Post-pandemia: c’è la green economy nel futuro dell’Italia?

Numerose indagini e statistiche sembrano confermare che, in particolare durante e dopo la pandemia, il nostro Paese si è orientato verso un’economia più sostenibile, sia dal punto di vista delle imprese che da quello delle scelte d’acquisto dei singoli. Agnese Inverni della Cooperativa agricola sociale O.R.T.O. analizza i dati e prova a trarre alcune conclusioni in merito. Le imprese italiane sono sempre più green: questo è quanto emerge dall’undicesimo rapporto GreenItaly della Fondazione Symbola e di Unioncamere che analizza lo sviluppo delle attività produttive ecosostenibili sul territorio nazionale. Dal rapporto risulta che nel periodo 2015-2019 più di 432.000 imprese italiane dell’industria e dei servizi, ovvero il 31,2% del totale, hanno investito in prodotti e tecnologie per la sostenibilità ambientale. Il picco massimo è stato raggiunto nel 2019 con quasi 300.000 aziende che hanno puntato soprattutto su efficienza energetica, utilizzo di fonti di energia rinnovabile, minore consumo di acqua e riduzione dei rifiuti. La pandemia da Covid-19 ha contribuito alla momentanea riduzione degli eco-investimenti da parte delle imprese che tuttavia li ritengono un’ottima strategia da adottare sempre più spesso negli anni a venire. È ormai evidente la necessità di un cambio di paradigma nell’organizzazione del sistema produttivo che dovrà essere orientato in direzione della sostenibilità economica, sociale e ambientale. La vecchia concezione secondo cui non sia possibile conciliare il profitto e la tutela della natura ha rivelato la sua infondatezza: ad oggi è sempre più chiaro agli occhi di produttori e consumatori che la green economy è la migliore strategia di sviluppo per il futuro. Il 2020 è stato un anno indubbiamente difficile in Italia e nel resto del mondo. Tante delle nostre certezze sono crollate e ci siamo ritrovati a riflettere sulla stile di vita delle nostre società e sulle azioni e le scelte individuali che compiamo ogni giorno. La percezione comune è che la propagazione della pandemia sia stata favorita, in una certa misura, dallo sviluppo di un modello economico improntato su consumismo sfrenato e globalizzazione. Questa presa di coscienza, seppur destabilizzante, è stata la scintilla che ha innescato il cambiamento di mentalità i cui effetti saranno dirompenti nel prossimo futuro.

Già da alcuni anni gli italiani dimostrano una crescente sensibilità nei confronti delle tematiche ambientali e stanno modificando le proprie abitudini in funzione dell’ecosostenibilità. Per capire l’entità del fenomeno possiamo fare riferimento al 6° Osservatorio nazionale sullo stile di vita sostenibile, un’indagine realizzata da Lifegate in collaborazione con Eumetra MR. Il documento (elaborato a gennaio 2020 prima dell’emergenza sanitaria) mostra che per il 62% degli italiani quello della sostenibilità è un tema sentito e non solo una moda passeggera; il 72% si sente coinvolto nelle questioni ambientali e il 32% si dichiara addirittura “appassionato” al tema. Sul fronte degli acquisti gli italiani sono disposti a spendere di più principalmente per prodotti a km0 (nel 44% dei casi), per prodotti bio (36%) e per giocattoli per bambini realizzati con materiali sostenibili (36%). I giovani della Z-generation sono disposti a spendere di più anche per energia rinnovabile (40%) e per sistemi di domotica per il risparmio energetico (35%). La tendenza dei consumatori italiani è quella di ridurre la propria impronta ecologica anche attraverso le nuove tecnologie che si rivelano una buona soluzione per tagliare gli sprechi, ridurre il consumo di energia e conservare le risorse naturali. Un’idea diffusa è che non sia necessario sacrificare la qualità della propria vita per essere più green e che, al contrario, modificare alcune abitudini possa migliorare notevolmente la salute e il benessere personale. Proprio in virtù di questa convinzione, negli ultimi anni si sta verificando un cambiamento significativo delle tendenze alimentari degli italiani che si mostrano sempre più attenti al cibo sano, biologico ed ecofriendly. Il rapporto “Bio in cifre 2020” realizzato da Sineb-ISMEA attesta che nella prima metà dell’anno il consumo di prodotti agroalimentari biologici è cresciuto del 4,4% rispetto al 2019 raggiungendo la cifra record di 3,3 miliardi di euro. L’emergenza sanitaria ha contribuito all’aumento delle vendite di prodotti biologici dato che, durante il lockdown nazionale, molti italiani hanno trascorso più tempo in cucina e sono stati più attenti nella scelta delle materie prime alimentari, preferendo quelle di alta qualità e a ridotto impatto ambientale. I consumatori, ora più che mai, sono influenzati nelle loro scelte di acquisto anche da alcuni parametri legati alla sostenibilità del prodotto quali il materiale del packaging, le emissioni di CO2 nelle fasi di trasporto e distribuzione, il consumo di acqua e la gestione dei rifiuti. Alla luce di tutte queste considerazioni, è facile immaginare che il modello di consumo della società post-pandemica sarà orientato in direzione della sostenibilità; è necessario infatti realizzare più prodotti e servizi innovativi che sappiano rispondere al bisogno dei clienti di vivere in armonia con la natura. Molte imprese italiane stanno attuando un percorso di transizione ecologica delle proprie attività e già da alcuni anni investono in tecnologie green e nell’assunzione di personale specializzato nella sostenibilità ambientale.

Gli eco-investimenti si sono rivelati una strategia vincente anche di fronte alla crisi innescata dalla pandemia da Covid-19: nell’ultimo anno il 16% delle imprese votate al green è riuscito ad aumentare il proprio fatturato e il 9% di esse ha assunto nuovo personale (contro rispettivamente il 9% e il 7% delle aziende meno attente all’ambiente). La riconversione ecologica del sistema produttivo potrebbe dunque favorire non solo la ripresa economica ma anche l’aumento dell’occupazione lavorativa; in particolare i più giovani potrebbero usufruire di nuove opportunità e specializzarsi in settori professionali del tutto inesistenti fino a qualche anno fa.

Le competenze relative all’ecosostenibilità e anche una certa sensibilità nei confronti delle tematiche ambientali sono considerate delle capacità molto importanti in ambito aziendale: per alcune imprese sono ormai essenziali tanto quanto la conoscenza lingua inglese o delle principali applicazioni software di produttività personale.

Il rapporto “Green Jobs: Towards decent work in a sustainable, low-carbon world” realizzato dall’UNEP (United Nations Environment Programme) nel 2009 definisce i green jobs come quelle occupazioni nei settori dell’agricoltura, del manifatturiero, nell’ambito della ricerca e dello sviluppo, dell’amministrazione e dei servizi che contribuiscono in maniera rilevante a preservare o restaurare la qualità ambientale. Sono incluse tutte le professioni che aiutano a mantenere la biodiversità e gli equilibri ecosistemici, a ridurre il consumo di materiali e di energia, a decarbonizzare le attività economiche e a diminuire o eliminare l’inquinamento e la produzione di rifiuti. È una definizione di ampio respiro che prende in considerazione diverse specializzazioni nei più svariati settori economici, dall’agricoltura ai servizi informatici, dall’industria alla ricerca scientifica, dal commercio all’arte e alla cultura. Le possibilità lavorative che si presentano sono molteplici e in continua evoluzione; da ogni attività riconvertita in chiave green è possibile generare nuove idee e nuove occupazioni innescando così un circolo virtuoso di sostenibilità. I settori che più necessitano di personale specializzato in tal senso sono l’edilizia e l’industria che richiedono sempre più spesso l’intervento di ingegneri e chimici ambientali. Anche l’energy manager è diventato una figura irrinunciabile all’interno delle aziende dato che si occupa dell’uso razionale dell’energia. Stessa importanza assume l’informatico ambientale che progetta software per il monitoraggio dei consumi e dei sistemi di riscaldamento e raffreddamento in ambito domestico. Se da una parte i consumatori italiani richiedono l’applicazione di tecnologie sempre più green, dall’altra avvertono il bisogno di ritornare alla natura, alla semplicità, a uno stile di vita più genuino e autentico. E quale modo migliore di farlo se non attraverso l’alimentazione? Come diceva il filosofo tedesco Ludwig Feuerbach “siamo ciò che mangiamo” e ad oggi molti italiani sono interessati a conoscere sempre meglio il cibo di cui si nutrono. Nel 2019 le imprese agro-alimentari biologiche in Italia hanno superato le 80.000 unità e hanno generato una filiera di produzione e distribuzione che necessita continuamente di nuovi biocontadini con competenze specifiche di agroecologia.

Sta prendendo sempre più piede anche la figura del culinary gardener, ovvero il produttore-consulente che collabora con chef e ristoratori per rifornirli delle migliori materie prime alimentari. È un esperto che sa come valorizzare le varietà ortofrutticole tipiche del territorio per creare menù originali e allo stesso tempo vicini alla tradizione culinaria italiana; spesso pratica il foraging, cioè la raccolta e la preparazione in cucina di erbe spontanee, garantendo al cliente ingredienti 100% naturali e a km0.

Sono molti altri i green jobs che saranno sempre più richiesti nei prossimi anni: il mobility manager per la gestione di sistemi di trasporto a basso impatto ambientale, il bioarchitetto per la progettazione di design sostenibile, l’operatore di ecoturismo, l’esperto di moda vegan ecc.. Non c’è settore produttivo che non possa reinventarsi in chiave green e quindi le possibilità occupazionali sono pressoché illimitate. Quel che è certo è che siamo di fronte a una grandiosa opportunità che consentirà di assumere circa 480.000 nuovi professionisti “verdi” in Italia e di creare ben 24 milioni di posti di lavoro in tutto il mondo entro il 2030. D’altronde la parola crisi deriva dal greco krisis, che significa “scelta”, proprio ad indicare come ogni problema, se analizzato attentamente, riveli da sé la soluzione per risolverlo.

Fonte: https://www.italiachecambia.org/2021/09/green-economy-italia/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

Chiesi, il gruppo farmaceutico che ha scelto l’etica e la responsabilità

Responsabilità sociale ed ambientale. Questi sono i pilastri su cui ha scelto di fondare la propria attività la Chiesi Farmaceutici, tra le più grandi aziende farmaceutiche italiane, oggi presente in 29 paesi. Una storia di determinazione nel voler investire in Italia e nelle ricerca Italiana ai massimi livelli di qualità, ottenendo anche la certificazione BCorp.

La storia che vi raccontiamo oggi è quella di un’azienda tutta italiana che opera nel campo della farmaceutica: la Chiesi Farmaceutici, che sin dalla sua nascita si è distinta da altre società del settore per le scelte etiche che tutta la famiglia ha voluto portare avanti nel tempo. È stata fondata nel 1935 dal nonno, Giacomo Chiesi, e oggi i discendenti continuano nell’intento di dedicare molta attenzione alle persone, al territorio e alla qualità del proprio operato. Ne parliamo con la dott.ssa Maria Paola Chiesi, consigliera di amministrazione e coordinatrice dellaomonimaFondazione no profit nata nel 2005. Lo stile sobrio, prudente e determinato fanno trasparire la consapevolezza del ruolo e della responsabilità che la famiglia Chiesi si è assunta facendo scelte coraggiose. 

L’azienda ha scelto innanzitutto di rimanere in Italia, cioè di pagare le tasse in Italia, cosa per nulla scontata, anche in questo settore. In più si è scelto di investire in ricerca e sviluppo senza ricorrere alla quotazione in borsa ma investendo il proprio capitale con il massimo della trasparenza. Confrontarsi con le multinazionali ha richiesto una strategia di lunga visione: puntare sulla qualità in settori di nicchia e procedere per piccoli passi. Una strategia rivelatasi vincente, considerato che ora la Chiesi fattura due miliardi di euro l’anno. Abbiamo realizzato l’intervista presso il Centro Ricerche dell’azienda che, nato una decina anni fa, è la dimostrazione che anche in Italia si può fare ricerca. Pur essendo presente in 29 Paesi e avendo 6000 dipendenti in tutto il mondo, la Chiesi ha deciso di mantenere in Italia il principale sito di ricerca, insieme a quello produttivo.

Il Centro Ricerche

Maria Paola ci parla dell’Italia come di un paese dalle condizioni favorevoli perché l’accesso alle cure è gratuito per tutti, al contrario di paesi come gli USA dove il diritto alla salute non è garantito costituzionalmente: «Siamo privilegiati ma la ricerca assorbe molte energie finanziarie; i nostri migliori vanno all’estero. Bisognerebbe investire maggiormente sulla qualità delle cure, supportando con orgoglio la ricerca italiana; questo dovrebbe essere l’obiettivo fondamentale».

Non è un caso che tra le attività filantropiche della Fondazione Chiesi c’è anche quello di incrementare l’avvicinamento dei giovani alle materie scientifiche. Nel gruppo è molto presente la visione sistemica. Maria Paola Chiesi, infatti, continua a descrivere la società come un sistema integrato in cui ognuno deve fare la propria parte e che per migliorare la qualità delle cure è necessario ascoltare tutti i soggetti interessati, iniziando dai pazienti: i clienti. Già molte azioni sono state intraprese per capire meglio quali siano le reali esigenze della popolazione, oltre il farmaco, ad esempio quali i bisogni dei care givers, quella grande fetta di popolazione, soprattutto femminile, che si occupa quotidianamente di familiari non autosufficienti. 

«Va coinvolta anche la comunità medica ed i governi perché abbiamo abbastanza conoscenze scientifiche per poter aspirare ad una vita longeva e felice, non una mera “sopravvivenza”».

Sul lato della sostenibilità ambientale la Fondazione ha traghettato quelle che erano le attività filantropiche, ereditate negli anni, nel percorso di responsabilità sociale d’impresa che ha portato la Chiesi ad avere le più importanti certificazioni di Benefit Impact Assessment. Le BCorp (Benefit Corporation) acquisiscono indicatori di qualità lungo i 5 assi: governance, dipendenti, comunità, ambiente e clienti. «Nel piano strategico di sostenibilità abbiamo coinvolto tutte le filiali con 18 assessment contemporaneamente. Stiamo imparando a valutare le nostre politiche e vogliamo aiutare altri a fare lo stesso e ad acquisire le eccellenze da chi si muove meglio di noi».

Dal punto di vista imprenditoriale l’incontro con la Chiesi Farmaceutici ci ha fatto scoprire una bella storia italiana e di successo. Ma il mondo della farmaceutica è un mondo a sé, un mondo chiuso. È una commistione tra scienza, mercato e politiche di salute pubblica. I farmaci sono una tecnologia importantissima per far fronte a diverse situazioni critiche di salute; altro è il consumismo farmaceutico, il guadagno a qualunque costo e i tentativi di monopolio sulle modalità di cura.

Questa realtà ci fa sperare che anche in questo settore ci siano delle piccole rivoluzioni.

Fonte: https://www.italiachecambia.org/2020/02/chiesi-gruppo-farmaceutico-che-ha-scelto-etica-responsabilita/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

Il mito della crescita verde

La crescita verde non può esistere: il Movimento per la Decrescita Felice ha curato e pubblicato la versione italiana di uno studio denominato “Il mito della crescita verde: perché non è possibile disaccoppiare la crescita economica dalla crescita dell’impatto ambientale”, che evidenzia come crescita economica e impatto ambientale siano direttamente collegati. È con piacere che vi presentiamo la traduzione italiana del report “Decoupling debunked – Evidence and arguments against green growth as a sole strategy for sustainability” curata dai volontari del Movimento per Decrescita Felice e pubblicata oggi, in accordo con gli autori del documento originale. Lo studio è stato pubblicato in lingua inglese l’8 Luglio 2019 dall’European Environmental Bureau (EEB), una rete di oltre 143 organizzazioni con sede in più di 30 paesi, e si prefigge il dichiarato scopo di rispondere a quella che – a nostro parere – rappresenta la più importante domanda da porci oggi: “È possibile godere dei benefici della crescita economica e raggiungere allo stesso tempo la sostenibilità ambientale?”. Infatti nell’ultimo decennio, la crescita verde è stata chiaramente la narrazione politicamente dominante: le agende di ONU, Unione Europea e di molti paesi si sono basate sull’assunto che il disaccoppiamento dell’impatto ambientale dal PIL possa permettere in futuro una crescita economica infinita.

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Attraverso una revisione sistematica della letteratura scientifica empirica e teorica, gli autori di questo report arrivano ad una conclusione “allo stesso tempo prepotentemente chiara e deludente: non solo non ci sono prove empiriche per supportare l’esistenza di un disaccoppiamento della crescita economica dall’impatto ambientale, di un’entità anche solo prossima a quella necessaria ad affrontare il collasso ambientale, ma anche – e questo forse è ancora più importante – sembra improbabile che questo disaccoppiamento possa avvenire in futuro.”

Dato che anche noi, come gli autori, riteniamo che sia “urgente considerare le conseguenze di questi risultati nella definizione delle politiche”, abbiamo voluto tradurre e diffondere questo report che ci è sembrato allo stesso tempo chiaro nella trattazione quanto di elevata qualità nell’elaborazione scientifica. La sfida globale per i popoli del mondo è quella di tentare insieme di perseguire lo scenario di mitigazione proposto dall’IPCC di +1.5°C e di attuare gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile; appare chiaro che l’unica soluzione ragionevole sia quella di “allontanarsi dunque per cautela dal perseguimento continuo della crescita economica nei paesi ad alti livelli di consumo. Più precisamente, le strategie politiche esistenti dirette all’incremento dell’efficienza dovranno essere completate dalla ricerca della sufficienza, cioè dalla diretta riduzione della produzione economica in molti settori, e dalla parallela riduzione dei consumi, il che permetterà insieme un’alta qualità di vita all’interno dei limiti ecologici del pianeta”.

Vi invitiamo dunque a scaricare, leggere e diffondere il più possibile questo documento, che in italiano abbiamo deciso di intitolare “Il Mito Della Crescita Verde – perché non è possibile disaccoppiare la crescita economica dalla crescita dell’impatto ambientale”.

È stato per noi un piacere e un onore portare a termine questo progetto e contribuire al dibattito su di una tematica per noi centrale e di vitale importanza. Questo rappresenta solo il primo passo verso una auto-formazione collettiva necessaria all’elaborazione di un immaginario nuovo. Per avere informazioni o organizzare eventi a riguardo non esitate a contattarci.

Ringraziamo qui pubblicamente coloro che hanno attivamente prestato servizio volontario alla traduzione di quest’opera:

Traduzione:

– Marco Sacco (MDF Venezia),

– Ludovica Kirschner (MDF Venezia),

– Michel Cardito (MDF Brescia),

– Karl Krähmer (MDF Torino)

Impaginazione:

– Elena Tioli (Responsabile Comunicazione MDF)

Revisione:

– Ludovica Kirschner (MDF Venezia),

– Silvio Cristiano (Esterno)

Ringraziamo inoltre e gli autori e gli scienziati che hanno contribuito con il loro pensiero e il loro lavoro alla stesura del report originale.

Vi lasciamo infine con il messaggio di speranza contenuto negli ultimi capoversi del report e con l’augurio che questo possa raggiungere più persone possibile:

“Negli ultimi due decenni, i movimenti nel nord del mondo (città in transizione, decrescita, ecovillaggi, città lente, economie sociali e di solidarietà, economie per il bene comune) hanno iniziato a organizzarsi attorno al concetto di sufficienza, e potrebbero ispirare un approccio politico trasversale. Quello che dicono è che “di più non è sempre meglio” e che in un mondo in emergenza climatica, abbastanza può essere abbondanza. Come sostenuto da molti di questi attori, la scelta della sufficienza non è una scelta di sacrificio, disoccupazione, crescente disuguaglianza, povertà e riduzione dello Stato sociale. È invece la scelta di un’economia equa, che rimanga all’interno delle capacità di carico della biosfera o, come è stata definita nel 7° programma di azione ambientale dell’UE, “vivere bene entro i limiti ecologici del pianeta”. Ascoltando queste opzioni alternative, dovremmo riformulare del tutto il dibattito: ciò che dobbiamo disaccoppiare non è la crescita economica dalle pressioni ambientali ma la prosperità e la “bella vita” dalla crescita economica. Questo lavoro evidenzia la necessità di una nuova cassetta degli attrezzi concettuale per influenzare le politiche ambientali. In questa prospettiva, sembra urgente che i responsabili politici prestino maggiore attenzione e sostengano le diverse alternative alla crescita verde già esistenti. Trarre insegnamenti dalla diversità delle persone e delle cornici teoriche che in questo momento sono impegnate nell’immaginare e attuare modi di vita alternativi è un modo promettente per risolvere ciò che percepiamo come una crisi dell’immaginazione politica. Il successo di tale iniziativa è importante, perché c’è in gioco a dir poco il futuro dei nostri figli e nipoti, per non dire dell’intera civiltà umana in quanto tale.”

Il Direttivo, i soci e le socie del Movimento per la Decrescita Felice

Fonte: https://www.italiachecambia.org/2019/12/il-mito-della-crescita-verde/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

L’Università di Torino ai primi posti per la sostenibilità ambientale

L’Università di Torino, anche questa volta, non perde occasione per far parlare di sé conquistando i primi posti tra gli atenei come buon esempio in fatto di sostenibilità, per le sue azioni e politiche attuate per ridurre i consumi e migliorare il suo impatto ambientale e sociale. L’Università di Torino è il secondo Ateneo italiano all’interno di una classifica internazionale che valuta la sostenibilità ambientale e sociale di circa 800 campus universitari. Nell’edizione appena pubblicata del “GreenMetric 2019” l’Ateneo torinese si è piazzato al secondo posto, confermando la posizione dello scorso anno, tra le 29 università italiane partecipanti, preceduto solo da quello di Bologna. A livello internazionale, inoltre, si è classificato al 41° posto su 780 università partecipanti testimoniando una crescita progressiva: nel 2018 aveva raggiunto la 47° posizione, nel 2017 la 55°, come dichiarato nel comunicato stampa di UniTo. La classifica assegna un punteggio in base ai dati inviati dagli atenei sulle azioni e sulle politiche attuate per ridurre i consumi e migliorare la sostenibilità, mettendo in luce gli sforzi ecologici compiuti dalle università e suggerendo possibili aree di intervento, che spesso richiedono il coinvolgimento degli altri enti e attori locali.

Foto tratta da UniToGO

La classifica prende in considerazione gli indicatori relativi a diversi ambiti quali infrastrutture (dati generali dell’ateneo, aree verdi e budget dedicato alla sostenibilità), energia (consumi e politiche per ridurne l’impatto), rifiuti (trattamento e riciclo), acqua (conservazione e riciclo), trasporti (politiche per la mobilità sostenibile nelle sedi universitarie), didattica e ricerca (corsi, progetti e prodotti di ricerca in materia di sostenibilità e diffusione delle conoscenze alla società). Quest’anno, in particolare, ai primi cento posti di GreenMetric 2019 sono presenti ben 4 Atenei italiani: oltre all’Università di Torino, figurano Bologna (1° italiana, 14° globale), Venezia Ca’ Foscari (3° italiana, 99° globale) e Milano Bicocca (4° italiana, 101° globale). Come spiegato nella nota stampa, per velocizzare e migliorare la transizione verso un “mondo verde”, nel 2016 l’Università di Torino ha varato il progetto UniToGO – Green Office di Ateneo, ora parte integrante della struttura amministrativa, con l’obiettivo di progettare e promuovere iniziative in tema di sostenibilità ambientale attraverso un network multidisciplinare che unisce e docenti, ricercatori e ricercatrici, personale tecnico e amministrativo, studenti e studentesse.

Foto tratta da UniToGO

L’Università di Torino, inoltre, aderisce da sei anni alla classifica degli atenei eco-sostenibili creata dall’Università indonesiana di Jakarta con l’obiettivo di spingere decisori e stakeholders a impegnarsi nella lotta ai cambiamenti climatici con una gestione efficiente di acqua e energia, riciclaggio dei rifiuti e mobilità sostenibile, e di promuovere nella società comportamenti maggiormente attenti alla tutela ambientale.

Fonte: https://www.italiachecambia.org/2019/12/universita-torino-primi-posti-sostenibilita-ambientale/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

Con “biciXtutti” nuovi incentivi per favorire la mobilità sostenibile nei Comuni della provincia di Torino

I Comuni della Zona Ovest di Torino, nell’ambito del progetto “ViVO”, lanciano il bando biciXtutti, che assegna incentivi economici per l’acquisto di biciclette e rivolto a residenti, imprese, organizzazioni non profit e condòmini. Un programma sperimentale di mobilità sostenibile finalizzato alla riduzione dell’inquinamento e alla disincentivazione dell’utilizzo dell’automobile negli spostamenti casa-scuola e casa-lavoro. Quanto tempo passiamo al volante? Muoversi tutte le mattine per andare a lavoro imbottigliati nel traffico, le ricerche disperate di un parcheggio e persino l’abitudine all’utilizzo dell’auto anche negli spostamenti più brevi. Per non parlare dei costi economici e del “costo” che ricade sulla nostra salute, sul nostro umore e, non per ultimo, sulla nostra pazienza!  Ma se esistesse la possibilità di spostarci in altro modo, perché non approfittarne?

Ora ciò è finalmente possibile! I comuni della Zona Ovest di Torino si stanno infatti impegnando a promuovere politiche ambientali in tema di mobilità sostenibile su tutto il territorio, prevedendo l’assegnazione di contributi economici sull’acquisto di biciclette e altri mezzi leggeri a emissioni zero ad uso urbano, che disincentivino l’utilizzo dell’automobile.

Si tratta dell’azione “biciXtutti” che fa parte del “Progetto “Vi.VO” promosso dal Comune di Collegno, quale ente capofila, ed esteso a tutti i comuni della Zona Ovest di Torino quali Alpignano, Buttigliera Alta, Collegno, Druento, Pianezza, Grugliasco, Rivoli, Rosta, San Gillio, Venaria Reale e Villarbasse.

E’ un programma sperimentale di azioni fortemente integrate – sia di sostegno della domanda che di miglioramento dell’offerta di servizi di mobilità – finalizzate alla promozione di politiche ambientali e alla riduzione non solo dell’inquinamento atmosferico ma anche utilizzo massivo dell’automobile ad uso individuale. Insomma, un programma che favorisce nuove pratiche ed abitudini collettive improntate ad una maggior sostenibilità.

Su quali mezzi sono applicati gli incentivi?

I mezzi disponibili su cui ottenere un incentivo sono le biciclette a pedalata assistita (nello specifico velocipedi dotati di un motore ausiliario elettrico avente potenza nominale di 0,25 kW), biciclette tradizionali da città, biciclette pieghevoli, minibici, gravel bike e mountain, cargo bike attrezzate per la consegna ed il trasporto di merci o persone, tricicli, handbike e tandem. Come si legge dal bando, “gli obiettivi del progetto sono promuovere la mobilità alternativa per tutte le categorie di utenti, incentivare l’utilizzo di mezzi di mobilità sostenibile all’interno del territorio comunale e creare una relazione positiva con i cittadini sui temi della mobilità sostenibile”.

Chi sono i destinatari?

Trattandosi di un progetto che intende ridurre gli spostamenti in auto e promuovere la mobilità sostenibile nei tracciati casa-scuola e casa-lavoro, coloro che possono accedere al servizio sono in primis i residenti dei Comuni inclusi nel Patto Ovest di Torino, con un contributo esteso anche ai minori residenti che abbiano compiuto i 6 anni di età. Ad ogni richiedente potrà essere concesso un solo contributo di acquisto, ad eccezione del caso in cui si acquisti per uno o più figli minorenni.  Altri destinatari sono organizzazioni senza scopo di lucro e persone fisiche o giuridiche titolari di partita iva attiva con sede operativa negli stessi Comuni.

La somma disponibile per l’attuazione dell’iniziativa, per l’anno 2019, è di 45.000,00 euro ed è finanziata con fondi del Ministero dell’Ambiente. L’entità dell’agevolazione è fissata al 50% della spesa effettivamente sostenuta in base alla tipologia di veicolo. Ai fini dell’erogazione del contributo il beneficiario si impegna a far monitorare per 2 mesi i propri spostamenti dal gruppo di lavoro del progetto e dall’Agenzia della Mobilità Piemontese per mezzo di un’applicazione sul proprio smart-phone o navigatore gps e detenere il mezzo acquistato per un periodo di almeno due anni a partire dalla data di liquidazione del contributo.

Per accedere ad ulteriori informazioni è possibile consultare il sito del “Patto Zona Ovest Torino”.

Foto copertina
Didascalia: Biciclette da città
Autore: Unsplash
Licenza: CCO Creative Commons

Fonte: http://piemonte.checambia.org/articolo/con-bicixtutti-nuovi-incentivi-favorire-mobilita-sostenibile-comuni-provincia-torino/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni+

CiòCheVale: l’associazione che riscopre la forza del proprio territorio

Sostenibilità, etica e solidarietà sono i principi cardine alla base della visione di Ciò che Vale, associazione di promozione sociale che, sui territori della collina torinese, sta scommettendo da anni sulla valorizzazione dei luoghi e delle piccole comunità che li abitano, attraverso la riscoperta delle tradizioni e dei saperi locali e la creazione di forme di aggregazione sociale basata su buone pratiche e stili di vita sostenibili.

Casa. La casa è quel luogo familiare, dove ritorniamo al termine della nostra lunga giornata. Casa è dove sono le nostre radici, i luoghi dove siamo cresciuti, dove viviamo, oppure dove abitano i ricordi felici. Il territorio è casa, la casa di tutta la comunità che lo abita e che da esso trae la sua forza. L’Associazione CiòCheVale nasce quattro anni fa dall’idea di Alberto Guggino, incoraggiata dalla voglia di cambiamento e dall’amore per la propria “casa”, cioè il territorio e le persone che lo abitano. Insieme a Pietro Liotta cresce, anno dopo anno, con forza e tenacia per dare vita e spazio alle voci, ai pensieri, ai sogni di chi in questo territorio vive tutti i giorni. Alberto e Pietro non sono soltanto i protagonisti della bella storia che vi stiamo per raccontare. Rappresentano la forza di un territorio che ogni giorno viene riscoperto, il coraggio di chi non vuole aspettare per dare vita al cambiamento, il motore di una rivoluzione che sta trasformando i luoghi e le consapevolezze collettive.

Parlare con Alberto e Pietro è ogni volta di grande ispirazione. Sarà la loro energia, l’entusiasmo contagioso che li contraddistingue e che li ha portati, sui comuni della collina torinese, a dare vita ad un progetto virtuoso per la riscoperta dei luoghi e delle comunità. Sono proprio i comuni della collina torinese gli scenari di una trasformazione avviata da tempo ed il cui tema chiave è la valorizzazione: “Valorizzazione del patrimonio non solo artistico, architettonico e ambientale, che ovviamente sono una parte saliente, ma soprattutto delle tradizioni e dei saperi locali” mi racconta Pietro. Tutti i progetti portati avanti dall’associazione si basano sulla riscoperta del territorio attraverso stili di vita sostenibili quali l’autoproduzione alimentare, la permacultura, la riscoperta dei grani antichi e la valorizzazione della filiera del pane. Una promozione che parla di riscoperta dei luoghi ma soprattutto delle loro tipicità: “in campo agricolo sono presenti attività e coltivazioni che necessitano di essere valorizzate, se no il rischio è che si perdano. Oppure ci sono forme di artigianato locale che andrebbero sviluppate, supportate ed aiutate”.

Alla loro visione si aggiunge la sensibilizzazione a modelli abitativi alternativi come la casa passiva, ovvero un’abitazione autosufficiente a livello energetico o la promozione dell’ecoturismo, come ne è esempio l’albergo diffuso, attraverso il quale dare vita ad una modalità di accoglienza familiare che offre la possibilità di affittare la propria stanza o casa a persone che non hanno la forza o la capacità di inserirsi nei circuiti turistici.

Pistaaa – La Blue Way Piemontese” è uno dei progetti attualmente in atto che intende realizzare tutto ciò, attraverso la realizzazione di un percorso ciclabile che collegherà 21 paesi della collina torinese per un totale di 90 Km utilizzando sentieri e strade bianche, congiungendo tratti di pista ciclabile già esistenti e creando nuovi collegamenti. Si tratta di un progetto che guarda in grande e capace di generare effetti positivi sugli stili di vita e sull’imprenditoria locale. “La pista ciclabile è un obiettivo ma anche lo strumento attraverso il quale cerchiamo di ampliare il concetto di valorizzazione: promuovere le tradizioni, lo sviluppo dell’enogastronomia locale, la diffusione dei sistemi di agricoltura tradizionale, dei saperi degli artigiani del luogo attraverso un turismo lento e di prossimità che permetta di godere appieno delle bellezze che il territorio sa offrire”.

Ma come dare vita ad una vera valorizzazione? Come mi racconta Pietro, è fondamentale fare rete. “Interconnettere e mettere in comunicazione le piccole attività economiche dislocate sul territorio, ma non solo. Creare rete anche tra le varie associazioni ed enti locali in modo che siano capaci di parlare una lingua comune e soprattutto creare sinergie forti tra i comuni. Singolarmente i comuni sono in grado di portare avanti i loro progetti ma lavorare insieme facilita il percorso e dà maggiore forza e peso all’identità del territorio stesso”.

Nei comuni della collina torinese tutto ciò sta diventando realtà. Attraverso i progetti portati avanti da “CiòCheVale” sta avvenendo una crescente e graduale trasformazione collettiva. Adesso, dopo anni di attività sul territorio, l’associazione ha inaugurato la sua nuova sede. Nel comune di Chieri, in via Marconi, vuole rappresentare un punto di riferimento per la comunità, un luogo aperto a tutti in cui creare inclusione sociale e che sarà il trampolino di lancio dei tanti progetti futuri. Già a partire da ora le attività avviate sono numerose: presso la nuova sede ha trovato spazio la recente iniziativa dell”Accademia del Dialogo, che vuole essere uno spazio nascente di confronto, scambio e conoscenze, ovvero un ciclo di incontri che, stimolati ogni volta da un relatore diverso, sono capaci di creare momenti di riflessione e proposte per nuovi progetti collettivi, dando vita ad un vero e proprio laboratorio di pensiero. Si tratta, nello specifico, di uno spazio che mira alla valorizzazione dei saperi messi a disposizione delle comunità locali: “Per ogni area abbiamo previsto 6-7 incontri da realizzare tra il 2019/2020 con un programma intenso.  Gli incontri verteranno su quattro aree: “Andiamo incontro al futuro” come riporta una citazione di Don Luigi Ciotti ed in cui si rifletterà sul tema del cambiamento; “Regola d’arte” in cui daremo spazio al tema dell’arte a partire dalla partecipazione sociale; “Abitare sostenibile” in cui ci confronteremo su forme abitative che si basano sul rispetto dell’ambiente e della sostenibilità quali costruzioni in paglia ed in legno, bioarchitettura o sull’utilizzo della canapa ed infine “Ripartiamo dal cibo” con incontri e riflessioni incentrate sul nostro benessere connesso alla salute del pianeta.

Nella sede dell’associazione Alberto e Pietro hanno in programma di dare vita ad uno spazio anche per i più giovani: “il nostro obiettivo, attraverso lo Spazio Giovani, è coinvolgere i giovani permettendo loro di condividere le proprie competenze e mettere a disposizione i propri talenti” sostiene Pietro. “Credo che oggi dare spazio ai giovani e alle loro iniziative sia fondamentale. La loro forza è potente, talmente potente e fresca che noi adulti non possiamo non darle spazio. Io e Alberto crediamo fortemente nei giovani perchè danno energia, entusiasmo, ci aiutano a crescere”.

Come raccontano tutti i progetti descritti, CiòCheVale rappresenta un esempio virtuoso, un modello di vita e di legame con il proprio territorio che ci dimostra che insieme tutto è possibile. Rappresenta un simbolo di speranza per il futuro, capace di generare l’attivazione delle comunità e nuove reti sul territorio legate da un denominatore comune: il senso di identità. Pietro mi spiega cosa significa per lui l’orgoglio di comunità, che si rispecchia nei vari progetti portati avanti: “per me il senso di comunità è dare la possibilità a delle persone che hanno dei talenti e delle potenzialità di essere conosciuti e di condividerle con altri, mettendo al servizio degli altri le proprie capacità e creando reti di scambio e conoscenze”.

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Didascalia: Valorizzazione territoriale
Autore: Ciò che Vale
Licenza: Pagina fb Ciò che Vale

Fonte: piemonte.checambia.org

“Too Good To Go”, l’app che combatte lo spreco alimentare

“Troppo buono per essere buttato” è il cibo invenduto di ristoranti, bar, panifici, hotel, supermercati e altre attività di ristorazione che, con la nuova iniziativa “Too Good To Go”, giunta a Milano e ora anche a Torino, verrà messo in vendita a prezzi ribassati tramite l’utilizzo di una applicazione, coinvolgendo sempre più persone alla lotta contro gli sprechi alimentari.

Vetrine piene di prelibatezze, abbondanza di alimenti di ogni forma e colore tra i banchi del supermercato, specialità dei ristoranti che aspettano solo di essere gustate. Tanto, troppo cibo appetitoso e pronto per essere consumato che ha un solo problema: è rimasto invenduto e andrà incontro ad un unico, triste destino… finire nell’umido. Negli ultimi anni, anche a fronte di una maggior sensibilità ad una filosofia anti-spreco, le soluzioni per salvaguardare il cibo sono aumentate in modo significativo, attraverso pratiche virtuose che coinvolgono sempre più soggetti.
A Torino è recentemente arrivata Too Good To Go, l’iniziativa che consente alle attività di ristorazione di recuperare il cibo fresco invenduto, permettendo allo stesso tempo ai consumatori, tramite l’utilizzo di un’applicazione, di ordinare il proprio pasto a prezzi ribassati. Quali sono i reali costi dello spreco del cibo? Iniziamo dal fatto che, a scala globale, ogni anno circa un terzo degli alimenti viene sprecato. Per quanto riguarda il caso italiano, come riportato sul sito di Too Good To Go, ogni anno più di 10 milioni di tonnellate di alimenti viene gettato via: “Sono 20 tonnellate per minuto, 317 kg ogni secondo… che corrisponde allo stesso peso di 190 Titanic! Non è assurdo? Questo spreco aumenta ogni giorno e in termini di spesa corrisponde a €17 miliardi l’anno. Sono circa €700 l’anno spesi da ogni famiglia per acquistare del cibo che infine finisce nella spazzatura”.

Too Good To Go rappresenta, in questi termini, un movimento anti-spreco che, nato in Danimarca, è giunto fino in Italia e parte dall’affermazione di Chad Frischmann, esperto del cambiamento climatico, il quale sostiene che ridurre gli sprechi alimentari sia una delle azioni più importanti che possiamo fare per contrastare il riscaldamento globale.
In Italia la missione del progetto si basa quindi sulla volontà di creare la più ampia rete anti-spreco che faciliti un trasformazione collettiva a partire dal cibo, per generare un cambiamento positivo nella società.

“Il cibo viene continuamente sprecato durante l’intero processo che lo porta dalle fattorie alle nostre tavole. Non sono solo gli alimenti in sé che vanno sprecati, lo sono anche tutte le risorse necessarie per produrli, dall’acqua, alla terra, al lavoro delle persone. Se sprecato, il cibo ha un effetto dannoso sull’ambiente in quanto è responsabile dell’8% delle emissioni globali di gas serra” si legge sul sito.

Ma come funziona Too Good To Go?

Accedere al servizio è facile: le attività di ristorazione iscritte all’applicazione metteranno in vendita le cosiddette “Magic Box”, ovvero delle “confezioni magiche” al cui interno si possono trovare prodotti freschi a prezzi ribassati, tra i 2 e i 6 euro. I consumatori, geolocalizzandosi ed individuando i locali inclusi nella rete, potranno quindi ordinare e acquistare online il prodotto, ritirandolo nel negozio interessato. Il cibo proviene ad esempio da bar che hanno cucinato troppi prodotti freschi che non possono essere conservati, oppure da ristoranti che non hanno venduto tutti i piatti che hanno preparato. La particolarità dell’iniziativa è che il consumatore scoprirà il cibo che ha acquistato soltanto nel momento in cui ritirerà la Magic Box. Attraverso il progetto si vogliono incoraggiare i clienti a portare da casa i propri contenitori, col fine di limitare l’uso di imballaggi ed inoltre ogni Magic Box acquistata permetterà di evitare l’emissione di 2 kg di Co2.

Il progetto “Too Good to Go” rappresenta una soluzione “win-win-win” che si basa sulla strategia del “vincere assieme” ed in cui tutti gli attori coinvolti traggono benefici cooperando per un medesimo scopo. Combattere lo spreco rappresenta in questi termini un vantaggio per tutti: per le attività di ristorazione, che in questo modo potranno ridurre le eccedenze alimentari ed espanderanno la propria clientela; per i consumatori, che potranno avere a disposizione pasti freschi e a costi ribassati; per il pianeta, attraverso piccoli cambiamenti nelle nostre azioni quotidiane che possono realmente fare la differenza.

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Didascalia: Lotta allo spreco alimentare
Autore: Too Good To Go
Licenza: Sito Ufficiale Too Good To Go

Fonte: http://piemonte.checambia.org/

Basta microplastiche nelle nostre acque! Da Biella una petizione per salvare il pianeta

Una filiera tessile sostenibile e consumatori consapevoli: sulla piattaforma online Change.org è stata lanciata una petizione mirata all’approvazione, in Italia, di una legge volta alla protezione dei mari della penisola. L’iniziativa, partita da due imprenditori della città laniera, conta attualmente oltre 14mila firmatari.

“Attiviamoci affinché in Italia venga approvata una legge a protezione dei nostri mari, che darebbe un forte impulso economico alla nostra filiera tessile, notoriamente legata alla produzione di capi in fibre naturali come il cotone, la lana e la seta e che quindi crei nuovi posti di lavoro”: è questo quanto si legge nella petizione Basta microplastiche nelle nostre acque, lanciata su Change.org da Giovanni Schneider, amministratore delegato del Gruppo Schneider (e della Pettinatura di Verrone). Cambiare il mondo a partire dagli abiti che indossiamo e dalla produzione, quindi, innestando una sensibilizzazione sociale sui temi ambientali e sugli strumenti che possano ovviare alle problematiche green. Una delle via per contrastare, ad esempio, l’inquinamento dei mari passa dall’acquisto e dalla produzione di capi non sintetici: a questo proposito, nella petizione, viene spiegato come la plastica arrivi negli oceani anche attraverso le lavatrici, in quanto i vestiti composti da tessuti sintetici rilasciano nei cestelli centinaia di migliaia di microfibre plastiche.
In ogni lavaggio, quindi, si fa un potenziale danno ai mari, con le particelle inquinanti che passano dalle fogne ai corsi d’acqua nostrani. Il danno, come intuibile, è all’intero ecosistema, salute dell’uomo compresa. La plastica, infatti, viene ingerita da molti organismi e animali marini, entrando così anche nella catena alimentare.

In quest’ottica, segnali concreti sono arrivati dall’America: in California è in dirittura d’arrivo la legge che renderà obbligatoria l’etichettatura dei capi d’abbigliamento che contengono oltre il 50% di fibre sintetiche; lo Stato di New York ha presentato il disegno di legge AB 1549 (se approvato entrerà in vigore a gennaio 2021) che prevede come nessuna persona, azienda o associazione possa vendere in negozio alcun capo di abbigliamento – scarpe e cappelli esclusi – realizzato con tessuto composto per più del 50% di materiale sintetico senza un’apposita etichetta informativa. Il disegno di legge in questione, come si legge nella petizione, fornisce anche una chiara definizione di microfibra plastica, ovvero ‘una piccola particella sintetica di forma fibrosa, lunga meno di cinque millimetri, che viene rilasciata nell’acqua attraverso il normale lavaggio di tessuti in materiale sintetico’.
Oltre alle istruzioni previste per la cura del capo, l’etichetta – in forma di cartellino o adesivo – dovrà riportare ben in vista, a beneficio del consumatore, delle informazioni di carattere divulgativo sui possibili danni dati dal lavaggio in lavatrice, consigliando quello manuale. Elena Schneider, che insieme al fratello sostiene la petizione, è intervenuta ai nostri microfoni e ha messo in luce la battaglia pro-ambiente intrapresa con “Basta microplastiche nelle nostre acque”: “Come in California e a New York – esordisce – il nostro obiettivo è che venga approvata una legge a riguardo anche in Italia. Per questo vogliamo dare più risonanza possibile alla petizione, che attualmente conta oltre 14mila firmatari. Quando i numeri saranno ancor più elevati, la rivolgeremo a Sergio Costa, Ministro dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare.  Con la petizione vogliamo anche sensibilizzare il consumatore a guardare l’etichetta dei vestiti, non soltanto per vederne la composizione (spesso sintetica), ma per capire come trattare il capo di abbigliamento nel lavaggio”.

Per limitare l’impatto ambientale, informazione e consapevolezza viaggiano verso la sostenibilità su binari paralleli e trovano la stazione di partenza proprio a Biella, città laniera per antonomasia. Un segnale forte, arrivato dalla provincia piemontese che ha il tessile nel suo DNA, in una tradizione nel segno della continuità. Elena e Giovanni, che hanno lanciato la petizione, sono entrambi imprenditori biellesi impegnati nell’azienda tessile di famiglia. Le loro ragioni non sono solo di natura ‘territoriale’, ma sono principalmente legate a topic come ambiente e sostenibilità, ai quali l’imprenditrice è sempre stata sensibile. “Mio fratello e io – argomenta – siamo sempre stati toccati da questi temi. Io, ad esempio, ho lavorato con Slow Food e la nostra azienda, già undici anni fa, partecipò a Terra Madre – Salone del Gusto presentando un manifesto per le fibre naturali, firmato da Petrini nel 2008. Carlìn è stato il mio mentore e ho anche scritto la mia tesi di laurea su Slow Food”.

Il legame tra Elena Schneider e Petrini non finisce qui: “Ho sentito – racconta – per la prima volta da lui il termine co-produttore, in sostituzione a quello di consumatore. Si farebbero dei passi avanti se si ragionasse in termine di co-produzione invece che di consumo.

Come le etichette che informano sugli ingredienti degli alimenti, anche quelle nei vestiti avrebbero la funzione di far comprendere l’impatto ambientale e sociale che ha un determinato capo di abbigliamento. Non bisogna far finta che il problema non ci tocchi: siamo tutti co-produttori di ciò che mangiamo e vestiamo. La tracciabilità e la relativa attenzione – conclude – non devono esserci solo sul cibo, ma vanno rivolte anche ai vestiti; bisogna andare al di là della griffe e capire cosa c’è dietro a un marchio. La consapevolezza è fondamentale: estetica ed etica possono coesistere”.

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Didascalia: Plastica e Microplastica
Autore: Freepik
Licenza: CCO Creative Commons

Fonte: piemonte.checambia.org

Tessile e Salute: una rete di imprese per un prodotto di qualità

L’importanza della rete e delle regole condivise. Per creare un sistema che sappia davvero valorizzare le eccellenze del tessile italiano, non basta agire da soli ma è necessario che i vari attori coinvolti nel settore tessile si uniscano per fare ricerca e stabilire regole comuni, in un settore dove spesso queste non esistono. L’Associazione Tessile e Salute mette in pratica ciò e, con un articolo e un video, vi raccontiamo la loro storia.

Siamo arrivati alla fine di questo nostro primo viaggio alla scoperta del settore tessile Biellese e di come alcune delle sue realtà applicano il concetto di sostenibilità alla propria produzione. Dopo aver approfondito le storie del Lanificio Subalpino, dell’Associazione Amici della Lana, diIride S.r.l e del Lanificio Fratelli Piacenza, concludiamo con il racconto dell’Associazione Tessile e Salute, unica realtà italiana che riesce ad aggregare i diversi soggetti, pubblici e privati, interessati a progettare, produrre e vendere articoli tessili; in generale, un aggregatore di tutte le componenti tecnico-scientifiche del settore tessile e di quelle della fisiologia umana del sistema sanitario. Tessile e Salute nasce nel 2001, è una no-profit e si occupa di eco-tossicologia, meglio nota come sostenibilità chimica. E’ stata fondata con due obiettivi: il primo è quello di fare ricerca, ricercando e testando prodotti innovativi per aprire nuove nicchie di mercato alle aziende. ll secondo è quello di usare la tutela della salute del consumatore come leva di protezione del prodotto di qualità e del ‘Made in Italy’.

Come cerca Tessile e Salute di ottenere questi risultati? “Lavorando sia sul settore pubblico che su quello privato” ci racconta Mauro Rossetti, direttore dell’Associazione. “Nell’ambito pubblico, avendo noi accumulato nel corso degli anni notevoli competenze riguardo le filiere produttive del tessile e del calzaturificio, forniamo supporto tecnico alle autorità competenti come i Ministeri dell’Ambiente, della Salute e dello Sviluppo Economico, in maniera tale che vengano messe in atto delle politiche che tutelino la competitività del sistema manifatturiero italiano. Per quanto riguarda le imprese, lavoriamo per metterle in condizione di rispondere serenamente a qualsiasi richiesta arrivi dal mercato, e di fatto diveniamo un loro consulente chimico e un partner nella comunicazione. Per fare questo abbiamo dovuto dotarci di un sistema di regole, ma il nostro grande punto di forza è che uniamo tutti gli stakeholder del settore e le stiamo scrivendo insieme”.
Il punto forte è proprio quello di esserci dotati di regole condivise, che poi i vari attori mettono in pratica quotidianamente, rendendo credibile in termini di sostenibilità la filiera.

L’accostamento delle le parole chimica e sostenibilità può suonare strano a primo impatto, ma ci sono delle interrelazioni importanti tra i due mondi. Tessile e Salute nella sua attività si occupa del rischio chimico e Rossetti ci spiega che “la produzione può essere sostenibile anche usando determinate sostanze chimiche: vanno usate con una buona prassi di fabbricazione. Gran parte del nostro lavoro è quello di rendere la filiera produttiva totalmente tracciata, che si traduce nel conoscere esattamente tutte le aziende che ne fanno parte, a cominciare dalla materia prima fino alla realizzazione del capo finito. Declinare la sostenibilità chimica vuol dire conoscere esattamente, azienda per azienda, quali sostanze utilizza durante le fasi di lavorazione e in che modo vengono usate. Questa è la differenza più importante tra le aziende italiane e il resto del mondo: la tracciabilità della filiera è uno dei nostri punti di forza più importanti.”

Fonte: http://piemonte.checambia.org/storie/tessile-salute-rete-imprese-prodotto-qualita/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni

Grazie agli abitanti del borgo nasce un parco naturale per ripopolare la montagna

L’eroe di questa storia è Marco Guerrini, sindaco di Carrega Ligure, borgo montano del comune di Alessandria che, grazie alla tenacia e all’amore per il suo territorio, ha dato vita ad un’azione partecipata con gli abitanti del borgo e con l’intera valle per far divenire il Parco Naturale Alta Val Borbera area protetta, con l’obiettivo di evitare il progressivo spopolamento ed abbandono di questi luoghi. Si tratta della vittoria di un’intera valle che ha scommesso sulla bellezza e potenzialità del proprio territorio e di un senso di appartenenza capace di generare il cambiamento.

Carrega Ligure è un comune montano di confine, localizzato nell’estremità sudorientale del Piemonte, in provincia di Alessandria. Il Comune si trova nell’Alta Val Borbera, in un’area caratterizzata da meraviglie naturali ed un ambiente tanto selvaggio quanto suggestivo: paesaggi incontaminati, panorami mozzafiato, pendii erbosi e boschi di faggio secolari. Un luogo magico e affascinante che accoglie da sempre gli amanti della natura, donando ai loro polmoni aria salubre e pulita e rendendo smog e inquinamento concetti distanti. Si tratta di un paesaggio tipico degli appennini, territorio che i piemontesi poco conoscono ma che racchiude in sé la ricchezza delle quattro regioni che si incontrano proprio in sua corrispondenza: Liguria, Lombardia, Emilia-Romagna e Piemonte.

Un luogo da favola, si direbbe, eppure come in tutte le favole, per giungere al lieto fine, è necessario superare una sfida: il problema principale che il borgo di Carrega Ligure si trova da anni a fronteggiare è il crescente rischio di abbandono dovuto ad un progressivo spopolamento da parte degli abitanti, dapprima verso l’estero e successivamente verso i maggiori centri urbani ed industriali. E’uno spopolamento in percentuale tra i più consistenti del territorio piemontese, di cui si vedono gli effetti concreti in ciò che rimane nelle frazioni del Comune, ormai quasi completamente abbandonate e disabitate, che lasciano troppo spazio ad una popolazione che nell’intero paese non arriva a sfiorare i 100 abitanti. Si tratta di una storia di abbandono, come le numerose che ormai caratterizzano i centri montani, in particolare quelli appenninici e responsabile di indebolire severamente le attività economiche del luogo quali agricoltura, allevamento e turismo, che in questi contesti hanno da sempre trovato la loro vocazione, compromettendo l’esistenza e la valorizzazione di un luogo ricco di storia e tradizione.

E’ di Marco Guerrini, sindaco di Carrega Ligure, l’iniziativa di rilanciare il borgo di montagna salvaguardandolo dall’ inevitabile spopolamento, con una richiesta forte e chiara: far istituire un parco naturale sul territorio dove il comune è collocato, per rilanciarlo in chiave turistica e salvarlo da un abbandono inevitabile. Ebbene si, si tratta proprio di un comune di montagna a chiedere l’istituzione di un parco naturale che sarà area protetta, rafforzato dalla significativa presenza di siti di interesse comunitario della Rete Natura 2000 e che sarà, allo stesso modo, una prospettiva di un futuro possibile per le valli e di attrazione e sviluppo territoriale. Una possibilità unica nel suo genere per rimettere in luce un’area che ha ancora tanto da offrire, puntando proprio su due tratti caratterizzanti quali ambiente e biodiversità. Per raggiungere lo scopo, il primo passo è stato quello di convincere il Consiglio Comunale a votare unanimamente per la richiesta di istituzione del parco, che ha trovato un ampio consenso, spinta dall’amore verso il proprio territorio.
Il passo successivo è stata la richiesta di un vero e proprio sostegno da parte dei cittadini: coinvolgere attivamente gli abitanti della Val Borbera col fine di far sentire la propria voce fino in Regione, proponendo di approvare al più presto l’istituzione del nuovo Parco naturale come area protetta.

Un parco, un vero e proprio bene comune, la cui iniziativa è stata accolta e condivisa con entusiasmo e passione dagli abitanti, che non hanno fatto attendere una loro risposta: nel 2017 un migliaio di persone hanno sollecitato la Regione inviando mail e messaggi in sostegno della richiesta del Sindaco. Si tratta di residenti del luogo, visitatori, amanti della natura che in questi paesaggi ritrovano ricordi e valori passati. Un coro di voci che, all’unisono rappresenta una ventata di speranza per un progetto condiviso che parte proprio dal basso e che ci parla di un legame indissolubile tra l’uomo e la terra. Proprio in questi giorni, dopo lunghi anni di attesa, il Consiglio regionale ha approvato la nuova legge che istituisce 10mila ettari di nuove aree protette, oltre a quelle già esistenti, per un totale di 200mila ettari, includendo anche il Parco regionale dell’Alta Val Borbera, che sarà affidato all’Ente di gestione delle Aree protette dell’Appennino piemontese.

Nel complesso sono ben tre i provvedimenti che hanno ricadute dirette per l’Alessandrino: oltre all’istituzione del Parco naturale e dell’area contigua dell’Alta Val Borbera presso il Comune di Carrega Ligure, si aggiungono l’ampliamento della Riserva naturale di Castelnuovo Scrivia e l’istituzione delParco del Po piemontese, che vede l’unione delle aree protette del Po alessandrino e del parco del Po vercellese. Una vittoria del territorio, una buona notizia che genera positività in un momento in cui il dibattito per il clima e l’ambiente è acceso più che mai. Ma si tratta soprattutto della vittoria di un’intera valle che ha creduto nella bellezza e potenzialità dei propri borghi e di un senso di appartenenza capace di scommettere su futuro per generare il cambiamento.

Foto copertina
Didascalia: Rovine Castello Malaspina Fieschi Doria
Autore: Paolo De Lorenzi
Licenza: Pagina fb Comune di Carrega Ligure
Fonte: http://piemonte.checambia.org/articolo/grazie-abitanti-borgo-nasce-parco-naturale-per-ripopolare-montagna/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni