Orti Dipinti, il giardino condiviso che coltiva socialità e consapevolezza

In un’ex pista di atletica nel cuore di Firenze ha preso vita per iniziativa di Giacomo Salizzoni il progetto Orti Dipinti, community garden e orto urbano e didattico dove si coltivano relazioni e scelte alimentari consapevoli, scoprendo il giardinaggio urbano biologico e le sue applicazioni nella vita quotidiana e nella valorizzazione degli spazi cittadini. Nel cuore di Firenze, più precisamente in via Borgo Pinti 76, c’è un orto urbano nel quale, oltre agli ortaggi e ai frutti, si coltivano relazioni sociali e idee, si scambiano conoscenze e si sperimentano nuove soluzioni. Stiamo parlando di Orti Dipinti – Community Garden 2.0 nata nel 2013 su iniziativa dell’architetto Giacomo Salizzoni.

Giacomo, dopo aver militato per alcuni anni nel Guerrilla Gardening, movimento di giardinaggio d’assalto che vede i comuni cittadini “assalire” le zone urbane in stato d’abbandono armati di vanghe, semi e piante, ha sentito la necessità di dare maggiore continuità al proprio impegno. «Volevo creare una sorta di presidio che rendesse possibile educare ad una maggiore consapevolezza della natura e ho visto nel format del Community Garden dei modelli interessanti da sperimentare e implementare», ci ha raccontato. Scovato lo spazio – un’ex pista atletica – e trovato un accordo con l’amministrazione comunale e con la cooperativa Barberi che ne era fruitrice, Giacomo ha dunque iniziato a dare vita ad uno spazio verde laddove di terra non ce n’era, facendo uso di letti rialzati. In linea con lo stile Community Garden, ad oggi perlopiù luoghi d’incontro e di cultura, la socialità è stato un ingrediente fondamentale nell’esperienza di Orti Dipinti. Dunque pranzi, merende e aperitivi sociali, proiezioni e conferenze, laboratori e degustazioni – perché è vero che oggi le persone cercano luoghi nuovi nei quali incontrarsi e intessere relazioni sociali. Allo stesso tempo, la didattica e la coltivazione di conoscenze hanno rivestito un ruolo centrale sotto forma di lezioni di orticoltura, ambiente e alimentazione, sperimentazioni sulla trasformazione degli scarti o sulle piante. Un prodotto che ad oggi ha sicuramente dato grandi soddisfazioni è stata l’ampolla sub-irrigante di terracotta, che sepolta nel terreno lo idrata dall’interno, consentendo un risparmio idrico fino al 70% senza sprechi – un sistema antichissimo e in uso ancora oggi in paesi come la Cina, il Pakistan, l’India e il Messico che Orti Dipinti ha saputo rispolverare.

Attualmente in Borgo Pinti 76 c’è fermento attorno alla cosiddetta “Erba della Madonna”, pianta dalle notevoli proprietà curative che ancora oggi non si sa bene come estrarre e replicare attraverso creme, gel o magari infusi. Nel Green Market di Orti Dipinti, fra sali aromatici, bombe di semi e vari altri prodotti originali, è già presente il sapone della madonna, e siamo fiduciosi che presto verranno collaudati ulteriori prodotti, sintesi della ricerca e del lavoro di coloro che animano Orti Dipinti. Ma le esperienze di ricerca e le sperimentazioni, in questo laboratorio a cielo aperto, non si fermano certo ai prodotti. Giacomo, che stima molto il lavoro del botanico e scienziato di prestigio mondiale Stefano Mancuso, ci ha infatti raccontato l’aneddoto che si cela dietro alla più rigogliosa delle piante di limone presenti nel giardino. «Anni fa una nostra vicina ce la portò che non buttava foglie da due anni. Per altri due anni l’abbiamo tenuta e curata, ma è rimasta uno scheletro. Poi l’ho potata, l’ho dipinta e messa in una vasca scrivendo sotto “ALBERO DELLA GRATITUDINE: Scrivi qualcosa per cui sei grato e appendilo qui”. Le persone hanno colto l’invito, e nel giro di tre mesi la pianta si è rinvigorita e ha ricominciato a buttare le foglie, fino a diventare il limone migliore che abbiamo». Un indizio, questo, del fatto che il mondo naturale pare essere ben più sensibile di quanto siamo abituati a credere. Interrogato sul futuro, Giacomo sembra avere le idee chiare: «La mia ambizione è quella di strutturare il più possibile questo luogo, cercando di fornirgli quella sostenibilità economica che permetterebbe il diffondersi e il consolidarsi di più realtà di questo tipo, così da generare di riflesso lavoro, buone pratiche e valori».

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La Vita al Centro, la scuola parentale immersa nel verde.

Scuola parentale e biocentrica con micronido, giardino d’infanzia, elementari e medie. La Vita al Centro è una realtà educativa dove, al centro, c’è la vita di bambini e bambine che in questo luogo magico imparano nella natura e dalla natura. Ci racconta il progetto Tiziana Coda-Zabet, la sua fondatrice, testimoniando che un’educazione diversa è possibile. Le fiabe che preferivo da bambina erano quelle ambientate nella natura. Boschi incantati e creature magiche erano i protagonisti di un mondo avvincente e avventuroso, a metà fra realtà e magia. Mai più avrei pensato di rivivere quelle sensazioni fino a quando siamo andati a conoscere il progetto della scuola “La vita al Centro“, che ha risvegliato in me quelle sensazioni da lungo tempo assopite. E proprio qui, sulla collina torinese a due passi dalla città, la scuola nasce dal sogno di un’associazione culturale di educatori e genitori che vogliono dimostrare che un nuovo tipo di educazione, basato sulla curiosità, l’affettività e la consapevolezza, è possibile.

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Questo è un luogo dove la vita viene celebrata ogni giorno, dove la natura e le sue creature si trasformano in sagge insegnanti, dove il tempo è vissuto come un dono prezioso da custodire e condividere e dove l’esperienza è la lezione più grande da cui apprendere. Giunti a destinazione ci accorgiamo che qui tutto è scuola: dalle classi al giardino coi giochi, dall’enorme parco verdeggiante al bosco limitrofo. Incontriamo Tiziana Coda-Zabet, fondatrice del progetto. Come ci racconta nel video, all’inizio la scuola contava soltanto tre bambini, che ora hanno raggiunto il centinaio.

«Non ci aspettavamo una risposta del genere e questo dimostra che c’è una forte ricerca da parte dei genitori di un’educazione diversa». Per questo motivo nasce la scuola parentale, dal desiderio comune dei genitori di offrire un’educazione alternativa ai propri figli. E mentre Tiziana ci parla, siamo circondati da bambini e bambine che incuriositi ascoltano la nostra intervista, come il miglior pubblico che si possa desiderare, mentre i loro compagni corrono liberi coprendo quasi completamente le nostre voci con le loro risate e gioia di vivere. Come ci racconta Tiziana, si tratta di un’esperienza simile all’home schooling ma, in questo caso, i genitori scelgono una struttura e degli accompagnatori per la crescita dei loro figli. Al termine di ogni anno viene effettuato un esame finale monitorando il percorso di apprendimento e fornendo regolarmente ai bambini e alle bambine le certificazioni. La Cooperativa “La Rete della Vita al Centro” qui gestisce tutte le attività didattiche: dal micronido, alla materna, alle elementari, ad una classe di medie. Uno degli elementi fondanti della scuola è che si basa su un’educazione biocentrica. Come ci spiega Tiziana, si tratta di una visione che vede l’uomo abitante del pianeta alla stessa stregua di ogni altra forma vivente e quindi è tenuto a rispettarla e vivere in armonia con essa.Non si tratta quindi di un’educazione individualista ma di un’educazione alla socialità che supera la visione antropocentrica che è stata alla base delle metodologie pedagogiche occidentali degli ultimi secoli. Formulata dallo psicologo cileno Rolando Toro Araneda, fondatore della biodanza, insegna che tutti gli esseri viventi, nessuno escluso, appartengono ad un’unica grande “rete della vita”.

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All’interno della scuola la biodanza è materia curricolare: «Praticandola, conduce bambini e bambine a conoscere meglio se stessi, a entrare in relazione armoniosa con ciò che li circonda e con le proprie emozioni e ad esprimere ciò che sentono». E durante le lezioni non mancano momenti in cui grandi e piccoli praticano la biodanza insieme, facendo ciò che vi è di più bello: prendersi cura reciprocamente. La presenza della natura diventa l’habitat perfetto dove crescere: qui si è liberi di poter sbagliare e di imparare dalle proprie esperienze. Ma non solo. Durante le lezioni si fa ogni giorno amicizia con l’ambiente circostante. «Entrando nel parco i bambini hanno individuato due grandi querce, che per loro sono le guardiane del bosco. Sotto alle chiome degli alberi suoniamo i djembe, facciamo poesia guardandoci negli occhi» ci spiega Tiziana nel video. «Insegniamo che il bosco cambia a seconda delle stagioni, invitiamo bambini e bambine all’osservazione della natura che si trasforma ogni giorno, stimolandoli ad attivare i sensi perché sono proprio i nostri sensi la porta che permette al mondo di entrare dentro di noi».

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Oggi la scuola conta una ventina di insegnanti ed educatori. Oltre alle lezioni si svolgono laboratori creativi come storytelling, yoga, circo e teatro. «Quest’anno abbiamo anche introdotto nelle nostre lezioni la permacultura. Abbiamo costruito insieme ai bambini una compostiera per mostrare loro il valore degli avanzi di cucina e il fatto che in natura non c’è mai spreco».  L’alimentazione, poi, è parte integrante dell’apprendimento. L’istituto ha scelto di seguire una linea vegetariana e biologica aderendo a un Gas, con alimenti sani e naturali, forniti dai piccoli produttori locali. Tiziana ci spiega che l’obiettivo ora è diventare una scuola aperta a tutti. Per coloro che hanno difficoltà economica sono possibili delle rette agevolate che vengono scambiate con lavoro, cercando di renderla accessibile a chiunque. Diversi genitori, in questo modo, danno il loro contributo in attività che sono molto importanti per la sopravvivenza del progetto.

«Per noi il valore del singolo è fondamentale. All’interno della scuola conosciamo uno ad uno tutti i bambini e le bambine, li vediamo crescere, evolvere, ci confrontiamo sui problemi che possono attraversare nelle loro vite, cerchiamo, come adulti, di essere sempre presenti ma non sostituendoci mai a loro».

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In compagnia di Tiziana il tempo è volato ma ci soffermiamo ancora un attimo per farci raccontare quella che per lei è la sua più grande vittoria.

«Per noi è una grande vittoria il fatto che alle nostre riunioni partecipino insegnanti delle scuole statali. Questo significa che è in atto una contaminazione positiva che si sta trasformando in un’influenza reciproca, proprio come è avvenuto con la scuola nella quale abbiamo svolto per diversi anni l’esame finale e che ora si è trasformata in una “scuola senza zaino”. La vita al centro è per noi uno studio continuo. Il nostro sogno è portare un nuovo metodo nelle scuole, esportando la visione biocentrica che qui sperimentiamo e trasformandola in uno strumento positivo per la crescita di tutti i bambini». Fonte: https://www.italiachecambia.org/2020/01/vita-centro-scuola-parentale-immersa-verde/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

L’Orto della Salute: a Napoli un laboratorio di benessere e socialità

Recuperare e ricostruire se stessi, la comunità ed il territorio partendo dalla coltivazione della terra. È questo il principio da cui prende vita l’Orto della Salute nato a Ponticelli, quartiere della periferia orientale di Napoli, per iniziativa del centro Lilliput per la cura delle dipendenze. Un laboratorio ed un progetto comunitario che promuove socialità e benessere.

Il centro diurno Lilliput è una struttura intermedia dell’Asl Napoli 1 centro. È un dipartimento per le dipendenze. Chiediamo alla responsabile, dott.ssa Anna Ascione, da quali dipendenze provengono i propri utenti. «Sono ragazzi e ragazze dipendenti da sostanze come stupefacenti, alcool e psicofarmaci ma anche persone incappate nel gioco d’azzardo patologico. 

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Orto sociale di Ponticelli

Volevamo insieme creare un luogo per sviluppare possibilità di socializzazione e imparare a prendersi cura di se stessi. Abbiamo quindi pensato alll’orto-terapia poiché il solo contatto con la natura conteneva un aspetto terapeutico».

Racconta la Dott.ssa Ascione che riconnettersi al ciclo della vita partendo dal seme e prendendosi cura della piantina con costanza e sensibilità avrebbe permesso di sviluppare questa propensione anche verso se stessi. «Se non innaffi, la piantina muore, se usi sostanze chimiche come fertilizzanti o pesticidi poi ottieni frutti nocivi per la salute. Allo stesso modo se inietto sostanze negative per la salute, ingerisco psicofarmaci, alcool, cocaina io danneggio il mio corpo».

Chi diventa succube di abitudini negative ha bisogno di ricreare, rinforzare ed essere consapevole delle proprie radici e ha bisogno di verificare che può intervenire mettendoci le mani. «Per noi è importante recuperare le nostre radici».

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Proprio dell’importanza del recupero dell’identità del territorio, il quartiere Ponticelli, è emblema ed esempio. Una storia quella di Ponticelli, un secolo fa era un comune a se, che narra di una vocazione differente dagli altri quartieri di Napoli. Siamo in una terra fertilissima, quella del Vesuvio, quindi per secoli caratterizzata da una identità contadina.

Poi l’espansione delle fabbriche e l’intensa costruzione di edifici dormitorio hanno fatto crescere una radicata coscienza operaia fatta di lotte per i diritti del lavoro. Così si è diffusa una forte cultura sindacale, politica e dell’associazionismo. 

Nel 1980 il terremoto e una “ricostruzione” mai finita che ha prodotto una edilizia da periferia trascurata. Oggi tra agricoltura e industria i centocinquanta ettari di territorio sono divisi tra lotti molto frazionati; molti abbandonati, altri ancora fertili e produttivi, spesso per fiori, rose e ortaggi. In mezzo il “Parco De Filippo”, nove ettari, fino a qualche anno fa abbandonato quindi in mano alla malavita e ai suoi traffici illeciti; ora finalmente sede dell’Orto Sociale della Salute, un esempio di laboratorio sociale su larga scala. Quattro anni fa l’Asl comprò vanghe, pale e rastrelli, il comune consegnò chiavi e lucchetto del Parco e il gruppo di utenti del centro diurno Lilliput ha potuto iniziare la bonifica del parco pubblico. Poi la chiamata al territorio per adottare le terrazze e iniziare il percorso di integrazione. La risposta è stata molto forte. Oggi è coltivato circa un ettaro e mezzo di parco e partecipano scuole materne, elementari e istituti superiori, parrocchie, cittadini e moltissime associazioni. 

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Sistema di raccolta delle acque piovane

«Ci sono anche i ragazzi delle superiori che ci aiutano con l’alternanza scuola lavoro. È una comunità di 140 famiglie e c’è una lunghissima lista di attesa perché per bonificare un’altra area del parco ci vogliono mezzi meccanici, come l’escavatore quindi finanziamenti che ancora non arrivano. Ogni due mesi ci incontriamo tutti, siamo in tanti; per facilitare e avere sempre una partecipazione attiva abbiamo formato un Comitato Cittadino che è una rappresentazione dei cittadini dell’orto. Anche per la pulizia delle parti comuni c’è una condivisione e partecipazione. Quanto più puoi includere, inglobare questa è la migliore difesa. Ogni ortolano sottoscrive una liberatoria, un’autocertificazione per la propria responsabilità e c’è un regolamento, ad esempio è vietato usare prodotti chimici».

L’orto è sempre più oggetto di attenzione di alcune Università sia per il tipo di organizzazione comunitaria che si è creata, sia per la partecipazione di utenti con difficoltà che hanno visto una reale integrazione.  Ad esempio ci spiega l’architetto Cristina Visconti che nell’ambito di un progetto di ricerca sui cambiamenti climatici dell’Università di Napoli Federico II, è stato sviluppato uno strumento di ricerca partecipativa in cui abitanti e ricercatori hanno collaborato sul sistema idrico dell’orto poiché la zona soffre di allagamenti quando piove in abbondanza per l’eccessiva cementificazione. 

Incontri, approfondimenti e tavole rotonde hanno prodotto tavole tematiche e laboratori che hanno portato alla costruzione di un sistema di raccolta delle acque piovane fatto con materiali di scarto. L’aspetto terapeutico dell’orto è evidente; alcuni utenti si sono appassionati, hanno avuto in gestione un area e contribuiscono con i propri prodotti all’economia della famiglia. La vendita è vietata, vige l’economia del dono e alcune famiglie hanno potuto risparmiare molto raccogliendo i frutti da loro coltivati. «Gli utenti possono finalmente aiutare la propria famiglia ricostruendo un proprio ruolo, fortificandosi, crescendo e imparando a credere in se stessi. Il livello di autostima generalmente è molto basso in chi ha problemi di dipendenza. È un dare e avere».

Per vedere il video integrale del progetto Resilient Ponticelli clicca qui

Fonte: https://www.italiachecambia.org/2019/11/orto-salute-laboratorio-benessere-socialita/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

La Tabacca: due donne si autocostruiscono il futuro tra permacultura e socialità

Vi proponiamo la storia di Giorgia e Francesca, due giovani donne che hanno riabitato una vecchia casa nell’entroterra ligure, ristrutturando l’abitazione e ridando vita al terreno agricolo, passo dopo passo e seguendo i principi della permacultura. La Tabacca è oggi un progetto ambientale e sociale e la dimostrazione di come si possa passare dalla teoria alla pratica rimboccandosi le maniche e avendo chiaro l’obiettivo da raggiungere. Il giorno in cui finalmente intervisto Giorgia Bocca e Francesca Bottero (dopo anni in cui ci ripromettiamo di incontrarci) è davvero fuori dal comune. Arrivo, infatti, con il mio camper a Voltri, nei pressi di Genova, e lì incontro una troupe della Rai, “capitanata” dalla giornalista Elisabetta Mirarchi. Sono venuti ad intervistarmi sul nostro lavoro con Italia che Cambia e contestualmente a seguirmi mentre intervisto Giorgia e Francesca. Lasciamo il mio camper e la macchina della RAI in un vicino parcheggio e saliamo su una piccola auto 4X4 con la quale è venuto a prenderci un volontario che collabora a La Tabacca. La strada per raggiungere la sede del nostro incontro, infatti, è impervia e impossibile da percorrere con mezzi ordinari. In effetti ci inerpichiamo su una stradina tipicamente ligure che ci porta a passare in pochi minuti dal mare a terre interne, premontane, selvatiche. Ed eccoci giunti a casa di Giorgia e Francesca. Dopo aver gustato tutti insieme un pranzo meraviglioso e aver visitato gli orti e la casa che si sono auto-ristrutturate in molti anni e secondo i criteri della bioedilizia, intervistiamo le due ragazze.

I primi passi

Francesca e Giorgia si sono conosciute molti anni fa e hanno lavorato entrambe per l’Associazione Terra! Onlus. Qui hanno incontrarono uno psichiatra di Torino che, inaspettatamente, decise di donar loro la sua casa e il suo terreno a patto che ci realizzassero un progetto sociale. Racconta Francesca: “È stato un percorso travagliato, perché lui non era mai venuto qua, e aveva a sua volta ereditato questo luogo da alcuni zii, ma in breve tempo siamo riuscite a risolvere i problemi di successione. Il primo gennaio 2011 siamo venute qui in perlustrazione per la prima volta. Abbiamo incontrato subito gli alberi che custodiscono questo luogo, che ti accompagnano lungo il sentiero. È spuntata questa casa in mezzo alla natura spoglia, completamente rustica; una casa che aveva l’imprinting della casa contadina di un tempo; sotto c’erano stalle e mangiatoie, cucina con vecchi manufatti, un vecchio forno di mattoni e una vecchia cucina fatta con un rufo. Questo era lo scenario: una casa immersa in un bosco, con un solo pezzo di terra coltivato. Non c’era una strada di accesso e tutta la casa era da ricostruire… ma il sogno era talmente grande che ci siamo messe subito in cammino per poterlo realizzare”. 

Il primo passo fu ricostruire il tetto. Per farlo, tagliarono 12 castagni del loro bosco e con essi costruirono le travi del nuovo tetto. “L’inizio è stato abbastanza turbolento – continua Giorgia – qui non ci conoscevano, eravamo come piantine infestanti che si stavano insediando in un luogo non loro. Abbiamo cercato sin da subito di creare rapporti con le famiglie del borgo, ma all’inizio è stato un po’ difficoltoso: siamo due donne, che volevano vivere di agricoltura in un bosco e che per di più si portavano dietro tutti questi giovani vestiti colorati che sapevano di spezie e curcuma… sembravamo una banda del ’68 e questo ha creato resistenza. Ma piano piano, le persone si sono abituate a vederci, a parlare con noi, i bambini hanno iniziato a curiosare, e oggi in molti ci vogliono bene. La signora Tina, ad esempio, ci prepara le focacce”.

La progettazione in permacultura

La ristrutturazione della casa e la coltivazione della terra sono state realizzate seguendo i principi della permacultura e le logiche della bioedilizia. La progettazione è stata realizzata su tutto: l’uso e riutilizo dei materiali, la luce e il design interno, i mobili antichi, il recupero delle acque di sorgente e la successiva fitodepurazione. Prima hanno sperimentato “nel piccolo” e poi replicato “nel grande”. Per questo ci sono voluti otto anni per ristrutturare l’abitazione e avviare l’azienda agricola. Questa è composta da sette ettari di bosco. Francesca si sta occupando personalmente del miglioramento boschivo così come in passato molti dei lavori di ristrutturazione sono stati eseguiti fisicamente con l’aiuto delle due donne. Qui, infatti, mancava fino a pochi mesi fa una strada di accesso. Giorgia e Francesca, quindi, hanno trasportato con la carriola i materiali dalla strada alla casa, attraversando il bosco, giorno dopo giorno e spesso con l’aiuto di amici e volontari. Lo stesso è avvenuto con bosco e parte agricola: Francesca ha lasciato la sua attività in Terra Onlus per avviare l’azienda agricola e realizzare potature e giardini. Racconta Francesca: “Nelle zone limitrofe a casa abbiamo già avviato un piccolo frutteto recuperando delle vecchie varietà di prugne che erano tipiche di questo luogo. Inoltre stiamo valorizzando piante autoctone, come la Mela Carla, tipica delle zone liguri, e abbiamo inserito altre varietà generose, per la futura autosufficienza delle galline. Coltiviamo anche alcuni grani antichi e facciamo orticultura”.

Le attività ambientali e sociali

Non è tutto. Accanto alle attività agricole, la Tabacca ospita percorsi di educazione ambientale ed è la sede di riferimento de La Scuola diffusa della Terra Emilio Sereni. Non meno importante, il filone sociale: “Crediamo – continua Giorgia – che nello scambio con le persone ci sia sempre un aumento di possibilità e una maggiore capacità di risolvere i problemi. Inizialmente abbiamo coinvolto la nostra prima rete sociale, costituita dalle persone amiche e da quelle collegate all’Associazione, per poi passare ad innescare processi di partecipazione con il territorio, con le famiglie vicine, facendo comunicazione, creando relazione, facendoci conoscere, coinvolgendo le persone e mettendo a disposizione quello che noi avevamo in competenze e risorse in termini di scambio. Questo ha soddisfatto i bisogni anche di altri. In questo momento storico, infatti, sempre più persone sentono il bisogno di luoghi di accettazione, senza giudizio. Partecipiamo e organizziamo eventi culturali, occasioni di divulgazione, campeggi. L’apporto dell’associazione Terra Onlus è fondamentale in questo processo e cambia completamente il nostro approccio, perché ci permette di fare formazione con obiettivi precisi da raggiungere”.  

Molte delle scelte portate avanti dalle due donne hanno anche un risvolto politico: l’idea, infatti, è quella di andare a influenzare il legislatore locale per rendere più semplici le soluzioni architettoniche e di servizio che loro stanno mettendo in pratica nella loro abitazione in modo che possano poi essere adottate anche da altri.

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Le radici

“Ho memoria delle mie fotografie da bambina – confida Francesca – venivo sempre ritratta mentre scavavo una buca per terra o in mezzo alle vigne o in un campo, e rivedendo quelle foto ho visto il mio desiderio di vivere in campagna, in modo semplice, a contatto con la natura, e forse questo è stato il regalo più bello di questi sette ettari di bosco”.  

“Il nome La Tabacca – continua Giorgia – deriva dal contrabbando del tabacco che – come ci hanno narrato gli anziani del posto – si svolgeva in queste terre. Già allora, una donna teneva le fila della famiglia e curava le piante. Il luogo viveva quindi una gestione molto matriarcale: i bambini venivano qui a giocare e c’era una forte integrazione. Noi ci sentiamo un prolungamento di questa famiglia”. 

Il futuro

“Io sono pronta per La Tabacca 2.0 – esclama Giorgia – a ottobre verremo finalmente a vivere qui e saremo pronte per valorizzare l’esterno soprattutto dal punto di vista dell’economia basata sul turismo culturale. Sogno una multifunzionalità dell’agricoltura legata all’accoglienza e al turismo. Stiamo già collaborando con una azienda agricola vicina, che è sempre di una donna, con cui faremo trasformazione del prodotto e quindi piano piano vorremo espandere il nostro modello nella valle. Vogliamo creare un modello replicabile che sia utile per tutti”. 

Intervista e riprese: Daniel Tarozzi

Montaggio: Paolo Cignini

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Tre amiche aprono un bar portineria a Milano. Ed è subito casa

Il ritiro di pacchi è il servizio più richiesto, ma anche il banco alimentare è stato apprezzato da subito. Dall’idea di tre giovani amiche è nato nel centro di Milano il bar “Portineria 14” pensato per rispondere alle varie esigenze quotidiane degli abitanti della zona e ricostruire il tessuto sociale del quartiere. Quante volte ci è sembrato di essere soli ad affrontare i piccoli problemi quotidiani della giungla metropolitana? Il ritiro di un pacco, la necessità di affidare un duplicato del mazzo di chiavi, l’esigenza improvvisa di un idraulico o un elettricista. Con l’intento di rispondere – in maniera completamente gratuita – alle esigenze di ogni giorno, è nato il bar Portineria 14. Fondato nel 2016 da Francesca, Federica e Manuela, si trova a Milano in zona Ticinese, Via Troilo per l’esattezza, ed è un vero e proprio punto di riferimento nel quartiere.20031551_1524037020950358_8796505259937785235_n

“Siamo tutti connessi, tutti iper-tecnologici – spiega Francesca, una delle tre fondatrici – ma siamo diventati indifferenti e non ci occupiamo più di chi ci sta intorno”. Il bar-portineria nasce quindi con l’idea di ricostruire il tessuto sociale del quartiere, per entrare in relazione con le persone e ritrovare fiducia nel prossimo. “Se una persona entra nel nostro bar per chiedere un favore, anche se non ha a che fare con il nostro decalogo – precisa Francesca – al 99% quel favore gli sarà fatto”.

Il servizio più richiesto? Senza dubbio il ritiro di pacchi. Tutti ormai fanno ordini su internet e la reperibilità può essere un problema. Ma in Via Troilo la porta è sempre aperta, e il ritiro può avvenire fino a tarda sera. Da due settimane poi è stato avviato anche un banco alimentare che ogni giovedì dalle 11 alle 19 regala pacchi di spesa a chi ne fa richiesta. Non serve dimostrare di averne bisogno, è tutto fondato sulla fiducia reciproca. Possono venire i diretti interessati o chi pensa di conoscere qualcuno che potrebbe usufruirne.14095863_1198357583518305_3887483987412679387_n

Le fondatrici di Portineria 14

L’iniziativa è stata accolta con grande entusiasmo e nelle prime due giornate sono già state distribuite 27 spese, il primo giovedì, e 39 il secondo. Tutta la rete  di “Portineria 14”, fondatrici del bar comprese, contribuisce in maniera volontaria alla raccolta di cibo per il banco: chi porta un pacco di pasta, chi una scatola di riso, chi un cartone di latte. Per il quartiere quello che fanno le tre donne di “Portineria 14” è qualcosa di eccezionale, ma per Francesca è la normalità. “In una grande città come Milano quello che facciamo può sembrare straordinario, ma non dovrebbe essere così. Quello che facciamo mi sembra normale e penso che dovrebbe esserlo per tutti”.

Il bar è quello che Francesca considera il lavoro vero e proprio, i servizi offerti sono un’attenzione nei confronti del prossimo. La scelta dei prodotti cerca di offrire la massima qualità mantenendo il giusto prezzo, senza rincarare i costi.14642140_1235588039795259_2505070069421771423_n

Trovare un posto come “Portineria 14” è difficile, esistono luoghi simili – neanche troppo lontani dal bar di Francesca, Federica e Manuela – ma i servizi che offrono sono a pagamento. Altri invece si sono ispirati a questo bel progetto mantenendo intatto lo spirito di gratuità, come è stato nel caso del bar “La Cupola” a Varese, i cui proprietari hanno deciso di diventare portinai del quartiere.

“Sogno di veder nascere una rete di locali ispirati a questo progetto”, confida Francesca. E in effetti un primo passo è già stato fatto.

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Cascina Cuccagna e la rinascita della socialità a Milano

Un laboratorio attivo di socialità urbana e buone pratiche, un punto di riferimento di uso quotidiano a Milano, un vero e proprio avamposto agricolo in centro città, in grado di far rivivere la relazione vitale tra città e campagna. Tutto questo è oggi la Cascina Cuccagna, settecentesca cascina urbana recuperata grazie ad un progetto di rigenerazione dal basso.

Nel cuore di Milano, nascosta tra i palazzi di Corso Lodi, alle spalle di Porta Romana, si trova dal 1695 una delle più attive tre cascine milanesi: la Cascina Cuccagna. La cascina è stata riaperta al pubblico nel 2012, a seguito di un attento restauro conservativo, realizzato e interamente finanziato da un gruppo di associazioni e cooperative sociali. Il progetto per questa cascina è nato grazie all’interesse dimostrato, a partire dal 1998 (quest’anno compie 20 anni!), da parte di un gruppo di cittadini e associazioni che hanno fondato la Cooperativa Cuccagna.

Questo luogo è stato recuperato e viene oggi utilizzato in armonia con la sua destinazione originaria; gli spazi sono gestiti in modo da creare opportunità di lavoro attraverso una rete di competenze, energie, risorse e imprese che danno luogo ad uno spazio di scambio, condivisione e svago accessibile a tutti. Oggi è un amatissimo punto d’incontro, uno spazio aperto alla cittadinanza dove prendono vita attività e progetti legati alla valorizzazione di stili di vita sostenibili, all’alimentazione, a produzioni e consumi consapevoli, al riuso e al riciclo. Cascina Cuccagna invita alla riscoperta di saperi legati alla cultura e al territorio anche con progetti di coesione e integrazione. Negli spazi della cascina l’ACCC (Associazione Consorzio Cantiere Cuccagna) promuove direttamente iniziative e progetti, anche su proposta di cittadini, volontari o associazioni. Nella cascina collaborano molte realtà che gestiscono gli spazi e le numerosissime attività che si svolgono al suo interno.cascina-cuccagna1

Gli abitanti della cascina:

Ass. Culturale Aprile: questa associazione è tra i soci fondatori di ACCC, essa progetta spazi pubblici, promuove e realizza eventi di aggregazione e sviluppa campagne di comunicazione. Ha creato per la Cuccagna diversi progetti ed eventi e condivide con enti pubblici e privati le competenze e le risorse acquisite.

Un posto a Milano: cucina, bar e foresteria. Molto più che una semplice trattoria. Le ricette sono pensate sulla base dei migliori prodotti stagionali del territorio. I principali ingredienti di ogni piatto hanno il riferimento alla provenienza; sul sito, c’è anche la simpatica indicazione del tempo che occorre, a piedi, per raggiungere i diversi produttori. La Foresteria inoltre ha a disposizione 12 posti letto.

La Fioreria: una bottega di fiori di stagione, piante biologiche e fiori poco comuni, provenienti da vivai e produttori virtuosi. Un luogo in cui riempirsi gli occhi di bellezza, il naso di profumi e la testa di ispirazioni.  La Fioreria Cuccagna è un luogo di condivisione e di scambio dove seguire un corso o workshop, ascoltare una presentazione, guardare foto o quadri in mostra temporaneamente.18673202251_afff539bf0_b

Viaggi nella natura: presso questa agenzia, nata dal progetto di Four Seasons – Natura e Cultura, è possibile trovare proposte di viaggi e trekking, creare un viaggio su misura, ricevere suggerimenti per escursioni, consultare e acquistare libri dedicati ai viaggi e alla natura. I libri in vendita sono, per la maggior parte, pubblicati dalla casa editrice Terre di Mezzo, questa promuove il turismo lento alla scoperta delle regioni italiane e non solo.

Ciclofficina: uno spazio di valorizzazione pratica della bicicletta e alla sua manutenzione. L’autoriparazione è concepita come parte di un più ampio progetto culturale che ha l’ambizione di entrare nel quotidiano delle persone e renderle protagoniste del cambiamento. Infatti i laboratori di auto-riparazione assistita sono gratuiti. Alla ciclofficina Cuccagna, nata con la riapertura della cascina, è possibile far aggiustare le proprie bici o comprarne di usate.

Falegnameria: è uno spazio dedicato all’autoproduzione, alla riparazione e al riuso di oggetti in legno, qui vengono creati e sistemati gli arredi per ACCC.

EStà – Associazione  Economia  & Sostenibilità: è un centro di ricerca e formazione che organizza conferenze, seminari e molto altro, per informare, studiare e progettare modelli di sviluppo territoriale, distretti di economia circolare e progetti di innovazione sociale.

Cascina Cuccagna inoltre è attenta ai bisogni della città e dei cittadini: nel 2016 è stato avviato un progetto accoglienza e integrazione, “Cuccagna Solidale”, rivolto a donne migranti,  anche con bambini, appena giunte in Italia da Somalia ed Eritrea. Il progetto poi si è ampliato con “DOLM – Donne Oltre le mura”, per donne sottoposte a provvedimenti dell’autorità giudiziaria o a fine pena, ristrette negli Istituti Penitenziari di Bollate e San Vittore o in carico all’UEPE.  7948813436_88b1286835_b

Alla Cascina Cuccagna inoltre un gruppo di professionisti offre, a chi ne ha bisogno, un servizio di primo orientamento gratuito in ambiti vari: legale, fiscale, di ascolto (relazioni familiari), condominiale, ecc… Qui è possibile affittare gli spazi per gli eventi pubblici e privati e seguire una vasta gamma di corsi: di teatro, fotografia, cucina e nutrimento, yoga, tango, apicoltura, sartoria, giardinaggio e grazie al Carrousel Cuccagna, di handmade (gli oggetti fatti dagli artigiani si possono comprare). Imperdibile poi è l’appuntamento del martedì pomeriggio: il mercato agricolo, in queste ore settimanali è possibile fare la spesa di prodotti locali direttamente dal contadino! Cascina Cuccagna è un vero e proprio avamposto agricolo in centro città, capace di far rivivere, negli stili di vita e nelle pratiche quotidiane, la relazione vitale tra città e campagna.

Intervista: Alessandra Profilio e Paolo Cignini

Riprese e Montaggio: Paolo Cignini

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2018/01/io-faccio-cosi-195-cascina-cuccagna-rinascita-socialita-milano/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni

Tlon, la libreria teatro che contamina il quartiere

Libreria teatro, casa editrice, agenzia di eventi e scuola di filosofia. Tutto questo è Tlon uno spazio nato a Roma qualche mese fa per favorire al suo interno l’incontro tra varie discipline e, soprattutto, quello tra gli abitanti del quartiere e della capitale. Arrivo trafelato alla fermata del tram vicino Ostiense. Andrea Colamedici – filosofo, scrittore, autore, docente di corsi e soprattutto editore di Tlon  – mi viene a prendere con la sua auto e dopo pochi minuti sono seduto accanto al nostro Paolo Cignini per realizzare questa nuova intervista. Lo spazio intorno a noi è molto accogliente. Tanti libri (ovviamente), ma anche un piccolo palco rialzato (un teatro! Verremo a sapere poco dopo) e poi riviste di settore, persone che lavorano, sedie di vario tipo.

Colamedici ci introduce al luogo in cui siamo: “Fin dalla sua nascita – ottobre 2016 – questo spazio vuole ibridare il teatro con la libreria, con l’obiettivo di mettere insieme una anima libresca e letteraria con la ricerca non solo di intrattenimento ma anche di conoscenza e approfondimento dello spazio scenico. Ecco perché abbiamo allestito questo spazio che desse possibilità di bivaccare, leggere o godersi lo spettacolo; vogliamo offrire una sorta di incontro tra varie arti e discipline, consapevoli che non si può immaginare la teoria senza la pratica e la pratica senza teoria”.

Chiedo a Colamedici quanto sia difficile aprire una libreria in un’epoca in cui molte chiudono e le persone acquistano sempre più i libri per via telematica. “Quello che manca a molte librerie è la capacità di smuovere la vita sociale del quartiere in cui è collocata. Una libreria indipendente muore quando vuole scimmiottare una libreria di catena mentre riesce a vivere e crescere quando entra in relazione con il territorio. Molte persone sono alla ricerca di luoghi di aggregazione. Noi cerchiamo di essere percepiti come uno di questi”.20161005_210804.jpg

Un motivo in più per non limitarsi alla vendita di libri, scegliendo invece di diventare un centro di incontro transgenerazionale: “Qui vengono tutti, dai bambini agli anziani che possono raccontare la loro esperienza agli altri, in un quartiere dove i rapporti umani sono sempre meno sviluppati. Questa idea sta funzionando, anche economicamente: non diventi ricco con una libreria, questo è chiaro, ma ce la facciamo, la struttura si autofinanzia, paga gli stipendi e mette in circolazione la fame di conoscenza che per noi è fondamentale”.

Una sfida notevole che ai miei occhi pare ancora più ardita considerando i libri offerti da Tlon: prevalentemente testi di filosofia, psicologia, spiritualità, con qualche spazio all’eco-sociale e ai nuovi stili di vita. Oltre ad esporre i propri libri (Tlon è anche casa editrice), qui vengono esposti anche volumi di altri editori: “esponiamo molto le altre case editrici, senza ‘affitto’. Non si può far pagare le piccole case editrici altrimenti muoiono. Quindi troviamo metodi alternativi di editoria, come il ‘lettore editore’, o i libri ‘da un centesimo in su’. Noi proponiamo i libri che normalmente le catene ignorano.IMG_20170713_1245515071.jpg

Che con la cultura non si mangi è un fatto falsissimo – continua Colamedici – con la cultura si mangia, anche con quella di alta qualità, ma bisogna investire sulla narrazione di quello che si fa. Noi, ad esempio, abbiamo eliminato la presentazione di libri, sostituendola con la narrazione del libro. Se decidi di approfondire un tema a partire da un libro puoi entrare in relazione reale con il pubblico. Stai costruendo un serpente editoriale e di eventi, fatto di tanti libri e tanti temi che vanno a comporre un simbolico grande libro”.

Anche la casa editrice sta andando bene. Non ha bisogno di finanziamenti esterni. “Abbiamo deciso di indirizzarci ad un pubblico interessato alla spiritualità attraverso libri di un certo spessore, ricostruendo un catalogo che non fosse consolatorio ma provocatorio. Avevamo la sensazione che ci fosse una grande necessità di questo genere di testi e i risultati ci hanno dato ragione. Poi ci occupiamo anche di altri temi. Uno dei nostri titoli di punta, ad esempio, è ‘L’asilo nel bosco’. Per noi è fondamentale pubblicare titoli di questo genere. Il rischio che corriamo, infatti, è quello di passare per una casa editrice di teoria filosofica; invece siamo una casa editrice di pratica filosofica”.monologhi

Gli chiedo quale sia la proposta teatrale che ospitano e propongono. “Cerchiamo di dare spazio alle compagnie teatrali nuove che non creino una narrazione autoriferita che ha ‘ucciso’ il pubblico. Vogliamo creare uno spazio in cui lo spettatore non si senta un ‘deficiente’, ma in cui si interessi sul serio a quello che vede. Ospitiamo, quindi, spettacoli che ti facciano sentire interessato a ciò che accade nel mondo. All’inizio proponevamo cinque spettacoli a settimana. Ci siamo presto reso conto che erano troppi; ora ci orientiamo su due eventi a settimana, una spettacolo e una ‘Tlonferenza’. Il tutto esaurito viene raggiunto con 90 posti”.

Andrea Colamedici ha fondato Tlon insieme alla moglie Maura Gancitano (con la quale ha scritto anche diversi libri tra cui “Tu non sei Dio”, testo su cui torneremo nelle prossime settimane) e Nicola Bonimelli. Intanto vi invitiamo a visitare la loro libreria-teatro. Virtualmente, se non siete a Roma, ma soprattutto fisicamente quando passate dalla capitale.

Intervista: Daniel Tarozzi
Realizzazione video: Paolo Cignini

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2017/07/io-faccio-cosi-177-tlon-libreria-teatro-contamina-quartiere/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni

Luoghi di Sosta Pedonale: riprendiamoci la socialità urbana!

Sapete come si chiama l’anziana che abita al primo piano del vostro condominio? O quanti figli ha il barista sotto casa? Oppure da dove vengono gli studenti che stanno nell’appartamento di fronte al vostro, con cui condividete il pianerottolo? Probabilmente no, non lo sapete. Perché la socialità urbana ormai si è persa e le relazioni di vicinato sono quasi inesistenti. Ma ci sono delle spiegazioni precise a questo fenomeno e anche delle soluzioni molto interessanti. Vediamo quali!

Siamo a Bologna, un gigantesco laboratorio di esperienze virtuose, legate in particolare alla sfera della socializzazione. Lì nasce il fenomeno delle Social Street. Lì c’è la culla della Transizione in Italia. E lì, nel 2007, Stefano Reyes, giovane architetto che si dedica in particolare allo studio dell’urbanistica, realizza una tesi di laurea che parla delle piazzette di strada o luoghi di sosta pedonale. «L’idea – ci racconta Stefano – era quella di costruire delle mini-piazzette per favorire l’incontro di chi abitava o lavorava nella strada,partendo da quella che viene chiamata “zona universitaria”, nel pieno centro di Bologna, dove spesso si verificano problemi di integrazione fra studenti e residenti, giovani e anziani».

C’è subito una rapida evoluzione e la tesi si trasforma in un progetto che coinvolge altri architetti e volontari: «Passando alla fase della sperimentazione pratica, ci siamo accorti che si trattava di un’iniziativa più sociale che architettonica. Lo scopo era quello di apportare piccole modifiche alle caratteristiche dell’ambiente urbano, creando uno spazio che ospitasse chi abitava la strada, chi ci lavorava e chi ci passava semplicemente, favorendo la sosta e il dialogo fra i vari utenti». In pratica, si pensò a un’area corrispondente a uno o due posteggi auto delimitata e arricchita con panchine, tavoli, sedie, fiori, ombrelloni, fontanelle e qualsiasi altro elemento d’arredo che la potesse rendere confortevole e accogliente. L’obiettivo? «Creare uno spazio che mettesse insieme tutti: chi ha una casa, chi sta in affitto, chi ha un negozio, chi fa acquisti e così via. Insomma, tutti coloro che condividono la vita in una strada».

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Nei suoi primi anni di vita il progetto è cresciuto molto, incontrando approvazione e supporto da parte di tante persone, prime fra tutte quelle toccate direttamente dall’iniziativa: «I volontari si sono riuniti, fondando l’Associazione Centotrecento – dal nome della via dov’è nata la prima piazzetta – e hanno cominciato a coinvolgere la cittadinanza, che ha risposto con entusiasmo. Le piazzette erano temporanee, ma rimanevano allestite per periodi sempre più lunghi, perché la frequentazione era continua e abbondante. Venivano organizzate cene, mercatini del baratto, letture di poesie. Ciascuno portava qualcosa per abbellire lo spazio e renderlo più fruibile, cominciando a sentirlo proprio». Il gruppo di progettisti era sempre in strada a parlare con gli abitanti, a condividere critiche, fatiche, opinioni, suggerimenti. Non erano solo spazi dedicati alla progettazione: «Per prima cosa si stava insieme – ricorda Stefano –, perché quello della creazione delle idee collettive non è un lavoro laboratoriale, ma è un momento per stringere legami, per creare comunità».

Purtroppo, il successo trasversale e diffuso che hanno avuto i luoghi di sosta pedonale, non è riuscito a contaminare l’amministrazione. «Nei cinque o sei anni in cui il progetto è andato avanti, il Comune ha dato solo un paio di contributi sporadici. Questo ci è dispiaciuto molto, sia perché il dialogo con le istituzioni è un aspetto che va curato, sia perché le piazzette forniscono in maniera sia diretta che indiretta dei servizi importanti per la comunità». Infatti, oltre ai benefici immediati, come la sperimentazione di nuove forme di socialità, ci sono anche ricadute positive secondarie: «Una strada presidiata dai suoi abitanti e fruitori è una strada più pulita e più sicura, che quindi ha bisogno di meno manutenzione e minor controllo da parte delle forze dell’ordine. Inoltre, si assiste a una riduzione di tutti i costi sociali legati alla sanità e ai servizi assistenziali, perché i cittadini sono più sereni e quindi più sani. Anche il tessuto commerciale fiorisce, generando circuiti economici locali, resilienti e virtuosi».pranzo

La politica urbanistica di Bologna e di molti altri Comuni italiani è incompleta: «Le opere mirate a rendere le città più vivibili – denuncia Stefano – sono spesso intrise di retorica e populismo». In effetti, molte pedonalizzazioni mettono al centro aspetti che in realtà non sono fondamentali né per la coesione sociale, né per l’uso pedonale della città. Sono basate su ripavimentazioni e altri costosi interventi estetici, ma trascurano le infrastrutture funzionali al raggiungimento dell’obiettivo primario, ovvero far incontrare e dialogare le varie categorie di fruitori della strada: residenti, negozianti, studenti, anziani, bambini, lavoratori.

«Al contrario, lo scopo principale è quello di creare zone commerciali con una valenza sociale nulla, ma con un elevato ritorno economico, sfruttando un processo che in urbanistica viene definito di “gentrificazione”: l’offerta merceologica si uniforma su prodotti costosi, omologati, e taglia fuori molte persone. Il mercato immobiliare si adegua a questa tendenza e i prezzi aumentano. Si elimina ciò che è gratuito, come panchine, fontanelle e aree verdi. Non si installano servizi che invece sono richiesti dalla cittadinanza, come i bagni pubblici. Tutto è finalizzato a creare zone franche dedicate al consumo». Il risultato? Si verifica quello che Stefano chiama “effetto paguro”: «Queste aree vengono investite da enormi flussi di consumatori, che però non hanno alcun legame con il tessuto sociale della strada o del quartiere. Così, gli abitanti si rannicchiano in casa spaventati e non avviene alcuna interazione, non c’è aggregazione sociale».

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Un’aggregazione sociale è il momento in cui le persone si incontrano e riescono ad avere una comunicazione che è comprensibile per tutti e che consente un accrescimento reciproco. Un’aggregazione e basta è quello che succede quando le farfalle si accumulano attorno a una lampadina. «La politica urbanistica e le iniziative dei cittadini, come il nostro progetto dei luoghi di sosta pedonale, devono essere finalizzate a creare spazi di incontro e di contatto fra le persone. Non è facile, perché ciascuno ha il proprio linguaggio e le proprie abitudini, che spesso sembrano incompatibili le une con le altre. Ma noi ci siamo resi conto che si riesce far nascere un dialogo anche dove sembrava impossibile. E questo è il primo passo per creare una comunità coesa e solidale».

Visita il sito dell’Associazione Centotrecento.

Fonte : italiachecambia.org

100in1giorno: a Milano il festival della creatività urbana

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Cosa succederebbe se centinaia di persone si mobilitassero nell’arco di 24 ore per dare nuova vita, insieme, agli spazi pubblici della città? È aperta la call for ideas di 100in1giorno, il festival della creatività urbana, che arriva in Italia, a Milano, il prossimo 27 giugno. Per un giorno, Milano sarà un luogo di costruzione e sperimentazione urbana. Il festival mira infatti a raccogliere sul territorio urbano di Milano 100 o più iniziative proposte e realizzate dai cittadini nell’arco di 24h con l’obiettivo principale di promuovere una cultura civica proattiva stimolando la partecipazione dal basso.  Il festival sarà anche un’occasione per mappare le iniziative che verranno realizzate e presentarle al Comune di Milano affinché si prospetti la possibilità di mettere in pratica in modo continuativo alcune tra le idee che hanno avuto maggior richiamo. “100in1giorno – spiegano i promotori dell’iniziativa – nasce perché crede che le persone, così come esprimono bisogni, sono anche ricche di competenze, talenti e capacità che possono essere messe a disposizione della collettività per contribuire a trovare soluzioni nuove ed inclusive ai problemi e alle sfide di interesse comune. Lo spazio pubblico non è solamente un insieme di strade, piazze e parchi da attraversare, ma luoghi da abitare, apprezzare e condividere. Un cittadino pienamente consapevole del proprio ruolo all’interno della società è in grado di cogliere questa differenza, e si adopera per favorire condizioni per diminuire l’alienazione e l’apatia che talvolta caratterizzano le grandi città, facendosi promotore di una coscienza civica proattiva”.

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100in1giorno a Halifax (Canada)

Il movimento mira dunque a convogliare il potenziale creativo della collettività in una giornata di festival della creatività urbana e della cittadinanza attiva, con l’obiettivo di coinvolgere singoli individui e gruppi di persone nel realizzare iniziative di cittadinanza attiva e partecipazione dal basso per migliorare insieme la qualità della vita e celebrare gli spazi pubblici urbani. Un’iniziativa urbana è un gesto individuale o collettivo (proposto sia da singoli cittadini che da gruppi, formali o informali). Può mirare a reinterpretare gli spazi pubblici o a creare connessioni fra persone che abitano lo stesso luogo. È un’azione che intende creare un cambiamento positivo nella città, rendendolo visibile e accessibile a tutti. La partecipazione è aperta a tutti: una persona, un gruppo di amici, una famiglia, un’associazione, una scuola, un’istituzione, una comunità. Il festival si rivolge a coloro che vogliono diventare protagonisti della riqualificazione partecipata della città. Per proporre un’iniziativa è necessario andare nella sezione “Partecipa”  del sito internet www.100in1giorno.eu  e compilare il modulo online, dal 9 Aprile al 17 Maggio. A chiusura della call for ideas, le iniziative saranno pubblicate sul sito in un programma completo della giornata.

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100in1giorno a San Jose

L’idea di 100in1giorno nasce da alcuni studenti della scuola danese “Kaospilot” e dal collettivo “Acciò Urbana” di Bogotà che suggeriscono ai concittadini di incontrarsi negli spazi pubblici della città il 26 maggio 2012, giornata in cui vengono realizzate circa 250 azioni e coinvolte più di 3000 persone. Da quell’esperienza ha origine il festival 100en1dia, che nel giro di due anni si è diffuso in tutto il mondo (Santiago del Cile, Cape Town, Toronto, Rio de Janeiro, Montreal, Copenhagen e Ginevra etc.). Ad oggi il festival  è stato realizzato in 13 differenti Paesi e 28 città, e arriverà in Italia dopo essere stato realizzato solamente in altre due città in Europa (Ginevra e Copenhagen).

Immagini tratte dal sito 100in1giorno 

Fonte: italiachecambia.org

Little Free Library: la biblioteca diffusa che promuove la cultura e il senso di comunità

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Il concetto tradizionale di biblioteca cambia e si reinventa. Da classica raccolta di libri gelosamente custoditi, spesso ubicata in posizione centrale e lontana dai cittadini, la biblioteca diventa periferica, diffusa sul territorio e alla portata di tutti. In tutta Italia, dalle Alpi al Salento, sono già attive una trentina di micro biblioteche chiamate “Free Little Library” . Sono casette di legno piene di libri, resistenti alla pioggia, accessibili a chiunque e collocate ovunque ci sia viavai di persone, ad esempio vicino ai palazzi comunali, nei parchi pubblici, lungo le piste ciclabili, davanti ai bar, alle fermate degli autobus. I residenti ed i passanti non devono far altro che aprire lo sportello delle casette e prendere in prestito un libro gratuitamente, ma ad una condizione: sostituire il libro prelevato con un nuovo libro. Il motto che campeggia su tutte le “Free Little Libraries”, infatti, è “Take a book. Return a book” (“prendi un libro ma lasciane un altro”, t.d.a.). Lo scopo della biblioteca diffusa è, da un lato, promuovere la lettura e la cultura e, dall’altro, spingere i cittadini a condividere i libri che hanno amato e scambiarsi opinioni ed esperienze di lettura. A differenza delle biblioteche tradizionali che salvaguardano i volumi senza appassionare davvero il pubblico alla lettura, le “Free Little Libraries” sono tanti micro centri di diffusione del sapere e, al tempo stesso, di aggregazione. La condivisione dei libri favorisce lo scambio di opinioni e la condivisione di esperienze tra gli abitanti e tra le generazioni, crea momenti di incontro e socialità e rafforza il senso comunitario di un quartiere o di un Comune, rendendoli più vivibili e frequentati. La prima “Little Free Library” italiana è apparsa a Roma nel 2012 quando Giovanna Iorio – insegnante, scrittrice e blogger – ha organizzato una raccolta fondi per acquistare oltreoceano la casetta di legno che è stata collocata nel parco dell’Inviolatella Borghese.LFL5

Il successo dell’iniziativa è stato immediato: “Ho visto persone che si fermano a leggere un libro, poi riprendono a passeggiare con il cane e lasciano un libro”, ha dichiarato in una recente intervista. “Ho visto bambini che corrono a vedere se ci sono libri nuovi da scoprire, che si siedono nel prato e sfogliano i libri che trovano. Ho visto genitori organizzare pic-nic primaverili intorno alla Little Free Library e rendere la lettura un momento di divertimento, sotto l’ombra degli alberi. Sì, è bello trovare i libri in un parco”. L’esperienza romana è stata replicata in numerose province italiane tra cui Milano, Trento, Lecce e Cagliari e molte altre casette sono pronte per essere inaugurate. L’idea che sta alla base della “Free Little Library”  – tanto semplice quanto geniale – però non è italiana, ma è venuta allo statunitense Todd Bol nel 2009. Todd aveva costruito la sua prima casetta in legno con la scritta “Free Books” a Hudson (Wisconsin) in ricordo della madre Esther, insegnante e instancabile e appassionata lettrice, e l’aveva collocata nel cortile di casa.  L’obiettivo iniziale era creare un luogo di ritrovo nel quale chiunque potesse condividere i propri libri preferiti con i vicini di casa, ma l’iniziativa ha riscosso un successo tale che a Todd arrivavano prenotazioni di casette da tutti gli USA. Nel 2012 Todd ha fondato anche l’omonima associazione no profit “LittleFreeLibrary.org”, che promuove il piacere della lettura nei bambini e l’alfabetizzazione degli adulti a livello globale. Oggi l’associazione conta oltre 20.000 micro librerie distribuite in 70 paesi in tutto il mondo. Che siano acquistate o costruite da soli (realizzate anche con materiali riciclati e decorate dai bambini) le “Little Free Libraries” hanno tutte una cosa in comune: ovunque vengano collocate i cittadini reagiscono con entusiasmo, i bambini trovano un modo originale di avvicinarsi alla lettura, gli adulti hanno la possibilità di scambiarsi opinioni sulle letture preferite e, quindi, di conoscersi meglio.LFL-Salento

“Basta posare la prima pietra, fare il primo passo, dopodiché è la comunità stessa – i vicini, le associazioni, i gruppi locali, ecc. – che procede e continua a costruire”, ha spiegato Todd Bol. “Le Little Free Libraries creano modelli positivi a livello locale ed è soprattutto per questo motivo che riscuotono tanto successo”. Lo scambio gratuito di libri non promuove solo la diffusione della lettura e del sapere, ma rafforza anche il senso di comunità. Le “Little Free Libraries” sono spazi culturali restituiti al territorio e a chi lo vive ogni giorno e, al tempo stesso, spazi di aggregazione e condivisione dove i momenti di incontro e socialità rendono un quartiere più vivibile e, quindi, più attraente e frequentato.

 

Immagini tratte dal sito Little Free Library Italia  e dal sito Little Free Library Usa

 

 

fonte: italiachecambia.org