Come sarebbe una società senza denaro? Proviamo a immaginarla

Immaginate una società – magari un mondo intero – in cui l’economia si basi sul libero accesso e non sull’acquisto di beni e servizi. Un modello dove volontariato e condivisione sostituiscano avidità e competizione. Utopia o realtà realizzabile? Il thriller solarpunk di Colin R. Turner ci aiuta a capirlo. S’intitola F-Day – il risveglio dell’uomoe si tratta di un romanzo fuori dal comune, che ci aiuta a immaginare un mondo altrimenti inimmaginabile per la maggior parte di noi – non più fondato sulle logiche del profitto e della competizione, organizzato in società senza denaro – e lo fa attraverso una storia avvincente, che tiene la lettrice e il lettore col fiato sospeso fino all’ultima pagina. La scommessa è quella di poter arrivare a creare nuovi immaginari collettivi, coinvolgendo anche persone che non si sono mai interessate prima d’ora a temi di questo genere, in quanto si tratta di una lettura appassionante, ricca di scenari inaspettati. La casa editrice vuole però testare l’interesse del pubblico prima dell’effettiva pubblicazione; in altre parole, si tratta di un libro che verrà stampato e distribuito in tutta Italia, solo se raggiungerà l’obiettivo finale della campagna di crowdfunding: quello di 200 copie pre-ordinate. Ha già superato il 60% , ma restano ancora pochi giorni per permettere a questo progetto ambizioso di raggiungere gli scaffali di una libreria.

Abbiamo intervistato per voi l’autore Colin R. Turner.

Com’è iniziato il percorso che ti ha poi portato a scrivere questo libro?

Ho sempre pensato che potessimo fare di meglio. Quando ero giovane e appresi per la prima volta degli effetti dell’inquinamento sul nostro pianeta, non riuscivo a capire come avessimo potuto permettere che ciò accadesse. Più tardi, crescendo, cominciai a riflettere anche su quanto fosse malsano un sistema lavorativo basato sul ricatto monetario. Come per tutti i creativi, anche per me era difficile guadagnare facendo le cose che amavo, quindi mi risolsi a pensare che per avere successo nella vita, avrei dovuto rinunciare ai miei sogni e alle mie idee e lavorare per qualcun altro. Trovai però il compromesso del lavoro autonomo, in cui potevo almeno fare parte di ciò che amavo, mentre guadagnavo soldi. Nonostante ciò, non riuscii mai a raggiungere la stabilità economica.

Colin Turner

Come si evolvette il tuo rapporto con il mondo dell’economia?

Nel 2010, quando sentii parlare per la prima volta di The Venus Project e di un mondo post-monetario, rimasi molto impressionato. Risuonava in me su più livelli, potendo potenzialmente risolvere problemi quali la povertà, l’avidità e la distruzione ambientale. Fu così che la mia vena creativa mi portò a perseguire questo filo di pensiero e anche ad apportare alcune nuove idee. Nel 2011 creai The Free World Charter (o Lo Statuto del Mondo Libero), un documento che delinea alcuni parametri base per questo nuovo tipo di società, diventando virale e attirando molte migliaia di sostenitori da tutto il mondo. Ho anche realizzato numerosi video e scritto molti contenuti sull’argomento, negli anni successivi. Ma ovviamente l’idea era, ed è tuttora, difficile da comprendere e accettare per la maggior parte delle persone. Sentivo bisogno di esplorare nuovi modi per aiutare le persone a visualizzarla meglio. Dato che stavo già scrivendo molti contenuti online, un giorno un amico che mi seguiva mi suggerì di scrivere un libro: qualcosa che non mi era mai venuto in mente prima di quel momento. E così pensai che non avrei potuto fare di meglio che descrivere una transizione immaginaria da questo mondo a un mondo post-monetario. Non solo avrei potuto descrivere come potrebbe essere quel mondo, ma avrei anche potuto creare un resoconto plausibile su come arrivarci, qualcosa che quasi tutti continuavano a chiedermi quando venivano introdotti all’idea: “Come si arriva da qui a lì?”. E quindi F-Day è la storia di come potremmo andare da “qui a là” e di come appare quel “là” in un’opera narrativa in stile thriller. Ovviamente non è un modello, ma spero possa essere quel trampolino per fare un salto oltre le proprie convinzioni, mentre ci si intrattiene.

Il libro aiuta il lettore a immaginare un sistema socio-economico radicalmente diverso, basato su un’ “economia del libero accesso”: come spiegheresti in poche parole questo nuovo paradigma?

L’economia del libero accesso è basata su una società che ha accesso libero a beni e servizi. Non ci sono cartellini del prezzo, nessun mercato, nessuna occupazione e nessuna bolletta. Tutto è fornito senza precondizioni, la condivisione delle risorse e il volontariato sostituiscono il commercio nella consapevolezza che quando tutti contribuiscono, tutti ne traggono beneficio. Si tratta di insegnare alle persone modi ottimali di comportarsi in un ambiente e in una comunità condivisi con gli altri esseri viventi, cosa che attualmente non facciamo perché la nostra società capitalista è, per impostazione predefinita, basata sull’individualismo e sulla massimizzazione del vantaggio personale.

Se un’economia del libero accesso potesse dimostrare di migliorare la vita di tutti gli esseri viventi e del pianeta, una volta sperimentata e applicata nella pratica, sarebbe difficile giustificare il perché una comunità o Paese non dovrebbe adottarla

Tuttavia, con la giusta educazione e una cultura che la supporti, il volontariato potrebbe diventare il nuovo “lavoro” che ci permette di realizzare i progetti, ma senza il ricatto o l’avidità intrinsecamente legati al sistema monetario. Una società basata sul volontariato diventa automaticamente più efficiente, perché incentiva un impegno condiviso e quindi meno gravoso per tutti, diversamente da come avviene nel nostro modello attuale. Inoltre, una società basata sulla condivisione delle risorse riduce di default l’estrazione, il consumo delle risorse e l’inquinamento. Quindi un’economia ad accesso aperto, per definizione, utilizza meno risorse, richiede meno lavoro e promuove una sana cooperazione tra le persone, piuttosto che la competizione.

Nel libro viene individuato un posto nel mondo in cui, sia per le caratteristiche morfologiche del luogo, che per la tempra della popolazione che lo abita, si potrebbe avviare la prima economia del libero accesso.

Proprio così: nel libro inizia tutto da un Paese – una piccola isola che ha alcuni vantaggi – ma che nel tempo si estende anche ad altri Paesi. Con questo si vorrebbe suggerire che una volta che si dimostrasse che funziona in un posto, potrebbe ispirare altri luoghi nel mondo a replicare, imparando dagli errori commessi da chi ha sperimentato per primo questo nuovo tipo di economia. Come molte cose nella vita, è facile immaginare qualcosa quando è già successa. La maggior parte delle persone probabilmente non avrebbe potuto immaginare il crollo bancario del 2008 o la pandemia di Covid-19 prima che accadessero, eppure ora sono parte della nostra storia e della nostra cultura. Il punto è che siamo molto più flessibili e adattabili di quanto crediamo e, sebbene una società post-monetaria possa sembrare assurda oggi, un giorno potrebbe essere l’opposto: magari una società basata sulla condivisione e sul volontariato sarà la normalità e un’economia monetaria fondata sull’avidità e sulla competizione verrà percepita come primitiva e assurda.

Secondo te, quali possibilità avrebbe l’Italia?

In un Paese grande e complesso come l’Italia, forse dovrebbe succedere quanto accaduto nel libro: dovrebbe essere prima sperimentato su piccola scala, affinché le persone e il Governo prendano in considerazione l’adozione di un sistema del genere su larga scala. E questo non è poi così impensabile, viste le tante realtà virtuose e collaborative di cui voi stessi di Italia Che Cambia siete testimoni e promotori. Dopotutto non dimentichiamoci che le buone idee sono solo idee finché non vengono messe alla prova dei fatti dimostrando che funzionano. Se un’economia del libero accesso potesse dimostrare di migliorare la vita di tutti gli esseri viventi e del pianeta, una volta sperimentata e applicata nella pratica, sarebbe difficile giustificare il perché una comunità o Paese non dovrebbe adottarla. Ciò di cui abbiamo bisogno è un prototipo. Un altro progetto su cui sto lavorando, Sharebay, persegue proprio il tentativo di creare quel prototipo, per vedere se riusciamo a farlo funzionare prima in una comunità ristretta, nella fattispecie organizzata attraverso un sito. Finora sta andando molto bene con oltre 2000 membri, ma c’è ancora molto da fare prima di poterlo dichiarare un successo.

Chi volesse sostenere gli ultimi giorni della campagna di crowdfunding del libro, potrà effettuare qui il pre-ordine, che darà subito accesso alla bozza integrale e successivamente alla copia e-book o cartacea.

Fonte: https://www.italiachecambia.org/2022/03/societa-senza-denaro/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

Banche e fondi pensione esposti per 1400 miliardi di dollari con le aziende del fossile

Banche e fondi pensione presenti a Davos con i propri amministratori delegati per il meeting annuale del World Economic Forum sono esposti finanziariamente con le aziende di combustibili fossili, principali colpevoli della crisi climatica, per un valore di 1.400 miliardi di dollari. È questa la denuncia del nuovo rapporto di Greenpeace.

Banche e fondi pensione esposti per 1400 miliardi di dollari con le aziende del fossile

Banche e fondi pensione presenti a Davos con i propri amministratori delegati per il meeting annuale del World Economic Forum sono esposti finanziariamente con le aziende di combustibili fossili, principali colpevoli della crisi climatica, per un valore di 1.400 miliardi di dollari. È questa la denuncia del nuovo rapporto di Greenpeace International “It’s the finance sector, stupid” che dimostra anche come a Davos siano presenti le cinque compagnie assicurative con i maggiori investimenti a copertura di impianti e infrastrutture legate al carbone, il peggior combustibile fossile.

Il rapporto denuncia come banche, fondi pensione e assicurazioni che prendono parte al Forum di Davos ne tradiscano di fatto, sia da un punto di vista ambientale che economico, l’obiettivo di “migliorare lo stato del mondo”. Il rapporto e la pagina web dedicata mostrano anche come lobbisti e imprese di pubbliche relazioni stiano lavorando per conto di questi attori della finanza globale e dell’industria fossile contro gli obiettivi dell’Accordo di Parigi.

«Le banche, i fondi pensione e le assicurazioni riuniti a Davos sono colpevoli per l’emergenza climatica. Nonostante i numerosi avvertimenti sia dal punto di vista ambientale che economico, questi colossi stanno alimentando un’altra crisi finanziaria globale continuando a sostenere l’industria dei combustibili fossili», afferma Jennifer Morgan, direttore esecutivo di Greenpeace International. “Sono semplicemente degli ipocriti: dicono di voler salvare il Pianeta ma lo stanno uccidendo per fare profitti».

Prendendo come riferimento il periodo che va dalla firma dell’accordo di Parigi al 2018, emerge che le 24 banche presenti a Davos hanno finanziato l’industria dei combustibili fossili per un valore di circa 1.400 miliardi di dollari, che equivale al patrimonio complessivo dei 3,8 miliardi di persone più povere del Pianeta nel 2018.

Se un settore non è assicurabile, non è neppure finanziabile. È per questo che a Davos erano presenti lo scorso anno, e probabilmente ci saranno anche in questi giorni, le compagnie assicurative più esposte nel garantire le attività legate al carbone. AIG, ad esempio, è considerata la peggiore compagnia nel settore assicurativo, dato il suo supporto a un nuovo progetto condotto in Australia dal gigante del carbone Adani, nel cui finanziamento è in parte coinvolta anche la banca italiana Intesa Sanpaolo.

«Non abbiamo più tempo da perdere con chiacchiere e falsi annunci. I decisori politici e i le autorità che regolano il settore devono mettersi all’opera prima che sia troppo tardi», continua Morgan. «Gli attori della finanza mondiale devono cambiare atteggiamento e smettere di comportarsi come se tutto andasse bene, perché non è così. Siamo in emergenza climatica e non ci sarà economia su un Pianeta morto».

Fonte: ilcambiamento.it

Città Creative Unesco: Biella rappresenta il Piemonte nella corsa alla candidatura 2019

Proprio in questi giorni si è tenuta la conferenza stampa della Candidatura di Biella a Città Creativa UNESCO 2019 presso la Sala Stampa Regione Piemonte di Piazza Castello 165 a Torino. Scopriamo quanto emerso dall’incontro attraverso gli interventi dei relatori. Biella, Trieste, Bergamo e Como: è questa la lista delle città che hanno ottenuto il sostegno ufficiale della Commissione italiana UNESCO per l’ingresso nel network delle Creative cities. Il Consiglio Direttivo della Commissione Nazionale Italiana per l’UNESCO, che si è riunito giovedì 13 giugno, ha infatti deliberato sulle candidature, che entreranno nella Rete delle Città Creative e ha deciso all’unanimità di sostenere le città di Bergamo per la gastronomia, Biella e Como per l’artigianato e Trieste per la letteratura. Nel corso della conferenza stampa in Regione è stata recentemente presentata la candidatura di Biella quale città creativa UNESCO. Il Presidente della Regione Piemonte, Alberto Cirio ha dichiarato: “Quella di Biella è una candidatura che si inserisce a pieno titolo nel nostro progetto di valorizzazione dell’economia, della cultura e del turismo del Piemonte. Il riconoscimento Unesco è un esempio dei risultati importanti che un territorio può ottenere, quando unisce tutte le sue forze e vede le istituzioni pubbliche e i soggetti privati lavorare insieme per la condivisione di un obiettivo comune. Adesso l’obiettivo sarà poter vantare Biella come terza ‘Città creativa Unesco’ del Piemonte, dopo Alba per la gastronomia e Torino per il design. Metterò personalmente a disposizione l’esperienza e i rapporti maturati in questi anni con l’Unesco e sono certo che, insieme, vinceremo questa nuova sfida per il nostro territorio”

Parole significative anche da parte di Francesca Leon, Assessore alla cultura di Torino Città creativa Unesco: “Ogni volta che un luogo di cultura del nostro Paese si candida per ottenere un riconoscimento internazionale, non possiamo che esserne orgogliosi e sentirci parte di un corpo che si muove all’unisono per il raggiungimento di una meta comune. Ci auguriamo, come Città di Torino, che Biella possa vincere la sfida, convinti del potenziale che il suo territorio racchiude, dell’attenzione che ha saputo investire sull’arte e l’artigianato quali strumenti di sviluppo del proprio tessuto cittadino. La proiezione sulla Mole Antonelliana del logo della candidatura è il nostro segnale di amicizia e sostegno a Biella, perché ottenga un meritato successo e il Piemonte abbia una nuova città che entra nelle creative city dell’Unesco”.

Entusiasta degli ultimi sviluppi anche Presidente della Fondazione Cassa di Risparmio di Biella Franco Ferraris: “Si tratta di un risultato straordinario e che conferma la grandissima forza del territorio biellese che, in linea con gli obiettivi dell’agenda ONU 2030, ha sviluppato da sempre innovazione, sostenibilità e creatività. Oggi questo primo successo dimostra che un territorio che sa lavorare e comunicare unito è un territorio vincente, grazie a tutti gli Enti e alle persone che stanno lavorando al progetto”.

Per il Biellese la candidatura rappresenta uno strumento nuovo di trasformazione sociale, attraverso i temi dell’arte e della sostenibilità oltre che della maestria tessile. A testimoniarlo è stato il processo di costruzione del dossier, che ha interessato una vastissima rete di soggetti pubblici e privati, a cominciare dalle 140 lettere di sostegno raccolte da tutta Italia e dal mondo, dalle 74 firme dei sindaci del Biellese, uniti per un obiettivo comune, passando attraverso centinaia di ritratti di cittadini, istituzioni e aziende, visibili sul sito. Una realtà che dimostra che qualcosa è cambiato e che, nonostante le difficoltà della crisi economica, c’è molta voglia di raccontarsi in modo nuovo, di mettere al centro i valori della condivisione e del cambiamento ispirati dagli obiettivi ONU 2030 e riassunti magistralmente nel simbolo del Terzo Paradiso di Michelangelo Pistoletto che mette al centro la sintesi tra natura e artificio.

Biella ha scelto dunque di affidare il proprio messaggio di rinnovamento a un progetto ‘su misura’ di alta sartoria artistica e sociale fatto di fili intrecciati tra la città e le associazioni e tra queste e i cittadini che rendono vivo e vero il territorio. La sfida tra le città finaliste si giocherà a Parigi dove Biella si presenterà come la candidata ufficiale del Piemonte, incarnandone i valori. “Credo con forza – ha commentato il neo sindaco della città Claudio Corradino che ha raccolto il passaggio del testimone dall’uscente Marco Cavicchioli che ha firmato il dossier di candidatura – nelle potenzialità della candidatura di Biella e questo risultato è davvero importante. Sono convinto che Biella abbia tutte le carte in regola per superare anche la selezione della Commissione Unesco a Parigi e mi spenderò personalmente in ogni sede istituzionale per raggiungere questo risultato”.

Alla conferenza stampa è intervenuto anche Paolo Naldini, direttore di Cittadellarte: “Biella Città dell’arte e dell’Impresa. Il Simbolo del Terzo Paradiso – ha argomentato – che indica la sintesi di natura e artificio, rispettivamente primo e secondo Paradiso, adottato dalle Nazioni Unite e da più di 200 Ambasciate in tutto il mondo, è il simbolo della candidatura Unesco della città di Biella. Quest’ultima è riconosciuta nel mondo come una capitale della lana ed è conosciuta come sede della Fondazione Pistoletto, la Cittadellarte, dove un complesso di archeologia industriale ex lanificio è stato riconvertito in fabbrica di cultura per il tessuto sociale, di innovazione e sostenibilità, benchmark internazionale prodotto dalla sinergia di privato e pubblico, grazie anche al sostegno di una strutturale convenzione con la Regione Piemonte. Biella – ha concluso il direttore – coniuga l’Arte dell’Impresa e l’Impresa dell’Arte in una sintesi innovativa, capace di indicare prospettive di prosperità sia al territorio, sia nel concerto globale di pratiche per uno sviluppo sostenibile e condiviso”.

Articolo tratto da: Journal Cittadellarte

CiòCheVale: l’associazione che riscopre la forza del proprio territorio

Sostenibilità, etica e solidarietà sono i principi cardine alla base della visione di Ciò che Vale, associazione di promozione sociale che, sui territori della collina torinese, sta scommettendo da anni sulla valorizzazione dei luoghi e delle piccole comunità che li abitano, attraverso la riscoperta delle tradizioni e dei saperi locali e la creazione di forme di aggregazione sociale basata su buone pratiche e stili di vita sostenibili.

Casa. La casa è quel luogo familiare, dove ritorniamo al termine della nostra lunga giornata. Casa è dove sono le nostre radici, i luoghi dove siamo cresciuti, dove viviamo, oppure dove abitano i ricordi felici. Il territorio è casa, la casa di tutta la comunità che lo abita e che da esso trae la sua forza. L’Associazione CiòCheVale nasce quattro anni fa dall’idea di Alberto Guggino, incoraggiata dalla voglia di cambiamento e dall’amore per la propria “casa”, cioè il territorio e le persone che lo abitano. Insieme a Pietro Liotta cresce, anno dopo anno, con forza e tenacia per dare vita e spazio alle voci, ai pensieri, ai sogni di chi in questo territorio vive tutti i giorni. Alberto e Pietro non sono soltanto i protagonisti della bella storia che vi stiamo per raccontare. Rappresentano la forza di un territorio che ogni giorno viene riscoperto, il coraggio di chi non vuole aspettare per dare vita al cambiamento, il motore di una rivoluzione che sta trasformando i luoghi e le consapevolezze collettive.

Parlare con Alberto e Pietro è ogni volta di grande ispirazione. Sarà la loro energia, l’entusiasmo contagioso che li contraddistingue e che li ha portati, sui comuni della collina torinese, a dare vita ad un progetto virtuoso per la riscoperta dei luoghi e delle comunità. Sono proprio i comuni della collina torinese gli scenari di una trasformazione avviata da tempo ed il cui tema chiave è la valorizzazione: “Valorizzazione del patrimonio non solo artistico, architettonico e ambientale, che ovviamente sono una parte saliente, ma soprattutto delle tradizioni e dei saperi locali” mi racconta Pietro. Tutti i progetti portati avanti dall’associazione si basano sulla riscoperta del territorio attraverso stili di vita sostenibili quali l’autoproduzione alimentare, la permacultura, la riscoperta dei grani antichi e la valorizzazione della filiera del pane. Una promozione che parla di riscoperta dei luoghi ma soprattutto delle loro tipicità: “in campo agricolo sono presenti attività e coltivazioni che necessitano di essere valorizzate, se no il rischio è che si perdano. Oppure ci sono forme di artigianato locale che andrebbero sviluppate, supportate ed aiutate”.

Alla loro visione si aggiunge la sensibilizzazione a modelli abitativi alternativi come la casa passiva, ovvero un’abitazione autosufficiente a livello energetico o la promozione dell’ecoturismo, come ne è esempio l’albergo diffuso, attraverso il quale dare vita ad una modalità di accoglienza familiare che offre la possibilità di affittare la propria stanza o casa a persone che non hanno la forza o la capacità di inserirsi nei circuiti turistici.

Pistaaa – La Blue Way Piemontese” è uno dei progetti attualmente in atto che intende realizzare tutto ciò, attraverso la realizzazione di un percorso ciclabile che collegherà 21 paesi della collina torinese per un totale di 90 Km utilizzando sentieri e strade bianche, congiungendo tratti di pista ciclabile già esistenti e creando nuovi collegamenti. Si tratta di un progetto che guarda in grande e capace di generare effetti positivi sugli stili di vita e sull’imprenditoria locale. “La pista ciclabile è un obiettivo ma anche lo strumento attraverso il quale cerchiamo di ampliare il concetto di valorizzazione: promuovere le tradizioni, lo sviluppo dell’enogastronomia locale, la diffusione dei sistemi di agricoltura tradizionale, dei saperi degli artigiani del luogo attraverso un turismo lento e di prossimità che permetta di godere appieno delle bellezze che il territorio sa offrire”.

Ma come dare vita ad una vera valorizzazione? Come mi racconta Pietro, è fondamentale fare rete. “Interconnettere e mettere in comunicazione le piccole attività economiche dislocate sul territorio, ma non solo. Creare rete anche tra le varie associazioni ed enti locali in modo che siano capaci di parlare una lingua comune e soprattutto creare sinergie forti tra i comuni. Singolarmente i comuni sono in grado di portare avanti i loro progetti ma lavorare insieme facilita il percorso e dà maggiore forza e peso all’identità del territorio stesso”.

Nei comuni della collina torinese tutto ciò sta diventando realtà. Attraverso i progetti portati avanti da “CiòCheVale” sta avvenendo una crescente e graduale trasformazione collettiva. Adesso, dopo anni di attività sul territorio, l’associazione ha inaugurato la sua nuova sede. Nel comune di Chieri, in via Marconi, vuole rappresentare un punto di riferimento per la comunità, un luogo aperto a tutti in cui creare inclusione sociale e che sarà il trampolino di lancio dei tanti progetti futuri. Già a partire da ora le attività avviate sono numerose: presso la nuova sede ha trovato spazio la recente iniziativa dell”Accademia del Dialogo, che vuole essere uno spazio nascente di confronto, scambio e conoscenze, ovvero un ciclo di incontri che, stimolati ogni volta da un relatore diverso, sono capaci di creare momenti di riflessione e proposte per nuovi progetti collettivi, dando vita ad un vero e proprio laboratorio di pensiero. Si tratta, nello specifico, di uno spazio che mira alla valorizzazione dei saperi messi a disposizione delle comunità locali: “Per ogni area abbiamo previsto 6-7 incontri da realizzare tra il 2019/2020 con un programma intenso.  Gli incontri verteranno su quattro aree: “Andiamo incontro al futuro” come riporta una citazione di Don Luigi Ciotti ed in cui si rifletterà sul tema del cambiamento; “Regola d’arte” in cui daremo spazio al tema dell’arte a partire dalla partecipazione sociale; “Abitare sostenibile” in cui ci confronteremo su forme abitative che si basano sul rispetto dell’ambiente e della sostenibilità quali costruzioni in paglia ed in legno, bioarchitettura o sull’utilizzo della canapa ed infine “Ripartiamo dal cibo” con incontri e riflessioni incentrate sul nostro benessere connesso alla salute del pianeta.

Nella sede dell’associazione Alberto e Pietro hanno in programma di dare vita ad uno spazio anche per i più giovani: “il nostro obiettivo, attraverso lo Spazio Giovani, è coinvolgere i giovani permettendo loro di condividere le proprie competenze e mettere a disposizione i propri talenti” sostiene Pietro. “Credo che oggi dare spazio ai giovani e alle loro iniziative sia fondamentale. La loro forza è potente, talmente potente e fresca che noi adulti non possiamo non darle spazio. Io e Alberto crediamo fortemente nei giovani perchè danno energia, entusiasmo, ci aiutano a crescere”.

Come raccontano tutti i progetti descritti, CiòCheVale rappresenta un esempio virtuoso, un modello di vita e di legame con il proprio territorio che ci dimostra che insieme tutto è possibile. Rappresenta un simbolo di speranza per il futuro, capace di generare l’attivazione delle comunità e nuove reti sul territorio legate da un denominatore comune: il senso di identità. Pietro mi spiega cosa significa per lui l’orgoglio di comunità, che si rispecchia nei vari progetti portati avanti: “per me il senso di comunità è dare la possibilità a delle persone che hanno dei talenti e delle potenzialità di essere conosciuti e di condividerle con altri, mettendo al servizio degli altri le proprie capacità e creando reti di scambio e conoscenze”.

Foto copertina
Didascalia: Valorizzazione territoriale
Autore: Ciò che Vale
Licenza: Pagina fb Ciò che Vale

Fonte: piemonte.checambia.org

Banca Etica elegge la sua prima presidente donna

Con la nomina di Anna Fasano, Banca Etica festeggia la sua prima presidente donna eletta dai soci e le socie che hanno salutato con un lungo applauso il presidente uscente Ugo Biggeri che ha guidato l’istituto di credito negli ultimi 9 anni, traghettandolo nel passaggio da start-up a realtà consolidata e riconosciuta del panorama della finanza etica in Europa e nel mondo. I soci e le socie di Banca Etica riuniti qualche giorno fa in assemblea hanno rinnovato il Consiglio di Amministrazione, approvato il bilancio e deliberato un aumento del sovrapprezzo delle azioni.

“Banca Etica ha appena festeggiato i suoi primi 20 anni: è una vera soddisfazione aver chiuso anche lo scorso anno un bilancio in utile e che – nonostante le difficili condizioni di mercato – evidenzia il grande impegno per aumentare costantemente il credito alle persone, alle imprese e alle organizzazioni attive nell’economia civile, solidale e sostenibile in Italia e in Spagna. Significativo il voto dei nostri soci che in una mozione hanno chiesto alla banca di continuare l’impegno al fianco delle organizzazioni che si occupano di salvataggio, tutela dei diritti e integrazione sociale e lavorativa dei migranti”, ha detto il presidente uscente Ugo Biggeri. Quello che si è chiuso nel 2018 è stato un bilancio che ha registrato un utile di 3.287.703 euro. Nel dettaglio gli altri numeri parlano di impieghi lordi che hanno toccato quota 931 milioni di euro (+10,7% sul 2017); la raccolta diretta ammonta a 1.549 milioni (+12,9% rispetto al 2017); la raccolta indiretta è a quota 670 milioni (+5,2% sul 2017). Sono in n calo i crediti deteriorati (NPL), passando dal 7% al 6% del totale impieghi, e in calo anche le sofferenze nette, che scendono allo 0,81%. La patrimonializzazione, infine, è solida con il Cet 1 al 12,24% (dal 12,15%). I soci e le socie di Banca Etica erano chiamati a votare per il rinnovo delle cariche sociali. Il nuovo Consiglio d’amministrazione, eletto con un sistema che prevede la possibilità di scegliere tra due liste e un nominativo da un elenco di candidati indipendenti, è così composto: Anna Fasano (presidente), Andrea Baranes, Andrea Di Stefano, Marina Galati, Raffaele Izzo, Adriana Lamberto Floristan, Giacinto Palladino, Pedro Sasia, Aldo Soldi, Marco Carlizzi, Elisa Bacciotti, Arola Farré Torras, Lino Sbraccia.

Il nuovo Consiglio d’Amministrazione di Banca Etica

Con la nomina di Anna Fasano, Banca Etica festeggia la sua prima presidente donna. Anna Fasano ha 44 anni ed è friulana: componente del CdA di Banca Etica dal 2010; dal 2016 ricopre il ruolo di Vicepresidente. Laureata in Economia Bancaria appassionata di Finanza Etica, economia sociale e organizzazioni del Terzo Settore è attualmente impegnata in diverse operazioni di housing sociale. L’assemblea ha salutato con un lungo e commosso applauso il presidente uscente Ugo Biggeri che ha guidato Banca Etica negli ultimi 9 anni, traghettandola nel passaggio da start-up a realtà consolidata e riconosciuta del panorama della finanza etica in Europa e nel mondo. In questi nove anni – mentre il Paese fronteggiava la recessione e il credit crunch e le altre banche si concentravano su riduzione dei costi e gestione dei crediti deteriorati  – i prestiti erogati da Banca Etica sono cresciuti con incrementi annui a due cifre, complessivamente del 112%, ed i collaboratori sono aumentati del +72%. Un exploit di cui anche le istituzioni si sono accorte approvando – nel 2016 – la prima legge che riconosce la specificità della finanza etica in Italia (purtroppo ancora inattuata). Nei mesi scorsi il CdA di Banca Etica ha deliberato di adottare una metodologia di valutazione del valore delle azioni basata sul Free Cash Flow to Equity Model (FCFE), riconsiderato con stima dell’Excess Capital, in base alla quale effettuare una periodica valutazione del valore delle azioni della Banca, in corrispondenza delle scadenze del ciclo di pianificazione industriale. Tenendo conto di quanto risultato dalla “prima adozione” di tale metodologia e delle ulteriori considerazioni prudenziali in ordine alla stabilità del valore delle azioni della Banca nel medio termine, alla continuità con le scelte operate in precedenza e alla sostenibilità degli impatti patrimoniali, il Consiglio di Amministrazione ha proposto all’Assemblea dei Soci – che ha approvato – di incrementare il sovrapprezzo di Euro 1,50 per azione (+2,6% rispetto al precedente prezzo unitario complessivo per azione) e, quindi, di fissarlo complessivamente in Euro 6,50 per ogni azione emessa (+12,3% l’incremento del valore di sovrapprezzo rispetto al valore nominale dell’azione) e di stabilire, inoltre, che la Banca riacquisti le azioni proprie al prezzo corrispondente al valore nominale maggiorato del sovrapprezzo così come determinato dall’Assemblea dei Soci. All’assemblea hanno partecipato e votato in totale circa 5.300 soci; sono state circa 1.770 le persone che hanno scelto di partecipare online.

 Fonte: http://www.italiachecambia.org/2019/05/banca-etica-elegge-prima-presidente-donna/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni

L’abbondanza miracolosa che cambierà il mondo

I media mainstream continuano a dispensare informazioni superficiali, inutili e funzionali al sistema; intanto c’è chi si dà da fare per realizzare rivoluzioni pacifiche, partendo dal quotidiano e riuscendo a fare grandi cose!

Mentre i grandi (per dimensioni e soldi, ma piccoli di contenuti) media continuano, nella maggior parte dei casi, a bombardarci di notizie superficiali, inutili, stupide che servono solo a fare da cornice alla pubblicità che li mantiene in vita, ci sono costanti conferme di quello che noi, come associazione Paea e giornale Il Cambiamento, proponiamo da sempre. Nella realtà, persone motivate che non credono ai media dispensatori di pubblicità, che non credono alla scienza e tecnologia al servizio del profitto, invece di lamentarsi, si rimboccano le mani e trovano strade diverse da quelle segnate e insegnate da un sistema totalmente allo sfascio. 

Charles e Perrine Hervé-Gruyer erano rispettivamente un marinaio e una avvocata internazionale e ad un certo punto della loro esistenza decidono di comprare un piccolo appezzamento di terra in Normandia in cui iniziano a coltivare fondando la Fattoria del Bec Hellouin. La loro esperienza pregressa con l’agricoltura era zero e all’inizio del loro percorso si imbattono nella Permacultura e da lì in poi iniziano a sperimentare varie metodologie e sistemi di coltivazione biologica. Lo fanno così bene, con così tanta cura e attenzione che iniziano ad interessarsi a loro sia esperti del settore, che accademici ed università.

Con grande lavoro, sforzi e sacrifici e non senza problemi, mettono a punto un sistema di coltivazione così efficiente che riescono a dimostrare nella pratica come senza trattori quindi senza meccanizzazione dell’agricoltura e senza ausilio della chimica, si possono avere rese maggiori rispetto alla agricoltura tradizionale. Uno dei segreti è quello di pensare in micro appezzamenti, unendo le pratiche della Permacultura con la Food Forest ovvero un sistema di coltivazione che rispecchia l’organizzazione boschiva. Il loro esperimento ha grande successo e iniziano a postulare una possibile pianificazione del sostentamento alimentare dell’intera Francia con queste metodologie.  Anche il loro lavoro dimostra che non bisogna credere ai voli pindarici e deliri fantascientifici di chi dice che le macchine ci sostituiranno tutti; infatti accadrà esattamente il contrario, per ovvi motivi legati a costi energetici, complessità tecnologica e scarsità di risorse per costruire macchine sofisticatissime.

Ma leggiamo alcune delle loro parole illuminanti tratte dal libro Abbondanza miracolosa, iniziando dal potenziale dei micro appezzamenti coltivati.

«Il censimento mondiale dell’agricoltura realizzato dalla FAO e altri lavori condotti  dalle Istituzioni internazionali mettono in evidenza il fatto che le piccole fattorie sono più produttive rispetto a quelle grandi. Le fattorie comprese tra 0,5 e 6 ettari sono in media 4 volte più produttive rispetto alle fattorie che hanno più di 15 ettari, e in alcuni casi anche 12 volte più produttive. Negli Stati Uniti nel 2002, le fattorie che avevano meno di 1 ettaro generavano redditi da 10 a 50 volte maggiori per unità di superficie rispetto alle fattorie americane più grandi. Se una superficie coltivata di 1000 metri quadrati, come al Bec Hellouin, permette di produrre tutto l’anno l’equivalente di 60 o 80 cassette di frutta e ortaggi alla settimana, allora anche il più piccolo giardino, la più piccola corte può diventare una possibile azienda agricola. Un prato di 200 metri quadrati con una terra buona e un agricoltore competente può produrre una dozzina di cassette a settimana e un balcone di 10 metri quadrati può produrre quasi una cassetta a settimana».

Sulla rinascita dell’agricoltura e dell’artigianato scrivono:

«La rinascita di una agricoltura manuale si accompagnerà ad una rinascita dell’artigianato. I decenni a venire vedranno la progressiva diminuzione delle grandi aziende agricole e degli impianti industriali, forse anche alla loro scomparsa, cosa che porterà alla soppressione di un gran numero di posti di lavoro. Ma la simultanea diffusione delle micro fattorie e dei laboratori artigiani dovrebbe permettere di assorbire la manodopera vacante. La decrescita energetica farà scomparire del tutto alcuni impieghi (tutti quelli connessi a professioni che richiedono enormi quantità di energia); ma ne creerà molti altri, perché proprio il ricorso alle energie fossili e la diffusione dei motori meccanici ed elettrici hanno reso meno necessarie le braccia dell’uomo».

Poi c’è la nuova economia:

«Una nuova economia basata sulla madre terra costituirebbe invece una base solida per la nostra civiltà. Il giovanissimo movimento Slow Money, lo afferma con forza: ”Crediamo nel suolo!” è il suo motto. Il bisogno primario di un essere vivente è quello di nutrirsi e gli essere umani non sfuggono a questa regola. Le ricchezze finanziarie che provengono dalle borse non sono commestibili: ricollocare l’agricoltura come fondamento di una economia reale, solida e ben radicata sarà la nostra ancora di salvezza nella tempesta che verrà».

I due autori parlano anche di come soddisfare i bisogni alimentari:

«Tre o quattro milioni di micro fattorie dovrebbero essere in grado di soddisfare la totalità dei bisogni alimentari di una popolazione di 70 milioni di persone (escludendo i prodotti esotici).

Nell’elaborazione degli scenari futuri bisogna tenere conto di un dato: il fatto che un numero sempre maggiore di individui produrrà da sé tutto o parte del proprio cibo.

Ben presto risulterà più gratificante ed entusiasmante gestire in maniera creativa una fattoria, allearsi con le forze della natura e vivere liberi all’interno di un territorio coltivato amorosamente, piuttosto che rinchiudersi in casa, nei mezzi pubblici affollati, negli uffici climatizzati. Abbiamo la sensazione che questo mutamento sia già in corso. Esso subirà una accelerazione quando la diminuzione delle energie fossili farà aumentare il prezzo delle derrate alimentari. Quando il cibo diventerà più prezioso e quando usciremo dal dominio della plastica, il sapere dei contadini e degli artigiani sarà considerato con molto più rispetto».

Sradicare la disoccupazione:

«Con la creazione di 3 o 4 milioni di impieghi agricoli, ai quali vanno aggiunti gli impieghi indiretti e vari impieghi artigianali, l’affermazione della micro agricoltura potrebbe contribuire a sradicare la disoccupazione. La diffusione delle micro fattorie  offrirebbe ciascuna una alimentazione biologica di qualità. Questo mutamento sociale permetterebbe di chiudere il famoso “buco della Sanità”, perché una alimentazione, sana e locale per tutti, migliorerebbe il livello di salute dei nostri concittadini. Senza parlare dei benefici di una attività all’aria aperta per tutti coloro che decideranno di tornare alla terra!».

I benefici di un ritorno alla dimensione locale:

«Il ritorno ad una dimensione più locale, che auspichiamo, si accompagnerà, quando si sarà realizzato, a un ritorno dei servizi pubblici: trasporti comuni, servizi postali, sanità, cultura… Gli operatori di questi settori accresceranno a loro volta il dinamismo dei piccoli centri urbani. L’aumento della popolazione nelle cittadine e nei piccoli paesi porterà all’aumento della clientela di contadini e artigiani. Poiché un numero maggiore di beni e servizi diverrà disponibile a livello locale e dal momento che sarà sempre più facile trovare lavoro direttamente sul posto, la circolazione di beni e persone si ridurrà considerevolmente. Questo mutamento permetterà di diminuire le notevoli emissioni di anidride carbonica legate al trasporto delle persone, che rappresenta il 19% del nostro impatto ambientale e che continua ad essere una delle fonti di emissioni più difficili da ridurre».

Prendere in mano il proprio destino:

«In futuro ogni comunità locale prenderà in mano il suo destino. Il principio della solidarietà, che consiste nel conferire il massimo potere decisionale al più basso livello di organizzazione possibile, sprigionerà una immensa energia creativa. Ciascun popolo sarà dunque in grado di affrancarsi dai canoni obbligatori della modernità, dagli stereotipi del benessere e degli stimoli consumistici che essa porta con sé, per essere finalmente artefice del proprio destino. Ma tutti i popoli avranno sviluppato, lo speriamo vivamente, valori comuni, primo fra tutti l’imperante bisogno di proteggere tutte le forme di vita con le quali condividiamo questo pianeta e senza le quali non potremmo vivere. Il mondo post-petrolio sarà allo stesso tempo più radicato nella dimensione locale e più aperto verso una dimensione universale».

C’è poco da aggiungere a tanta lungimiranza, intelligenza e concretezza.

Fonte: ilcambiamento.it

Bilanci di giustizia: “Le famiglie sostenibili sono più felici”

Ridurre i consumi aumenta il benessere. È quanto dimostra Bilanci di giustizia, una rete che raccoglie centinaia di famiglie italiane che hanno modificato il proprio stile di vita rendendolo più etico e sostenibile. L’obiettivo è quello di cambiare l’economia mondiale partendo proprio dai consumi familiari. L’ingiustizia, a livello globale, è un tema quanto mai attuale. Un tema sul quale una rete di famiglie in Italia, ha iniziato ad interrogarsi oltre vent’anni fa, cercando di comprendere come realizzare un cambiamento personale e politico.  

“Quando l’economia uccide bisogna cambiare”. Partendo da questa considerazione nel 1994 nasce Bilanci di Giustizia, coinvolgendo ai suoi esordi qualche centinaio di famiglie, per poi arrivare alla fine degli anni ’90 a interessare oltre mille famiglie. Famiglie in rete che hanno iniziato a prendere consapevolezza dei propri consumi con l’obiettivo di orientarli a dei criteri di giustizia, intesa nei suoi molteplici aspetti, dalla sostenibilità ambientale, considerando come il consumo di risorse implichi anche che queste non siano più a disposizione di noi tutti e del pianeta, al rispetto dei diritti dei lavoratori e alle questioni sociali e relazionali.

La riflessione centrale – che si è arricchita negli anni attraverso incontri, esperienze, strumenti, davvero difficili da poter raccontare con esaustività – è su come i propri stili di consumo e di vita potessero essere utili al cambiamento. Per toccare tutte le modalità attraverso le quali si può cambiare il proprio stile di vita, si sono creati momenti di approfondimento su temi come il consumo energetico e dell’acqua, sui prodotti alimentari e tessili. Il primo strumento di cui Bilanci di Giustizia si è dotato è quello individuale del bilancio mensile che ogni famiglia compila con lo scopo di controllare e modificare la capacità di cambiamento della propria famiglia. Accanto a questo, strumenti collettivi, come l’incontro con le altre famiglie del gruppo locale e, una volta all’anno, l’incontro di riflessione collettiva su un tema emerso nel processo di ricerca di tutti gli aderenti. Un momento anche di ricarica per le famiglie che poi continuano a progettare il cambiamento personale e sociale all’interno dei loro nuclei e nei gruppi locali. I tanti dati raccolti in questi anni hanno permesso di dare una risposta positiva all’intuizione di queste famiglie: spostare i consumi, modificare il bilancio familiare, e quindi il sistema economico, orientandolo verso criteri di giustizia, non solo non riduce la qualità della vita, ma aumenta il benessere delle famiglie. Le famiglie bilanciste sono più felici della media. Un dato importante anche sul piano politico, che dimostra che un altro modello è possibile.

Dalla ricerca è emerso un altro importante dato: se da una parte c’è stato negli ultimi anni un calo di partecipazione ed adesso le famiglie coinvolte in Bilanci di Giustizia sono meno numerose, molti dei bilancisti della prima ora sono stati promotori del cambiamento intorno a loro. Hanno creato gruppi di acquisto solidale, reti di economia solidale e promosso azioni politiche nei propri territori di appartenenza. L’esperienza bilancista è diventata molla per fare altro, c’è stata un’evoluzione e contaminazione al di là di essa. Quella di Bilanci di Giustizia è una storia di persone che hanno deciso di prendersi la responsabilità della propria vita e di fare scelte consapevoli, persone che si mettono in gioco continuamente, come abbiamo avuto modo di vedere all’ultimo incontro annuale a Stresa, al quale ha partecipato anche Italia che Cambia.

Un incontro aperto a tutti e a tutte, non solo a chi è già un bilancista, in cui quest’anno i partecipanti si sono confrontati per quattro giorni intorno al tema “come sarebbe il mondo senza denaro?”, riflettendo e ragionando sulle criticità del sistema economico attuale dal punto di vista monetario e interrogandosi sul rapporto che abbiamo con il denaro. Un processo di apprendimento collettivo attraverso il metodo della comunità di ricerca, in cui la conoscenza non è “già data” ma viene ricercata insieme. Dove la conclusione non è mai statica e dove l’importante è di nuovo il processo e la relazione. 

Intervista e immagini video: Daniela Bartolini

Montaggio: Paolo Cignini

Fonte:  http://www.italiachecambia.org/2019/02/bilanci-di-giustizia-famiglie-sostenibili-sono-piu-felici-io-faccio-cosi-238/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni

Mercato Circolare, l’app dell’economia che gira bene

Promuovere l’economia circolare partendo da un utilizzo mirato delle tecnologie digitali. Nasce con questo obiettivo l’app Mercato Circolare, che permette di trovare prodotti, servizi ed eventi presenti sul territorio riducendo i rifiuti. Per sapere cos’è e come funziona abbiamo intervistato Nadia Lambiase, ideatrice del progetto.

Puoi presentarti?

“Mi chiamo Nadia Lambiase, ho 36 anni e sono laureata in Cooperazione, Sviluppo e Mercato Transnazionali. Dopo dieci anni in Banca Etica, in cui mi sono occupata di progetti di microcredito, microrisparmio, innovazione, pianificazione strategica e controllo di gestione, sono oggi dottoranda in Innovation for the Circular Economy all’Università degli Studi di Torino. Sono ideatrice, fondatrice e presidente di Mercato Circolare srl società benefit, come pure dell’Associazione Pop Economix“.

Che cos’è Mercato Circolare?

“Mercato Circolare è una applicazione gratuita che rivela agli utenti chi, in Italia e anche fuori, sta facendo economia circolare. Ed è anche una start-up innovativa a vocazione sociale, nonché benefit company, fondata a giugno del 2018 con la missione di far emergere e far crescere l’attenzione e l’interesse del pubblico per l’economia circolare e le sue imprese, a partire da un uso mirato delle tecnologie digitali. In Italia, va sottolineato, esistono ormai centinaia di imprese che producono e/o vendono beni e/o servizi seguendo i principi dell’economia circolare. E tanti italiani si dicono interessati a prodotti che riducono sensibilmente l’impatto sull’ambiente. Ma non sempre imprese e potenziali clienti si incontrano. Per questo stiamo provando a costruire ponti tra cittadini e imprese che hanno fatto questa scelta coraggiosa e intelligente”.

Com’è nata l’idea?

“L’idea di creare una app nasce nella primavera 2017, contemporaneamente alla messa in scena dello spettacolo Blue Revolution. L’economia ai tempi dell’usa e getta, seconda produzione dell’Associazione Pop Economix che si occupa di aiutare le persone a conoscere l’economia per essere cittadini più consapevoli.  Blue Revolution unisce tre storie – la storia dell’economia dell’usa e getta, il dramma dell’inquinamento da plastica dei mari e la vicenda del giovane imprenditore Tom Szaky, per proporre una nuova visione del rapporto tra produzione, consumo e ambiente: un’alleanza basata sull’economia circolare, quella che trasforma i rifiuti in ricchezza, e l’economia civile, teorizzata da Antonio Genovesi (1763) qualche anno prima del celebre “La Ricchezza delle Nazioni” di Adam Smith. Per Genovesi, in fatti, il fine ultimo dell’economia non è la ricchezza ma la felicità pubblica. Il lavoro di costruzione drammaturgica ha fatto scoprire tante realtà virtuose di economia circolare in Italia, ma poiché, ai fini dello spettacolo, si è scelto di raccontare una storia straniera è nata l’idea di creare un sistema semplice per renderle accessibili a tutti le storie di imprese raccolte, attraverso una app.  Dalla app si è passati a scegliere di dare vita a una azienda a nostra volta, i cui soci fondatori, oltre a me, sono Riccardo Gagliarducci, Paolo Piacenza, Carlotta Cicconetti e la stessa Associazione Pop Economix”.

Che cosa intendete per “imprese circolari” e perché è importante promuoverne la diffusione?
“L’economia circolare rappresenta la risposta strutturale più avanzata e completa al nodo della sostenibilità dello sviluppo economico, in ragione dei quattro principi su cui si fonda. Questi sono anche i criteri alla luce di quali selezioniamo imprese e prodotti da far conoscere attraverso la app. E’ più facile parlarne se facciamo qualche esempio.

Il primo principio postula la necessità di generare valore dallo scarto, come ben rappresenta l’operato di Edizero, nata in Sardegna, che recupera le eccedenze della lana, delle sottoproduzioni di vinacce, di latte, di miele, di formaggi, di potature, per ottenere prodotti isolanti, pitture e intonaci ecologici. O come ha scelto di fare l’azienda Quagga, che produce giacche e maglie a partire da plastica riciclata. Il secondo principio postula la transizione verso l’utilizzo di materiale biodegradabile e l’utilizzo di energie da fonti rinnovabili, come evidenzia il processo produttivo della società agricola Le Erbe di Brillor, di Alice Superiore (Torino), che realizza agridetergenti per bucato e piatti a partire da piante che coltiva e trasforma presso la propria cascina.  Il terzo principio postula la necessità di estendere la vita dei prodotti attraverso il mercato dell’usato, attraverso la riparazione, la vendita di prodotti sfusi, e la rigenerazione. Qui basta è pensare agli artigiani che fanno ancora riparazioni, ai negozi leggeri, a chi costruisce per la durata (lo smartphone Fairphone, ad esempio) o ha introdotto processi di rigenerazione degli elettrodomestici come il progetto Ri-Generation, di Torino, ideato da Astelav. Infine il quarto principio invita a concentrarsi sul valore d’uso piuttosto che su quello di proprietà, come per esempio incentiva a fare la App Paladin con cui è possibile mettere in condivisione le cose che abbiamo ma usiamo raramente, come, ad esempio, il proprio trapano o le ciaspole per andare sulla neve”.

Avete creato un’app. Di cosa si tratta e come funziona?

“La app Mercato Circolare, disponibile in versione beta per Android e Apple, dà accesso a una mappa qualificata e georeferenziata del mondo dell’economia circolare in Italia e non solo: ad oggi censisce più di 400 realtà ed è pensata sia per cittadini, proponendo prodotti e imprese che si rivolgono al consumatore finale, sia per le aziende, proponendo prodotti e imprese che si rivolgono ad altre imprese. Importante anche, la sezione “Partecipa in Prima Persona“, dove si possono trovare non solo eventi sul tema dell’economia circolare ma anche associazioni e organizzazioni eco-sostenibili, come ciclofficine, ferramenta di quartiere e orti urbani. Una mappa, quella di Mercato Circolare, che si arricchisce grazie a un lavoro di scouting quotidiano e grazie al crowdsourcing degli stessi utenti che suggeriscono prodotti, imprese, iniziative in linea con i criteri dell’economia circolare”.

Che attività portate avanti e quali eventi organizzate? Solo a Torino o anche in altre città?

“Oltre alla app, Mercato Circolare conduce attività di formazione e consulenza su tutta Italia. Infatti, cura la realizzazione di eventi formativi, divulgativi e culturali, come la circuizione dello spettacolo teatrale “Blue Revolution. L’economia ai tempi dell’usa e getta” e workshop modulabili. Attiva inoltre percorsi di consulenza e occasioni di networking tra imprese, istituzioni, enti di ricerca, come per esempio il percorso di consulenza che sta portando avanti con il comune di Genola, nel cuneese, per coinvolgere e sensibilizzare la cittadinanza sui temi della raccolta differenziata e dell’economia circolare, includendo alcune imprese circolari del territorio”.

Il progetto Mercato Circolare è nato da poco. Com’è andata questa fase iniziale e quali i prossimi obiettivi?

“Siamo ancora in fase di avvio ma abbiamo già ottenuto un riconoscimento importante: siamo stati selezionati tra le prime 10 start up più innovative dal Circular Economy Network. Uno dei prossimi progetti di Mercato Circolare è quelli di attivare percorsi di uso del gioco – digitale o meno – come modalità di apprendimento su temi specifici come l’energia, il cibo e il fashion, per fare un giro virtuale tra imprese, prodotti, eventi ed esperienze circolari”.

Foto copertina
Didascalia: App Mercato Circolare
Autore: Mercato Circolare

Fonte: piemonte.checambia.org

Comunità energetiche, avanti tutta. Al via il progetto nel Pinerolese

Dopo l’approvazione della norma regionale che regola le comunità energetiche di condivisione e scambio dienergia prodotta da fonti alternative, al via il primo progetto nel Pinerolese.Verso le Oil Free Zones in Piemonte.

Scambio, unione e condivisione. È qui che spesso risiede la forza dei nuovi progetti e dei processi trasformativi dal basso che mirano ad una maggiore sostenibilità ambientale, economica e sociale. E proprio questi elementi possono guidare quella transizione energetica sempre più urgente. In questa direzione va la legge sulle comunità energetiche di cui, per prima in Italia, si è dotata la RegionePiemonte e alla quale ha fatto seguito il progetto pilota di rilancio sostenibile del territorio del Pinerolese che, presentato qualche settimana fa a Torino, prevede lo scambio dell’energia autoprodotta. La nuova norma regionale permette infatti a comunità di persone, enti e imprese di scambiare tra loro l’energia prodotta da fonti alternative. L’idea alla base è quella della cooperativa di produzione e consumo di energia per ottenere elettricità e calore da fonti rinnovabili disponibili localmente e forme di efficentamento e riduzione dei consumi.  Quella approvata a luglio in Piemonte è la prima norma che definisce nel dettaglio le modalità di implementazione dello scambio di energia autoprodotta da fonti rinnovabili in un contesto di comunità locale. Sebbene manchino ancora alcune definizioni attuative, il Pinerolese si sta intanto muovendo per porne le basi attraverso il Consorzio CPE nell’ambito del progetto di rilancio del territorio voluto da Acea Centro Sviluppo Innovazione. L’obiettivo è far sì che lo scambio di energia autoprodotta da fonti rinnovabili da Aziende, Comuni aderenti al CPEe da privati cittadini possa contribuire a rilanciare economicamente e in modo sostenibile il territorio.

Come ha spiegato Angelo Tartaglia, Senior Professor del Politecnico di Torino, “la chiave di un simile ente associativo è la possibilità di scambiare energia tra soggetti diversi, cosa che fino a qualche mese fa non era prevista dal nostro ordinamento, salvo che in un numero ben definito e limitato di casi. Oggi – ha aggiunto Tartaglia – si è aperto uno spiraglio normativo che, partendo dalle Oil Free Zones, ha portato la Regione Piemonte a varare una legge la quale consente esplicitamente la costituzione di comunità energetiche senza fini di lucro. Nel Pinerolese il Consorzio CPE e le aziende socie sono pronte a darvita ad un primo esempio di comunità energetica di scala vasta”.

 Peraltro, il Politecnico di Torino, socio del Consorzio CPE, sta anche portando avanti nel territorio piemontese un’azione di mappatura energetica del territorio per permettere alle Comunità Energetiche di organizzarsi al meglio. Verrà sfruttata in particolare l’energia fotovoltaica, già ampiamente utilizzata nella zona, e per il futuro si prevede che l’energia pulita ricavata dal sole possa soddisfare le necessità di tutta l’area. La costituzione delle comunità energetiche dovrebbe e potrebbe tradursi infatti nella creazione di cosiddette “Oil Free Zones” ovvero aree indipendenti totalmente per il loro fabbisogno energetico dalle fonti fossili. Anche di questo si parla proprio inquesti giorni a Rimini dove è in corso il Key Energy, il Salone dell’Energia edella Mobilità Sostenibile, che si tiene in contemporanea ad Ecomondo. Si è tenuta lo scorso martedì, in particolare, la conferenza di presentazione del primo impianto eolico collettivo, un progetto per l’indipendenza energeticalanciato da ènostra, fornitore cooperativo di energia elettricarinnovabile.Fonte:http://piemonte.checambia.org/articolo/comunita-energetiche-avanti-tutta-progetto-nel-pinerolese/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni

L’economia della crescita del PIL ci fa mangiare la plastica

Dio Denaro: ormai è così, dovunque. La “religione” della crescita e del soldo pervade ogni settore, ogni ambito, ogni categoria, quasi ogni mente e cuore. Dunque, poi le decisioni si prendono solo in quella direzione. Che ci sta portando alla distruzione.9944-10736

Per sostenere le loro tesi, gli adoratori del Dio Denaro, protagonista della religione della crescita economica, citano sempre il fatto che il progresso dato dalla produzione illimitata di merci ci ha portato a una situazione migliore rispetto al passato. A sostegno delle loro tesi citano quelle che erano le epidemie, le guerre, la fame, la fatica del lavoro quando non c’è l’ausilio delle macchine.

Ma vediamo se le cose stanno veramente così.

Ogni anno solo in Europa muoiono 500 mila persone per l’inquinamento atmosferico. In India e Cina, che sono gli avamposti nella corsa alla crescita dei cosiddetti paesi emergenti, complessivamente i dati indicano che si superano i due milioni di morti. Nel mondo si calcolano 9 milioni di morti, complessivamente. I morti da incidenti stradali superano abbondantemente il milione a livello mondiale, più altri milioni di feriti anche gravi. Negli anni recenti sono centinaia di migliaia i morti a causa dei cambiamenti climatici dovuti al nostro modello di sviluppo. Poi ci sono tutti i vari tipi di cancro non derivati dall’inquinamento atmosferico ma dall’impatto pesantissimo che ha la chimica disintesi, la medicina che serve solo gli interessi delle multinazionali e il cibo spazzatura. Quando poi si parla di cibo, si arriva all’apoteosi del progresso, così avanzato che ci fa mangiare direttamente la plastica.  L’università di Edimburgo in Scozia ha recentemente scoperto che ingeriamo una quantità enorme di microplastiche ogni anno. E dopo la terrificante notizia che proseguendo così nel 2050 nei mari ci sarà più plastica che pesci, ora ce la mangiamo direttamente. Chissà poi cosa ci succederà e cosa già ci sta succedendo con l’inquinamento da elettrosmog determinato da miliardi di telefoni cellulari e dispositivi simili. Il fantastico progresso e la crescita economica non hanno di certo debellato la fame nel mondo che colpisce oltre 800 milioni di persone, il che è assai strano dato che circolano così tanti soldi e mezzi tecnologici che il problema dovrebbe essere risolto in pochi minuti. Abbiamo forse migliorato le condizioni di lavoro nei paesi occidentali dei privilegiati ma a spese dei paesi schiavi del sud del mondo e degli schiavi che lavorano per noi a casa nostra. Milioni e milioni di persone lavorano in condizioni disumane per servire il nostro insaziabile appetito per lo spreco. I morti per le guerre ci sono ancora e con armi sempre più letali e sofisticate.

Dire poi che siamo progrediti quando abbiamo inventato armi che possono distruggere l‘intera umanità più volte, fa tragicamente ridere. Trattasi di progresso omicida. Stessa cosa si può dire dei cambiamenti climatici che stanno portando all’estinzione la specie umana e che sono la diretta conseguenza del progresso e della crescita economica. Mai nella storia siamo arrivati a essere così letali per noi stessi.

Il progresso distrugge animali, piante e tutto quanto incontra sul cammino in una maniera devastante, come mai prima d’ora; e per far accettare l’amara pillola, industriali, politici e sindacalisti senza scrupoli ci dicono che si creano posti di lavoro. Quindi va bene tutto, industrie che inquinano e ammazzano a più non posso, grandi e inutilissime opere, nucleare, organismi geneticamente modificati, armi, banche, combustibili fossili, eccetera. L’importante è dare lavoro, poi se questo determina levarlo a tanti altri e condurci all’autodistruzione, chi se ne frega; il politico passa all’incasso elettorale e non solo, l’industriale e il sindacalista passano all’incasso economico. Questi esempi dimostrano che a livello globale non regge granchè dire che oggi si sta meglio di quando si stava peggio. Ma chi ha detto che si deve accettare la distruzione contemporanea  solo perché altrimenti si torna al Medioevo?

Anzi, il modo migliore per tornare al Medioevo, o periodi ancora più remoti, lo avremo sicuramente se continuiamo a perseverare nel progresso suicida. Nè Medioevo, né la follia attuale: ci sono alternative, modi di vivere, lavorare,  fare economia, cooperare fra le persone che sono ben diversi da quelli dominanti attualmente. Ogni giorno vi presentiamo alternative, soluzioni, idee che ci confermano che il mondo può veramente progredire senza tornare alla peste o alla caccia alle streghe (che tra l’altro non è mai cessata vista la condizione di sofferenza e sfruttamento attuale a livello mondiale della donna). Non si tratta certo di tornare indietro ma di andare avanti mettendo in discussione radicalmente la balla della crescita che è paragonabile a quando la Chiesa credeva che il sole ruotasse intorno alla terra.

Cominciamo a cambiare le cose, partendo da noi stessi: il 10 e 11 novembre partecipa al 36° corso “Cambia vita e lavoro, istruzioni per l’uso”.

QUI tutte le informazioni

Fonte: ilcambiamento.it