Progettare e realizzare in bioedilizia: cosa abbiamo fatto nel concreto e come?

Dopo aver affrontato la scelta dei materiali naturali, in questa nuova puntata Daniel ed Emanuela ci presentano nel dettaglio i lavori in bioedilizia (bio davvero) fatti nella loro casa e ci spiegano come sia stato fondamentale il ruolo della progettazione e la scelta dei professionisti giusti. Quando un apparente ritardo può far davvero risparmiare tempo e denaro e guadagnare in salute e sostenibilità!

Noi italiani siamo così. Artisti, artigiani, creativi, ci piace improvvisare. In qualche modo, si sa, ce la caviamo sempre o almeno così pensiamo. Ed eccoci a presentare una SCIA in Comune e partire con un cantiere senza sapere esattamente cosa vogliamo fare. Sì, vogliamo rifare il bagno, dare una rinfrescata alle pareti e cambiare gli infissi… Ed eccoci due anni dopo ancora in mezzo ai lavori, con un mutuo, debiti sparsi e un cantiere in continua evoluzione. Prima facciamo e poi disfiamo… e a un certo punto ci troviamo a chiederci: “Perché diavolo non ci avevamo pensato prima?!”.

Infissi e muro esterno

Ecco allora che forse è meglio riflettere bene prima di partire con i lavori. Lo so, è difficile. Ma tu, che stai leggendo e stai per dare un incarico alla ditta, fermati! Ti consiglio dal profondo della mia lunga lunga esperienza di porti le seguenti domande: “Ho progettato davvero bene la mia casa? Su cosa mi sono soffermato? Ok, i miei desideri forse ti sono chiari, ma mi sono chiesto quali materiali usare, da dove vengono, in che stagione interverrò?”.

Ti sei chiesto se i diversi attori coinvolti nel cantiere sono disponibili nell’ordine giusto? Hai riflettuto in modo sistemico sugli interventi da fare? Ad esempio – come abbiamo già visto – prima di chiederti che tipo di impianto di riscaldamento mettere, hai pensato all’isolamento? Prima della scelta degli infissi, ti sei chiesto come isolare il tetto? Lo sapevi che è la prima fonte di dispersione? Il calore va in alto! E i controtelai degli infissi (quella specie di cornice): hai verificato che non creino ponti termici? Forse non lo sai, ma se fai un bel cappotto e monti male gli infissi è un bel casino”.

I muri interni rivestiti in argilla

E poi: che materiali stai usando? Ricordati che in questa casa tu vivrai, respirerai, mangerai. Che vernici utilizzerai? E quale impatto hanno queste sull’ambiente e sulla salute, te lo sei chiesto? E gli isolanti che ti hanno proposto? Ok, certo, isolano. Ma se vuoi essere un po’ ecologico, ti sei chiesto da dove vengono e che tipo di effetto hanno? Un giorno, fra qualche decennio, quando casa tua verrà ristrutturata o – per qualche motivo – smantellata, diverrà fonte di inquinamento o i singoli materiale utilizzati potranno essere riciclati e avere nuova vita?

Tutte queste domande possono terrorizzarvi o scoraggiarvi, ma se ve le porrete in fase di progettazione, posso assicurarvi che vi faranno risparmiare mesi di vita e migliaia di euro. Se avete risorse economiche limitate, a maggior ragione, chiedetevi quali siano le vostre reali priorità e, se possibile, confrontatevi con più soggetti per avere diversi pareri competenti.

Mattonelle di prova per scelta colori, realizzati con terre naturali

La nostra esperienza

Per noi è stato così. Dopo una serie di disavventure, abbiamo incontrato i già citati salvatori – Silverio Edel, Tommaso Gamaleri, Fausto Cerboni – e insieme a loro abbiamo progettato e riprogettato. E nonostante questo ci siamo dimenticati un sacco di passaggi importanti! Però, sui fondamentali “ci avevamo preso”. Tommaso di ènostra ci ha aiutato a riflettere sul tipo di cappotto da fare (volevamo materiali naturali) e ci ha messo in contatto con Fausto di Terrapaglia, il quale ci ha portato alla scoperta dei mondi inesplorati della bioedilizia vera, quella davvero bio. Ed ecco cosa abbiamo fatto.

  • Il cappotto: Partiamo visualizzando la casa dall’esterno. Per prima cosa abbiamo deciso di realizzare un cappotto esterno attraverso pannelli di canapa, inseriti all’interno di un’intelaiatura in legno che ha ricoperto tutte le vecchie pareti. Questo cappotto è stato poi protetto da pannelli isolanti in celenit e successivamente rasato a calce aerea e idraulica utilizzando una rete in fibra di vetro per l’armatura dell’intonaco. I diversi spessori sono stati ovviamente calcolati da Tommaso in modo da garantire una perfetta coibentazione confrontando le diverse stratigrafie. Prima e dopo la cura! Piccolo vezzo: abbiamo deciso di lasciare una piccola finestrella in plexiglas per mostrare la canapa che si nasconde dietro ai “muri”.

Dettaglio pannelli rigidi che ricoprono la struttura di pannelli di canapa sorretti da intelaiatura di legno

  • Gli infissi: Sempre guardando da fuori si possono apprezzare dei grandi infissi in legno con doppio vetro. Grandi perché volevamo luce ovunque e volevamo che la casa fosse letteralmente immersa nel verde degli alberi. Con doppio vetro per ovvi motivi di isolamento. Per evitare che venissero trattati con materiali e vernici non naturali (che non fanno bene all’ambiente e alla salute umana), li abbiamo acquistati in legno grezzo e “verniciati” successivamente solo con olio di lino e limonene. Gli infissi sono stati “montati” cercando di non usare colle di nessun tipo (anche qui spesso non ci si interroga su che tipo di collanti, schiume e vernici vengono usati e sul loro effetto).
  • muri interni: Ok, siamo finalmente entrati in casa! Apparentemente i nostri muri sono normali, a meno che non vi voltiate a destra. Ecco, lì potete notare una parete strana, di color marrone, con una sorta di “granuli”, mista a delle punte dorate. Si tratta di un corpo intonaco in terra cruda (argilla), materiale con cui abbiamo rivestito interamente tutte le pareti interne della casa, per isolarle ma soprattutto per farle respirare. Questi pannelli (da 22 mm fissati meccanicamente ai muri e rasati in argilla con rete in fibra di vetro), infatti, assorbono e rilasciano l’umidità naturalmente, autoregolando il benessere della casa. Le pagliette dorate che brillano al contatto con i raggi del sole, invece, sono paglia tritata (da noi) e inserita nel consolidante naturale che abbiamo utilizzato per fissare la terra (quindi hanno una funzione puramente estetica). Le altre pareti della casa sono state coperte con vernici di terre naturali, che danno un effetto estetico più tradizionale alla vista. Anche nei bagni e nella cucina, al posto delle classiche piastrelle, abbiamo deciso di utilizzare materiali “archetipici”, optando per coperture in cocciopesto: materiale composto da frammenti di laterizi (tegole o mattoni) minutamente frantumati e malta fine a base di calce aerea. Il tutto è stato poi ricoperto con una cera e reso totalmente impermeabile e lavabile: può infatti ricevere schizzi di sugo, acqua o qualunque altra cosa senza macchiarsi. Ed è bello. Tanto bello!

Il macchinario per soffiare nel sottotetto la fibra di cellulosa

  • Il soffitto: E il soffitto? Ovviamente abbiamo coibentato anche quello, ma da sopra. Sono entrati dal tetto e con uno strano macchinario hanno “soffiato” sopra il nostro solaio oltre 30 cm di fibra di cellulosa (derivati della carta, solitamente giornali non venduti), per limitare la dispersione di calore. Sul lato interno della casa ci siamo limitati a far decorare il soffitto con calce idraulica naturale.
  • Sotto ai pavimenti: Chi pensa mai a cosa c’è sotto un pavimento… Eppure se la casa poggia sulla terra, da lì si può infiltrare umidità, freddo, disagio. Ecco che nel piano terra abbiamo quindi deciso di realizzare un vespaio areato, scavando prima per 30 cm e successivamente ricoprendo il tutto con uno strato di tessuto non tessuto, su cui è stato versato del granulato in vetro cellulare compattato (a vedersi una specie di sassolini) su cui è stato realizzato un primo battuto (un massetto di calce e canapa) sopra al quale sono stati poggiati i pannelli del riscaldamento a pavimento che sono essi stessi isolanti. Nell’unica parte del piano terra non riscaldata, abbiamo invece optato per il classico vespaio aerato con l’utilizzo di igloo (a forma di cono). Al piano di sopra, non avendo la necessità di isolamento del piano inferiore e avendo poco spazio a disposizione, abbiamo appoggiato sopra al vecchio pavimento uno strato di isolante convenzionale (stiferite), usato come base per i pannelli dell’impianto di riscaldamento

Dettaglio della pavimentazione, nella fase precedente all’ultimazione

  • pavimenti: Ah i pavimenti… Quanto ci hanno fatto tribolare! Volevamo il riscaldamento a pavimento (ne parleremo nel prossimo articolo, ma ovviamente una corretta progettazione deve incrociare impiantistica e materiali edili) e quindi non volevamo coprirlo con materiali isolanti (come il parquet). Le piastrelle non ci piacevano molto e ci siamo innamorati dell’idea di avere anche il pavimento “in terra, pietra, cocciopesto” o cose simili. In pratica come i vecchi pavimenti genovesi, romani o di Pompei. La lavorazione è stata lunga e a tratti tormentata, ma alla fine ce l’abbiamo fatta e oggi passeggiamo su un materiale misto di graniglia e terra, ricoperto da una specie di pastellone che si scalda in modo delizioso quando accendiamo l’impianto radiante e dona un comfort difficile da descrivere. Ovviamente anche questo è stato impermeabilizzato e non è a rischio macchie (però è delicato e se ti cadono oggetti pesanti e appuntiti e si sbecca purtroppo).

Lavorazione del pavimento con unica gettata in granilina

Tutto ciò è stato realizzato senza ricorrere ad alcuna sostanza chimica aggiuntiva. L’attenzione di Fausto e dei suoi “ragazzi”, Davide e Tommaso, è stata commuovente in tutte le fasi. Un giorno li ho trovati a mettere una retina che serve per fissare il pavimento e mi hanno spiegato che hanno scelto un materiale che non accentua i campi magnetici. Chi mai ci avrebbe pensato? Questo tipo di attenzione mi ha commosso. È qui che posso pensare di crescere sereno i miei figli. In una casa realizzata con una cura e un amore che io stesso non avrei saputo garantire. E tutto ciò è stato possibile grazie ad una corretta progettazione e alla scelta delle persone giuste. Molto molto difficili da trovare queste ultime. Ma fondamentali.

Fonte: https://www.italiachecambia.org/2021/02/progettare-e-realizzare-in-bioedilizia-cosa-abbiamo-fatto-nel-concreto-e-come-io-rifaccio-casa-cosi-3/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

L’importanza dell’Autocostruzione, tra innovazione e tradizione

Collaborare per diffondere e divulgare i principi e le tecniche sostenibili è uno degli obiettivi della Rete Solare per l’Autocostruzione che, grazie a una rete capillare di esperti competenti in diverse regioni di Italia, favorisce la conoscenza e l’apprendimento di tecniche nel campo della bioedilizia e dell’autoproduzione.rete-solare-autocostruzione-innovazione-tradizione

“La rete è una struttura aperta a tutti coloro che sono interessati all’autocostruzione e alla condivisione dei saperi in un’ottica di partecipazione, di relazione e di fiducia”. Con queste parole si presenta la Rete Solare per l’Autocostruzione, Associazione che nasce nell’anno 2006 in Emilia Romagna con lo scopo di diffondere le tecniche legate alla sostenibilità e alla bioedilizia, promuovendone la conoscenza e divulgazione in Italia.  La rete nasce inizialmente con l’obiettivo di favorire la diffusione del solare termico, riponendo in un secondo tempo l’attenzione anche ad altri campi della bioedilizia. La volontà è quella di creare una solida collaborazione tra persone ed organizzazioni presenti sul territorio quali realtà associazionistiche, privati, enti pubblici o scuole. Daniela Re è presidente nonché una delle fondatrici dell’Associazione che in questo progetto crede molto e che, grazie alla preparazione nel campo dell’architettura, all’esperienza nell’ambito dell’efficienza energetica ed alla passione per le energie rinnovabili ed i materiali naturali, opera attivamente per aumentare la consapevolezza verso tali tematiche, contribuendo a renderle alla portata di tutti, proprio come ci racconta nell’intervista.

Di cosa si occupa l’Associazione?

“Obiettivo della rete è lavorare nell’ambito dell’autocostruzione promuovendo in Italia la diffusione e la conoscenza delle energie rinnovabili e dei materiali naturali in bioedilizia. L’Associazione è composta da esperti che conducono corsi e laboratori nelle diverse regioni di Italia in base alla richiesta dei soggetti interessati favorendo forme di condivisione e autoproduzione tramite un approccio prettamente pratico che consente loro di apprendere metodologie e tecniche sostenibili. Si tratta di una rete diffusa nelle varie regioni di Italia quali Piemonte, Lombardia, Emilia Romagna, Toscana e Lazio e prevede la collaborazione e la cooperazione tra diverse realtà dislocate sul territorio”.rete-solare-autocostruzione-innovazione-tradizione-1536821291

Quali sono le attività e le esperienze che proponete?

“Proponiamo corsi di autocostruzione eolica che prevedono la realizzazione ed il collaudo di un aerogeneratore; corsi di solare termico per adulti che includono la costruzione di un vero e proprio impianto solare termico ed inoltre attività per le scuole che sono indirizzate alla produzione di un pannello solare per la produzione di acqua calda a scopo didattico. Promuoviamo corsi su intonaci a base di terra e a base di calce; corsi sulla costruzione di forni in terra cruda; autoproduzione di oggetti in feltro con cui produciamo tappeti o pannelli isolanti; laboratori di recupero e riciclo creativo. Infine, da circa un anno, abbiamo avviato corsi di orticoltura secondo i principi dell’agricoltura sinergica, attraverso la realizzazione di impianti di irrigazione goccia a goccia o la piantumazione di piante”.

Come sono strutturati i corsi e chi sono i destinatari?

“I destinatari sono nel complesso persone curiose ed interessate a conoscere i principi dell’autocostruzione e che vorrebbero applicarne le tecniche nella ristrutturazione della propria abitazione. Altri soggetti sono i tecnici con capacità ed interessi progettuali quali gli idraulici, gli architetti o gli ingegneri ed infine gli artigiani come i restauratori o i decoratori, stimolati ad apprendere nuove tecniche e a specializzarsi in nuovi materiali. I nostri laboratori hanno la caratteristica di essere destinati a tutti in modo che chiunque possa imparare, anche chi si trova alle prime armi. Le attività si svolgono prevalentemente durante i week end e sono pensate per realizzare il manufatto della persona che ci ospita e che ne usufruirà”.

Quali sono i principi su cui si basa la rete?

“I principi sono sicuramente lo sviluppo di tecnologie efficienti, semplici, appropriate ed economiche. Nei progetti che implicano un lavoro sull’esistente quali cascinali, rustici o abitazioni in campagna, cerchiamo di proporre l’utilizzo di materiali tradizionali “come si faceva una volta” e quindi favorendone il valore culturale ed evitando l’impiego di prodotti preconfezionati provenienti dall’industria”.

Quali sono gli ambiti in cui ricevete più richieste di consulenza?

“Le richieste più numerose che l’Associazione riceve riguardano i lavori di autocostruzione con la calce, i forni e le stufe in terra cruda. Negli anni passati abbiamo riscontrato un maggior richiamo nei confronti della tecnologia del solare termico che è andata sempre più consolidandosi. Recentemente abbiamo assistito ad un risveglio di interesse nei confronti dei materiali naturali e tradizionali che sosteniamo proponendo corsi con costi non proibitivi ed accessibili al maggior numero di persone”.rete-solare-autocostruzione-innovazione-tradizione-1536821321

Quali sono le criticità legate alla sensibilizzazione a tali pratiche?

“Riscontro nel complesso un grande interesse da parte delle persone ad approfondire le conoscenze su queste tematiche ma molte di loro si arrendono nell’esecuzione di un progetto a causa della difficoltà nel confrontarsi con gli addetti ai lavori causata dalla scarsa presenza di esperti che facciano formazione e che abbiano buone competenze nel campo della bioedilizia. Nel complesso la sensibilità nei confronti dei materiali tradizionali è cambiata positivamente, il problema è che tali tecniche negli ultimi vent’anni non sono più state trasmesse e praticate poiché sostituite dall’utilizzo massivo del cemento che, per via delle sue caratteristiche di praticità, comodità, resistenza e malleabilità, ha rappresentato la soluzione più conveniente. Un progetto che vorremmo sviluppare è proprio quello di proporre corsi formativi alle scuole edili, agli architetti ed agli addetti ai lavori al fine di diffondere e far scoprire le potenzialità delle tecniche sostenibili”.

Quali progettualità svolgi nel tuo studio a Torino?

“A Torino ho uno studio di architettura dal nome “Ecoprogetto” che, coerentemente coi principi della bioedilizia, è stato ristrutturato con tecniche di rivestimento tradizionali quali legno, calce e vernici naturali coniugando i miei interessi nel campo della sostenibilità con il contesto urbano circostante. Le attività che svolgo sono improntate all’efficienza energetica, alle energie rinnovabili e ai materiali naturali. Mi occupo della formazione di tecnici ed artigiani mostrando loro le pratiche da attuare tramite l’uso di materiali tradizionali e fornisco consulenze energetiche sull’utilizzo del solare termico.  Lo studio nel quale lavoro vuole essere uno spazio aperto a tutti, un luogo nel quale proporre attività, incontri e condivisione di pratiche di autocostruzione. Elemento qualificante è la presenza di un piccolo spazio verde che ho recentemente convertito in orto sinergico e dal quale provengono prodotti a Km0. La sua realizzazione è avvenuta in collaborazione con un gruppo di abitanti del quartiere con i quali abbiamo fondato un comitato dal nome “Oltre la Barriera” che si occupa di facilitare i processi sociali sul territorio in cui viviamo, ovvero Barriera di Milano”.

Cosa rappresenta la realizzazione dei tuoi progetti?

“La soddisfazione più grande che ricevo durante i corsi è entrare in contatto e condividere esperienze con persone che hanno una volontà e visioni comuni e che in questo modo creano una forte energia positiva.
Ciò che amo di più del mio lavoro è la consapevolezza di aver contribuito ad apportare un miglioramento nel mondo”.

Foto copertina
Didascalia: Rete Solare per l’Autocostruzione
Autore: Pagin Fb Rete Solare per l’Autocostruzione

Fonte: piemonte.checambia.org

Un anno che può cambiare la vita, praticamente

“Practical Sustainability”, ovvero sostenibilità pratica. Questo il tema al centro del corso annuale proposto in Inghilterra dall’organizzazione Shift Bristol. Un percorso basato su soluzioni pratiche, creative e positive per contribuire ad un futuro più sostenibile, resiliente e in equilibrio con gli ecosistemi che ci circondano. Da Leslie Griffiths, che ha vissuto questa esperienza, ecco il racconto di un anno che le ha davvero cambiato la vita. Anche un giorno qualunque può cambiare completamente la nostra direzione. Io mi trovavo nel centro della cittadina inglese di Bristol per un evento sui cambiamenti climatici quando per caso la mia attenzione cadde su un volantino un po’ stropicciato appoggiato su una panchina. Riportava a grandi lettere tre parole che in quel momento mi sembravano la cura perfetta contro il senso di frustrazione, sfiducia e impotenza nei confronti delle sfide che il nostro pianeta sta affrontando: Practical Sustainability e Shift. Le prime due “Practical Sustainability”, ovvero sostenibilità pratica, racchiudono tutto ciò che possiamo fare con le nostri mani ogni giorno per soddisfare i nostri bisogni senza compromettere le risorse disponibili alle generazioni future. Nonostante la parola “sostenibilità” fosse diventata molto comune negli ultimi decenni, la concepivo spesso come un concetto piuttosto astratto, difficilmente applicabile ad azioni pratiche e scelte quotidiane. Tuttavia, dentro di me sentivo che molti aspetti della mia vita non erano in sintonia né con la natura circostante né con la mia coscienza interiore. Distratta da impegni in apparenza prioritari e accecata da tecniche di manipolazione sociale, queste sensazioni rimanevano spesso nascoste e quando affioravano non sapevo come gestirle. Fu la terza parola che lessi su quel volantino ad aprire una breccia sul da farsi: “Shift”, che significa cambiare. Era giunto il momento di cambiare.DSC_0513.jpg

Venni così a conoscenza di un’impresa sociale no-profit chiamata Shift Bristol organizzatrice di un corso annuale in Practical Sustainability basato su soluzioni pratiche, creative e positive per contribuire a un futuro più sostenibile, resiliente e in equilibrio con gli ecosistemi che ci circondano.  Attraverso un percorso di educazione non-formale, laboratori, attività pratiche e lavoro di gruppo, Shift Bristol si propone di affrontare temi come ecologia profonda, energie rinnovabili, rigenerazione del suolo, economia circolare e transizione. Visite a realtà locali che mettono in pratica principi di permacultura e condivisione permettono di avvicinarsi a stili di vita in sintonia con la natura, a sperimentarsi in autoproduzione, bioedilizia, orticoltura, riutilizzo di materiali di scarto e ad esplorare la propria creatività. Mi innamorai immediatamente dell’idea, tutto sembrava risuonare, ma ci volle tempo per riuscire ad ascoltare la mia spinta interiore, mettere da parte l’esitazione nel lasciare un lavoro sicuro e lo scetticismo di alcuni nell’appoggiare una scelta che mi avrebbe portato a vivere in una delle città più care del Regno Unito con metà delle risorse finanziarie guadagnate fino a quel momento. Alla fine mi iscrissi al corso. Contro ogni aspettativa, già dopo poche settimane iniziai a risvegliarmi la mattina con un paio di occhi nuovi sul mondo, sulle mie responsabilità come consumatrice e come essere umano in connessione con tutto il resto della vita sul pianeta in qualsiasi forma. Iniziai a vedere come tutto sia collegato, a divorare i libri messi a disposizione dalla “biblioteca del cambiamento” e a confrontarmi con insegnanti esperti provenienti da background diversissimi ma che condividono con passione saperi ed esperienze.DSC_0723.jpg

Un ruolo unico ed essenziale in questo percorso appartiene alle persone con cui l’ho condiviso. Ventisei menti e ventisei cuori alla ricerca di qualcosa di più profondo, sotto la superficie delle cose, al di là di ciò che ci viene servito dai media. Avere la possibilità e soprattutto il tempo di osservare insieme le dinamiche di gruppo, risolvere conflitti, prendere decisioni consensuali, affrontare paure e riflettere sul cambiamento ha creato non solo grandi collaborazioni e amicizie vere ma anche la certezza di non essere soli in questo nostro percorso verso un futuro sostenibile. Indubbiamente ci furono anche momenti di sconforto e rabbia, nell’apprendere le conseguenze dell’uso di glifosato, gli effetti della vendita di semi della Monsanto in India, nel vedere foto di luoghi di natura incontaminata spazzati via per accedere alle sabbie bituminose da cui ricavare petrolio, nell’assistere al salvataggio di creature rimaste intrappolate in imballaggi di plastica etc. Ma qualsiasi percorso di cambiamento inizia anche scontrandosi con la realtà che ci disgusta e, fortunatamente, Shift Bristol seppe fornire supporto, strumenti e occasioni in cui trasformare la disperazione e l’apatia di fronte a travolgenti crisi sociali ed ecologiche, in azioni costruttive e collaborative. Ogni mese si attendevano con ansia le “gite fuori porta” che per un paio di giorni permettevano di immergersi in meravigliose realtà come quella della comunità di Brithdyr Mawr nel Galles occidentale, che si prende cura della terra lasciando la minima impronta possibile, come l’antico bosco accudito da Ben Law, l’ecovillaggio di Lammas e molti altri.

A primavera inoltrata per evitare la pioggia e per coronare la fine prossima del percorso, fu prevista la costruzione di una casetta di legno che in futuro avrebbe ospitato un asilo nel bosco, corsi di yoga e meditazione. Sembra incredibile come mesi di collaborazione, scambio, discussioni accese e apprendimento portarono un gruppo con una manciata di nozioni in bioedilizia a realizzare una struttura non solo solida e robusta ma anche bellissima. Sotto l’occhio attento ed esperto di tre guru dell’autocostruzione e della falegnameria potemmo mettere insieme i pezzi di un’esperienza che ha lasciato un segno. Considero questo corso come un prato fiorito, su cui io e gli altri, come api, abbiamo potuto trarre ispirazione come nettare e assaggiare approcci e soluzioni diverse unite da una visione comune di sostenibilità e benessere. Apprezzo infinitamente il fatto che ci siano state presentate le mille sfaccettature di ogni realtà, opinioni opposte, cause e conseguenze di ogni scelta senza la presunzione di giudicarle giuste o sbagliate. Ora, a un anno dalla fine del corso, mi ritrovo infinitamente più ricca di prima, di un bagaglio unico, di un’esperienza intensa, e posso confermare che – come suggerisce il nome Shift che a me inizialmente appariva molto ambizioso – dopo un percorso simile il cambiamento accade veramente. È inevitabile.

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2018/06/come-un-anno-puo-cambiare-vita/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni

Ecovillaggio a pedali: il cantiere-scuola che ha dato vita a una comunità

Vivere insieme a contatto con la natura ricercando l’autosufficienza alimentare, energetica ed economica. Questo il sogno di un gruppo di amici che in Umbria hanno dato vita all’ecovillaggio a pedali: un progetto di comunità intenzionale, ecologica e solidale. Situato ad Avigliano Umbro, in provincia di Terni, l’ecovillaggio a pedali nasce dall’idea di un gruppo di amici con un sogno in comune: vivere in una comunità ecologica a 360°. Parliamo di ecologia profonda, ovvero del senso di appartenenza ad un sistema ecologico globale che riscopre il valore delle relazioni con se stessi, con gli altri e con il pianeta. La natura dentro e attorno a sé, insomma, e la voglia di una vita semplice e genuina. Abbiamo incontrato Laura Raduta, 33 anni, co-fondatrice della comunità, che ci ha raccontato la nascita e l’evoluzione di questo progetto.laura-ecovillaggio-a-pedali

Laura Raduta, cofondatrice dell’ecovillaggio a pedali


Come nasce l’idea?

Nel 2013 insieme ad alcuni amici affittammo un casale, rimanendo ognuno a vivere a casa propria, per sperimentare, per condividere intere settimane, per acquisire strumenti di autosufficienza, per conoscerci e capire meglio le esigenze reali di ognuno. Man mano le persone passavano e frequentavano il casale: chi per un corso, chi per una cena, chi per costruire il forno in terra cruda o solo per curiosità. Tante idee, confronti e domande: diventare una comunità intenzionale? Cosa mettere in comune? Quanto condividere? Quest’esperienza è durata tre anni, finché due di noi, io e mio marito, abbiamo comprato un terreno con una casa da ristrutturare nella bassa Umbria e il progetto si è trasferito lì.

Vi siete occupati della progettazione e della ristrutturazione del luogo. Qual è il vostro percorso di formazione?
Entrambi siamo ingegneri e questo ci ha dato una base strutturale, poi il corso di permacultura ci ha aperto alla progettazione sistemica, allo sguardo d’insieme, alla complessità. In seguito abbiamo frequentato tanti corsi, tenuti da permacultori, sulle varie tecniche di progettazione e sull’uso di diversi materiali. Questo ci ha permesso di approfondire e mettere a sistema i vari elementi che avevamo a disposizione. A chiudere il cerchio molta letteratura inglese e molta pratica: sbagli e impari.

Avete messo in piedi un cantiere-scuola?

Sì, a partire dalla fase di progettazione fino a quella di ristrutturazione. La cosa bella, infatti, è che chiunque passi da qui e abbia voglia di imparare, contribuire o solo curiosare partecipa alla costruzione del sogno. È così che la comunità si allarga e diventa diffusa. L’edificio, costruito con i canoni classici, viene rimodellato con i principi di bioarchitettura e l’uso dei materiali naturali e locali. Stiamo scegliendo la terra cruda, dalle tante proprietà ottimali, la paglia, ottimo isolante termico e acustico, la calce e il legno.ecovillaggio-pedali-forno

State ristrutturando questo posto in modo sostenibile. Cosa vuol dire più precisamente?

Abbiamo scelto di ristrutturare, dove possibile, piuttosto che costruire da zero. Abbiamo inoltre scelto di utilizzare materiali il più possibile naturali, di provenienza locale: il legno, la paglia per isolare, la terra cruda per intonacare e per i pavimenti, la calce per i bagni idrorepellenti. Lavorare con materiali naturali e locali permette di avere un impatto molto basso sull’ambiente e spesso, se realizzati in proprio, di abbassare i costi dei lavori. L’utilizzo di materiali naturali permette peraltro di raggiungere un comfort abitativo incredibile. La paglia è un eccellente materiale isolante, facilmente reperibile, rinnovabile e non inquinante. La terra cruda è a metri zero, gli intonaci permettono di regolare l’umidità interna, di diminuire i campi elettromagnetici e di gestire il livello delle tossine nell’aria. I materiali naturali, infine, ci permettono di utilizzare il cantiere come scuola per chi, vuole trascorrere delle giornate insieme a noi per con conoscere I possibili usi di terra cruda, paglia e calce.ecovillaggio-pedali

Il vostro ecovillaggio è autosufficiente dal punto di vista energetico, alimentare ed economico?

Una cucina a norma ci permette di proporre una piccola ristorazione, di trasformare i cibi, di ospitare eventi e corsi. Un laboratorio-falegnameria per i lavori artigianali, l’orto e una foodforest incrementano l’autosufficienza ma diamo anche grande valore allo scambio del surplus, che ottimizza le energie e crea comunità con il territorio locale.  Seguiamo una dieta vegetariana e vegana che, tra le altre cose, permette con più facilità l’autoproduzione. Volendo, qui attorno, si possono prendere in comodato dei boschi per la legna, le castagne, le nocciole, etc. Ci sono tante possibilità, insomma.

La casa inoltre diventerà energicamente passiva grazie al fotovoltaico, al solare termico, al cappotto esterno in balle di paglia e alla serra bioclimatica. La raccolta dell’acqua piovana in cisterne di accumulo ridurrà molto la richiesta idrica esterna. La struttura può garantirci delle entrate economiche per le piccole spese fisse, soprattutto tasse e spostamenti e quindi aiutarci a raggiungere l’autosufficienza economica. La ristrutturazione della struttura, infine, sta diventando una opportunità lavorativa. Le competenze maturate in edilizia sostenibile, in progettazione in permacultura e nell’uso di materiali naturali ci permette infatti di divulgare la nostra esperienza e contemporaneamente ci restituisce un reddito.ecovillaggio-pedali-1

Perché si chiama ecovillaggio a pedali?

Tempo fa in un ecovillaggio ho visto una lavatrice a pedali e ne sono rimasta affascinata per diversi motivi: uso delle gambe e non corrente elettrica, leggerezza ambientale, autonomia di riparazione, senso di semplicità e indipendenza, etc. Quindi abbiamo deciso di chiamare così il nostro ecovillaggio per trasmettare quell’idea di semplicità, lentezza e sostenibilità.

Il sogno continua?

Si, ci piace sognare. Non ho mai avuto dubbi che questa fosse la cosa giusta, per lasciare la propria impronta positiva al mondo e che fosse veramente realizzabile.  Quando tutte le stanze saranno abitabili vorrei che la nostra comunità includesse diverse generazioni, dai giovani agli anziani: si sta meglio tutti e ci si aiuta economicamente. E vorrei che fosse una comunità accogliente per poter aiutare bambini in difficoltà, migranti e altri. Man mano che arriveranno nuove competenze apriremo nuovi capitoli. Esistono tante possibilità per condurre una vita più semplice e a contatto con la natura.

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2018/05/ecovillaggio-a-pedali-cantiere-scuola-ha-dato-vita-comunita/

Nelle Marche il primo passo verso un ecovillaggio sostenibile e autosufficiente

Un ecovillaggio completamente autosufficiente dal punto di vista energetico ed economico situato nello splendido contesto delle colline marchigiane, tra mare e montagna. Nasce dall’impresa sociale Montefauno, azienda agricola di prodotti biologici, il progetto dell’ecovillaggio “La Magione”, un esempio concreto di un nuovo modo di abitare e vivere su questo pianeta. L’impresa sociale Monte Fauno è un’azienda agricola marchigiana che produce prodotti biologici certificati, “con l’intento di racchiudere in un vasetto” – si legge sul sito – tutti gli odori e i sapori della migliore cucina italiana”. Nata su iniziativa di Luigi Quarato, la Montefauno è il primo passo per un progetto molto più ampio che sta poco a poco prendendo vita, quello di costruire l’ecovillaggio “La Magione”  nel Maceratese, presso il comune di Montefano.la-magione2

“Per arrivare alla fase esecutiva di un ecovillaggio in linea con la nostra filosofia abbiamo seguito un percorso diverso dal solito”, spiega Luigi, “e prima di trovare il gruppo con cui condividere questa esperienza abbiamo voluto verificare la fattibilità del progetto”. “La Magione” sarà un ecovillaggio completamente autosufficiente economicamente, vi si stabiliranno 40 famiglie e in ciascuna di esse uno dei membri potrà lavorare a una delle diverse attività che nasceranno.la-magione

L’azienda agricola Montefauno farà parte dell’ecovillaggio e oltre alla consueta produzione di ortaggi (prevalentemente), è prevista la costruzione di un piccolo capannone per la trasformazione dei prodotti. Sorgeranno poi un’azienda per la lavorazione di piante officinali per l’estrazione di oli essenziali e pigmenti naturali, una struttura turistica dotata di sette camere e una cooperativa sociale per le attività di assistenza e formazione professionale (bioedilizia, agricoltura, gestione dei fondi comunitari ecc…). Le unità abitative, circa 40, saranno tutte autocostruite in paglia e terra cruda e verrà garantita una qualità eccellente, anche grazie alla convenzione instaurata con l’Università Politecnica delle Marche di Ancona, per cui ogni abitazione sarà ecocompatibile, ecosostenibile e autosufficiente. L’ecovillaggio che verrà (l’inizio dei lavori è previsto per la primavera 2018 e avranno durata di circa un anno), vuole rivedere nel complesso il modo di vivere odierno fornendo un’alternativa concreta e diventando esempio di sostenibilità dal punto di vista abitativo e alimentare, per la creazione di posti di lavoro etici e integrati nel contesto socio-economico locale, per le attività socio-culturali e – infine – per un nuovo modo di abitare e costruire.

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2017/05/marche-ecovillaggio-sostenibile-autosufficiente/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni

 

Bioedilizia e autoproduzione nella Fattoria dell’Autosufficienza

Ecco la seconda parte della nostra intervista a Francesco Rosso, fondatore della Fattoria dell’Autosufficienza. Francesco ci spiega le tecniche costruttive che ha adottato e i materiali ecologici impiegati, come canapa e legno. Ci parla del sistema produttivo, basato su orti, piante aromatiche e una food forest. E auspica che il suo progetto diventi un esempio replicato in tutta Italia! Vi avevamo promesso che saremmo tornati sulle orme di Francesco Rosso e della sua Fattoria dell’Autosufficienza e infatti… eccoci qui! L’altra volta abbiamo presentato il progetto, i suoi obiettivi e la sua filosofia. Questa volta vorremmo soffermarci sulla pratica. Partiamo quindi dai numeri.fattoria1

Il progetto della Fattoria, una volta completato, prevede 2000 metri quadri di strutture; al momento ne sono state sviluppate circa un quarto. È un progetto legato al vincolo storico-paesaggistico e nonostante questo, dopo numerosi interventi, sono riusciti a raggiungere “una classe energetica elevata (B quasi A)”.

“Ci siamo riusciti – mi spiega Francesco – grazie a una coibentazione interna in calce e canapa, idroregolatrice che mantiene asciutto il muro. Abbiamo applicato un impianto microcapillare a parete, che è il più efficiente che ci sia”. Il riscaldamento è alimentato con la legna. Per una struttura di 500 mq è sufficiente una caldaia di soli 13 kw. Anche il tetto è stato isolato con tre strati di fibra di legno, diversi tavolati, guaina e coppi. Ovviamente, anche le finestre sono a risparmio energetico. “Ci siamo rivolti a un artigiano locale, che ha vinto premi. Eravamo vincolati a infissi in legno; lui li fa idonei alla classe A e verniciati con sostanze naturali. Per ovviare ai rischi dovuti alla possibile ‘eccessiva coibentazione’ abbiamo istallato un sistema di ricambio di aria con scambio di calore. Questo ci permette di tenere le finestre chiuse ma avere comunque un ricircolo di aria”.fattoria5

Ma l’apparato abitativo non è tutto! “Ad oggi abbiamo diversi orti, che ci permettono di produrre ortaggi sufficienti per la nostra famiglia, la Fattoria e il nostro negozio. Tra le nostre produzioni abbiamo tantissime varietà di frutta, di cui molte antiche, così come sono antiche le varietà di cereali che coltiviamo. Abbiamo anche avviato una food forest: tra dieci anni sapremo se funziona! Sarebbe l’equilibrio perfetto. Se noi riuscissimo, infatti, a creare una foresta che produce cibo, ci avvicineremmo a ciò che di più naturale c’è e non avremmo bisogno di immettere nuova energia nell’ambiente. Ciò comporterebbe meno fatica, meno combustibili fossili utilizzati, meno danni per la salute delle persone”.
In Fattoria vengono inoltre coltivate piante aromatiche per realizzare cosmetici e vengono allevate alcune specie di animali (galline, pavoni, oche, conigli, capre, maiali). L’obiettivo è rimasto lo stesso dei primi tempi– rendere questo posto autosufficiente – ma il progetto è cresciuto notevolmente nel tempo. “Il prossimo obiettivo è l’eliminazione di un vecchio capannone di 600 mq, che era una stalla da vacche molto all’avanguardia ai tempi, con tetto in amianto e lana di vetro nel mezzo, che oggi però comporta un notevole impatto energetico, visivo, ambientale e salutare. Al suo posto Francesco vorrebbe costruire una sala polifunzionale in grado di ospitare fino a 250 persone.fattoria4

Gli chiedo come vede questo posto tra dieci anni. Francesco non ha dubbi: “Vedo qualcosa di molto diverso da quello che c’è oggi; qualcosa che possa cambiare la percezione e la vita di tante persone, perché in Italia manca un esempio concreto e ben funzionante di progettazione complessa in permacultura. Vorrei sviluppare un polo che attiri tante persone che possano realizzare progetti simili a questo, anche più in piccolo, in modo che tutti possano venire qui per imparare e portarsi a casa qualcosa. Questo progetto vuole essere una sorta di parco, un’esposizione dove vedere tante strutture e metodi realizzativi diversi. È chiaro che un progetto così complesso non può essere alla portata di tutti in mancanza di capitali; ma un progetto di questo tipo è costituito da tante cellule che a loro volta formano un organismo ma che al contempo vivono separatamente. Ogni visitatore, quindi, può cogliere qualche spunto e replicare qualche cellula di questo progetto. Per questo, è fondamentale che ogni singola nostra cellula sia replicabile”.fattoria2

Al momento, alla Fattoria dell’Autosufficienza sono impiegate tre persone fisse part time. Come spesso mi accade, quando chiedo quale sia la più grande difficoltà incontrata in questo percorso ottengo la stessa risposta: la burocrazia. “Le idee sono tante, belle ma vengono smorzate dalla possibilità di avere permessi. Devi chiedere permessi per qualunque cosa”.

Lascio questo bel sogno che si sta tramutando in realtà chiedendo a Francesco cosa sia per lui la Romagna che Cambia. Non ha dubbi: “La Romagna che Cambia per me è o sarà costituita dalla presa di coscienza dei miei concittadini che dovremo cambiare molte cose e dovremo vivere in modo diverso, senza contrastare la natura, non tanto per salvare lei – che un modo di rigenerarsi lo trova sempre – quanto per salvare noi”.

 

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Bioedilizia ed etica, la soluzione all’Italia che si sbriciola

E’ risaputo che siamo paese di terremoti e un paese a rischio idrogeologico. Le scosse in centro Italia rappresentano un’altra di una lunga serie di tragedie. Ebbene, bioedilizia ed etica sono scelte imprescindibili per rilanciare economia e occupazione e per prevenire proprio tali tragedie.terremoto_amatrice

Quando si parla di economia e di occupazione, sentiamo spesso discorsi altisonanti che propongono soluzioni che tali non sono e che non portano a niente. Si dovrebbe invece guardare all’Italia e alle sue caratteristiche per capire (lo può fare anche chi frequenta le scuole elementari) che basterebbe lavorare su quelle caratteristiche per risolvere ogni problema economico e occupazionale. E’ risaputo che siamo paese di terremoti e a rischio idrogeologico; quale modo migliore per rilanciare economia e occupazione se non intervenire anche per prevenire questi due aspetti?

Prendiamo un esempio per tutti e cioè come vengono costruite o ristrutturate la case in Italia; gli studiosi seri della materia sanno che il migliore materiale per la prevenzione dai terremoti è il legno, per la sua resistenza, versatilità ed elasticità. Quando ne parlavo già all’inizio degli anni Novanta, aggiungendo anche case in terra cruda e paglia, isolanti leggeri ma performanti in fibra di cellulosa, gli “esperti”, gli architetti, gli ingegneri erano prodighi di battute e commenti spiritosi sulle case dei tre porcellini, ecc. Eppure oggi in tanti sono rimasti sotto a case in cemento e mattoni, case progettate e costruite da gente senza scrupoli, la stessa gente senza scrupoli che le ricostruirà grazie alla tangente, alla bustarella, all’amico dell’amico e che lo farà con gli stessi materiali e progettazioni scadenti e con lo stesso menefreghismo di quando le ha costruite. Il legno è un materiale eccezionale, rinnovabile, locale e darebbe solo risultati positivi. Con una politica di massiccia riforestazione tra l’altro si darebbe risposta ai continui incendi che si sviluppano in questo paese provocati da gente folle e masochista che distrugge il territorio che abita. Inoltre ci si darebbe un’opportunità di assorbimento di CO2 non indifferente e in prospettiva poi di esaurimento e minore uso dei combustibili fossili; il legno è il migliore materiale per sostituire la plastica in moltissimi usi. Quindi occorre incentivare tutta la filiera del legno che, come ulteriore vantaggio attraverso il rimboschimento, previene frane e smottamenti che si verificano anche perché gli alberi vengono sempre più abbattuti per fare spazio all’edilizia; edilizia che poi viene spazzata via ad ogni alluvione o che ci cade in testa ad ogni terremoto. Il legno da solo però non basta; servono tecnici preparati, qualificati dall’esperienza sul campo, guidati dall’onestà e dai valori etici e non esclusivamente dai soldi, dal numero di certificati, lauree, master e ridicoli fogli che attestano il nulla, magari comprati in internet. Ci sono tecnici che non hanno mai preso in mano un martello da carpentiere in vita loro e un cantiere lo visitano attraverso un computer. Se non ci sarà una chiara volontà di cambiamento, si piangeranno i morti, ci si accuserà a vicenda sulle responsabilità, nessuno sarà colpevole e tutto proseguirà come se nulla fosse, fino al prossimo terremoto, fino ai prossimi morti.

Fonte: ilcambiamento.it

Archingreen: paglia e terra cruda per un’architettura sostenibile

Costruire e riqualificare gli edifici esistenti utilizzando materiali naturali come la paglia e la terra cruda. Professionalità ed ecocompatibilità sono due mondi sempre più vicini, come testimonia Archingreen, una realtà che si occupa di architettura e ingegneria con una profonda vocazione al sostenibile.

“Non si può pensare all’architettura senza pensare alla gente” diceva Richard George Rogers,  architetto italiano naturalizzato inglese. Oggi più che mai il mondo della sostenibilità, della costruzione di edifici con materiali naturali, sembra l’aspetto più in grado di guardare agli interessi e al benessere delle persone. E vi parliamo di una realtà che sta provando, con il proprio appassionato lavoro, a far conoscere l’importanza di cambiare (in meglio) il modo di costruire e restaurare le nostre case. Archingreen  è uno studio tecnico formato nel 2012 da Roberta Tredici e da Emanuela Cacopardo, ha la sua sede operativa ad Arona, in provincia di Novara. Roberta è un ingegnere, Emanuela un architetto, con brillanti esperienze professionali alle spalle.

Molte volte su Italia che Cambia vi abbiamo parlato delle caratteristiche e dei vantaggi di costruire abitazioni ed edifici con l’ausilio dei “nuovi” materiali come ad esempio la paglia e la terra cruda. La specificità e l’importanza della storia di questa settimana è data anche dal percorso delle fondatrici: come recita il chi siamo del sito “Il nome Archingreen è un gioco di parole che sintetizza la nostra professionalità: architettura, ingegneria e profonda vocazione al sostenibile.” Due mondi, quello della professionalità e della sostenibilità, che si stanno incontrando con profitto sempre più spesso.

“Abbiamo fondato questo studio insieme a Roberta Tredici” ci racconta Emanuela Cacopardo “condividendo questavisione verso il sostenibile. Nel corso degli anni abbiamo incontrato sempre più clienti che ci hanno chiesto di poter utilizzare dei materiali naturali che proprio per le loro proprietà rendono più confortevoli e salubri le casi in cui si va ad abitare. Ed in questi ultimi tre anni, dalla ristrutturazione passando per gli ampliamenti fino alle nuove case, siamo riuscite a realizzare sempre più lavori con questa filosofia volta alla sostenibilità”.25654310526_e8dc5c623e_o-copia

Prima sopraelevazione in paglia (Arona)

Archingreen per gli ampliamenti e per le nuove costruzioni incentiva l’uso della paglia, appoggiata ad una struttura di legno portante. La paglia è infatti un materiale che si può trovare a km zero, ha una grandissima resa termica, non è costosa ed ha anche un’ottima resa acustica. Alla paglia solitamente vengono abbinati degli intonaci in argilla, che sono traspiranti e che quindi permettono il passaggio continuo dell’umidità e impediscono che la paglia possa deteriorarsi, e soprattutto sono dei regolatori naturali di umidità che permettono di assorbirla se un ambiente è troppo umido e di rilasciarla nel caso l’ambiente sia molto secco. Invece per quanto riguarda le ristrutturazioni e gli ampliamenti di strutture esistenti Archingreen predilige altri materiali naturali come la canapa e la lana di pecora, materiali che a livello di costi possono rappresentare un costo maggiore (fino a un 15% in più in media rispetto ai tradizionali) ma che hanno sempre il vantaggio della traspirabilità, della densità, apportando un vantaggio reale in termini energetici che vale per tutte le stagioni. Lo studio collabora con team di artigiani che hanno un’esperienza decennale in questo campo, che hanno seguito e seguono progetti di questo tipo in tutta Italia.ARCHINGREEN1

Roberta Tredici e da Emanuela Cacopardo

 

Un altro elemento che contraddistingue l’esperienza di Archingreen è che “se noi incontriamo persone che hanno la possibilità di recuperare paglia, legno, argilla e ha possibilità di poter scavare la terra sul posto” spiega Emanuela  “se invogliata all’idea di poter ristrutturare o lavorare sulla sua casa noi favoriamo il discorso dei Cantieri Scuola proprio per favorire l’autocostruzione e l’avvicinarsi a questi mondi anche a chi non conosce nulla ma ne è fortemente interessato”.

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2016/07/io-faccio-cosi-129-archingreen-paglia-terra-cruda-architettura-sostenibile/

Umbria, un’immersione nella comunità eco-sostenibile di Monestevole

Dal 3 al 30 aprile la comunità eco-sostenibile di Monestevole propone un corso full immersion di sostenibilità, bioedilizia, permacultura e imprenditoria sociale. L’obiettivo? Imparare facendo, immersi nella vita di un antico borgo dell’Umbria circondato da uliveti e vigna.

Dal 3 al 30 aprile, Tribewanted Monestevole , cooperativa che sviluppa comunità eco-sostenibili, propone un corso “full Immersion” di sostenibilità, bioedilizia, permacultura e imprenditoria sociale.11218993_1034438913250720_2052165412621674608_n

Il borgo di Monestevole, in Umbria

Il corso, che dura 4 settimane, include 5 giorni alla settimana di partecipazione attiva ai progetti del borgo sostenibile Monestevole. Insieme al team, i partecipanti svilupperanno una casa passiva e un orto di permacultura, partecipando a corsi di imprenditoria sociale e sostenibilità a 360 gradi, dall’energia rinnovabile al riciclo delle acque, dalla bioedilizia all’agricoltura, dalla cucina locale a prodotti fatti in casa. L’obiettivo è quello di “imparare facendo” il processo di transizione e sostenibilità, messa in pratica in un antico borgo circondato da uliveti e vigna. Come tutti i progetti di Tribewanted, l’esperienza è “all inclusive” e gli ospiti possono scegliere di pernottare in una camerata comune camere private en-suite. Il corso si terrà in italiano e inglese.11168119_1040797095948235_7980272717211485338_n

La cooperativa inglese Tribewanted sviluppa comunità ecosostenibili in giro per il mondo. Il primo progetto della rete è stato avviato alle Fiji grazie al crowdfunding, mentre la seconda comunità è sorta in Sierra Leone. È sorta in seguito la comunità di Monestevole, un piccolo borgo in Umbria, una regione molto legata alle tradizioni del passato e poco toccata dal turismo di massa, quello che Tribewanted vuole superare promuovendo un modo diverso di viaggiare e vivere il territorio. Nel cuore verde dell’Italia, Tribewanted Monestevole è costituito da un casale del 1500 e 25 ettari di bosco. Qui vi abitano e lavorano stabilmente 10 persone che condividono il loro tempo e le loro attività con gli ospiti della comunità.

 

Per ulteriori informazioni sul corso clicca qui 

Il sito di Tribewanted Monestevole 

 

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2016/02/umbria-immersione-comunita-eco-sostenibile-monestevole/

Vivere in campagna: “ecco come mi autocostruisco la vita”

Creatività rurale, ricerca naturale, bioedilizia ed educazione dei figli a contatto con la natura: ecco tutto ciò che caratterizza la vita di Francesco da quando ha deciso di cambiare direzione, vivere in campagna e autocostruirsi la propria esistenza

Abbiamo incontrato Francesco D’Ingiullo nella casa di campagna a Palmoli, in provincia di Chieti, dove ormai da diversi anni vive con la compagna ed i due figli. Creatività rurale, ricerca naturale, bioedilizia ed educazione dei figli a contatto con la natura: ecco tutto ciò che caratterizza la vita di Francesco da quando ha deciso di cambiare direzione, vivere in campagna e autocostruirsi la propria esistenza.

“Da piccolo, fino a 6 anni, ho vissuto in campagna, poi per 13 anni in città a Chieti e in seguito mi sono trasferito a Roma, dove ho studiato per un anno. Lì ho capito chiaramente che la città non faceva per me”. È stato allora che Francesco ha deciso di lasciare l’università e di partire per la Germania, dove per un anno si è dedicato al volontariato in una casa famiglia che ospitava figli di genitori separati, di un paesino di 1200 abitanti circondati dai boschi. Proprio durante questa esperienza, in quel luogo, Francesco ha intravisto la direzione che avrebbe dato alla sua vita. “Ho capito così che dovevo tornare alla natura e alla campagna. Allo stesso tempo in quel periodo ho avuto modo di prendere consapevolezza dei danni che possiamo fare ai bambini, legati alla nostra società e alla scuola”.ingiullo2

In Germania Francesco ha anche conosciuto quella che poi sarebbe diventata la madre dei suoi figli. Insieme hanno deciso di intraprendere un percorso che li ha portati ad imparare le attività manuali e apprendere conoscenze legate alla vita di campagna, all’agricoltura e all’autocostruzione.  “Da questo punto di vista – ci confessa Francesco – 13 anni di scuola non mi hanno insegnato nulla. Mio figlio che ha otto anni conosce già tantissime cose sulle piante, imparate senza stare seduto in un banco”.

Girando e studiando Francesco e la compagna hanno scoperto la permacultura, conosciuto molte persone che hanno insegnato loro come vivere in campagna in modo ecologico, in che modo trasformare i prodotti della terra e come riconoscere le erbe spontanee. “Negli ultimi anni ho notato un aumento di sensibilità verso alcune tematiche e molto interesse per il recupero di attività manuali. Io ho imparato molto dagli anziani”.

“Ho scoperto alcune cose che avrebbero potuto semplificarmi la vita, facendomi vivere in modo più ecologico, con un minor impatto ambientale”. Francesco sperimenta tecniche di coltivazione naturale, intreccia cesti e costruisce in terra cruda, paglia e legno. Da quando è arrivato a Palmoli, si è concentrato infatti sull’autocostruzione, a partire dalla casa in cui vive con la sua famiglia, realizzata in legno e terra cruda. Grazie ad un forno solare, autocostruito, e ad un fornello solare, Francesco e la sua famiglia non hanno bisogno di ricorrere al gas per molti mesi l’anno.ingiulllo4

“Quando impari da autodidatta riesci poi a trasmettere molto più facilmente quanto imparato”. Oggi Francesco tiene infatti laboratori di cesteria, realizzazione di sandali e autocostruzione in terra cruda a Palmoli e in giro per l’Italia.

“Viviamo di questo. Avendo la casa e autoproducendo il cibo non abbiamo bisogno di molti soldi.  Costruendo la nostra vita io e la mia compagna abbiamo scelto dei lavori che ci permettessero di passare la giornata insieme, non di ritrovarci la sera, soltanto per dormire”.

“L’aspetto più stimolante della nostra vita è vedere i bambini crescere a contatto con la natura. In questo modo sviluppano al massimo la curiosità e di conseguenza imparano tantissime cose”.

Con questa consapevolezza, Francesco da alcuni anni lavora per informare su un modo nuovo di crescere i piccoli, centrato sull’affermazione della Vita e della Natura. Ha scritto vari articoli sull’importanza di rispettare le aspettative naturali dei bambini e da anni lavora per la diffusione della Scuola Familiare, ha organizzato diversi incontri su questo tema e collabora all’interno della Rete Italiana per l’Educazione Familiare. “La scuola non rispetta i bisogni naturali dei bambini: le nostre famiglie vogliono riappropriarsi del proprio tempo”.

 

Nota
Intervista realizzata nel febbraio 2013 da Daniel Tarozzi nel corso del suo viaggio in camper alla scoperta dell’Italia che Cambia.

 

Francesco D’Ingiullo sulla Mappa dell’Italia che Cambia 

 

Fonte : italiachecambia.org