L’Asino e la Luna: cambiare vita nel segno della permacultura.

Una psicoterapeuta e una militare dell’aeronautica si incontrano a un corso di facilitazione e scoprono di avere entrambe cambiato vita per lo stesso sogno e con gli stessi strumenti. E allora decidono di fondare un luogo che possa ispirare altre anime in transizione a svoltare e ritrovarsi. La storia di Manuela e Denia e del loro centro esperienziale in permacultura a Cerveteri, la fiaba dell’asino e della luna.

RomaLazio – «Abbiamo conosciuto tante persone che volevano cambiare vita e che non sapevano da dove iniziare. E allora abbiamo fondato un centro esperienziale per fargli toccare con mano alcune fra le opzioni più interessanti». C’erano una volta (e ci sono ancora) Manuela e Denia, le due facce della Luna, l’energia femminile. Attorno a loro gironzola Silvio, il loro asino, forza fisica e semplicità maschile. Il luogo, così incantato da fungere da perfetto scenario per una moderna fiaba senza antagonisti, ha un nome non casuale: L’Asino e la Luna.

IL CAMBIO VITA

Eh sì, loro di cambio vita se ne intendono. Prendete Manuela Bocchino, per esempio. Originaria di Cerveteri, sulla costa a nord di Roma. Nel 2005 si arruola in aeronautica militare e si trasferisce a Milano. A poco a poco, la città finisce per starle sempre più stretta. E così, a partire dall’esigenza di alimentarsi in maniera più sana, incontra lo yoga, la meditazione, la ricerca della spiritualità, la riduzione dei bisogni, con tutto quel che ne consegue.

Non è una sorpresa se nel 2015 – pur non mollando il lavoro – sceglie di trasferirsi in natura, «per evolvere, rallentare, cambiare», dice. E così torna nella sua terra e compra 4 ettari tra mare e bosco, con sopra una casa, una vigna dismessa e qualche quercia spelacchiata. Il suo sogno? Un castello chiamato ecovillaggio. E adesso prendete Denia Franco. Toscana che più non si può, ha sempre condotto a Firenze «una vita normale: la famiglia, gli amici, lo studio, l’università». Nel 2016 si accorge che manca qualcosa, che si sente in gabbia. «Non volevo più vivere per lavorare, il lavoro doveva diventare solo uno strumento per vivere secondo i miei desideri».

E così traccia una bella riga e tira le somme. Nel senso letterale del termine. Gli addendi: cura delle persone, più cura degli animali (è una psicoterapeuta che lavora anche con i cavalli), più desiderio di armonia con la natura. Totale: downshifting, pure lei, e ritorno all’essenziale. Senza mollare il lavoro, pure lei, ma senza soccombere ad esso. Il suo sogno? Un castello chiamato ecovillaggio.

Ebbene, cosa accade quando due persone con lo stesso sogno nel cassetto si incontrano al momento giusto? Nella vita normale ci provano, vero, avete indovinato. Ma nelle fiabe? Ecco, nelle fiabe non solo ci provano. Nelle fiabe riescono. È il 2017. Manuela vive da due anni sul suo terreno a Cerveteri, ma il suo progetto non decolla, i contrasti imperano e la sua comunità è ancora nella sfera di cristallo.

La permacultura è come una valigetta degli strumenti: quando impari a usarla poi resta con te e da lì puoi estrarre lo strumento che ti serve di volta in volta, approfondendone l’uso con il tempo

Denia ci è già passata. Il suo gruppetto si è appena sciolto, definitivamente, e lei si è iscritta a un corso di facilitazione per evitare di cadere nelle stesse trappole in futuro. A quel corso di facilitazione incontra Manuela, che ci è arrivata per lo stesso motivo. La domanda di Manuela sorge spontanea: «Mi aiuti a risollevare il mio gruppo?».

Non penserete mica che siamo arrivati alla fine della storia? Un po’ di pazienza. Persino nelle più brevi fiabe per bambini la principessa dev’essere rinchiusa nella torre prima che qualcuno – o qualcuna – accorra a liberarla. Qui succede che, nonostante l’intervento di Denia, il gruppo di Manuela non si risolleva. Anzi, si scioglie. Restano loro due, da sole. Vengono entrambe da un radicale cambio vita che ha salvato solo il loro lavoro, desiderano entrambe il contatto con la natura, hanno lo stesso sogno comunitario e la stessa ferita ancora aperta.

Insomma, anche stavolta due più due fa quattro. E così Manuela e Denia decidono di sperimentarsi insieme. Prima un mese, poi altri due, poi ulteriori tre. I periodi di prova vanno bene, ognuno meglio di quello precedente. La comunità, sebbene meno numerosa di quella che avevano immaginato da sole, è nata; insieme a un senso di famiglia elettiva che entrambe mai avevano provato prima. Cosa manca ancora, direte voi? Semplice. La pozione magica.

LA PERMACULTURA

Nel 2017, poco prima di conoscere l’altra metà della Luna, Manuela scopre la permacultura. Un altro mondo le appare improvvisamente all’orizzonte, al punto che riesce finalmente a ipotizzare la possibilità di coltivare il suo terreno senza aver ancora sviluppato alcuna competenza in campo agricolo. L’altra metà della Luna, dal canto suo, aveva cominciato ad avvicinarsi alla permacultura da qualche anno; e più l’approfondiva, più scopriva che quella poteva essere una cornice di riferimento su cui impostare persino il quotidiano. È Denia stessa a raccontare che la permacultura «mi risuonava perché era composta da elementi che ho sempre sentito dentro, sebbene separati l’uno dall’altro». Per cui, quando li ha trovati integrati tutti insieme in quella che poi ha iniziato a considerare come una vera e propria filosofia di vita, ha capito che aveva ormai imboccato la sua strada: «Era ciò che sentivo e che non riuscivo a esprimere a parole».

Manuela e Denia hanno dunque trovato nella permacultura la loro pozione magica, ossia la visione comune che hanno scelto di usare come intento per riprogettare il terreno di Manuela, che dal 2019 hanno deciso di chiamare “centro esperienziale”, basandolo sulle tre etiche della Permacultura: cura della Terra come fosse un organismo, cura della propria specie e condivisione. Nel video che trovate in questo articolo, le due protagoniste raccontano cos’è oggi L’Asino e la Luna e cosa si immaginano potrà essere in futuro.

«Il centro è “esperienziale” perché la permacultura è come una valigetta degli strumenti: quando impari a usarla poi resta con te e da lì puoi estrarre lo strumento che ti serve di volta in volta, approfondendone l’uso con il tempo», spiegano. Una valigetta che contiene anche uno specchio fatato. «A volte quando ci si forma in qualcosa ci si estrania e si finisce sul tecnicismo», continua Denia. «Invece con la permacultura questo non accade, perché il suo approccio, che tende alla massima integrazione possibile, conserva dentro di sé gli strumenti per evitarlo».

E ora, come in tutte le fiabe che si rispettino, è il momento dei doni, ossia dei meritati premi che gli eroi o le eroine ricevono per le loro peripezie. Manuela stila una lunga e ricca lista: «Sono gli ottimi rapporti con i contadini e gli allevatori della zona e la rete di telecomunicazioni Noinet, che ci ha sponsorizzato nella realizzazione della nostra food forest».

E ancora, «sono le reti di cui facciamo parte, in particolare la RIVE e l’Accademia Italiana di Permacultura, che ci ha dato persino l’onore di ospitare un’assemblea plenaria nazionale; sono gli altri eventi che abbiamo ospitato e che ospiteremo; sono i tanti volontari pronti ad aiutarci in ogni iniziativa; sono gli alberi che abbiamo seminato in questi anni e che presto inizieranno a produrre frutti».

Cosa manca ancora, dunque? Ah, la morale. Beh, per quella vi toccherà cliccare sulla loro intervista video e ascoltare le parole finali di Denia. Perché la luna, in fondo, non è poi così lontana: montare su un asino per raggiungerla lentamente, passo dopo passo, possono farlo tutti. E tutte. Fonte: https://www.italiachecambia.org/2022/03/lasino-e-la-luna-permacultura-2/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

E’ peggio temere la morte o fuggire la Vita?

“La Vita è davvero un miracolo eppure noi la passiamo in gran parte inconsapevoli, inseguendo obiettivi fatui, scappando da problemi apparentemente immensi, ma in realtà spesso futili e sognando un Domani Felice. Un domani che non arriva mai, perché non abbiamo mai tempo per costruirlo veramente, per viverlo Adesso”.

Siamo fatti di carne e ossa. Banale no? Eppure chi ci pensa mai veramente? Ieri notte ero a letto, ho fatto un po’ tardi. Mi sono messo sotto le coperte nella mia casa tra i monti. Ero solo, completamente solo. Ho appoggiato la testa al braccio e ho sentito il battito del mio cuore. Avete presente? quel sottofondo che ci accompagna sempre ma non ascoltiamo quasi mai? Batteva e in un attimo di consapevolezza l’ho visualizzato. Un affare rosso, un po’ impressionante, dentro il mio petto. Mi faceva quasi paura…

Un pezzo di carne a cui non penso mai ma che mi tiene in vita e senza il quale io non sarei più. Ed ecco che il senso di tutte le azioni quotidiane svanisce in un istante. Cazzo, un giorno quel coso smetterà di battere! Nella migliore delle ipotesi saro’ molto vecchio, ma smettera’. E chissa’ quali altre diavolerie contiene il mio corpo. Pezzi di carne a cui non penso mai, ma che mi permettono di essere, fare, pensare.3031743-poster-p-1-3031743-the-future-of-work-enough-about-introverts-mastering-the-way-to-work-with-extroverts

Che impressione… Siamo così forti e così fragili… La Vita è davvero un miracolo eppure noi la passiamo in gran parte inconsapevoli, inseguendo obiettivi fatui, scappando da problemi apparentemente immensi, ma in realtà spesso futili e sognando un Domani Felice. Un domani che non arriva mai, perché non abbiamo mai tempo per costruirlo veramente, per viverlo Adesso.

Mi sono addormentato con questi pensieri. Addormentato… Che succede quando dormo? Dove vado? Cosa è reale e cosa sogno? Domande banali vero? Solo che a volte penso che a forza di definire banali alcune verità e retorici alcuni valori abbiamo finito per l’allontanarli dalla nostra vita. La morte e la nascita sono eventi straordinari. Eventi a cui non assistiamo quasi mai.

Avvengono in luoghi impersonali, sterilizzati, bianchi, grigi, verdini. I cadaveri, i nostri noi del futuro, vengono seppelliti in bare super resistenti in cimiteri lontani. Vediamo delle croci, vediamo delle foto, ma non vediamo i nostri organi decomporsi. Le guerre, dove scorre il sangue, sono lontane: “Per carità! Non mostriamo i corpi in tv! I bambini si impressionerebbero!”

Sangue? Morte? Corpi? Eliminati, anestetizzati. Si fa l’amore con una busta di plastica che impedisce il contatto con l’altro, si partorisce con il cesareo, si mangiano animali accuratamente sezionati da altri, senza occhi, senza alcun legame apparente tra cadavere e corpo.

E così l’intera vita è virtualizzata. Possiamo vivere 50 o 100 anni, ma li passiamo senza sapere cosa siamo, come siamo fatti, di cosa ci nutriamo, in che mondo siamo immersi. Poi un giorno un pezzo si rompe ed ecco che inizia il calvario negli ospedali. Ecco che improvvisamente siamo pieni di rimpianti, vorremmo Vivere davvero… ma ora sì, rischia di non esserci più tempo. Cosa aspettiamo veramente? Da cosa fuggiamo nel nostro eterno rinviare la Vita? Cosa ci terrorizza così tanto? E perché? Non lo so. Forse potrei approfondire l’argomento, magari cercare di vivere una Vita Consapevole, ma non ho tempo… Ho troppi impegni. Domani forse.

O almeno, questo è quello che mi sono detto fino ad oggi. Ma ora non più. Ora voglio vivere il mio presente.

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2016/02/temere-morte-fuggire-vita/

Perché vivere in un ecovillaggio?

“Vivere in un ecovillaggio non è una protesta verso il sistema, non è un sogno romantico o un’utopia, ma una scelta razionale e motivata di dare priorità nella propria vita ad aspetti quali il senso di comunità, l’ecologia, la spiritualità”.ecovillaggio_ferme_du_collet

L’idea di ecovillaggio non è recente né innovativa, trattandosi della naturale evoluzione del villaggio tradizionale, dove l’essere umano ha vissuto durante gran parte della sua storia. Storicamente però vivere in un villaggio in armonia con la natura non era una scelta consapevole, ma l’unica possibilità, mentre ora gli ecovillaggi sono comunità intenzionali di persone pienamente consapevoli di vivere in modo che rema in direzione contraria alla spinta della società circostante. Vivere in un ecovillaggio non è una protesta verso il sistema, non è un sogno romantico o un’utopia, ma una scelta razionale e motivata di dare priorità nella propria vita ad aspetti quali il senso di comunità, l’ecologia, la spiritualità. Il sentimento di appartenenza ad una comunità viene da lontano, è innato nella natura umana. La tecnologia, l’organizzazione sociale, la nascita delle metropoli, la corsa verso il successo individuale han dato l’illusione che il nuovo essere umano non abbia più bisogno dell’appoggio di una comunità, e ha creato la tendenza in una vita sempre più individualista e solitaria. Questa evoluzione è ben rappresentata dall’anonimo palazzone cittadino, dove un numero svariato di vite sono rinchiuse tra queste mura, cercando una nicchia di intimità dietro spesse porte blindate di appartamenti tutti uguali, ignorando completamente l’esistenza dei vicini che sovente sono visti solo come una molestia. La vita di comunità è l’opposto, è il compromesso di vivere in un gruppo, di solito non troppo numeroso in modo che tutti i membri si conoscano personalmente. Non si tratta del modello stereotipato che tutti abbiamo in mente quando pensiamo alle comunità, la comune hippie degli anni sessanta, con comunione dei beni, amore libero, chitarre e marijuana. Alcuni ecovillaggi praticano la comunione dei beni, ma la vera essenza di comunità, più che nell’ottimizzazione dei beni materiali che ovviamente è ricercata, è esaltata nell’appoggio reciproco.vita_ecovillaggio

Un gruppo su cui contare vuol dire miglioramento della qualità di vita, con esempi pratici quali la cura condivisa dei bambini, la possibilità di facilitare e rendere più attraenti lavori comunitari, la creazioni di posti di lavoro all’interno della comunità. Inoltre la vita comunitaria è un costante stimolo alla crescita personale, in quanto persone a stretto contatto quotidiano sono obbligate a confrontarsi su scelte in comune, a discutere, a parlare apertamente dei problemi che invariabilmente sorgono e questo migliora la comunicazione con gli altri e con se stessi ed aiuta a vedere con più chiarezza il nostro misterioso mondo inconscio. L’armonia della vita comunitaria si ripercuote conseguentemente nella cura dell’ambiente circostante. La concezione di tutela ambientale è variabile, ma principalmente si attua nel tentativo di produrre la maggior parte del cibo che si consuma, coltivando orti vicino alle case, di affidarsi a energie rinnovabili, di ridurre i consumi e di limitare l’utilizzo delle automobili. I bambini di un ecovillaggio dove ho vissuto trascorrevano le giornate scorrazzando per le strade del villaggio prive di auto, giocando nei giardini comunitari, senza necessità della miriade di giochi che popolano la vita dei bambini cresciuti negli appartamenti. Infine la spiritualità, che racchiude aspetti controversi perché storicamente è stata ingabbiata dalla religione. Di solito non c’è l’intenzione si inserirsi nelle credenze religiose degli abitanti. La spiritualità si accompagna in modo naturale al rallentamento dei ritmi, al contatto con la natura, poiché il materialismo non è sufficiente a saziare l’innata curiosità dell’essere umano. La spiritualità significa arte, musica, contemplazione, meditazione, riflessioni. Il movimento degli ecovillaggi si associa spesso ad altri movimenti quali la permacultura, la decrescita, termini che evocano ancora in tanta gente uno scenario di ristrettezze, di ritorno all’età della pietra e di rinuncia. Ma non è questo il punto, tutt’altro, l’obiettivo è lo stesso di tutte le attività umane, la felicità e il benessere, che vengono ricercate, però in una forma che predilige l’armonia con la natura e l’ambiente.

Fonte: il cambiamento