Le campagne italiane sono ostaggio delle multinazionali e delle loro monocolture intensive finalizzate alla massimizzazione dei profitti e fonte di gravi minacce alla biodiversità. Ecco la denuncia dell’attivista e saggista indiano Satish Kumar, fondatore della storica rivista The Ecologist.
«Si fa un gran parlare di ridurre il nostro impatto sulla terra e di ridurre le emissioni climalteranti. È dal modello di agricoltura che dobbiamo ripartire. La terra non può essere utilizzata per fare profitti perché ci sono impatti per tutto il pianeta e i suoi abitanti. L’agricoltura si deve basare sui bisogni reali non sull’ingordigia delle multinazionali. Gli italiani dovrebbero ribellarsi a questo utilizzo del loro territorio».
È questo il giudizio sulla questione dell’espansione delle monocolture di nocciole in Italia di Satish Kumar, editore emerito e fondatore di riviste ecologiste come The Ecologist e Resurgence. Intervistato da Manlio Masucci per il numero di dicembre della rivista Terra Nuova, Satish Kumar, attivista in grado di ispirare generazioni di ambientalisti, ha detto così la sua su una questione che sta suscitando sempre più interesse nei media nazionali e internazionali, a partire dagli stessi articoli di The Ecologist, per passare dall’ultimo approfondimento di Report e per finire con lo stesso reportage pubblicato da Terra Nuova e intitolato, per l’appunto, “Noccioland”.
L’attacco di Kumar alle multinazionali della nocciola, ree di impedire lo sviluppo di un modello di agricoltura sostenibile nell’area, è forte e diretto. Parlando in particolare della Tuscia, Kumar ha detto: «Le multinazionali sono interessate a investire in quest’area non per nutrire le persone ma per ricavarne profitti. Un vasto impero che si basa sulla coltivazione intensiva della nocciola per produrre beni di consumo che non sono essenziali, non sono nutrienti. La terra non è un semplice contenitore dove piantare monocolture ma un suolo vivente, con una biodiversità. Questo modello di business non è compatibile con la biodiversità. E tutto ciò per raggiungere quale obiettivo? Fare più soldi».
Secondo Satish Kumar, esperto di comunicazione ambientale, la causa del dissesto ambientale è dovuta primariamente proprio alle campagne ingannevoli delle multinazionali: «Molte persone che vivono in città, lontane dalle zone di produzione, sono indotte a pensare che abbiamo bisogno di produrre sempre più cibo e che gli agrochimici sono essenziali per assicurare questa abbondanza. Questa della necessità di aumentare la produzione è una propaganda alimentata dalla stessa industria che lucra sulle vendite. L’industria punta alla maggiore quantità non alla qualità».
«Questo sistema produttivo intensivo basato sugli agrochimici non solo non è benefico per la salute delle persone ma neanche per quella del suolo», prosegue Satish Kumar. «Ma questa confusione non è colpa delle persone, perché l’industria alimenta campagne di comunicazione miliardarie. È importante allora fare più informazione e comunicazione, raggiungere più persone per spiegare come funziona l’economia della natura, spiegare i concetti di mutualità e reciprocità. Produrre cibo organico con metodi rigenerativi è possibile. Dobbiamo costruire una cultura della rigenerazione».
Satish Kumar non lesina critiche anche quando viene informato dei reiterati tentativi del Governo italiano di dare il via libera agli Ogm di nuova generazione nel nostro paese: «Dobbiamo comprendere la natura, non manipolarla. Gli Ogm e le nuove tecniche di manipolazione genetica non rispettano l’integrità della natura che viene piegata a interessi particolari. Queste manipolazioni e questa corsa ai brevetti non nascono da reali bisogni ma, ancora una volta, da un modello di business che pensa solo al profitto».
«Non c’è alcuna necessità di modificare geneticamente gli organismi vegetali se non per acquisire la proprietà delle stesse varietà modificate e trarne profitto. Non abbiamo alcun bisogno di organismi geneticamente modificati. Pensare il contrario è semplicemente stupido», conclude il fondatore dell’Ecologist.
Conterranea è una rete di piccole imprese agricole che ha scommesso sul potere del “fare insieme” per prendersi cura del territorio, coltivando e trasformando prodotti tipici, sani e naturali. Attraverso un contratto di rete si è scelto di condividere terreni e attrezzature per garantire una filiera totalmente locale, basata sulla fiducia reciproca e sulla convinzione che il valore del lavoro condiviso dia maggiori risultati della somma delle sue singole parti.
«Nandino, un nostro saggio amico contadino, ci ripete spesso che “bisogna tornare indietro per andare avanti” e da questa spinta silenziosa traiamo energia per i nostri piccoli atti rivoluzionari».
Conterranea nasce come gruppo di giovani aziende agricole del Monferrato, in provincia di Asti, unite dal desiderio di produrre cibo sano in modo sostenibile e di farlo rispettando il suolo, la biodiversità e i ritmi naturali della terra e dell’uomo. Il progetto nasce con una missione: creare una comunità più unita e solida sul territorio superando l’individualismo e mettendo in rete le proprie competenze.
Tra i fondatori ci sono Paolo Montrucchio con il suo progetto della Fattoria del Risveglio di cui vi abbiamo già parlato in un precedente articolo; Mirko Roagna, esperto di autoproduzione, come si può vedere nel suo blog Vivere al Naturale che si occuperà di orticoltura e trasformazione di verdure; Fabio Giovara, agricoltore e studente di agraria, che all’interno della sua azienda agricola già si sta occupando della coltivazione delle nocciole, di cereali e si occuperà della produzione di pasta secca; e infine Edoardo Oddone, che si sta specializzando nella coltivazione di cereali “antichi” (mais , grani teneri e duri) oltre all’attuale produzione di olio d’oliva. Come raccontano sul sito di Conterranea, «Ci piace pensare che nelle nostre farine di grani antichi, nella pasta, nei legumi, nelle verdure del nostro orto, nella frutta, nell’olio di oliva, nei sughi naturali e nelle nocciole che produciamo, ci sia qualcosa del fare sapiente di chi prima di noi ha coltivato con amore questa terra, qualcosa che assomiglia alla parte più autentica del nostro territorio».
Quattro aziende che stanno portando avanti la loro rivoluzione perché convinte che coltivare la terra con amore sia un atto di responsabilità non solo individuale ma collettivo. Per questo, circa un anno fa, hanno iniziato a pensare a un contratto di rete, un vero e proprio modello che si sta dimostrando vincente nell’ambito agroalimentare proprio perché capace di favorire processi di cooperazione tra imprese agricole.
Come funziona un contratto di rete? Pensiamo alla filiera del grano: al momento della stipula del contratto vengono “condivisi” i terreni delle diverse aziende, dopodiché, sempre in modo condiviso, si utilizzano i singoli impianti per la trasformazione del grano. In questo modo, in base a quanto definito all’inizio del contratto, ognuno conferisce una quota di prodotto (sempre il grano) mentre il prodotto finito (ad esempio la pasta) viene ridistribuito tra i componenti della rete attraverso una divisione in maniera proporzionata rispetto al contributo fornito da ciascun partecipante. Il prodotto finito viene infine venduto con il marchio unico (in questo caso di Conterranea) e nell’etichetta sono indicati i singoli produttori con le rispettive fasi di lavorazione. Il contratto di rete, come ci racconta Paolo, è molto efficace poiché permette di fare agricoltura sostituendo l’isolamento e l’individualismo con la cooperazione e il lavoro comunitario. Permette poi di essere maggiormente competitivi sul mercato unendo le proprie forze e facendo squadra. In questo modo i diversi partner possono condividere i prodotti agricoli e trasformati che, nel caso di Conterranea, saranno realizzati con materiali e fonti energetiche il più autoctone possibile, senza alcun utilizzo di sostanze chimiche per rispettare la Terra, arrivando a proporre un paniere di prodotti direttamente al consumatore. Certo, tutto questo è possibile se c’è fiducia tra le realtà coinvolte. E proprio questo è il caso di Paolo, Edoardo, Mirko e Fabio, per i quali la trasparenza e la bellezza delle relazioni vanno di pari passo con il rispetto dell’ambiente.
«Ogni rivoluzione ha bisogno di studio, così una parte dell’attività è dedicata all’informazione e alla formazione, in particolare sui temi dell’agricoltura organico rigenerativa, la coltivazione naturale dei grani antichi e un processo di trasformazione che ne conservi al meglio le proprietà nutritive sono infatti temi alla base di studi scientifici supportati da alcune Università italiane. Coltivare semi nuovi significa per noi informarsi e informare anche sui temi della salute, degli stili di vita sani, della tutela dell’ambiente, dell’autoproduzione, del benessere, della sostenibilità della produzione e delle relazioni. Impariamo insieme, aperti al mondo, e questo ci fa felici». Fonte: https://www.italiachecambia.org/2021/04/conterranea-rete-agricoltori-uniti-promuovere-filiera-condivisa/?utm_source=newsletter&utm_medium=email
Nel 2019 sono bruciati milioni di ettari di foreste in più parti del mondo e questo alimenta l’emergenza climatica. E intanto i nostri suoli continuano a ricevere pesticidi con le coltivazioni intensive, tra cui le nocciole, che ora in Italia potrebbero anche aumentare.
Nell’anno di disgrazia 2019 sono bruciati 13 milioni di ettari di foreste russe, 6 milioni dei quali nella più grande foresta del pianeta, la taiga siberiana ; 12 milioni di ettari della foresta amazzonica erano già bruciati alla fine di settembre e i fuochi non erano ancora spenti ; in Australia da dicembre sono bruciati 11 milioni di ettari di foreste e boscaglie e gli incendi continuano, appaiono inestinguibili.
Tenuto conto che l’ammontare medio di deforestazione annuale, in questi ultimi decenni di miseria intellettuale e morale (e politica, non c’è bisogno di dirlo), si aggira tra i 13 e i 16 milioni di ettari di foreste rase al suolo ogni anno, l’infernale 2019 si è mangiato in pochi mesi quasi tre anni di deforestazione, che comunque è proseguita lo stesso senza interruzione. Grazie anche all’olio di palma che intride i prodotti delle multinazionali dei detersivi, della cosmesi e degli alimenti. La Ferrero, lo ricordiamo, ha dichiarato di non avere intenzione di eliminare l’olio di palma dai suoi prodotti, tra cui la Nutella. In tempi di catastrofi climatiche, con un pianeta che boccheggia (19 gradi a dicembre in Norvegia, 50 gradi in India per tutto giugno, 38 in Alaska a luglio, ora fino a 48 gradi in Australia) e ha le convulsioni, i milioni di ettari di materia organica bruciata contribuiranno significativamente ad accelerare il disastro. Per questo, finalmente, tutti i ricchi e i potenti, politici industriali dirigenti e padroni di multinazionali con i loro media e le loro istituzioni governative nazionali e sovranazionali, stanno programmando e promuovendo una grandiosa opera di rimboschimento globale, useranno i loro soldi e quelli degli Stati (cioè nostri) per trasformare l’agricoltura intensiva in agricoltura biologica, ecologica, resiliente…
Non ci avete creduto? Avete fatto bene.
In Italia ci sono 70.000 ettari (700 milioni di metri quadri) di coltivazioni intensive di noccioli nel nostro un tempo bel paese, vantate ovviamente come un gran vantaggio, un’eccellenza. Eppure affinché assicurino un’elevata produzione sono necessari pesticidi, erbicidi, grandi quantità di petrolio per grandi macchinari. E inquinamento, erosione dei suoli. Ma cosa importa? La vera eccellenza sono i soldi. Così, dato che il mercato cresce e che l’appetito capitalista viene mangiando, ci si organizza per farlo crescere sempre di più. Infatti sono stati annunciati altri 20.000 ettari di noccioleti intensivi. I noccioleti intensivi hanno già dimostrato la loro capacità distruttiva, persino in un’oasi naturalistica come quella del lago di Vico, inquinato da pesticidi e concimi chimici a un punto tale che se ne teme la morte biologica. Adesso aumenteranno di 20.000 ettari. In Lazio, Toscana, Marche. I politici regionali applaudono entusiasti, come se si trattasse di una pioggia d’oro, invece che di veleni. Oltre ai governatori regionali, è entusiasta anche l’associazione di “meccanizzazione agricola e industriale”. E la cosa non ci sorprende. Pure le banche sono contente: è già previsto che gli agricoltori che aderiranno al benefico progetto si debbano indebitare.
I sindaci del viterbese non sono d’accordo ma chi se ne importa. Prevedono che il lago di Bolsena faccia la fine di quello di Vico, il progetto a loro sembra malefico perché “l’elevato consumo di acqua, fitofarmaci, antiparassitari, insetticidi, diserbanti, concimi chimici potrebbe determinare il degrado globale e irreversibile dell’intero ecosistema… con gravissime ricadute sulla salute pubblica”.
Già adesso il lago di Bolsena e la salute pubblica italiana non se la passano tanto bene.
Ma si dice che tutti questi progetti siano sostenibili. Cosa vuol dire ormai “sostenibile”? C’è anche l’adesione a un progetto in Turchia per eliminare le peggiori forme di lavoro minorile. Si vede che c’è un lavoro minorile sostenibile…
Ma noi torniamo ai noccioleti monocultura intensiva. Che possono venire trattati con:
– calciocianamide, fertilizzante chimico con alto contenuto di azoto ma anche di acido cianamidico, che uccide tutti gli insetti e i microrganismi presenti nel suolo, cioè uccide il terreno, cioè è un veleno;
– tiofanato di metile, un fungicida “nocivo per inalazione, può provocare effetti irreversibili, altamente tossico per gli organismi acquatici (…), evitare il contatto diretto col prodotto… gli strati di terreno contaminati devono essere decorticati fino a terreno pulito (…). In caso di contatto con la pelle, lavare subito con sapone e acqua abbondante…” ;
– deltametrina, insetticida sintetico: uno degli insetticidi che sterminano le api ma non solo loro. “… effetti di esposizioni acute per gli uomini comprendono atassia… convulsione e paralisi, diarrea, dispnea, irritabilità, tremori, vomito e morte… Molti studi hanno dimostrato casi di avvelenamento cutaneo da deltametrina dovuti a inadeguate precauzioni durante la pratica agricola… Con dosi di 100-250 mg/kg viene indotto il coma in 15-20 minuti”;
– Lambda-cialotrina. Insetticida. Evitare il contatto cutaneo, evitare il contatto con gli occhi, se inalato “possibile danno al surfactante polmonare o polmonite chimica”, “gas di acido cianidrico può essere rilasciato durante l’apertura e il dosaggio… Non mangiare, né bere, né fumare durante l’impiego… Prodotti di decomposizione pericolosi: cianuro di idrogeno”. E’ altamente tossico per gli organismi acquatici e, ovviamente, per le api. Trattandosi di un insetticida…
E l’elenco non sarebbe finito…
Naturalmente c’è anche il glifosato, a causa del quale il terreno in primavera assume quel colore aranciato che ben hanno conosciuto i vietnamiti durante la guerra USA, e a cui devono le malformazioni di centinaia di migliaia di bambini. “Il glifosato è tra i pesticidi più segnalati come causa di avvelenamento accidentale… danneggia il DNA di reni, fegato, ossa… provoca il deperimento di arbusti e alberi, è neurotossico, interferente endocrino, immunosoppressivo”.
E ancora: “…irritante per la cute e le mucose fino all’ulcerazione della mucosa oro-faringea ed esofagea, irritante oculare, miosi… Nausea, vomito, ipertermia… Danni al sistema nervoso centrale, atassia, parestesia, paralisi, alterazioni ECG… gli spasmi muscolari in genere precedono di poco la morte… Non sono conosciuti antidoti specifici… Tossico per gli organismi acquatici con effetti di lunga durata”.
I noccioleti, come tutte le monocolture intensive, sono deboli, e tanto più deboli quanto più estesi, innaturali, impoveriscono l’ecosistema, squilibrano l’ambiente, sono una manna per i parassiti; poi ci pensano le pratiche dell’agricoltura industriale a completare il danno, distruggendo la vita dei terreni. I poveri noccioli, a quel punto, non hanno più difese e, dato che il terreno è morto o moribondo, soffrono anche la fame. E allora giù coi concimi chimici e con gli antiparassitari. Così come agli animali di allevamento intensivo vengono propinati ogni giorno antibiotici a palate.
D’altra parte, se il cosiddetto “sviluppo economico” è l’obiettivo principale di una società folle, tutti i veleni denominati “prodotti fitosanitari” vi contribuiscono in pieno. Rimpinguano le tasche delle multinazionali di tali veleni, poi rimpinguano le tasche delle multinazionali del farmaco che spesso, e non per caso, sono le stesse. Se avete mai fatto una passeggiata nelle valli prealpine o nelle foreste dell’Appennino, avrete visto dove crescono spontaneamente i noccioli: lungo le rive di torrenti, fiumi, ruscelli. E’ facile dedurre che hanno bisogno di terreno sempre umido, temperature estive moderate, sole ma mitigato dalle ombre di alti alberi. Nessuna di queste condizioni può esserci in una monocoltura intensiva.
Si rimedia con tanta acqua. Irrigazioni quotidiane che, come è già successo al lago di Vico, abbassano la falda freatica. E l’acqua di irrigazione, intanto che consuma la falda evaporando nel sole, nella quantità che riesce a ritornare in falda ci porta anche tutti i residui di pesticidi presenti nel suolo, quei sostenibili concimi chimici, erbicidi, insetticidi, fungicidi irrorati allegramente nei sostenibili noccioleti. Riguardo alla Nutella, vediamone la composizione: 56% di zucchero raffinato, 23% di olio di palma raffinato, 13% di nocciole, latte scremato in polvere, cacao e l’aroma vanillina. Ferraro attesta che l’olio di palma utilizzato è “sostenibile”. Ma c’è chi ha messo in discussione la possibilità che l’olio di palma prodotto n grandi quantità possa realmente essere sostenibile. Inoltre, il nostro organismo non reagisce bene ad alimenti come lo zucchero raffinato e l’olio di palma raffinato. Gli alimenti raffinati sono alimenti morti, perdono vitamine, proteine, sali minerali. Lo zucchero diventa solo saccarosio, l’olio di palma puro grasso. Si trasformano in qualcosa di artificiale che il nostro organismo non riconosce e non è in grado di digerire e metabolizzare in maniera efficiente. Questo a lungo andare può creare problemi. E vale per qualsiasi alimento industriale pieno di ingredienti raffinati e/o sintetici. Le associazioni degli agricoltori dovrebbero ricordarsi che il motivo della loro esistenza è difendere i piccoli e medi agricoltori e consigliarli per il loro bene; così riuscirebbero anche a ricordare che i peggiori nemici dei suddetti sono proprio le grandi industrie, alimentare e petrolchimica, che li tengono per il collo e a volte tirano fino a strangolarli; che li rendono dipendenti dai loro prodotti chimici e dal loro “mercato”, dettando le regole e decidendo i prezzi. Allora, forse, invece di strillare contro i lupi e i sindaci che vietano il glifosato, ricorderebbero ai suddetti agricoltori la prima legge del mercato, che capisce facilmente anche un bambino: più aumenta la disponibilità di una merce, più si abbassa il suo prezzo. Noi però, che amiamo la terra e le sue creature, e non abbiamo invece una passione per i profitti, il PIL e la distruzione del pianeta già in corso, possiamo fare del nostro meglio per far diminuire la richiesta di prodotti perniciosi. Mangiando sì, le nocciole, che fanno bene, ma biologiche e senza aggiunte nocive.
La ricetta del tiramisù vegan senza mascarpone e uova è un grande esempio di come la pasticceria può venire incontro alle necessità alimentari di chi per etica o per salute rinuncia ai derivati animali come latte, uova e mascarpone.
Preparare il tiramisù vegan senza mascarpone e uova non è una sfida da poco. Ma perché farlo? e perché deformare una ricetta perfetta usando ingredienti diversi? I motivi sono sue, uno di tipo etico, ovvero la scelta di chi ha preferito una dieta vegana priva di alimenti di origine animale e una salutistica. Ci sono moltissime persone intolleranti al lattosio o alle uova oppure che devono contenere il consumo di alimenti ricchi di colesterolo e che dunque devono stare alla larga proprio da latte, uova e mascarpone. Peraltro la versione vegan del tiramisù è così leggera che si presta ad essere consumato anche da chi è a dieta. Il criterio con cui è realizzato questo fantastico dolce, il Tiramisù, è noto: a strati di biscotti savoiardi inzuppati nel caffè, si alterna una crema zabaione a freddo con mascarpone. Chiude gli strati una spolverata di cacao amaro. Ora per la versione del tiramisù vegan che vi propongo di confezionare in monoporzioni in coppette calcolate che vi occorrono 5/6 biscotti a testa. I biscotti devono essere del tipo secchi e senza uova, burro o latte e ve ne sono di diversi tipi in commercio. Ma nulla vieta sua si farseli da soli mescolando farine varie tra e latte di soia con un po’ di bicarbonato e lasciar cuocere in forno. Ingredienti per 2 persone: 12 biscotti secchi di media grandezza; caffè ottenuto da una macchinetta moka per 3 persone; 2 cucchiai di zucchero di canna; 125 gr di panna vegetale possibilmente di soia; 125 gr. di yogurt di soia; cacao in polvere, granella di nocciole o mandorle. Questo il procedimento per assemblare il tiramisù nelle coppette da conservare poi al fresco. Montare la panna di soia ben soda. Conservarne un paio di cucchiaio per la decorazione finale. Aggiungere alla panna nella ciotola lo yogurt di soia delicatamente senza smontarla. Bagnare i biscotti nella ciotola in cui abbiamo messo il caffè zuccherato. Disporre i biscotti nelle coppette formando un primo strato su cui andremo a adagiare un paio di cucchiai di crema di panna di soia e yogurt di soia. Aggiungiamo la granella di nocciole o di mandorle, ma vanno bene anche granella o cioccolato grattugiato. Alterniamo gli strati nelle due coppette sino la termine degli ingredienti. Sulla sommità del dolce spolverizziamo un po’ di cacao amaro e decoriamo con il ciuffo della panna di soia conservata a parte e con granella di nocciola, o mandorla o del cioccolato; ma va bene anche una scorzetta di arancia candita oppure una ciliegia sciroppata, una fragola fresca. Insomma fate voi. Il dolce si conserva un paio di ore al fresco, poi inevitabilmente si smonta, quindi da consumare il prima possibile.