Manuela e la sua nuova vita da guida di forest bathing

Il forest bathing è una pratica sempre più diffusa anche in Italia, grazie anche a reti di professionisti che promuovono questa attività favorendo un approccio alla Natura consapevole e profondo, capace anche di apportare notevoli benefici tanto al corpo quanto allo spirito di chi vi si avvicina.

Trentino Alto Adige – Forest bathing si può tradurre dall’inglese con “bagno di foresta”. Questi due termini trasmettono una sensazione di immersione, avvolgimento e coinvolgimento totali. Armonia, scambio, osmosi e interazione. E questo fa bene a tutti: non solo alla persone che vive questa esperienza, ma anche alla Natura, che vede l’essere umano tornare fra le sue braccia come un figliol prodigo, in cerca di riconciliazione con il mondo a cui appartiene, anche se a volte sembra dimenticarselo.

Per svolgere questa attività c’è però bisogno di una guida. È anche per questo che il forest bathing si sta diffondendo velocemente, strutturandosi sempre di più e attirando l’interesse di persone intraprendenti che vogliono trasformare questa passione in un lavoro. Una di esse è Manuela, che da qualche anno ha rivoluzionato la propria vita dedicandosi a questa attività.

Manuela, raccontaci il tuo percorso di vita.

Ho 44 anni, sono divorziata con tre figli e vivo in Trentino. Dopo anni di crisi profonde e cambiamenti, ho deciso di prendere in mano la mia vita e di dedicarmi a ciò che più amo: la natura. Ho a cuore il suo benessere, ma anche quello delle persone. Con mille peripezie e sacrifici, sono diventata quindi Naturopata e Guida di forest bathing: porto le persone nel bosco a ritrovare una relazione con la natura e con se stessi, migliorando la qualità della loro vita. Da un po’ di tempo sono trainer e tutor di guide di forest bathing per l’istituto Forest Therapy Hub, che si occupa di formare professionisti in 40 paesi sparsi in tutto il mondo, diffondendo con serietà una pratica che promuove benessere e amore per la natura.

Dicci qualcosa di più sul forest bathing.

Il forest bathing è una pratica di benessere composta da diverse attività proposte in una sequenza attentamente progettata, incentrata sui sensi, che abbassa i livelli di stress, ripristina una connessione con la natura e, grazie alla risposta emozionale delle persone, sviluppa atteggiamenti pro ambientali. Ma ha anche altri effetti benefici: aumenta la concentrazione e la memoria, sostiene il buonumore, abbassa i livelli del cortisolo (ormone dello stress), aumenta la produzione dei linfociti NK e quindi aumenta le difese immunitarie, migliora le funzioni dell’apparato respiratorio.

In pratica, di cosa si tratta?

É una pratica che si sta diffondendo molto anche in Italia, in quanto consiste in attività semplici, adatte a tutti, e alcune di esse, una volta apprese, possono essere praticate anche in autonomia, negli spazi verdi a propria disposizione, in modo completamente gratuito. In questo modo le persone imparano a prendersi cura di loro stesse e a integrare pratiche sane nella loro vita quotidiana, migliorandola di molto. Come formatore, inoltre, creo nuove possibilità di lavoro in un momento di crisi globale in cui può essere utile avere l’opportunità di reinventarsi. Il forest bathing è una pratica sempre più conosciuta e richiesta perché le persone sentono sempre di più il bisogno di ritornare alla natura, di rallentare e di ritrovare spazi per loro stesse. Quindi la richiesta di professionisti in questo settore è sempre in aumento. Ovviamente, questa pratica si svolge all’aperto, dove si è liberi di respirare aria fresca e pulita. La guida di forest bathing non solo rende un servizio utile alla comunità, ma si trova egli stesso a vivere esperienze benessere ogni giorno, preservando così anche la propria salute.

Qual è il ruolo di una guida?

La guida di forest bathing è un operatore del benessere che ha come compito quello di creare un ambiente sicuro da un punto di vista sia fisico che psicologico, in modo da poter facilitare la connessione tra partecipanti e natura e permettere la libera espressione di questi. Così facendo la persona può, almeno per il tempo del forest bathing – circa due ore –, staccare dalla sua routine quotidiana e immergersi in un momento di pace e silenzio. Ciò favorisce inoltre l’introspezione e la consapevolezza favorendo la crescita personale. Il forest bathing si può praticare ovunque vi sia uno spazio verde, dai boschi alle coste marine, dai giardini ai parchi urbani. Quindi la guida di forest bathing può potenzialmente proporre la sua pratica a tutti, sia in città che in campagna, sia a famiglie che ad aziende, adulti e piccini. Si tratterà di scegliere la giusta location e le giuste attività da proporre. I settori dove questa pratica sta guadagnando spazio sono in particolare quello turistico, benessere outdoor, scuole, team building, eventi e ritiri. Ma si può trovare anche nei parchi di città o nei giardini botanici, dove piccoli gruppetti approfittano dello stacco dal lavoro per rigenerarsi un po’ di tempo nel verde.

Qual è la differenza tra forest bathing e forest therapy?

La prima è una pratica di benessere che mira a promuovere la salute ed è adatta a perseguire finalità legate alla prevenzione. Composta da attività semplici, si può proporre a tutti. La seconda invece è un intervento che mira al supporto di pratiche convenzionali per migliorare la salute di persone con difficoltà specifiche. Generalmente l’operatore di forest therapy collabora con figure sanitarie come medici o psicologi. Non si può essere operatore di forest therapy senza essere prima guida di forest bathing.

Come si diventa guide di forest bathing?

Il lavoro dell’operatore del benessere, in Italia, viene regolamentato dalla legge nazionale 4/2013. Non è richiesta nessuna esperienza particolare pregressa, anche se è ben accetta. Occorre seguire un corso professionalizzante che include teoria e pratica e un periodo di tirocinio. L’istituto con cui collaboro, composto da un team di formatori con pluriennale esperienza, forma guide in tutto il mondo ed è possibile frequentare corsi in presenza oppure online. Il metodo che viene insegnato si basa su numerose ricerche scientifiche. Sul sito dell’istituto Forest Therapy Hub è inoltre possibile verificare il numero di guide certificate che ad oggi lavora in Italia e che regolarmente accompagna decine e decine di persone in natura, supportando il loro benessere e risvegliando l’amore per essa. In ultimo, il Forest Therapy Hub collabora con enti e istituzioni che si occupano di riforestazione e di protezione ambientale. Cambiare vita si può.

Fonte: https://www.italiachecambia.org/2021/12/manuela-guida-forest-bathing/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

L’economia dei rifiuti, ancora poco circolare: intervento di Agata Fortunato

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Dal turismo dei rifiuti, a politiche di prevenzione assenti o poco efficienti, sono diversi gli aspetti che rendono l’economia dei rifiuti ancora poco circolare. Cosa fare evitando di “buttare via il bambino insieme all’acqua sporca”?

Dal turismo dei rifiuti, a politiche di prevenzione assenti o poco efficienti, sono diversi gli aspetti che rendono l’economia dei rifiuti ancora poco circolare. Cosa fare evitando di “buttare via il bambino insieme all’acqua sporca”? Di seguito il punto di vista di Agata Fortunato, responsabile Ufficio Ciclo Integrato dei Rifiuti della Città Metropolitana di Torino: 
La carenza di impianti in Italia è un problema annosissimo, strettamente correlato alla non sempre diffusa conoscenza da parte delle comunità locali delle tecnologie disponibili e degli effettivi impatti, ma anche dei casi di cattiva gestione, che portano troppo spesso all’opposizione alla realizzazione di nuovi impianti senza entrare nel merito dei singoli interventi; questo ha come conseguenza cercare soluzioni semplici a problemi complessi.

Normalmente la soluzione più semplice è non scegliere, non decidere e spostare il problema da qualche altra parte. Lo dimostra plasticamente l’indagine riportata da ilfattoquotidiano.it, che documenta, in completo spregio ai tanto decantati criteri di prossimità, i “tour dei rifiuti” in lungo e in largo nella nostra penisola. Questa analisi dovrebbe far riflettere su due aspetti altrettanto importanti: la quantità e la tipologia dei rifiuti prodotti ogni anno e la necessità di trattamento che ne deriva. Senza dimenticare la quantità, su cui ce lo diciamo da anni è necessario mettere in campo sforzi, che devo dire al momento appaiono molto limitati e soprattutto disorganici, non è più procrastinabile riprogettare beni e imballaggi, affinché una volta diventati rifiuti possano effettivamente essere riciclati, invece che essere inceneriti o smaltiti in discarica. Al tempo stesso però i territori che oggi più “esportano” rifiuti non possono continuare a far finta di nulla. Certo, la pianificazione e localizzazione di impianti per la gestione dei rifiuti è spesso impopolare e difficile, ma evidentemente necessaria. Ritornando al concetto di prevenzione dei rifiuti, che in modo estensivo possiamo sia interpretare come mera riduzione della quantità assoluta, ma anche come riduzione della quantità avviata a recupero energetico o smaltimento, spiace notare che negli scorsi anni, a fronte di pur interessanti elenchi di iniziative proponibili (e in parte anche attuate dalle comunità locali), non sia stata attivata una politica organica. Per i rifiuti di imballaggio, che costituiscono la gran parte dei rifiuti prodotti quotidianamente dalle famiglie italiane, i piani di prevenzione sono demandati direttamente ai consorzi di produttori e forse, questo potrebbe non essere la scelta migliore quanto ad incisività. Certo quando si acquista qualcosa ci si aspetta che l’imballaggio “faccia il suo mestiere”, ma negli ultimi anni la progettazione degli imballaggi ha quasi esclusivamente guardato alla performance tecnica e all’appeal nei confronti del consumatore. Inoltre sono cresciuti a dismisura i prodotti venduti con uno o più imballi, anche quelli non “lavorati” come la verdura fresca. Una recente rilevazione di ISMEA, riportata da IlSole24ore, afferma una sostanziale sostituzione dell’ortofrutta imballata a scapito dello sfuso e collega il fenomeno con l’introduzione dei sacchetti ultraleggeri in bioplastica e a pagamento. Non so se questa lettura sia corretta (nel qual caso l’obiettivo della legge sarebbe stato profondamente disatteso), ma è un fatto che nei supermercati gli spazi per i prodotti freschi e sfusi (ortofrutta, salumeria, macelleria, pescheria) si sono drasticamente ridotti nell’ultimo decennio a favore di una maggiore offerta di analoghi referenze preconfezionate. Questo sembrerebbe accadere (lo dico da consumatrice non avendo a riguardo dati a supporto di questa tesi) soprattutto nelle grandi città, proprio laddove l’estensione degli orari di apertura (ormai è diffusa la presenza di supermercati 7/24) dovrebbe indurre i consumi in una direzione opposta, ovvero comprare solo quello e nel momento in cui è necessario. E questo è solo un esempio. Manca una risposta organica ai tanti appelli sulla riduzione degli imballaggi e più in generale dell’usa e getta che, diciamocelo in tranquillità, non sempre è necessario (il caso emblematico sono le cannucce in plastica). Il grosso rischio a mio avviso è quello non solo di non veder ridurre la produzione di rifiuti, ma addirittura di assistere ad una contrazione del riciclo visto il proliferare di imballaggi e prodotti usa e getta realizzati in materiali oggi non riciclabili.

Fonte: ecodallecitta.it

 

Berrino: “La decrescita nel campo della sanità è la prevenzione”

Quanto è importante la salute psichica nel benessere di un individuo? Cosa vuol dire che “la decrescita nel campo della sanità è la prevenzione”? Ne abbiamo parlato con il dottor Franco Berrino. Ecco l’ultima parte dell’intervista. Ecco l’ultima parte dell’intervista al dottor Franco Berrino. In quest’ultima sezione abbiamo approfondito l’importanza nel benessere dell’individuo della salute psichica, passando per la sua meditazione camminata in Nepal. La risposta all’ultima domanda sulla decrescita ha, invece, una forza dirompente, delicatamente impetuosa, sulla quale dovremmo riflettere. Partiamo così con l’ultimo giro di domande.

Quanto incide la salute psichica nel benessere di un individuo? Tale parametro è più difficilmente quantificabile… Se incide, in che maniera lo fa?

Berrino dichiara subito che sono stati fatti molti studi sull’importanza della nostra psiche nello sviluppo delle malattie, anche se sono piuttosto difficili da fare. È più facile studiare quello che uno mangia, anche se anch’esso porta con sé le sue difficoltà. “Vi sono sempre più dati che dimostrano quanto la nostra vita mentale e spirituale influenzi il rischio di ammalarsi”. Oggi con le nuove tecniche formidabili della biologia molecolare, si è stati in grado di dimostrare che “chi ha una pratica di meditazione modifica l’attività di certi geni”. Si può così spegnere l’attività dei geni che aumenta l’infiammazione. “Ed è una cosa molto importante”. L’infiammazione è un meccanismo di difesa dell’organismo: ci difende dagli agenti infettivi, dalle ferite e così via. Se non abbiamo una malattia infiammatoria ma le sostanze dell’infiammazione sono alte nel sangue, all’interno comunque di valori normali, ci si ammala di più di diverse patologie.  Berrino conferma che ci si ammala più di cuore e ci si ammala più di cancro in particolare. E anche i malati di cancro se hanno le citochine infiammatorie alte nel sangue hanno più facilmente delle recidive.

“E allora dobbiamo tenere bassa l’infiammazione e possiamo farlo con il cibo, ma possiamo farlo anche con la nostra mente”. La meditazione o la preghiera, ad esempio, sono efficaci. Tipicamente molte pratiche di meditazione si basano sul concentrarsi e fare attenzione, mantenendo una consapevolezza del proprio respiro. Rallentando la respirazione, si attiva il nervo vago, così si modifica il nostro sistema nervoso autonomo e si abbassa il livello di infiammazione.origin_3870

Sono stati fatti degli studi su chi recita i mantra della filosofia orientale, ma anche su chi prega. C’è un bellissimo studio che ha confrontato il mantra tibetano che si chiama Oṃ Maṇi Padme Hūm con le persone che recitano l’Ave Maria in latino (funziona di più che in italiano). In entrambi i casi si rallenta la frequenza del respiro e si sta concentrati su quel che si dice.

“Queste pratiche influenzano l’attivazione di quel che c’è scritto nei nostri geni, nel nostro DNA.” Vi sono studi che suggeriscono che le pratiche di controllo dello stress migliorano la prognosi di certi tumori. “Però è un campo che non ha ancora una grande solidità di ricerca”.

Sarà per colpa del papillon, che tra le altre cose adoriamo, ma ci è venuto in mente Luca Mercalli, che abbiamo incontrato qualche tempo fa a Torino, il quale ci ha detto che “Se continuiamo il business as usual, avremo bisogno dell’equivalente di tre terre al 2050 con nove miliardi e sei di umani. Non ci sono! Natura in bancarotta! Punto. L’alternativa è rientrare prima possibile nelle possibilità dell’unico pianeta che abbiamo che però imporranno una certa decrescita, volenti o nolenti”. Cosa pensa della decrescita felice, in particolare nel campo della sanità? Nei suoi anni di lavoro si è dovuto scontrare molto con l’idea che la sanità sia un business come tutti gli altri oppure no?

Il nome dell’associazione La grande via, creata dal dottor Berrino e il suo team, prende nome dal famoso libro “La rivoluzione del filo di paglia” di Fukuoka, il quale diceva che il giorno in cui avremmo ucciso l’ultimo albero e avvelenato l’ultimo fiume, ci accorgeremo che non possiamo vivere mangiando denaro.storia1-1

Il dottor Franco Berrino

Effettivamente – ci ricorda l’epidemiologo di Fornovo di Taro – il mondo è governato da leggi finanziarie che hanno un loro particolare percorso e che non rispettano l’ordine della natura. Pur non possedendo speciali competenze economiche, il dottor Berrino sa bene che nel campo della sanità, tutta la strategia delle istituzioni sanitarie è basata sull’aumentarne il mercato, basato sul modello della crescita economica.

“Più ci ammaliamo, più aumenta il PIL, più aumenta il lavoro dei medici e delle case farmaceutiche”. Stiamo parlando di spese non produttive, considerate non utili per l’umanità. Così “oggi il successo della medicina è legato al fatto che è bene ammalarsi sempre di più”.

“Ammalarsi e non morire, perché questa è la cosa fantastica. La medicina ha avuto dei successi meravigliosi negli ultimi quaranta-cinquant’anni con delle evoluzioni tecnologiche fantastiche, diagnostiche, farmacologiche e terapeutiche. Però si è arrivati al punto che grossomodo il 90% della popolazione anziana, oltre i 65 anni, prende quotidianamente medicine. Spesso più medicine, comprese quelle per contrastare gli effetti collaterali. Sono le medicine per la pressione, per le aritmie cardiache, per fluidificare il sangue, per il colesterolo, per i trigliceridi, per il diabete. Queste medicine sono molto efficaci effettivamente, nel senso che riescono a mantenere le persone in vita che altrimenti sarebbero morte di queste malattie. ”

Nel caso del cancro, vi sono dei nuovi farmaci che sono molto efficaci e non riescono a guarire la malattia: la trasformano, la cronicizzano e tengono più a lungo in vita il paziente. “E questa è la gallina dalle uova d’oro! Un qualcosa che costi molto cara e che sia moderatamente efficace. Efficace per mantenere in vita ma non per guarire. Questo è il principio del business dell’industria farmaceutica oggigiorno”.pills-lo-res-600x350

Continua così nel suo discorso, in un crescendo rossiniano in termini di efficacia e spunti di riflessione generati: “Dobbiamo invece renderci conto che possiamo benissimo decrescere, è sufficiente vivere in un modo diverso, mangiare in un modo diverso, fare più esercizio fisico, dare un po’ più spazio alla nostra vita mentale per non sviluppare la pressione alta, per non sviluppare il colesterolo alto, i trigliceridi alti, la glicemia alta, per ridurre il nostro rischio di ammalarci di cancro. Quindi la decrescita nel campo della sanità è la prevenzione. Eccome se possiamo decrescere! Siccome le istituzioni non hanno interesse per promuovere questa decrescita, dobbiamo farlo noi. E’ il piano B, dobbiamo occuparci noi della nostra prevenzione. Tutti possiamo fare qualcosa, occorre diffondere la consapevolezza. La consapevolezza che c’è una via alternativa a morire per malattia, possiamo benissimo diventare vecchi e morire sani”. Nessuno ci da la garanzia di non ammalarci, però si può ridurre moltissimo il rischio di ammalarsi.

“Il concetto di morire sani mi colpisce, perché ne parlo spesso nei convegni medici e i medici pensano che io sia suonato! Cos’è questa storia di morire sano? Tutti sappiamo che moriamo di malattia. E’ vero che generalmente moriamo di malattia, ma si può benissimo diventare vecchi e morire quando sarà la nostra ora senza esserci ammalati, senza avere trascinato la nostra famiglia in anni di dolore e di fatica per occuparsi dei nonni con l’Alzheimer, nonni paralizzati. Di tutte queste fatiche che comportano le malattie croniche. Viviamo sempre più a lungo ma viviamo anche in condizioni disastrose”.adult helping senior in hospital

L’esperienza nel Nepal

 

“Faccio spesso le mie vacanze camminando sui sentieri dell’Himalaya e vado in Nepal”. Ci informa che sono vacanze molto economiche: il costo principale è il viaggio per andare là però poi la vita in loco è poco costosa. La gente dei villaggi nelle montagne del Nepal, abitate fino ai 4.000 metri, si è adattata a ospitare le persone che passano, dando da mangiare ai forestieri.

“Il loro cibo tradizionale è di una bontà formidabile, come ad esempio il dal bhat con riso, piselli e lenticchie.” Ci mette al corrente che tale ricetta segue esattamente le raccomandazioni del Codice Europeo per la prevenzione dei tumori.

Inoltre “sei a 4.000 metri e sei circondato dagli 8.000 metri. E’ una splendida occasione per fare la meditazione camminata.” E’ quella insegnata da un monaco vietnamita che vive in Francia, Thich Nhat Hanh.  Egli insegna a meditare in qualunque nostra azione quotidiana. “Quando tu fai fatica a camminare mentre stai andando in salita con lo zaino sulle spalle, puoi essere estremamente concentrato: su quel che fai, sul tuo corpo, sulla fatica che stai facendo, sul tuo respiro. Questa è una cosa che libera la mente in un modo meraviglioso”.Newsgroups & Internet sharing 

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Sono tanti anni che va in Nepal, e ci va volentieri anche quest’anno. “C’è stato questo grande terremoto qualche tempi fa ed ho approfittato della popolarità che ho sviluppato in questi anni con le mie attività divulgative per raccogliere un po’ di fondi per aiutare i Nepalesi e per aiutare in particolare una struttura che è stata messa in piedi da un Fausto De Stefani, alpinista”. Ci informa così dell’attività di Fausto, il quale gestisce anche un centro a Solferino (VR) chiamato La Collina di Lorenzo: un bosco dedicato all’educazione ambientale, al rispetto ed alla conoscenza della natura. In Nepal ha creato una scuola e l’ha successivamente trasformata in un centro di assistenza per la gente bisognosa. Davvero lodevole l’iniziativa di Fausto e l’aiuto portato dal dottor Berrino che, in conclusione, ci confida che il suo piacere è quello “di andare in alta montagna per meditare sotto la protezione dei grandi esseri, le montagne meravigliose dell’Himalaya.”

Ringraziamo così il dottore per tanti motivi: per averci messo a disposizione il suo tempo e le sue conoscenze, per la voglia che mette nel diffondere e donare al mondo quel che negli anni ha scoperto grazie alla sua determinazione e capacità. Gli siamo grati soprattutto per averci fatto capire quanto e in che modo sia possibile scrivere un’altra storia nei nostri geni, e così nella nostra vita. Cambiare si può, basta solo volerlo.

Riprese: Fabio Dipinto di QQ.WeDo
Agente di Cambiamento: Alberto Paolillo

Si ringrazia la pasticceria Dezzutto  per lo spazio donatoci al fine di registrare l’intervista.

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2016/05/berrino-decrescita-sanita-prevenzione/

 

SERR 2016: “Beato chi lo sApp”; l’applicazione della Città Metropolitana di Torino per la buona raccolta differenziata

L’App aiuta a capire come fare una buona raccolta differenziata, da come trovare i luoghi di conferimento più vicini alla propria abitazione fino a scoprire che fine fanno i rifiuti dopo la raccolta differenziata.386116_1

Da sabato 19 a domenica 27 novembre prossimi si svolgerà l’ottava edizione della Settimana Europea per la Riduzione dei Rifiuti (Serr). la “settimana” è nata all’interno del programma Life+ della Commissione europea con l’obiettivo primario di sensibilizzare le istituzioni, gli stakeholder e i consumatori circa le strategie e le politiche di prevenzione dei rifiuti delineate dall’unione europea e che gli stati membri sono chiamati ad attuare; coinvolgendo il più possibile pubbliche amministrazioni, associazioni e organizzazioni no profit, scuole, università, imprese, associazioni di categoria e cittadini nel proporre azioni per prevenire o ridurre i rifiuti a livello nazionale e locale. Le iscrizioni all’edizione 2016 sono già aperte e fino a venerdì 4 novembre sarà possibile iscrivere le proprie azioni su uno o più dei seguenti temi:

– prevenzione e riduzione

– riuso e preparazione per il riutilizzo

– raccolta differenziata, selezione e riciclo

– Clean-Up Day

Il tema del 2016 sono gli imballaggi, tra riciclo ed eco-design. Ogni anno infatti la Serr propone un tema legato alla prevenzione dei rifiuti. Nel 2016 sarà la riduzione dell’impatto degli imballaggi, tramite la diminuzione, il riuso e il corretto riciclo degli stessi. L’edizione 2016 in Italia si svolge all’interno del programma LIFE+ della Commissione europea e con il contributo del Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare, di Conai e dei sei consorzi di filiera: Cial, Comieco, Corepla, Coreve, Ricrea e Rilegno.

Da sabato 19 a domenica 27 novembre prossimi si svolgerà l’ottava edizione della Settimana Europea per la Riduzione dei Rifiuti (Serr). la “settimana” è nata all’interno del programma Life+ della Commissione europea con l’obiettivo primario di sensibilizzare le istituzioni, gli stakeholder e i consumatori circa le strategie e le politiche di prevenzione dei rifiuti delineate dall’unione europea e che gli stati membri sono chiamati ad attuare; coinvolgendo il più possibile pubbliche amministrazioni, associazioni e organizzazioni no profit, scuole, università, imprese, associazioni di categoria e cittadini nel proporre azioni per prevenire o ridurre i rifiuti a livello nazionale e locale. Le iscrizioni all’edizione 2016 sono già aperte e fino a venerdì 4 novembre sarà possibile iscrivere le proprie azioni su uno o più dei seguenti temi:

– prevenzione e riduzione

– riuso e preparazione per il riutilizzo

– raccolta differenziata, selezione e riciclo

– Clean-Up Day

Il tema del 2016 sono gli imballaggi, tra riciclo ed eco-design. Ogni anno infatti la Serr propone un tema legato alla prevenzione dei rifiuti. Nel 2016 sarà la riduzione dell’impatto degli imballaggi, tramite la diminuzione, il riuso e il corretto riciclo degli stessi. L’edizione 2016 in Italia si svolge all’interno del programma LIFE+ della Commissione europea e con il contributo del Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare, di Conai e dei sei consorzi di filiera: Cial, Comieco, Corepla, Coreve, Ricrea e Rilegno.386116_2

La Città Metropolitana di Torino, sin dal 2009 quando era ancora Provincia, ha partecipato alla Settimana. Nel 2014, in occasione della Settimana e all’interno di una campagna di sensibilizzazione sulla raccolta differenziata dei rifiuti, ha realizzato un’APP in collaborazione con il Csi Piemonte che si chiama “BEATO CHI LO SAPP”, scaricabile sia per Android che per IOS, che aiuta a capire come fare una buona raccolta differenziata, dove trovare i luoghi di conferimento più vicini alla propria abitazione; come trovare distributori alla spina e negozi dove acquistare senza imballaggi o abbigliamento/oggetti di recupero; scoprire che fine fanno i rifiuti dopo la raccolta differenziata e ricordare i giorni di raccolta porta a porta

Per scaricare l’app clicca qui

Per iscriversi alla Settimana Europea per la Riduzione dei Rifiuti (Serr) clicca qui

Fonte: ecodallecitta.it

Franco Berrino, cibo e tumori: “la prevenzione è la decrescita”

Dal biologico al veganesimo, passando per la meditazione e la decrescita. Una meravigliosa testimonianza di chi ha cambiato l’approccio allo studio sui tumori, concentrandosi sulla loro prevenzione. Vi proponiamo la nostra intervista al dottor Franco Berrino.

Alberto, nuovo agente di cambiamento, ha realizzato il suo sogno: incontrare il dottor Franco Berrino. Di certo molti di voi lo conosceranno già, magari grazie all’intervista fattagli qualche anno fa dalle Iene. Lo abbiamo intervistato, sorseggiando un tè presso una nota pasticceria di Torino.

“La cosa principale che ho fatto nella mia vita è stata lavorare all’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano, per ben quarant’anni”. Berrino si è concentrato, in particolare, sul capire come “cambiare l’alimentazione al fine di cambiare il nostro ambiente interno, in modo che le eventuali cellule tumorali non si riproducano”. Dopo vari anni di studio è giunto alla conclusione che modificando lo stile di vita è possibile ridurre l’incidenza delle patologie.

Il Codice europeo contro il cancro: pesce, latticini, carni rosse

Il Codice Europeo ha confermato le raccomandazioni del Fondo Mondiale per la ricerca sul cancro e, così come per il pesce, non si trovano al suo interno indicazioni sui latticini. “Io avrei voluto ci fossero”, in quanto negli studi da lui portati avanti negli anni, “si trova una protezione da pesce”. Vi sono delle ottime ricerche che dimostrano che “chi muore di meno è chi ha una dieta prevalentemente vegetale, ma con un po’ di pesce”.

Il pesce è diventato l’unica fonte di omega3 nella nostra alimentazione. “Gli omega3 sono molto importanti, sono grassi molto liquidi. L’olio di pesce è ancora più liquido degli oli vegetali”. Sono anche anti-infiammatori. Altri studi, tuttavia, non hanno trovato nessuna protezione da pesce e quindi non si è data nessuna raccomandazione. “Anche perché il pesce è molto inquinato, abbiamo avvelenato il mare”.

Passiamo così a parlare del ruolo assunto nelle diete occidentali da parte delle carni rosse. Gli chiedo se secondo lui il danno causato dalla loro assunzione sia dovuto anche al modo in cui, solitamente, alleviamo gli animali oggigiorno.

“È possibile, però il rischio di cancro da carni rosse è legato intrinsecamente alla loro natura”.
Il motivo è dato dalla ricchezza di ferro da un lato e la ricchezza di grassi saturi dall’altro. “Possiamo ribellarci al modo in cui vengono allevati gli animali per questioni etiche ma non tanto perché sia il modo di allevarli che li fa divenire nocivi”.valentis-Butcher-s-Counter

“Io non ho niente contro la carne, ogni tanto la mangio anch’io magari un paio di volte all’anno – prosegue il dottore dal tipico variopinto papillon – il problema è proprio la frequenza con cui noi mangiamo proteine animali; c’è questo mito delle proteine”.

Oggi i nostri bambini sono esageratamente nutriti, mangiano tre/quattro volte le proteine di cui hanno bisogno. A scuola gli si da proteine animali tutti i giorni: carni rosse, carni bianche, il formaggio, l’uovo, il pesce. “L’eccesso di proteine nelle diete è una delle principali cause dell’epidemia di obesità che c’è nella nostra popolazione”. Più proteine si mangiano, più è facile diventare obesi. Diversa è la situazione per la produzione del latte. “Il latte di oggi è molto diverso da quello di una volta”. Una volta le mucche facevano 10 litri di latte quando mangiavano l’erba. “Adesso non si può più dare l’erba alle mucche, farebbero soltanto 10 litri di latte. Bisogna darle molte più proteine affinché riescano a produrre 40/50 litri di latte al giorno. Addirittura negli Stati Uniti ci sono degli allevamenti dove producono 100 litri di latte al giorno”.

Il biologico e il veganesimo

“Fidiamoci del biologico ma non fidiamoci dei supermercati del biologico, perché nei supermercati del biologico si vendono delle porcherie”. Si vende per esempio lo zucchero bianco e a velo biologico. “Che cos’è? Lo zucchero è una sostanza chimica pura. Fa male anche se è biologico”.

Gli chiedo cosa pensa di chi decide di intraprendere la strada del veganesimo. “È un bene da un lato, però bisogna stare attenti; bisogna essere colti per diventare vegani. Vi sono dei vegani che mangiano malissimo: bevande zuccherate, whisky, farine raffinate e così via. Vegano sì, ma con attenzione”.storia1

Franco Berrino

 

L’importanza della salute psichica

“Vi sono sempre più dati che dimostrano quanto la nostra vita mentale e spirituale influenzi il rischio di ammalarsi”. Oggi con le nuove tecniche della biologia molecolare, si è stati in grado di dimostrare che “chi ha una pratica di meditazione modifica l’attività di certi geni”. Si può così spegnere l’attività dei geni che aumenta l’infiammazione.

“E allora dobbiamo tenere bassa l’infiammazione e possiamo farlo con il cibo, ma possiamo farlo anche con la nostra mente”. La meditazione o la preghiera, ad esempio, sono efficaci. Tipicamente molte pratiche di meditazione si basano sul concentrarsi e fare attenzione, mantenendo una consapevolezza del proprio respiro. Rallentando la respirazione, si attiva il nervo vago, così si modica il nostro sistema nervoso autonomo e si abbassa il livello di infiammazione. “Queste pratiche influenzano l’attivazione di quel che c’è scritto nei nostri geni, nel nostro DNA”.

La prevenzione è la decrescita

Le parole del professor Berrino sono chiare, semplici, efficaci ed anche spietate a riguardo. “Più ci ammaliamo, più aumenta il PIL, più aumenta il lavoro dei medici e delle case farmaceutiche”. Stiamo parlando di spese non produttive, considerate non utili per l’umanità. Così “oggi il successo della medicina è legato al fatto che è bene ammalarsi sempre di più”.

“Ammalarsi e non morire, perché questa è la cosa fantastica. La medicina ha avuto dei successi meravigliosi negli ultimi quaranta-cinquant’anni con delle evoluzioni tecnologiche fantastiche, diagnostiche, farmacologiche e terapeutiche. Però si è arrivati al punto che grossomodo il 90% della popolazione anziana, oltre i 65 anni, prende quotidianamente medicine”.

Nel caso del cancro, vi sono dei nuovi farmaci che sono molto efficaci e non riescono a guarire la malattia: la trasformano, la cronicizzano e tengono più a lungo in vita il paziente. “E questa è la gallina dalle uova d’oro! Un qualcosa che costi molto cara e che sia moderatamente efficace. Efficace per mantenere in vita ma non per guarire. Questo è il principio del business dell’industria farmaceutica oggigiorno”.

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Oggi circa il 90% della popolazione anziana, oltre i 65 anni, prende quotidianamente medicine

 

Continua così nel suo discorso, in un crescendo rossiniano in termini di efficacia e spunti di riflessione generati: “Dobbiamo invece renderci conto che possiamo benissimo decrescere; è sufficiente vivere in un modo diverso, mangiare in un modo diverso, fare più esercizio fisico, dare un po’ più spazio alla nostra vita mentale per non sviluppare la pressione alta, per non sviluppare il colesterolo alto, i trigliceridi alti, la glicemia alta”.

Passa così a rispondermi alla domanda sulla decrescita. Sono effettivamente impaziente di sapere qual è la sua opinione a riguardo. “La decrescita nel campo della sanità è la prevenzione. Eccome se possiamo decrescere! Siccome le istituzioni non hanno interesse per promuovere questa decrescita, dobbiamo farlo noi. E’ il piano B, dobbiamo occuparci noi della nostra prevenzione. Tutti noi possiamo fare qualcosa, occorre diffondere la consapevolezza. La consapevolezza che c’è una via alternativa a morire per malattia, possiamo benissimo diventare vecchi e morire sani. Nessuno ci da la garanzia di non ammalarci, però si può ridurre moltissimo il rischio di ammalarsi”.

Ancora una volta trovo dimostrazione che il cambiamento, nelle sue eterogenee sfaccettature, porta con sé una radice comune. Da chi si occupa di alimentazione a chi si occupa di economia, da chi si occupa di agricoltura a chi lavora nella cultura: alla base v’è sempre una stessa linea, una stessa visione comune. Oggi il dottor Franco Berrino è in pensione, e si occupa di diffondere le conoscenze che ha sviluppato nel corso degli anni. Per questo ha fondato l’associazione La grande Via, intesa come l’unione di tre percorsi: la via del cibo, la via del movimento come esercizio fisico e cambiamento delle nostre abitudini, e la via spirituale della meditazione. “Sono tre strade con cui possiamo scrivere sui nostri geni, accendendoli o spegnendoli. Possiamo così scrivere il nostro destino di salute o di malattia”.

Ringraziamo così il dottore per tanti motivi: per averci messo a disposizione il suo tempo e le sue conoscenze, per la voglia che mette nel diffondere e donare al mondo quel che negli anni ha scoperto grazie alla sua determinazione e capacità. Gli siamo grati soprattutto per averci fatto capire quanto e in che modo sia possibile scrivere un’altra storia nei nostri geni, e così nella nostra vita. Cambiare si può, basta solo volerlo.

 

Riprese: Fabio Dipinto di QQ.WeDo 

Agente di Cambiamento: Alberto Paolillo

 

Si ringrazia la pasticceria Dezzuto per lo spazio donatoci al fine di registrare l’intervista 

 

Fonte:  http://www.italiachecambia.org/2016/04/io-faccio-cosi-115-franco-berrino-cibo-tumori-prevenzione-decrescita/

 

Prevenzione rifiuti e spreco di cibo: due bandi del Ministero dell’Ambiente

Stanziati oltre 1 milione di euro per contributi a progetti già avviati o finanziati dalla UE contro lo spreco alimentare e prevenzione rifiuti. Lotta allo spreco di cibo e riduzione dei rifiuti al centro dell’attenzione italiana e europea381635

Due bandi per due “cause madre”. Il Ministero dell’Ambiente ha stanziato oltre un milione di euro per due bandi (513.475, 22 euro ciascuno) per combattere lo spreco di cibo e mettere in atto azioni concrete per la prevenzione e riduzione dei rifiuti. Il bando pubblico Rifiuti seleziona “progetti di riduzione e prevenzione della produzione e nocività dei rifiuti” e si rivolge a soggetti pubblici e privati (senza scopo di lucro) per azioni aggiuntive e funzionali a progetti e programmi “già finanziati in quota parte dall’Unione Europea (…) con priorità alle azioni di innovazione e di informazione, sensibilizzazione e comunicazione”; i progetti che si collocheranno ai primi posti della graduatoria potranno ricevere contributi, per un importo massimo di 171.158 euro, fino all’esaurimento dei fondi stanziati.
Il bando pubblico Prevenzione e Spreco Alimentare – che prevede un solo vincitore- seleziona “progetti di riduzione e prevenzione della produzione dei rifiuti” e si rivolge, nello specifico, a Università Statali nazionali che hanno già avviato “progetti e programmi inerenti la prevenzione dello spreco alimentare, con priorità alle azioni di ricerca, innovazione, applicazione e di informazione, sensibilizzazione, educazione, formazione e comunicazione”. Si ha tempo fino al il 14 febbraio 2015 per inoltrare le domande al Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare. Le graduatorie dei progetti ammessi saranno pubblicate sul sito del Ministero entro 45 giorni dalla scadenza del bando. Di spreco di cibo e riduzione dei rifiuti se ne parla, in Italia e a livello europeo, più spesso come temi strettamente correlati l’uno all’altro e non solo grazie al “megafono” Expo 2015. Lo spreco alimentare, infatti, così come aveva dichiarato il ministro dell’Ambiente Gianluca Galletti “ è una delle forme eticamente più odiose della produzione di rifiuti perché innesca un consumo di risorse inutile, dannoso e riprovevole a fronte della carenza di cibo di cui soffrono ampie aree del mondo” ed è al centro delle politiche europee con un programma a lungo termine al fine di istituire un’azione congiunta di tutti i paesi europei per raggiungere alcuni traguardi “possibili”: è del gennaio 2012 la Risoluzione approvata dal Parlamento europeo “Come evitare lo spreco di alimenti: strategie per migliorare l’efficienza della catena alimentare” rimasta però a tutt’oggi ancora senza risposta e rilanciata, lo scorso aprile 2014, da un documento – a firma diPaolo De Castropresidente della Commissione Agricoltura e Andrea Segrè, presidente di Last Minute Market e coordinatore del PINPAS, il Piano nazionale di Prevenzione dello spreco alimentare di cui l’Italia si è recentemente dotata – per l’istituzione nel 2016 dell’Anno Europeo contro lo spreco alimentare (dando seguito agli input di Expo) con l’obiettivo di dimezzare lo spreco alimentare in Europa entro il 2025.  Anche la SERR, settimana europea per la riduzione dei rifiuti (di cui Eco dalle Città è promotrice insieme a Ministero dell’Ambiente, Federambiente, Provincia di Torino, Provincia di Roma, Legambiente, AICA, ANCI, E.R.I.C.A. Soc. Coop. ) ha scelto lo spreco alimentare come tema per l’ultima edizione di novembre 2014 . Attraverso il coinvolgimento delle Pubbliche Amministrazioni, Associazioni e Organizzazioni no profit, Scuole e Università, Imprese, Associazioni di categoria e Cittadini, vengono proposte azioni locali e nazionali per la riduzione dei rifiuti con lo scopo di sensibilizzare le Istituzioni e i consumatori circa le strategie e le politiche di prevenzione dei rifiuti messe in atto dall’Unione Europea che gli Stati membri devono perseguire. Sul tema spreco di cibo e infanziaEco dalle Città ha recentemente avviato il concorso “Formichine salvacibo” rivolto alle scuole primarie di Milano coinvolte in una gara a premio per la migliore scuola che si distinguerà per azioni pratiche e riflessioni sul tema dello spreco alimentare in generale e soprattutto nelle mense scolastiche.

Fonte: ecodallecitta.it

Il mondo del riuso italiano a confronto con il resto d’Europa. Bellezze e stranezze

La cronaca e le riflessioni di Antonio Castagna, esperto di educazione ambientale e autore del libro “Tutto è monnezza”,dal confronto europeo svoltosi a Roma, il 13 e il 14 giugno, “L’Europa del riuso”379545

di Antonio Castagna

Il mercato dell’usato è importante per l’ambiente. Consente di ampliare la durata dei beni che, passando di mano in mano, ritrovano una nuova vita. Consente anche significativi risparmi al consumatore che paga il valore d’uso e risparmia il versamento dell’obolo alla ricerca di status connessa spesso all’acquisto del nuovo. Inoltre favorisce la gestione del ciclo dei rifiuti, ritardando il tempo in cui il bene dovrà essere distrutto, per riciclarne i materiali, oppure per seppellirlo in discarica o dentro un inceneritore. Il mercato dell’usato fa tutto questo in autonomia, senza pesare sulle casse dello Stato, in una dinamica totalmente autorganizzata. Eppure è un mercato di cui si occupano pochissimo i media, la politica, e lo stesso ambientalismo fatica a considerarne le valenze. Strano, dal momento che occupa 80.000 persone in Italia e mette in moto un mercato da 3 miliardi di euro, coinvolgendo, in qualità di consumatori, quasi la metà degli italiani come nel 2013, anno in cui quasi un cittadino su due ha acquistato almeno un oggetto usato.
A Roma, il 12 e 13 giugno gli operatori dell’usato riuniti nell’associazione Operatori Nazionali dell’Usato, www.reteonu.org, hanno organizzato due giorni di incontro sul tema “L’Europa del riuso”. Obiettivi dell’incontro erano confrontare situazioni italiane ed europee, esplorare difficoltà e possibilità del settore e favorire un confronto con le istituzioni che sul mercato dell’usato e sui temi ambientali hanno un ruolo. I dati a disposizione per sostenere il valore ambientale dell’attività di riuso cominciano a essere una mole importante. L’Unione europea ha messo il riuso al secondo posto nella gerarchia di azioni rispetto al tema dei rifiuti. Al primo posto c’è la prevenzione, al terzo il riciclaggio, poi l’incenerimento e infine la discarica. Ma a tutto questo non seguono azioni necessariamente coerenti. Ad esempio, mentre ha indicato degli obiettivi di riciclaggio, l’UE non ha dato obiettivi di riuso. Così è possibile che le Fiandre, in Belgio, indichino in 5 kg a persona la quantità di oggetti da salvare ogni anno, definendo delle azioni e un budget a disposizione, mentre in Italia, il Piano Nazionale di Prevenzione dei rifiuti dà come indicazione generale la promozione dei centri di riuso permanente, ma senza dire cosa siano, come funzionino, cosa devono fare.

Antonio Conti, portavoce di Reteonu cita uno studio dell’European Environmental Bureau, che ipotizza che nei prossimi anni nei settori del riuso potranno nascere in Europa almeno 800.000 posti di lavoro nuovi. Un sesto dell’attuale disoccupazione giovanile in Europa. In Belgio i centri di riuso funzionano, anche perché ogni 2,5 euro di merce usata venduta, lo Stato ci mette 7,5 euro. Reteonu non chiede questo, perché tanto in Italia il mercato dell’usato è florido, non serve drogarlo. I problemi sono altri. Ad esempio il fatto che non esiste nemmeno la possibilità di iscriversi alla Camera di Commercio, o di chiedere una partita iva. Quelli che svolgono questo lavoro in regola sono intermediari, quindi persone che ritirano un bene da privati e lo rivendono a privati. Il ricavo viene diviso a metà. Oppure sono cooperative sociali che hanno come scopo principale l’inserimento di lavoratori svantaggiati, non la vendita. Benché alcune cooperative, come “Insieme” a Vicenza, “Mattarenetta” a Verona, abbiano avuto la capacità di crearsi un mercato e generare una significativa circolazione di beni usati. In mancanza di dati certi da parte delle Camere di commercio, il dato degli 80.000 lavoratori è frutto di una stima, così come i dati sui quantitativi di merce rimessa in circolazione. E perlopiù sono frutto delle analisi condotte dal Centro Studi Occhio del Riciclone. Le tonnellate sottratte alla discarica e ad altre forme di distruzione sono tante, 22.000 tonnellate solo la rete dei 210 punti vendita della rete Mercatino srl nel 2012, ed è per questo che la Reteonu – di cui fanno parte terzisti in conto vendita, rigattieri, mercatari e cooperative, sociali e non – ha provato a scrivere una legge per il riordino del settore, dialogando da anni con i vari Ministri che si sono susseguiti. Qualcuno di loro ha mostrato più attenzione di altri ma alla fine il fatto è che i ministri passano e del riordino non si viene a capo. Gli enti locali da parte loro fanno quello che possono. La Provincia di Vicenza ha favorito l’attività di commercio dell’usato della cooperativa “Insieme”, autorizzando la cosiddetta “preparazione al riutilizzo”, cioè la possibilità di rimettere in circolazione beni che i cittadini consegnano agli ecocentri benché abbiano ancora valore. A dire il vero la “preparazione al riutilizzo” è una possibilità contenuta nella direttiva europea 2008/98 CE, fatta propria dall’Italia con la legge 205 del 2010, solo che la legge è ancora priva di effetti pratici per via della mancanza dei decreti attuativi. A differenza della Provincia di Vicenza, la Provincia di Roma, da quanto riferisce un suo dirigente presente all’incontro di Testaccio, “ha iniziato con un’attività tesa a far sì, rispettivamente per quanto concerne le competenze di quei soggetti deputati…” e così via, che però non è che abbia ben capito cosa è tesa a far sì la Provincia di Roma. A un certo punto della relazione emerge che si tratta di “azioni di programmazione volte a creare un quadro”, ma anche quest’ultimo spunto mi lascia privo di chiari riferimenti onde consentire a me e alla gentile platea presente al Testaccio di comprendere che cosa stia architettando la solerte Provincia capitolina. In Europa esistono altri esempi interessanti. Ad esempio, in Francia, la rete Envie, rivende ogni anno 80.000 apparecchi di elettronica di consumo, con un anno di garanzia, garantendo 2000 posti di lavoro, grazie a un accordo quadro con uno dei consorzi di recupero. Paolo Ferraresi, della rete Reuse, composta da 25 membri, in Europa e Stati Uniti, che danno lavoro a 77000 persone, ha raccontato che da uno studio Microsoft si ricava che 1000 tonnellate di rifiuti elettronici portati in discarica producono 1 posto di lavoro. 15, se portati a riciclaggio. 200 se riutilizzati. E in effetti a conferma, Michal Len, sempre di Reuse, ha presentato un’analisi dalla quale emerge che il 25% dei rifiuti elettronici nel Regno Unito è perfettamente funzionante.
Altri enti locali in Italia hanno cominciato a pensare ai centri di riuso. C’è quello famoso di Capannori, in Toscana, e i 6 delle Marche. Ma incredibilmente, questi enti locali, invece di favorire strutture e organizzazioni che esistono già, e fanno per mestiere il commercio dell’usato, si sono inventati che i beni devono essere ceduti esclusivamente a titolo gratuito, affidando i centri di riuso al volontariato. Il risultato è che mentre cooperativa “Insieme” di Vicenza movimenta circa 650 tonnellate all’anno di beni, di Mano in Mano, cooperativa con sede a Milano, arriva a 1400 tonnellate ogni anno, mentre a Capannori ne movimentano poco più di 13 tonnellate. E il totale dei centri di riuso delle Marche arriva a 47. Nemmeno la metà di un negozio in conto terzi gestito, come è abbastanza tipico, da una famiglia composta da marito, moglie e figlio o figlia. Quello che emerge dalle azioni delle istituzioni locali e nazionali è una gigantesca sottovalutazione delle competenze degli operatori, un approccio ideologico secondo il quale il volontariato o le cooperative sociali sono meglio dei privati. Cosa che a volte è vera, spesso è semplicemente una stupidaggine.
Reteonu ha puntato molto sulla valenza ambientale del commercio dell’usato. Negli ultimi anni sono diverse le analisi sul risparmio di Co2, dovute al commercio dell’usato, così come sono tante le analisi sul valore economico del settore. Eppure niente sembra scalfire l’inerzia delle istituzioni, neanche il dato che il fatturato di eBay 75 miliardi di dollari nel 2013, sia più alto di quello di Amazon, circa 61 miliardi di dollari.

Fonte: ecodallecittà.it

Spreco alimentare, al via i lavori per la costituzione del PINPAS

Mercoledì 5 febbraio a Roma la prima assemblea degli Stati Generali della prevenzione dello spreco alimentare in Italia, in vista dell’elaborazione del Pinpas, il Piano nazionale di prevenzione dello spreco alimentare di cui si doterà l’Italia nella prossima primavera378035

Per la prima volta l’Italia affronta in modo organico il problema degli sprechi alimentari. Fao, Confagricoltura, Confcommercio, Last minute market, Banco Alimentare, Slow Food, Acli, Caritas, Federcomsumatori, Coldiretti, Expo e poi le aziende italiane coinvolte nel tema, da Alcenero a Barilla, da Granarolo a Whirlpool, da Coop a Conad, sono solo alcuni degli oltre cento soggetti che aderiscono agliStati Generali di prevenzione dello spreco alimentare in Italia, convocati su iniziativa del Ministero dell’Ambiente mercoledì 5 febbraio a Roma al Tempio di Adriano.
Enti, associazioni, organizzazioni e imprese: sono pressoché al completo gli attori della filiera agroalimentare italiana e le organizzazioni attive nella lotta agli sprechi che interverranno per esprimere proposte, indicazioni e buone pratiche propedeutiche all’elaborazione del Pinpas, il Piano nazionale di prevenzione dello spreco alimentare di cui si doterà l’Italia nella prossima primavera, in sintonia con quanto indicato dalla Commissione Europea nella tabella di marcia verso un’Europa efficiente nell’impiego delle risorse.  I lavori, alla presenza del Ministro dell’Ambiente Andrea Orlando e del Sottosegretario alle Politiche Agricole e delegato all’Expo Maurizio Martina, saranno introdotti e coordinati dal presidente di Last Minute Market Andrea Segrè. Interverranno alcuni componenti del Gruppo di lavoro del Pinpas: la scrittrice Susanna Tamaro, lo scienziato Vincenzo Balzani, lo scrittore e attore Giobbe Covatta. Il Pinpas, Piano nazionale di prevenzione dello spreco alimentare, è stato inserito nell’ambito del Piano Nazionale di Prevenzione dei Rifiuti. Il Pinpas ambisce a produrre soluzioni concrete ed efficaci in termini di riduzione alla fonte della quantità di cibo che finisce tra i “rifiuti” sul breve, medio e lungo periodo. Alla vigilia dell’incontro, Massimiliano Dona, Segretario generale dell’Unione Nazionale Consumatori ha sottolineato come la crisi abbia rimpicciolito i carrelli della spesa degli italiani, ma i bidoni della spazzatura non accennino a svuotarsi. «Ci troviamo davanti ad un corto circuito culturale -afferma Dona- per cui le famiglie sono costrette a consumare di meno per far quadrare i bilanci, eppure ogni anno circa 6 milioni di tonnellate di cibo finiscono nella spazzatura; d’altra parte, quello che mangiamo è sempre più spesso, concedetemi il gioco di parole, cibo spazzatura». Secondo il Segretario dell’Unione Consumatori, però non sono i consumatori gli unici responsabili degli sprechi, anche se una loro maggiore consapevolezza non guasterebbe. «Nelle inefficienze dell’intera filiera si perdono risorse economiche ed ecologiche – conclude Dona – Per questo, confidiamo nella riuscita di questa task force contro lo spreco che coinvolge tutti i soggetti del mercato, affinché sia possibile  predisporre degli interventi mirati per razionalizzare le produzioni ed educare i cittadini al consumo sostenibile».

 

Fonte: ecodallecittà

Nuovo piano prevenzione rifiuti, il ministero per l’Ambiente contro gli sprechi con Segré

Abbiamo dal 7 ottobre il Programma Nazionale di Prevenzione dei Rifiuti partendo anche dagli sprechi alimentaririfiuti-620x350

Come evitare di produrre rifiuti? Per rispondere a questa domanda nasce il Programma Nazionale di Prevenzione dei Rifiuti il cui limite per la presentazione era fissato al 12 dicembre 2013 e redatto sulla base delle linee guida contenute nel Piano europeo. Il che però porta a avere un mese di tempo per le Regioni per recepirlo. Come quantificare la diminuzione dei rifiuti? Rapportandole al PIL: ovvero riduzione del 5% dei rifiuti per unità di PIL. Dovranno diminuire dunque il 5% dei rifiuti urbani per unità di Pil e il 10% dei rifiuti pericolosi per unità di Pil.

In pratica come spiega lo stesso Minambiente:

Il Programma fissa obiettivi il cui scopo è dissociare la crescita economica dagli impatti ambientali connessi alla produzione dei rifiuti

E in tal senso nasce una task force con Andrea Segrè per gestire la lotta allo spreco alimentare.

Grande attenzione viene rivolta alla produzione sostenibile e al Green Public Procurement per le pubbliche amministrazioni e al riutilizzo.

Dice Orlando:

il Piano pone la prevenzione al vertice e ha un grande significato economico. Il Miur va chiamato in causa per due questioni diverse: la prima per le innovazioni e poi in tema di ricerca (imballaggi, bioplastiche ecc.).

fonte: Ministero per l’Ambiente, Meridiana Notizie

“Preveniamo gli incendi”, parte la campagna

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Gli incendi si combattono prima di tutto con la prevenzione. Per questo motivo Vas Onlus (Verdi Ambiente e Società), Cia (Confederazione Italiana Agricoltori) e Federconsumatori, come ogni estate, ripropongono la campagna “Preveniamo gli incendi”. Due gli obiettivi della campagna: sensibilizzare l’opinione pubblica al rispetto e alla difesa dell’ambiente e accendere un faro sul ruolo degli agricoltori e degli ambientalisti come “guardiani” del territorio per combattere fuoco e disastri. Il patrimonio boschivo italiano è un “serbatoio” di ossigeno e di biodiversità che va tutelato. Per questo motivo Vas, Cia e Federconsumatori invitano i cittadini a segnalare: zone degradate, cigli stradali e ferroviari non ripuliti da sterpaglie, aree agricole incolte, presenza di discariche abusive. I promotori della campagna invitano i cittadini a seguire delle precise regole: non accendere fuochi fuori dalle aree attrezzate; non gettare mozziconi di sigarette o fiammiferi ancora accesi; prima di parcheggiare l’auto accertarsi che la marmitta non sia a contatto con l’erba secca; non abbandonare rifiuti nei boschi; non bruciare, senza le dovute misure di sicurezza, le stoppie, la paglia e altri residui agricoli. L’impegno degli agricoltori e degli ambientalisti per la prevenzione degli incendi è uno strumento in più a supporto del lavoro del Corpo Forestale dello Stato e dei Vigili del Fuoco, soprattutto nei mesi estivi quando l’assenza di piogge e il caldo torrido favoriscono lo scoppio e l’espansione delle fiamme per chilometri e chilometri di vegetazione. Incendi, tra l’altro, causati spesso da veri e propri “piromani killer”, o comunque riconducibili a origini dolose legate alla speculazione edilizia oppure all’incuria e alla disattenzione dell’uomo. L’iniziativa “Previamo gli incendi” si svolge col patrocinio della Comunità Europea-Uffico di Roma, del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, del Corpo Forestale dello Stato e Corpo Nazionale Vigili del fuoco; delle Regioni Abruzzo, Calabria e Campania; gli Enti Parco delle Foreste Casentinesi Monte Falterona e Campigna, dei Monti Sibillini, del Circeo, delle Dolomiti Bellunesi, del Cilento e Vallo del Diano, dello Stelvio, dell’Alta Murgia, del Vesuvio e dell’Abruzzo Lazio e Molise.

Fonte: il cambiamento