente ogni dettaglio delle botteghe affacciate sulle strade. Ci si può soffermare in una alla volta, immergendosi nelle sue creazioni raccontate attraverso brevi video che indugiano in modo minuzioso su ogni dettaglio con il sottofondo del suono degli utensili e delle mani che creano. Ad ogni bottega sono dedicati brevi filmati in cui si mostrano le creazioni e dove vengono narrate le origini, dando voce agli artigiani che mostrano con estrema maestria i loro utensili e le loro tecniche, spesso tramandati dai nonni e che sono per loro insostituibili. Dopo la visita virtuale, vi invitiamo poi a visitare personalmente le botteghe perché le loro storie, i profumi, i suoni e le atmosfere meritano di essere assaporate dal vivo.

Dingi, nata come ferramenta, si è trasformata nel progetto Era, dove vengono recuperarti oggetti che non servono più donando loro nuova vita e trasformandoli in opere d’arte. L’artigianato è un’eccellenza tutta italiana che racconta tradizioni, società e cultura ed è oggi patrimonio dell’Unesco. Riportare alla luce antiche tradizioni e vedere mani che creano e voci che raccontano com’è nato quell’oggetto, quel caffè o quel bigliettino di auguri ha un valore inestimabile.

 Fonte: http://www.italiachecambia.org/2019/03/duvart-dentro-botteghe-artigiani-di-bologna/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni

Artigianato: il progetto di due giovani per restare in Sicilia

Giampiero e Filippo sono due giovani artigiani siciliani che da anni lavorano il legno e la pietra in modo naturale. La loro idea è quella di mescolare ora i due elementi per dar vita a creazioni naturali e innovative. Un progetto di artigianato che potrebbe aiutarli a realizzare un grande sogno: restare a vivere e lavorare in Sicilia. Quello di Giampiero e Filippo è un po’ un sogno, un po’ già una realtà: creare oggetti di arredamento e mobilio domestico (ma non solo) mescolando il legno e la pietra del proprio territorio. Artigiani di professione, siciliani della provincia di Messina, i due sono colleghi da molto tempo, liberi professionisti che da anni hanno a che fare con lavorazioni di questo tipo. Hanno ereditato il mestiere dai loro genitori e ci tengono a continuare su questa strada, perché hanno un’arte nelle mani. Allo stesso tempo, però, da qualche tempo hanno un’idea che già in parte concreta: “Ci è venuto in mente di fare qualcosa assieme, abbinando i due elementi: io lavoro il legno, lui la pietra e così abbiamo fatto insieme il primo mobiletto”, racconta Giampiero Raffaele, quando spiega degli inizi di questo progetto. Un progetto che è estremamente collegato al loro territorio, la Sicilia, e in particolare il comune di Patti e le zone limitrofe, dove la materia prima non manca ed è la fonte cui Giampiero e Filippo attingono: “Vogliamo lavorare il legno di castagno, di cui c’è una grossa produzione nelle nostre zone e nel farlo vogliamo farlo in modo completamente naturale, lasciando che il rimboscamento avvenga in modo spontaneo, senza forzare nulla”, spiega Giampiero che da anni lavora con questa materia.

Alcune creazioni di Giampiero e Filippo

Dall’altra parte, poi, c’è la pietra arenaria, di cui “la nostra città è piena: tutti i nostri artigiani lavorano con questo materiale”. Si tratta quindi di un progetto completamente a chilometro zero, che non inquina e che valorizza le risorse del territorio a scopo domestico ma anche creativo. “Noi per ora ci occupiamo di mobilio domestico, ma ciò non esclude che se trovassimo altri collaboratori – magari designer interessati al nostro progetto – potremmo sbizzarrirci ed essere creativi, dando vita a veri e propri oggetti di arredamento”. Inoltre, il materiale viene lavorato nel modo più naturale possibile. Vernice a cera d’api quasi sempre, qualche volta – se necessario – la vernice all’acqua, che ha qualcosa di chimico ma che ormai sul mercato si trova in versioni quasi naturali. L’altro motivo per cui questo progetto è legato al territorio è perché è un modo per entrambi per rimanere a lavorare e vivere nella propria terra: “Non vogliamo perdere il nostro lavoro, che abbiamo ereditato dai nostri padri, né tanto meno allontanarci dalla nostra terra; io ho ricevuto tante proposte di lavoro al Nord Italia, ma perché me ne devo andare?”. Giampiero, infatti, vive nel paese di Ficarra, piccolo comune vicino Patti e in provincia di Messina, che lui ama molto, dove le bellezze sono tante: “Qui abbiamo il mare, la montagna e persino la neve”.

“L’idea è nata anche perché ci siamo resi conto che quasi nessun artigiano ha mai proposto qualcosa del genere, è un prodotto di nicchia”, spiega Giampiero, parlando dei prototipi che hanno realizzato e dei mobili, delle specchiere, addirittura dei pomelli delle porte che possono essere fatti mescolando i due materiali. Il problema, fino ad ora, è sempre lo stesso: trovare qualcuno che aiuti, che dia una spinta a questo progetto, sostenendolo o magari collaborandolo. Perché, Giampiero ci tiene a specificarlo: “Noi vogliamo portare avanti questo progetto, ma allo stesso tempo abbiamo bisogno di certezze, di qualcuno che ci aiuti e allo stesso tempo ci promuova: abbiamo il mestiere in mano, ci serve solo una forza che ci aiuti nella promozione dei nostri prodotti”. Portare avanti un progetto di questo tipo – mentre si lavora per mantenersi – non è facile, soprattutto quando nel territorio di riferimento non ci sono potenziali investitori. Ma il sogno di Giampiero e Filippo rimane ben fermo: lavorare con la terra per il territorio, per valorizzarlo e viverlo. E magari farlo conoscere a chi di questo ancora non sa.

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2019/02/artigianato-progetto-due-giovani-restare-in-sicilia/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni

ARTIGIANATO, GIOVANI, SUD

Contest fotografico #Unfuturomaivisto, foto di Carlo Silva, Erice (Tp)

Fritz Lang, ilgrande regista di capolavori come Metropolis o Il grande caldo, amava definirsinon un artista ma un artigiano. Essere artigiani significa non solo essere  capaci di creare, di trasformare la realtà attraverso le idee e il contatto conla materia, ma vuol dire anche essere portatori di un “saper fare” che viene dalontano e dovrebbe portare altrettanto lontano. Un sapere di conoscenze, altempo stesso filosofico e pragmatico, che rappresenta il patrimonio di un paesee di un popolo. Un sapere che si fa “tradizione” per essere tramandato allefuture generazioni, ma che al contempo dovrebbe sfuggire da essa, innovarsi,cambiare, più o meno lentamente, per essere un sapere attuale, necessario eutile. Quando manca questo passaggio, è una tradizione che muore e un sapereche scompare. E’ il caso, purtroppo, di molte nostre forme di artigianatosegnate non solo dal passo veloce dei tempi, ma da contraddizioni e dallamancanza di investimenti, non solo economici. In un paese come l’Italia, famosoper i suoi prodotti di qualità, in cui la disoccupazione giovanile è altissimama sempre di più scarseggiano calzolai, vetrai, sarti e scalpellini, lariscoperta del saper fare tradizionale dovrebbe essere un percorso naturale. Larealtà invece è tutt’altra. Tecnica e tradizione però possono non essere sufficienti:per affrontare la sfida, occorrono una forte consapevolezza degli effetti dellaglobalizzazione e la capacità di valorizzare, se necessario, il ruolo dellatecnologia. In generale, serve apportare innovazione, immaginare nuovi campi diapplicazione per antichi mestieri. E’ forse superfluo sottolineare come le“botteghe” rappresentino un forte elemento di attrazione turistica, grazie algusto del “fatto a mano” e al valore della “unicità” sempre più ricercati eche, per semplificare, definiamo come la forza del Made in Italy. Lecontraddizioni, come anticipato, si intrecciano però alle difficoltà di rendereazioni concrete le varie riflessioni sulle opportunità che l’artigianato, e inparticolare quello artistico, è in grado di offrire a giovani e territori. E’questo, in particolare, l’aspetto che ci interessa maggiormente esplorare.Perché, oltre alle prerogative culturali ed economiche, l’artigianato artisticopuò comprendere anche quelle sociali. Queste, addirittura possono essere laprincipale leva che permette la riscoperta dei “saperi” e la lorovalorizzazione, la loro seconda vita. Abbiamo voluto dare spazio, perciò, adiverse esperienze che si sono confrontate con l’artigianato partendo dal puntovista e da esigenze di natura sociale. Il risultato? Recuperate le tradizioni,recuperato il capitale umano; sperimentati interventi di inclusione sociale edi sviluppo locale; valorizzati saperi, giovani, territori. Da questo punto divista, lo spunto di riflessione è venuto dalla sperimentazione avviata con il bando della Fondazione CON IL SUD per promuovere interventicapaci di recuperare e valorizzare tradizioni artigianali tipiche diparticolari aree meridionali che sono in via di “estinzione”, creando attornoad essi occasioni di inclusione di soggetti svantaggiati e opportunitàprofessionali per le nuove generazioni.

“Le situazioni più difficili creano possibilità…L’arte in sé è salvifica!” E’ uno dei messaggi che abbiamo raccolto dall’intervista che il maestro Dalisi ha voluto concederci. Crediamo che queste poche righe contengano un grande pezzo di verità sulla “potenza” sprigionata dall’arte e dalla cultura quando incrociano il sociale.

Buona lettura!

Fonte: http://www.conmagazine.it/2018/11/12/artigianato-giovani-sud/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni

Artigianato: un bando per sostenere saperi e tradizioni del Sud

Dalla seta al mandolino, dalla lana ai carretti siciliani. Fondazione CON IL SUD in collaborazione con l’Osservatorio dei Mestieri d’Arte di Firenze (OMA) lancia un bando per sostenere la tradizione artigiana meridionale che oggi rischia di scomparire. La Fondazione CON IL SUD  intende sostenere alcune eccellenze della tradizione artigiana meridionale che stanno scomparendo. A questo scopo, in collaborazione con l’Osservatorio dei Mestieri d’Arte di Firenze (OMA), rivolge un invito alle organizzazioni del Terzo settore per progetti di valorizzazione di antiche produzioni e competenze in Basilicata, Calabria, Campania, Puglia, Sardegna e Sicilia, da realizzare anche in partenariato con enti pubblici o privati, profit o non profit. Le proposte dovranno essere presentate online entro il 17 ottobre 2018 tramite la piattaforma Chàiros.craftsmanship-2607408_960_720

Il sapere e la tradizione artigianale sono tra le cifre più caratteristiche della cultura e dell’economia italiana e rivestono un’importanza strategica anche sul piano sociale: il lavoro artigiano, grazie alla qualità dei manufatti, restituisce dignità alle persone, rendendole orgogliose e gratificate, e permette di rafforzare, quando non di ricostruire, il legame con il territorio.

“Uno dei più lampanti paradossi del nostro paese, famoso per i suoi prodotti di qualità e con un’altissima disoccupazione giovanile, è che scarseggiano sempre di più calzolai, vetrai, falegnami, sarti o scalpellini – scrive Fondazione CON IL SUD – Questo succede perché i nipoti non seguono le orme dei nonni e perché questi mestieri risultano poco redditizi su un mercato veloce e globalizzato. La sfida di Fondazione CON IL SUD e OMA è quella di riscoprire il saper fare tradizionale, immaginando nuovi campi di applicazione tecnologica e commerciale e trovando nuovi potenziali talenti anche nelle giovani generazioni e tra le persone più fragili”.hands-731241_960_720

Il bando interviene su settori artigianali particolarmente vulnerabili: dal ricamo tradizionale, come lo squadrato lucano, all’intreccio di fibre vegetali per realizzare cesti a Reggio Calabria o nasse e reti da pesca in Sardegna; dalla produzione di fili di seta a Catanzaro alla costruzione del mandolino napoletano e della chitarra battente cilentana; dalla costruzione di carretti siciliani alla tessitura con la tecnica del fiocco leccese o alla filatura della lana in Sardegna. Sono solo alcuni degli esempi di saperi antichi che rischiano realmente l’estinzione e che, inseriti in opportuni percorsi di innovazione e inclusione sociale, possono al contrario rappresentare opportunità per nuovi talenti e occasione per sperimentare approcci e modelli inediti di valorizzazione. Per la realizzazione delle singole iniziative, la Fondazione mette a disposizione complessivamente un contributo di 800 mila euro, in funzione della qualità delle proposte ricevute e della loro capacità di generare valore sociale ed economico sul territorio.

Vai al bando: clicca qui

 

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2018/08/artigianato-bando-sostenere-saperi-tradizioni-sud/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni

Passione e resilienza: così è nato DreamsInDress

Carla Demartini è una giovane biellese che ha fatto tesoro del concetto di resilienza: laureata con il massimo dei voti, in difficoltà dopo aver perso il lavoro durante la maternità, non si è abbattuta e ha avuto l’audacia e il coraggio di reinventarsi come artigiana, riscoprendo la passione che aveva da bambina: il cucito. La storia del progetto Dreamsindress e del coraggio di una donna nel realizzare il proprio sogno. La Resilienza è oggi un termine che descrive questi anni tumultuosi e intrisi di grandi trasformazioni: si tratta, in psicologia, della capacità di un individuo di affrontare e superare un evento traumatico o un periodo di difficoltà. Descrive bene la storia di Carla Demartini e del suo neonato progetto DreamsInDress.dreamsindress-cambiamento-vita-carla-demartini

Carla è una giovane mamma biellese, laureata in Economia e Management delle imprese cooperative e non profit. Da sempre appassionata di terzo settore e di economia allo stesso tempo, riesce a coniugare le due passioni lavorando prima nel dipartimento marketing e fundraising di Action Aid, poi a Torino nella Cooperativa Sociale Orfeo e infine a Biella, nell’ufficio amministrativo e fundraising di una fondazione. Dopo anni di soddisfazioni e crescita, arriva il temporale dopo una giornata splendente: dopo l’ulteriore splendida notizia della imminente maternità, non le viene rinnovato il contratto a tempo determinato e perde il lavoro, trovandosi disoccupata. È qui che comincia un percorso che alla fine spazzerà via le nubi e la porterà su nuovi lidi, magicamente legati ad una sua passione dell’infanzia: il cucito.

La nascita di DreamsInDress

“Io ho sempre avuto la passione per il cucito, sin da quando ero bambina. Quando è nato il mio bimbo ho ripreso in mano questa passione, ed ho cominciato a creare il corredo, alcuni giochi e libri di stoffa per il mio bambino”. Carla non sembra affatto una donna che si abbatta o si demorda più del dovuto, ma non sa ancora che si sta aprendo la strada nel crearsi un proprio inaspettato futuro lavorativo e professionale.

“Le mie amiche, vedendo le mie prime creazioni, iniziarono a suggerirmi di provare a vendere qualcosa delle mie realizzazioni. Ho cominciato ad iscrivermi ai gruppi Facebook dedicati alle neo-mamme appassionate di metodi naturali e maternità dolce. Lì ho scoperto un mondo, molto aperto e fantasioso, di mamme creative che sono state escluse dal mondo del lavoro dopo la maternità e che hanno cominciato a creare vari oggetti di sartoria, ho cominciato a prendere spunti e a creare le condizioni per vendere le mie prime realizzazioni”.dreamsindress-cambiamento-vita-carla-demartini-1521012374

È trascorso un anno nella quale Carla, dopo essersi dedicata a tempo pieno nel fare la mamma, capisce che ha bisogno di un cambiamento per ricrearsi un proprio futuro. Dopo aver ripreso in mano i ferri ed essersi iscritta ai gruppi Facebook, decide di seguire il consiglio delle sue amiche e creare quasi per gioco una pagina Facebook personale e presentare accessori per altri bambini oltre il suo: si inventa piccoli peluche in stoffa di cotone fatti con i ritagli (gli scrap) di fasce porta bebè. Sceglie la forma dell’elefantino, simbolo della maternità protettiva e della sua rinascita come donna.

“Ho iniziato a partecipare ai primi mercatini di prodotti naturali e legati all’infanzia, fino ad arrivare alla Fiera del bambino naturale di Chieri, dove ho fatto il boom ed ho capito davvero che questa passione poteva diventare l’occasione per avviare un’attività autonoma.” Carla comincia così a creare capi di abbigliamento personalizzati da donna, oltre che a nuovi accessori per bambini e mamme. I prodotti piacciono per la loro artigianalità, la creatività e la passione che esprimono, aspetti che si uniscono all’utilizzo di materiali naturali e a chilometro zero: la lana, il lino e il cotone, materiali di qualità ricavati da aziende e distretti tessili con sede intorno a Biella. Perché la particolarità dei prodotti di Carla sta proprio nell’utilizzo di materiale completamente italiano per le sue creazioni: “La mia passione era soprattutto per i prodotti naturali: essendo originaria di Biella, utilizzo molto la lana biellese che è di una qualità molto pregiata, insieme a cotone e lino. Ho proseguito con i mercatini, arrivando fino a Bastia Umbria, Ferrara e Cervia, riscontrando un successo sempre più grande. Ho conosciuto sempre più persone e ho capito che ero pronta per il grande salto: quello di aprire una vera e propria partita IVA e di trasformare la mia attività in un lavoro”.

Il 12 gennaio 2018, con l’apertura della partita IVA, Carla ha dato la luce al suo progetto chiamato DreamsInDress, dove realizza artigianalmente e su ordinazione capi di abbigliamento, accessori e giochi per bimbi, mamme e papà. Il sogno di realizzare il grande passo si è materializzato grazie all’incontro con due realtà: la Confederazione Nazionale dell’Artigianato di Biella e il programma Mettersi in Proprio della Regione Piemonte, che accompagna gli aspiranti imprenditori nel percorso di accompagnamento alla creazione di impresa e al lavoro autonomo.dreamsindress-cambiamento-vita-carla-demartini-1521012394

“Nel luglio 2017, durante uno dei miei mercatini a Biella, ho conosciuto Annalisa Zegna, la Presidente del Gruppo Impresa Donna di CNA Biella, anche lei artigiana e che si è subito molto appassionata alle mie realizzazioni. Grazie a lei e al personale del CNA ho poi scoperto la possibilità di partecipare al programma MIP, che mi ha permesso di concretizzare il mio sogno lavorativo”. Grazie al MIP, Carla ha potuto redigere un business plan accurato della sua attività, che gli ha permesso poi di partire nel gennaio 2018. Oggi Carla lavora da casa dove ha un campionario base composto da vestiti, accessori e giochi di stoffa per bambini; capi di abbigliamento per donne, zainetti e scaldacollo per uomini e accessori per le mamme. A Biella, insieme ad altre artigiane della città, a partire da questo mese condividerà uno spazio espositivo e di vendita in città presso il negozio CNA, dove oltre agli spazi le varie artigiane condivideranno anche i propri saperi e le proprie passioni per la creazione di nuovi oggetti.

“In questa nuova situazione lavorativa, l’aspetto più bello oltre alla realizzazione di un sogno è che ora riesco a conciliare il tempo che dedico al lavoro a quello che devo, e voglio, dedicare al mio bimbo e alla famiglia. La cosa importante da considerare, prima di lanciarsi in un’attività del genere aprendo la partita IVA, è quella di essere ben consci e conscie del passaggio che si va ad affrontare. Bisogna studiare per bene i costi e ricavi, informarsi bene riguardo imposte e burocrazia perché fare i dovuti calcoli a tempo debito aiuta tanto”.

Per approfondimenti e ulteriori informazioni puoi leggere qui l’articolo dal Blog del CNA Biella.

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2018/04/passione-resilienza-dreamsindress/

 

Il mercato contadino, un esempio concreto di economia circolare

Lontano dalle logiche della grande distribuzione organizzata, il mercato contadino propone prodotti locali di qualità, combatte lo spreco alimentare e promuove la condivisione. Ne abbiamo parlato con Tommaso Orazi, che collabora con il Mercato Contadino di Zagarolo, in provincia di Roma, un esempio reale di circuito economico e sociale virtuoso. “Secondo l’ultimo rapporto Ispra sullo spreco alimentare in Italia si spreca il 60% delle risorse. Questo genera aumento dell’effetto serra, spreco di acqua, degradazione dell’ecosistema terra ed enormi problemi di natura socio-alimentare. I sistemi agro-alimentari, basati sull’industria agrochimica e sulla grande distribuzione, poco integrano la dimensione ambientale, sociale ed economica dell’intero sistema. Di fatto non sono sostenibili”.

Ne abbiamo parlato con Tommaso Orazi che ci ha spiegato cosa lo ha portato a collaborare con l’organizzazione del Mercato Contadino di Zagarolo, in provincia di Roma.12400747_10208757403597514_7836045629580058692_n

Il mercato contadino di Zagarolo

“La grande distribuzione organizzata, protagonista della globalizzazione, crea disparità e spreco. Non si produce in base alla domanda, ma si sfruttano le risorse del mondo, anche umane, per produrre il più possibile al minor costo; si accumulano i prodotti per distribuirli a chi se lo può permettere. Non c’è contatto diretto tra chi produce e chi consuma e spesso sono proprio i braccianti che coltivano per le grandi aziende a non avere sufficiente accesso al cibo”.

Da consumatore occasionale dei mercati e partecipante ai gruppi di acquisto solidale, da qualche anno Tommaso è impegnato in una realtà di economia circolare. “Al mercato contadino, che si tiene ogni domenica mattina, partecipano circa 30 produttori con un vasto assortimento di prodotti alimentari di stagione, fiori e piante, erbe aromatiche e officinali, cosmesi naturale. Abbiamo un regolamento che cerchiamo di fare rispettare per mantenere alta la qualità del mercato. Nessun prodotto deve provenire dalla grande distribuzione. Oltre alle visite degli agronomi accreditati, dallo scorso anno, partecipano alle visite anche i consumatori stessi del mercato per conoscere meglio i produttori e scoprire cosa c’è dietro ogni loro prodotto. È un modo per valorizzare il lavoro di chi propone prodotti di qualità rispetto a quanto si trova nella GDO. I contadini vengono stimolati a produrre varietà antiche o tipiche del territorio e i cittadini a riconoscere e ad apprezzare i prodotti autoctoni come la Sarzefina e il Cavolo di Zagarolo, la nocciola dei Colli Prenestini, il Marrone di Labico e speriamo da quest’anno il Pisello labicano. La parte più bella forse è che il mercato non è solo un luogo per fare la spesa ma è uno spazio per trascorrere una piacevole mattinata, qualche volta animata da musicisti e artisti di strada”.27750141_10216304152141511_9115219256850101180_n

Intorno al Mercato contadino di Zagarolo sono nati 2 progetti. Il primo è il progetto di artigianato artistico a Km 0 “In corso d’opera XL”: ogni seconda domenica del mese il mercato si estende con lo spazio per gli artigiani con dimostrazioni sul posto di vecchi e nuovi mestieri. Creazioni artigianali estemporanee permettono di mostrare come si può lavorare il legno, il ferro, il vetro, la lana, la pelle, il PET, quindi anche alcune tecniche di riuso creativo, ed altri materiali. Il secondo progetto si chiama “No Spreco Alimentare/Invenduto solidale di Zagarolo”: consiste nel raccogliere l’invenduto del mercato per destinarlo a famiglie o associazioni oppure per trasformarlo per eventi solidali. Tommaso chiarisce: “L’obiettivo non è fare assistenzialismo ma creare relazioni di mutuo aiuto. Si cerca di non donare ma di creare uno scambio con la famiglia o l’associazione beneficiaria anche solo nel portare avanti il progetto stesso. Il gruppo No spreco Alimentare collabora anche con Baobab Experience che sostiene i migranti di passaggio da Roma con pasti caldi, abiti e supporto di vario genere.19366173_10213238827786253_6779514925787920805_n

Sabato 17 Febbraio a Zagarolo è in programma “Più U.. Mani per Capricchia”. Dalle ore 16 ci vediamo per impastare la pasta insieme e poi per proseguire con la cena solidale per la comunità di Capricchia, in provincia di Amatrice, colpita dal sisma un anno e mezzo fa. Le cene solidali sono preparate sempre con l’invenduto del mercato, organizzate a rifiuti 0, a contributo libero e con il meccanismo del Buono spesa sospesa. Per chi collabora è stanziata una parte simbolica del ricavato, concordata con il beneficiario dell’iniziativa, sotto forma di Buoni da spendere al Mercato Contadino di Zagarolo. L’invenduto diventa volano per la crescita del territorio e per azioni di solidarietà, un circuito virtuoso di economia circolare e socializzante.  “Un evento particolarmente partecipato è quello dello Scambio di Semi organizzato ogni anno per favorire la biodiversità. Domenica 18 febbraio si potranno scambiare o prendere semi con l’impegno di riprodurne una parte per regalarli. Semi e piantine sono tutte autoprodotte, anche di varietà antiche. Uscire dal circuito di sfruttamento globalizzato ed entrare nei circuiti del rispetto del locale si può”.

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Hackability: designer e disabili per una tecnologia “dal basso”

L’artigianato digitale si mette a disposizione dei disabili per progettare ausili capaci di venire incontro alle loro esigenze. Il progetto Hackability fra proprio questo, coinvolgendo competenze trasversali e mettendo i risultati a disposizione di tutti grazie all’open source. Fabbricazione artigianale, tecnologia e confronto multidisciplinare: sono questi gli ingredienti che hanno dato vita ad Hackability, un punto di incontro per professionisti che impiegano la proprie conoscenze per cercare di migliorare la vita dei disabili.Di-Culo-2

Oggi è un’associazione ma nasce come una community e il primo hackaton di Hackability si è svolto nel 2015 a Torino. Gli hackaton sono gare non competitive tra team composti da designer, maker e informatici che progettano ausili super personalizzati insieme ai disabili per rispondere alle esigenze della vita quotidiana garantendo un prodotto ideato“su misura”.

L’idea di kackability nasce dall’osservazione di quanto sia diffusa la richiesta di presidi,  oggetti o telecomandi che si adattino a richieste e problematiche specifiche. Da qui la consapevolezza che le risposte non possono che essere adattamento e personalizzazione di oggetti comunemente in commercio, l’autocostruzione o la realizzazione di nuove soluzioni supportate da tecnici o da piccoli artigiani. La produzione industriale non può essere in alcun modo la strada da percorrere, sia perché alcuni adattamenti sono così specifici da non essere spendibili per una linea seriale, sia perché i costi di produzione per oggetti che si diffonderebbero solo su strettissima scala sarebbe enorme.Polito4

La soluzione è dunque la diffusione del principio che guida i fablab, utilizzando i migliori strumenti dell’alta tecnologia per la co-progettazione e lo sviluppo di oggetti dal “design for each” (un design su misura per ogni esigenza specifica). In questo modo macchine di prototipazione, stampanti 3D e schede open  source possono essere utilizzati per produrre presidi nuovi (o migliorati) e oggetti a basso costo per supportare le persone con disabilità nella vita quotidiana, facilitandone l’inclusione, l’autonomia lavorativa e la riabilitazione. Ma il bello non finisce qui, perché una volta realizzato il prototipo i modelli sono gestiti in un regime di totale open source, i file di progettazione sono messi on-line e chiunque potrà riprenderli e adattare a sua volta l’oggetto alle proprie necessità.

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2017/02/hackability-designer-e-disabili-per-una-tecnologia-dal-basso/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni

Artigianato: se le piccole botteghe scelgono la sostenibilità

Il futuro è nell’artigianato, come dimostra anche la rinascita di tante piccole botteghe italiane. Oggi vogliamo raccontarvi la storia della falegnameria Rubboli che dalla fine degli anni ’80 ha scelto di utilizzare solo vernici naturali e basare la sua attività sull’importanza delle relazioni e sul rispetto della natura. Più di cinquant’anni di storia e non sentirli. Anzi, ad ascoltare le parole di Stefano, ci si accorge di come egli sia proiettato nel futuro, pur tenendo in piena considerazione il passato e le tradizioni familiari.

La falegnameria Rubboli venne fondata 65 anni fa a San Zaccaria, in provincia di Ravenna, da suo padre e oggi è portata avanti da Stefano insieme alla moglie. “Abbiamo sempre condiviso le cose, non c’è mai stata una gestione da mio babbo passata a me, è sempre stata una gestione collaborativa”. Il padre si è ritirato tre anni fa. “Viene ancora a dare una occhiata, lo posso chiamare quando ho bisogno di un consiglio, cerco di coinvolgerlo quando devo andare a comprare il legno ad esempio”.

“Produciamo cose solamente fatte con prodotti naturali”. Curioso il momento in cui decisero di passare ad una produzione sostenibile e rispettosa dell’ambiente. “È un aneddoto che mi piace raccontare. Un giorno venne qui un signore che vendeva vernici naturali, con sul giubbotto un disegno di un sole che ride – ci dice sorridendo – e quando iniziò a parlare di queste tematiche legate alla sostenibilità, ci sembrò una cosa strana. Nel giro di qualche mese questi discorsi che sembravano insensati, presero forma e concretezza. Capimmo che si poteva vivere senza distruggere il mondo”. Tutto ciò accadde nel 1988.falegnameriarubboli1

La falegnameria utilizza solo vernici naturali, e la differenza rispetto a quelle tradizionale è altissima. “Con la vernice tradizionale plastifichi il legno – continua l’artigiano romagnolo – lo impermeabilizzi e lo rendi quasi un inerte; con la vernice naturale il legno rimane vivo, per cui avrà sempre le sue dilatazioni, i suoi movimenti”.

Il costo delle vernici naturali è competitivo, a differenza di quanto si possa pensare.
“Cinque litri di vernice naturale possono costarti 250 €, mentre lo stesso quantitativo di vernice tradizionale costa circa 30 €. Però v’è una differenza : per verniciare un tavolo usando il prodotto naturale si usano tre etti di vernice, con un prodotto chimico tradizionale si usano dai cinque ai dieci chilogrammi di prodotto, e buona parte di questi vanno in atmosfera”.

Inoltre ne guadagna la salute del pianeta, con meno risorse utilizzate e di migliore qualità oltreché la salubrità degli operatori che quotidianamente respirano un prodotto più naturale. “Nel lavoro tradizionale hai un consumo di energie e materie prime, di ferramenta e vernici di un certo tipo. Se invece lavori in un’altra maniera, produci molto meno. Mentre prima quando usavi le altre vernici ti sentivi rintronato per tre giorni, con questo tipo di vernici non hai questo problema. Hai un miglioramento della tua qualità di vita lavorativa enorme”.

Da uno studio specifico fatto sulle sue vernici si è dimostrato che “non provocano danni all’ambiente e agli operatori; il residuo secco può essere utilizzato per fare compostaggio, e non comportano danni all’utilizzatore finale, salvo che esso abbia delle patologie pregresse”.FalegnameriaRubboli2.jpg

Una delle componenti principali dell’attività di Stefano è la relazione. “Capita che un cliente che non viene da vent’anni, se passa da San Zaccaria si fermi a salutarmi”. I suoi clienti “sono persone normali, tendenzialmente votate al volontariato e più sensibili rispetto la media. Mi riconosco in molti di loro, sono persone semplici”. Tant’è che quando gli chiediamo qual è la sua più grande soddisfazione, ci dice che è proprio il rapporto con le persone, mentre la più grande difficoltà è il non essere capito dalle istituzioni e enti pubblici. Un’altra immensa soddisfazione per Stefano è stato istallare un impianto fotovoltaico, in grado di mettere in rete un terzo dell’energia generata. È stato l’ultimo progetto studiato e realizzato insieme al padre prima che andasse in pensione. Il legname utilizzato è esclusivamente di provenienza europea o nord americana. Non proviene dall’Africa, dal Sud America o dal Sud est asiatico per prendere materiale proveniente da deforestazione. “In Europa o in Nord America tutte le foreste sono a taglio controllato: vengono sempre ripiantate e non sono foreste vergini”.

L’amore e la passione per il suo lavoro gli danno la determinazione per continuare sempre con lo stesso entusiasmo. “Non è un lavoro che puoi fare se non ti piace, se pensi ai soldi. La testa è qui: pensi a quel che devi fare”.falegnameriarubboli3

Ascoltando Stefano capiamo quanto gli piaccia trascorrere i suoi giorni lavorando il legno. Ci viene quindi spontaneo chiedergli se c’è e qual è la sua pianta favorita. “Ci sono legni che adoro, uno di questi è il rovere. È il mio preferito. Mi piace anche il tiglio, legno semplice che cresce velocemente, tenero e compatto”. Senza dimenticarci che “l’albero è un prodotto della natura, ed ognuno è diverso dall’altro”.

Riascoltando le parole di Stefano ci viene in mente il detto di Laozi, che da oggi possiamo ribaltare: fa più rumore una foresta che cresce che un albero che cade.

Intervista: Daniel Tarozzi e Andrea Degl’Innocenti
Riprese: Paolo Cignini
Montaggio: Roberto Vietti

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