Calanchi del Marchesato: fra le dune di Pasolini salvate da una discarica

Nell’area interna di Cutro (Crotone) esiste una vasta distesa di calanchi che è stata salvata due anni fa da un progetto di discarica. Adesso c’è un’associazione – Calanchi del Marchesato – che la valorizza e tutela.

CrotoneCalabria – «Questa strada è quella che due anni fa facemmo assieme ad Alessia quando venimmo a conoscenza del progetto di una discarica in questo posto». A parlare è Domenico Colosimo, presidente dell’associazione Calanchi del Marchesato, mentre ci incamminiamo su una strada interna e ci lasciamo alle spalle le ultime case di Cutro, paese in provincia di Crotone. Stiamo andando verso una distesa di calanchi, in un’area dove l’erosione delle acque sul terreno argilloso ha agito per milioni di anni creando un paesaggio lunare. Sono famosi quelli della Basilicata, meno conosciuti quelli calabresi, in particolare quelli dove mi trovo in questo momento. «Non avevamo ben chiaro cosa ci fosse qui – continua Domenico – ma quando arrivammo vedemmo uno spettacolo di cui non eravamo assolutamente a conoscenza».

Neanche io, mi dico mentre faccio correre lo sguardo a destra e a sinistra. Le dune si susseguono una dopo l’altra illuminate da qualche raggio di sole sparso e neanche il vento di fine inverno sembra riuscire a scuoterle. Stanno lì, a parlarti con la loro storia di milioni di anni. Sono i luoghi che Pasolini scelse per alcune scene del suo film “Il Vangelo secondo Matteo”, definendo questa parte della Calabria “più palestinese della Palestina”.

Comprendo subito la spinta di tutte quelle persone che, mi spiega Domenico, decidono di mobilitarsi per impedire la costruzione della discarica. Il progetto della discarica era nato nel 2018 all’interno dell’ATO di Crotone (Ambito Territoriale Ottimale, ovvero territori su cui sono organizzati servizi pubblici integrati), che si occupava della gestione dei rifiuti, ed era legato all’amministrazione di Roccabernarda, un comune limitrofo a quello di Cutro, e che in parte comprende anche i calanchi e la porzione di terra dove si sarebbe dovuta allocare la discarica. «Un’idea assurda, anche pensando al fatto che a pochi chilometri da qui c’è già una delle discariche più grandi del Sud, quella della Sovreco», che si trova a Crotone, a pochi chilometri da Cutro. Così un gruppo di cittadini, provenienti anche dall’associazionismo, inizia a riunirsi per capire come impedire quel progetto: «Iniziammo a parlare di tutto questo con dei gruppi di persone sensibili a questioni legate al territorio e decidemmo di lottare per preservare questo luogo con un’idea propositiva, invece che di contrapposizione». In breve tempo, il movimento riesce ad avereun’interlocuzione anche con le istituzioni coinvolte nel progetto di discarica, in particolare l’amministrazione di Roccabernarda, paese a 20 chilometri da Cutro, che si dimostra sensibile sul tema.

I calanchi del Marchesato non godono di alcun riconoscimento ufficiale, anche se l’associazione mira a realizzare un Parco

Ed è proprio grazie a queste riunioni partecipate e alla mobilitazione dal basso se il pericolo di una discarica in quei luoghi viene scongiurato e i calanchi del Marchesato iniziano a diventare un luogo da vivere. C’era già chi li conosceva, ma effettivamente mancava una consapevolezza del territorio sull’importanza di questo patrimonio naturalistico, storico e paesaggistico. Così il movimento diventa un’associazione di promozione sociale e inizia ad approfondire la storia di questo posto, solcato dalle vie che fino a pochi decenni fa erano usate per collegare l’interno crotonese con la costa. Ne traccia i sentieri e dà vita a iniziative volte a farlo conoscere e a tutelarlo, come giornate di raccolta dei rifiuti organizzate con scolaresche ed escursioni, eventi culturali.

Al momento, i calanchi del Marchesato non godono di alcun riconoscimento ufficiale, anche se l’associazione mira a realizzare un Parco dei Calanchi del Marchesato e sta già lavorando in questa direzione con l’Università della Calabria, consapevole che maggiore riconoscimento significhi anche tutela da progetti invasivi e distruttivi per il territorio.

Nel frattempo, il prossimo passo è dietro l’angolo: il 9 aprile l’associazione promuoverà una passeggiata fra i calanchi, con musica, reading e teatro a tema Pasolini. Lo scrittore era passato nei primi anni ‘60 da questi luoghi nel corso di un suo viaggio lungo tutte le coste italiane e, una volta arrivato sul litorale di Cutro, aveva deciso di girare verso l’interno. E alla vista dei calanchi aveva detto: «Il posto che più mi impressiona di tutto il viaggio: sembrano dune immaginate da Kafka».

Fonte: https://www.italiachecambia.org/2022/03/calanchi-del-marchesato-discarica/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

La tecnologia schiava del profitto non ci salverà. Inevitabile il ritorno alla terra

Il mondo attuale, cloroformizzato dalla potenza e meraviglia tecnologica, pensa di eludere limiti e leggi naturali utilizzando la terra come una discarica. Ma è solo un’illusione…

Più la tecnologia avanza e ci fa vedere cose strabilianti, più pensiamo che qualsiasi problema verrà risolto e, se non verrà risolto, potremo sempre andare su Marte. I fanatici di tecnologia e fantascienza, ormai praticamente la stessa cosa, vivono un mondo tutto loro che non ha niente a che vedere con la realtà e il capitombolo che faranno dall’alto dei loro voli pindarici sarà fragoroso. La tecnologia esclusivamente al servizio dell’interesse economico non si cura affatto delle sue conseguenze e, per quanto faccia progressi e sia scintillante, non sta impedendo l’estinzione umana, anzi l’accelera.

Non ha impedito l’estinzione di moltissime specie animali, di habitat naturali ormai persi irrimediabilmente. Non impedisce anzi accelera la produzione in massa di rifiuti intesi come merci ormai sempre più superflue, tanto da essere classificate da subito come rifiuti: verranno gettate velocemente e i mari sono ormai diventati brodaglie di plastica. Non si limitano gli imballaggi, non si limita drasticamente l’uso dei combustibili fossili, non si sta facendo nulla per fermare i cambiamenti climatici e sono stati raggiunti tutti i livelli più critici di emissioni; eppure si fanno progressi continui di tipo tecnologico. Visto che con tutta la tecnologia che abbiamo potremmo agire efficacemente e non lo si fa, vuol dire che non c’è nessun interesse a farlo, poiché la tecnologia deve rimanere solo un mezzo per fare soldi; se poi il mondo brucia, chi se ne frega. Però potremmo riprendere l’evento con le nostre quattordici telecamere installate sull’ultimissimo I-Phone numero 2478. E cosa faranno i fan della super tecnologia quando saranno esaurite tutte le risorse, quanto i terreni saranno devastati, il commercio in ginocchio, le città al buio e senza approvvigionamenti? I politici ovviamente daranno la colpa agli immigrati, agli ambientalisti (new entry nel gruppo dei responsabili di tutto), ai bolscevichi risorti dalle tombe, ai puffi nascosti nei boschi; ma anche dando la colpa a chiunque sia, la situazione e le responsabilità chiare non cambieranno. Politica, finanza ed economia della crescita ci stanno portando dritti verso la catastrofe. Aspettare una presa di coscienza e azioni dall’alto è pura utopia, se Trump, smentito addirittura dalla sua stessa amministrazione, continua a dire che i cambiamenti climatici non esistono. La politica, tranne miracoli che ad oggi non sembrano all’orizzonte, non farà nulla, nemmeno di fronte all’evidenza. Basta vedere le inconcludenti e inutili conferenze sul clima che si succedono fini a se stesse mentre la situazione si aggrava.

L’unica possibilità è agire direttamente e, visto che verrà minacciato l’approvvigionamento alimentare mandando in crisi l’assurdo e fragilissimo sistema che vuole i nostri supermercati pieni di prodotti che arrivano da chissà dove, la prima cosa da fare è ragionare su come ci si sfamerà di fronte al collasso in arrivo. Una soluzione è quella di ritornare progressivamente alla terra e autoprodursi il più possibile. Meglio se fatto in ottica di ecovicinato, cioè di aiuto reciproco fra vicini  all’interno dei territori in cui si vive. In questo modo si potranno alleggerire le gravi mancanze e difficoltà che ci saranno da una società votata allo sfascio. L’Italia è strapiena di posti abbandonati e terre incolte che non aspettano altro che essere ripopolate e fatte rifiorire, non in un’ottica di sfruttamento ma di attenzione all’equilibrio naturale e in ossequio alla cultura dei limiti, l’unica che può dare una rotta perseguibile nel mare di follia che ci circonda. E il ritorno alla terra non significa solo la possibile sopravvivenza ma anche una diversa e più ricca socialità, relazioni non virtuali, supporto, rafforzamento del senso di comunità che è la sola che dà davvero sicurezza agli individui. Ovviamente i “super moderni” penseranno che non si può fare, che è un ritorno al passato e tante altre fesserie simili, ma nessuna delle soluzioni e strade percorse dall’attuale sistema suicida è migliore di quella della ripresa del controllo della propria vita e dei propri mezzi di sostentamento.

La società del consumo, dello spreco, dei rifiuti, dell’inquinamento è arrivata al capolinea e non servirà chiudere occhi, naso e orecchi, perché le conseguenze saranno sempre più gravi e già ora ci investono in tutta la loro drammaticità.  Chi si preparerà per tempo avrà delle possibilità, chi aspetterà nella sua cameretta fantasticando di volare su Marte al momento opportuno, rimarrà prima assai deluso e poi non saprà come fronteggiare la situazione, ostaggio del mondo che gli crollerà addosso.

Meglio non arrivare a quel punto, meglio agire prima.

Fonte: ilcambiamento.it

Assalto agli oceani

Arrivano quasi quotidianamente, seppur relegate in colonnine quasi invisibili su quotidiani e riviste: sono le notizie terrificanti sullo stato dei nostri mari. “Nostri”, perché dovrebbero essere patrimonio di tutti, non la discarica del pianeta di fronte alla quale tutti ci giriamo dall’altra parte.9809-10595

Le notizie sui danni che l’odierna società umana causa all’ambiente vengono minimizzate e banalizzate dall’industria mediatica. Dopotutto, è anch’essa un’industria multinazionale, ramificata come un’edera ma con poche, potenti radici da cui le viene il nutrimento (e le vengono le indicazioni): i soliti padroni del vapore. Nonostante questo, sono ormai uno stillicidio le notizie scarne e banali, o relegate nella paginetta “ambiente” di quotidiani e riviste, ma ugualmente terrificanti sul degrado dei mari. Sull’inquinamento delle loro acque, sui continenti di rifiuti di plastica, sulla distruzione delle barriere coralline, sull’estinzione annunciata di specie importantissime per la vita degli oceani, sull’ impoverimento senza precedenti di tutta la fauna e la flora marina. Abbiamo svuotato gli oceani delle loro creature, li abbiamo riempiti di schifezze e veleni. Si calcola che ogni giorno su questo povero pianeta finiscano in acqua due milioni di tonnellate di rifiuti. Poiché è una cifra così grande che si fa fatica a immaginarla, ricordiamoci che una tonnellata corrisponde a mille chili e, di conseguenza, due milioni di tonnellate sono due miliardi di chili di immondizie, che vengono ogni giorno buttate in mare o che ci arrivano con l’acqua dei fiumi.

Nel 2008 erano già state censite negli oceani 58 “zone morte”, cioè completamente prive di vita, spesso “batteriologicamente pure”, che significa che non ci sopravvivono nemmeno i batteri, e che ammontavano a 12 milioni di chilometri quadrati. Dodici milioni di chilometri quadrati (per avere un’idea: la superficie degli Stati Uniti è inferiore a dieci milioni di chilometri quadrati) di acque marine morte, avvelenate da pesticidi, fertilizzanti chimici, liquami tossici di ogni tipo che si riversano dai campi dell’agricoltura industriale, dalle fabbriche, dalle fogne di paesi e città, dalle navi da crociera e da quelle mercantili. E il mare non ha scampo, è il grande continente liquido che tutto accoglie e in cui tutto circola; senza che si possa circoscriverlo.

Stillano, le notizie, goccia a goccia. I padroni dei media e del vapore non vogliono allarmarci; non sia mai che cominciamo a riflettere, a fare due più due, a reagire e ad agire responsabilmente. Per questo motivo ci sono informazioni che vengono proprio, scartate, nascoste, ignorate. Per esempio, l’informazione che la pesca industriale, quella che sta desertificando gli oceani, viene sovvenzionata dagli stati e dal superstato globale (Unione Europea, Banca Mondiale, Organizzazione Mondiale del Commercio, e chi più ne ha più ne metta) con 30 miliardi di dollari l’anno.

Senza quei miliardi forse la pesca industriale non potrebbe sopravvivere, perché i suoi costi sono altissimi. I cosiddetti “pescherecci” oceanici sono in realtà vere e proprie fabbriche galleggianti, nelle quali il pesce viene lavorato, congelato e/o messo in scatola. Fabbriche galleggianti che consumano enormi quantità di carburante, che depredano gli oceani, svuotandoli di tutte le loro creature e che, piccolo effetto collaterale, li inquinano con liquami, rifiuti e chilometri di reti rotte che vengono lasciati a ondeggiare a pelo d’acqua, continuando a uccidere del tutto inutilmente.

Le reti e i palamiti stesi in mare da queste mostruose macchine arrivano a misurare fino a cinquanta chilometri, le spadare usate nel Mediterraneo fino a venti chilometri. Decine di chilometri di morte e distruzione in gran parte inutili, di nessun vantaggio neanche per questi saccheggiatori del mare. Ci finiscono impigliati animali di ogni specie, dai pinguini alle sule, dalle tartarughe agli squali, dalle foche alle balene, che però non interessano ai razziatori industriali e che muoiono inutilmente e atrocemente ogni giorno.

Senza quei 30 miliardi all’anno di finanziamento (estorti a noi con le tasse; stornati ai servizi pubblici e alle pensioni dai governi liberisti; “risparmiati” da quegli stessi governi sui salari di insegnanti non assunti, dipendenti dei Comuni in via di estinzione ecc.) forse si tornerebbe alla pesca artigianale, sicuramente il tonno costerebbe molto di più, se ne consumerebbe di meno e non lo si darebbe ai cani e ai gatti con le scatolette. E non si starebbe estinguendo.

Ma il sistema ha trovato il modo di alimentare sé stesso; la pesca industriale è appannaggio delle multinazionali, i governi occidentali sono ormai fantocci meccanici da loro azionati, le istituzioni sovranazionali sono governate dai loro uomini: gente che passa da una finanziaria a una grande banca a un’agenzia dell’ONU e viceversa. E si stanno mangiando anche gli oceani.

La maggior parte delle persone consapevoli di ciò, sensibili ai problemi ambientali e sociali, è sempre più in preda allo sconforto e sempre meno attiva, se non su feisbuc e compagnia bella. Ci sembra che “il sistema” sia ormai onnipotente e invulnerabile. E non ci rendiamo conto di esserne parte; non ci rendiamo conto di quanto siamo attivi nel sostenerlo, inetti nel contrastarlo. Eppure oggi, come mai prima, il gigante ha i piedi d’argilla; il potere economico, oggi come non mai, si fonda sui nostri consumi quotidiani più che su qualsiasi elargizione statale o sovrastatale. Dunque sulle nostre insalate al tonno, sui nostri ristoranti “tutto pesce”, sulla nostra moda del sushi si fonda la distruzione degli oceani. Sui banchi dei supermercati col pesce fresco, una parte del quale verrà gettato via ogni sera; sui frigoriferi dei supermercati pieni di pesce surgelato arrivato direttamente dalle navi-fabbrica per finire nel carrello della spesa e nelle mense aziendali e scolastiche. Ed è interessante vedere come, gente che va in chiesa due volte l’anno o che non ci è andata nemmeno per sposarsi, rispetti puntigliosamente il precetto del “venerdì di magro”. Che poi nessuno aveva mai detto che “magro” significasse pesce, piuttosto significava digiuno o poco più ed era una norma igienica oltre che spirituale, non un banchetto a base di sogliola e branzino.

Il Sistema, che è creato, gestito e guidato dalle lobbi multinazionali di ogni tipo (tra quelle della pesca, pensate, c’è la Mitsubishi), è fatto di tutte queste cose, dei consumi collettivi e di quelli individuali, e la forza dei pochi che lo controllano si fonda sull’ignoranza e l’indifferenza dei molti che lo subiscono e lo sostengono.

Ancora una volta ci troviamo di fronte allo strapotere delle multinazionali e al loro pressoché totale controllo delle cosiddette “istituzioni sovranazionali”. La pesca industriale viola continuamente e senza alcuna esitazione o ritegno le norme e le leggi internazionali ma le istituzioni internazionali fanno finta di niente e la sovvenzionano, e così fanno i governi. Quando non cambiano addirittura le leggi per agevolare il saccheggio. Da anni il governo italiano e la regione Sicilia fanno deroghe alla legge europea sulla pesca del novellame di sardine. Si arraffa finché si può, distruggendo intere specie; poi si sposteranno altrove soldi e finanziamenti, magari nelle centrali a biomasse.

La suddetta Mitsubishi è un altro esempio luminoso di come il sistema capitalistico globale concepisca l’economia. Da quindici anni fa incetta di tonno rosso all’asta del pesce di Tokio (c’è un’asta di cadaveri marini, a Tokio, ma né voi né io potremmo partecipare) e ammassa i tonni rossi congelati in enormi frigoriferi (alla faccia del risparmio energetico) in attesa che il tonno rosso si estingua. Così aumenterà di prezzo in modo stratosferico e ce l’avranno solo loro! Per quanto? Non importa, gli investimenti si saranno già spostati. Speriamo che gli si guastino i frigoriferi. Ma non basta, in questo millennio apocalittico l’Unione Europea ha permesso la “pesca in acque profonde”. Dato che in quelle costiere il pesce non c’è più, bretoni e spagnoli hanno proposto di raschiare i fondali fino a oltre mille metri di profondità. E non immaginatevi dei “pescatori” come nei film del neorealismo. Si tratta sempre di multinazionali della pesca-alimentazione-grande distribuzione. Peccato che gli animali degli abissi marini vivano anche fino a cento anni e si riproducano magari a trent’anni; peccato che i coralli degli abissi abbiano anche quattromila anni e crescano anch’essi a ritmi molto lenti; peccato che in quegli abissi la vita abbia regole che neanche conosciamo e ospiti creature che nemmeno sospettiamo. Peccato anche che questa pesca in acque profonde possa essere redditizia solo grazie ai fiumi di sovvenzioni che, a nostre spese, stati e sovrastati (vedi UE) danno all’industria della pesca.

“E’ avvenuto tutto all’improvviso Quel mattino mi accadde di arpionare una cernia. Una cernia robusta, combattiva. Si scatenò sul fondo una vera e propria lotta titanica fra la cernia che pretendeva di salvare la sua vita e me che pretendevo di togliergliela. La cernia era incastrata in una cavità tra due pareti; cercando di rendermi conto della sua posizione passai la mano destra lungo il suo ventre. Il suo cuore pulsava terrorizzato, impazzito dalla paura. E con quel pulsare di sangue ho capito che stavo uccidendo un essere vivente. Da allora il mio fucile subacqueo giace come un relitto impolverato nella cantina di casa mia”.

Sono le parole di Enzo Maiorca, morto nel 2016, siciliano, campione mondiale di immersione in apnea, che da quel momento smise con la pesca subacquea, diventò vegetariano e si batté per la salvezza del mare, che vedeva sempre più in pericolo. Divenne un araldo di tutte le creature che nel mare vivono, avendo infranto la barriera dell’estraneità e dell’indifferenza, avendo imparato a sentirle come suoi simili, a condividerne la sofferenza, a disiderarne profondamente la salute e la libertà. Forse è quello che manca oggi a un movimento ambientalista sempre più impotente?  L’amore, vero e profondo, per le altre creature che il nostro “sviluppo” sta distruggendo? Forse amiamo di più quello “sviluppo”, che ci consente di fare la spesa al supermercato, avere in tasca il cellulare e sotto il sedere un’auto o una moto, nel piatto una salsa ai gamberetti e un chilo di plastica al giorno da smaltire tanto c’è la raccolta differenziata? E di cavarcela con una firma on line, senza più andare in piazza, riunirci, fare cartelli, portare striscioni, gridare sotto le finestre dei potenti? Senza smettere di consumare tutto ciò che danneggia la vita? Queste sono azioni che richiedono tempo, impegno e fatica, e il tempo e la fatica si usano volentieri solo per ciò che si ama. Perché lo amava Maiorca divenne un difensore di questo povero Mediterraneo, un tempo meraviglioso e infinitamente ricco di vita, oggi devastato e straziato. Eppure, dalle balene che nonostante tutto lo solcano, agli uccelli marini che ancora nidificano sulle sue coste, alle tartarughe che ancora vengono a riprodursi sulle sue spiagge, c’è ancora tanto da salvare. Se riusciremo a sentirne i battiti del cuore.

Fonte: ilcambiamento.it

 

 

Discarica abusiva nei boschi della Sabina

La scoperta durante una passeggiata nel bosco nella zona della Sabina, l’area a monte di Roma che costeggia il corso del fiume Tevere: elettrodomestici e rottami abbandonati nell’ambiente abusivamente.scarica

Dal grande casale di pietra di un amico che abita la Sabina (area che si estende sulla sinistra del basso corso del Tevere, a monte di Roma) da oltre 30 anni, decidiamo di fare una passeggiata: splendida giornata tra i vecchi e nuovi olivi che si distendono a centinaia tra le case sparse. Non ci sono rumori se non quelli sordi e soffici delle querce d’intorno che lasciano andare le ghiande al tappeto di foglie autunnali. Dalla sua veranda, la sagoma dell’abbazia millenaria di Farfa, il monte boscoso di San Martino, i cani di campagna liberi e giocosi, olivi a perdita d’occhio, spazio per gli sguardi che puoi lanciare senza limiti. Poco distante Castelnuovo, borgo medievale tra i più belli della zona. Aria da respirare. Per i polmoni e per il cuore. Ci inoltriamo in un bosco tra i più suggestivi di queste parti. Il sentiero, ripristinato da un gruppo di residenti a colpi di falce, è accogliente e molle di acqua e impronte: cinghiali in movimento, segni di lotte di istrici, aculei lasciati in regalo ai passanti, ciclamini a colorare i bordi e, fittissimi ai lati, tigli, roverelle, querce, olivi selvatici. E ancora tane, terra smossa, prospettive di luci e ombre color ocra e verde castano. Appena in basso il torrente Riana, affluente del Farfa, che scorre parallelo al nostro sentiero, vivace, fresco, come finalmente liberato dalla stretta dell’arsura estiva. Ci addentriamo e il silenzio sacro del bosco è violato dagli spari sempre più frequenti dei cacciatori in agguato: giocatori a dadi con le vite degli altri. Mi attrae uno strano colore blu, proprio sul ciglio, appena evidente, nascosto tra le foglie cadute. Faccio per avvicinarmi e si tratta di fili intrecciati, sintetici e indistruttibili, come in una matassa aggrovigliata e seminterrata. Scavo appena con le mani e tocco un ammasso enorme come di fili di grandi spazzole o tappeti per giganti o di macchinari per chissà quale funzione. Mi sporgo sulla lieve scarpata che porta al fiume e la vista si abitua alla poca luce lasciata filtrare dalle piante. Provo a scendere appena perché scorgo il bianco di quello che sembra l’angolo di un elettrodomestico. Scendo solo di un po’ perché è troppo ripido per arrivare in fondo ma ora che gli occhi si sono abituati lo scenario è chiaro: un frigorifero abbandonato e sostituito da uno che consuma di meno in classe A. Perché noi ci teniamo all’ambiente e sostituiamo, rottamiamo, ci mettiamo in regola con le norme vigenti. Un vecchio computer ormai obsoleto perché noi ci aggiorniamo, noi facciamo l’upgrade, l’update, il patch, il download (perché scaricare è brutto). Appena più in là, mezzo interrato, un vecchio secchio di vernice e poco distante ma irraggiungibile una lavatrice. Non perché non potesse più funzionare ma per un nonnulla da quattro soldi che non si poteva riparare. Non conviene, si sa, e noi ci teniamo a risparmiare. Inciampo in qualcosa proprio dietro il mio piede: qualcosa di rigido, piccolo, ancora lucido, dal design moderno e bombato, oggetto insostituibile e necessario: una pallina dispenser per ammorbidente. Evidentemente ce n’era un’altra più nuova e colorata nell’ultimo flacone di detersivo. Quasi completamente interrata fa capolino quel che riesco a immaginare di una vecchia Tv. D’altra parte, senza “plasma” sappiamo bene che non si può vivere…Poco distante sul ciglio a salire, un’altra discarica. In poche centinaia di metri percorsi ce n’è abbastanza per avvelenare un intero ecosistema. Sappiamo tutti che cosa significhi smaltire gli elettrodomestici nell’ambiente: rilascio di gas ozono-lesivi, plastiche, vernici, rame, metalli pesanti che si mescolano alla terra e la avvelenano. La terra si impregna e gli effetti sulle piante e gli animali sono tossici anche a distanza di decenni. Le acque del fiume che si mescolano alle piogge colate dalle scarpate, costeggiano i boschi scorrendo per chilometri e danneggiando altre terre e altri animali. Di conseguenza, l’uomo. E tutto, drammaticamente, torna. Eppure, la possibilità di smaltire i rifiuti c’è. Esistono le isole ecologiche che li ritirano gratis in tutte le città, giornate ecologiche di ritiro gratuito sotto casa, possibilità di riciclare, regalare, passare, cedere, riparare, riutilizzare. Basterebbe informarsi. Profanare il bosco in questo modo è un gesto criminale, sacrilego e profondamente stupido contro la natura, che dovrebbe essere il nostro  tempio inviolabile, e contro ogni forma di vita. Le conseguenze, prima o poi, le pagheremo tutti se non capiremo al più presto che un cambio di direzione, dalla necessità dell’acquisto allo smaltimento dei milioni di oggetti di cui ci circondiamo, è indispensabile e sempre più urgente.

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Fonte: ilcambiamento.it

La discarica più grande è in Ghana e mette in pericolo migliaia di persone

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I rifiuti elettronici che produciamo in Occidente finiscono in Ghana. Mettendo in pericolo migliaia di persone.

Ad Agbogbloshie in Ghana si trova la discarica più grande al mondo di rifiuti elettronici, provenienti dall’Europa e dagli Usa. Qui migliaia di persone lavorano senza tutele in un ambiente altamente tossico.

I rifiuti elettronici che produciamo finiscono nella discarica più grande al mondo. Si trova, nella periferia di Accrà in Ghana. Qui oltre 70mila persone (la metà delle quali minori) lavorano senza tutele in un ambiente tossico. E l’Occidente? Tace di fronte a questa catastrofe umanitaria e ambientale.

La discarica di e-waste più grande d’Africa     

Negli ultimi dieci anni, la capitale del Ghana, si è trasformata nella più grande discarica al mondo. Un vero e proprio cimitero elettronico, grande quanto un campo di calcio, dove finiscono monitor, computer, tastiere, videoregistratori, tubi catodici. I rottami provengono dall’Europa e dagli Stati Uniti. A lavorare qui un esercito di giovani e meno giovani senza alcun diritto, esposti continuamente a sostanze tossiche tra cui mercurio, i ritardanti di fiamma bromurati e il cadmio. L’accumulo di queste sostanze ha effetti deleteri sul corpo. Per i più “fortunati” ci sono conseguenze minori come cefalee, tosse, eruzioni cutanee. Nei casi più gravi, si rischiano problemi all’apparato riproduttivo, aborti volontari e vari tipi di tumore.

In discarica tra i 20 e i 50 milioni di tonnellate di rifiuti elettronici

Secondo una stima dell’ONU che risale al 2013, ogni anno si producono tra i 20 e i 50 milioni di tonnellate di e-waste. Per ogni dispositivo elettronico venduto la UE prevede una tassa di riciclaggio. Un’imposta che ogni anno genera 4 miliardi di euro. Soldi che dovrebbero favorire un corretto smaltimento del rifiuto in una discarica omologata. Peccato che i 2/3 di questi rifiuti tecnologici, secondo un’indagine de l’Espresso, finiscano in Africa. Il motivo è la maggiore convenienza. Se riciclare un pc in Germania costa 3.50 euro, in Ghana il costo è ridotto a 1.50.La situazione nel nostro Paese non è diversa da quella del resto d’Europa: solo il 35% di tutti gli elettrodomestici immessi sul mercato finisce in discariche omologate. Il resto finisce nel porto di Tema, il più grande del Ghana, insieme agli altri container provenienti da alcuni dei principali Paesi europei (Gran Bretagna, Belgio, Olanda, Spagna e Danimarca).

La discarica e la catastrofe umanitaria

Il lavoro delle migliaia di vittime di questo sistema illegale consiste nell’estrarre rame, alluminio, ferro e oro dai dispositivi per poi immetterli sul mercato. Un business che porta all’economia del Paese circa 200 milioni di dollari. Denaro che viene fatto sulla “pelle” di migliaia di ragazzi che rischiano ogni giorno la vita nella discarica:
«Quello che fanno qui è molto pericoloso perché non usano alcuna protezione. In questo modo inalano tutte le sostanze tossiche. Molti di questi ragazzi hanno il sangue pieno di metalli pesanti», la denuncia di un cittadino ghanese a Presa Diretta.

https://www.facebook.com/PresaDiretta.Rai/videos/10158264479945523/

 

Fonte: ambientebio.it

Europarlamento approva Pacchetto Economia Circolare. Prossimo passo, l’accordo con il Consiglio UE

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Target di riciclaggio al 2030 innalzati al 70% per i rifiuti solidi urbani ed all’80% per gli imballaggi. On line i comunicati di Legambiente e Simone Bonafé, eurodeputata e relatrice del provvedimento. Disco verde da parte Parlamento europeo al pacchetto sull’economia circolare che contiene target di riciclo più elevati rispetto a quelli proposti dalla Commissione Ue. La plenaria di Strasburgo ha confermato a larghissima maggioranza l’aumento al 70% di rifiuti urbani riciclati entro il 2030 (contro il 65% chiesto da Bruxelles) e all’80% per gli imballaggi (contro il 75%), la riduzione al 5% di quelli in discarica (contro il 10%), e ha introdotto anche il taglio del 50% degli sprechi alimentari. L’Aula dovrà ora negoziare il testo con il Consiglio Ue per arrivare a un accordo finale. Come spiega bene Veronica Ulivieri sul Fatto Quotidiano questi target per molti Paesi europei “non sono proprio dietro l’angolo”: oggi in Europa la media del riciclo dei rifiuti urbani arriva al 44%,  mentre per gli imballaggi la percentuale è del 65%. L’Italia per quanto riguarda i rifiuti urbani si attesta a circa il 47% mentre per gli imballaggi è al 67% quindi non troppo lontana dall’obiettivo posto dal Parlamento. Ma forse il target più ambizioso, allo stato attuale, è quello che sta costando al nostro paese milioni in multe proprio dall’Ue, ovvero la riduzione dello smaltimento in discarica. Bisogna arrivare al 5% partendo dall’attuale 26% . La media europea è del 28%. Riportiamo di seguito i comunicati di Legambiente e Simone Bonafé, eurodeputata e relatrice del provvedimento.

Legambiente: “Questa è l’Europa che vogliamo. Il 24 aprile saremo a Bruxelles insieme ai campioni italiani dell’economia circolare a sostegno di un accordo ambizioso con il Consiglio”

Un ulteriore passo verso un’ambiziosa riforma della politica europea dei rifiuti. Il voto di oggi a larga maggioranza del Parlamento Europeo apre la strada verso una politica europea finalmente in grado di trasformare l’emergenza rifiuti in una grande opportunità economica ed occupazionale. Il rapporto adottato – grazie all’impegno della relatrice Simona Bonafè – migliora considerevolmente la proposta del 2015 fatta dalla Commissione Europea, in particolare per quanto riguarda i target di riciclaggio al 2030 innalzati al 70% per i rifiuti solidi urbani ed all’80% per gli imballaggi. Il raggiungimento di questi obiettivi consentirebbe – secondo la valutazione della stessa Commissione Europea – di creare 580 mila posti di lavoro, con un risparmio annuo di 72 miliardi di euro per le imprese europee grazie ad un uso più efficiente delle risorse e quindi ad una riduzione delle importazioni di materie prime. I posti di lavoro potrebbero crescere sino a 867 mila se, all’obiettivo del 70% di riciclaggio si accompagnassero a livello europeo e nazionale anche misure ambiziose per il riuso, in particolare nell’arredamento ed il tessile. Solo nel nostro paese si possono creare almeno 190 mila nuovi posti di lavoro, al netto dei posti persi a causa del superamento dell’attuale sistema produttivo.

Opportunità che non possono essere sprecate. Legambiente nelle prossime settimane si mobiliterà per una rapida approvazione del pacchetto legislativo sull’economia circolare in linea con quanto proposto oggi dall’Europarlamento.

Questa è l’Europa che ci piace. Un’Europa capace di indicare una strategia moderna e sostenibile per uscire dalla crisi puntando su innovazione e coinvolgimento sinergico tra cittadini, istituzioni e economia – ha dichiarato la presidente di Legambiente Rossella Muroni -. Il 24 aprile saremo a Bruxelles, insieme ai campioni italiani dell’economia circolare, proprio per sostenere un accordo ambizioso tra Parlamento e Consiglio e far sì che la riforma della politica europea dei rifiuti divenga al più presto realtà.  Ma anche il nostro governo deve fare la sua parte. L’Italia, in sede di Consiglio, deve sostenere una riforma della politica comune dei rifiuti che faccia da volano per l’economia circolare europea, senza nascondersi dietro le posizioni di retroguardia di alcuni governi che si oppongono ad un accordo ambizioso con il Parlamento”.

Simona Bonafé, PD: approvazione del provvedimento segna una svolta per nuovo modello industriale sostenibile. Provvedimenti anche per la lotta allo spreco alimentare

L’eurodeputata del Partio Democratico,  relatrice sulle quattro proposte ha ricevuto un largo sostegno al testo portato in plenaria, con quasi 600 voti a favore. “Un dossier che solo formalmente riguarda la modifica di quattro direttive sui rifiuti ma che in realtà pone un tema ben più ambizioso- sostiene Simona Bonafé- Il voto di oggi rappresenta un passo significativo per la transizione verso un’economia circolare. Questo vuol dire- sostiene l’eurodeputata democratica- che finalmente si passa da un modello economico lineare, inefficace, costoso e insostenibile ad un modello che faccia della sostenibilità ambientale una leva per la crescita, lo sviluppo e la competitività industriale. Dobbiamo superare il modello “produci, consuma e getta” per passare ad un´economia dove i prodotti sono progettati per durare ed essere riparati, riusati e riciclati. Ogni anno- ribadisce la relatrice del provvedimento- in Europa gettiamo via 600 milioni di tonnellate di rifiuti, rifiuti che potrebbero essere reinvestiti nell´economia. Il Parlamento chiede un obiettivo di riciclaggio al 2030 del 70%. Per questo motivo chiediamo con forza che al 2030 i rifiuti che finiranno in discarica  siano ridotti al massimo del 5% dei rifiuti urbani. Un obiettivo più ambizioso rispetto alla proposta della Commissione Europea che prevedeva un tetto del 10%”. Inoltre- conclude Simona Bonafè-  E’ fondamentale, con questo provvedimento intensificare il contrasto ai rifiuti marini e allo spreco alimentare. Pensate che ogni europeo butta ogni anno una scioccante quantità di cibo, 180 Kg. Dimezzare lo spreco alimentare entro il 2030 non è solo un obiettivo ambizioso ma anche un dovere etico”

Fonte: ecodallecitta.it

 

 

Amianto in paradiso: scoperta discarica abusiva a Courmayeur

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L’amianto arriva anche in paradiso, a due passi dal Monte Bianco. L’Arpa ha scoperto amianto in una discarica abusiva di Dolonne, una frazione di Courmayeur. Fra i materiali recuperati vi sono sia il crisotilo (amianto bianco) che il crocido lite (amianto blu). L’area, in uso all’impresario 61enne Daniele Fortunato, è stata sequestrata a maggio. Nel terreno di proprietà di una donna del posto, 1000 metri quadrati a destinazione agricola, sono stati scoperti 50 metri cubi di rifiuti speciali, fra cui onduline in fibrocemento-eternit ritrovate sminuzzate. Lo scorso 14 maggio, nel giorno successivo al sopralluogo, gli agenti del Corpo Forestale hanno sorpreso un dipendente dell’impresario mentre spianava la zona con una pala meccanica. L’uomo ha dichiarato di aver ‘tombato’, negli anni, residui non inceneriti e sacchi di cemento freddo un metro e mezzo sotto terra. Il presidente della Regione Augusto Rollandin ha ordinato all’impresario la bonifica dell’area.

Fonte:  Ansa

Amianto, nel pavese una nuova discarica speciale

Sorgerà a Ferrera Erbognone e potrà accogliere 770mila tonnellate di amianto di dieci anni55803120

Se il Tar non si pronuncerà in maniera contraria, ad aprile partiranno i lavori per la discarica di amianto di Ferrera Erbognone per la quale sono previsti 600mila metri cubi di volumetria distribuiti su sei lotti. Quella in preparazione dovrebbe essere la più grande discarica di amianto in Lombardia e dovrebbe ricevere 770mila tonnellate di cemento amianto in dieci anni. Il Comune di Ferrera Erbognone si è sempre espresso contro la costruzione della discarica rivolgendosi alla Commissione Europea e al Consiglio di Stato che per due volte ha dato il via libera al progetto: la prima nel maggio 2014, la seconda il 28 gennaio quando ha risposto all’appello (anch’esso contrario all’opera) dei comuni di Sannazzaro e Mezzana Bigli. Secondo i giudici amministrativi, insomma, non “sussiste una sufficiente dimostrazione del pericolo rappresentato dai Comuni appellanti”. I comuni del pavese che si oppongono alla discarica sottolineano la vicinanza con un altro sito ad alto impatto ambientale: la raffineria Eni di Sannazaro de’ Burgondi. Nonostante la sua ampi capacità, la discarica non potrà comunque contenere l’amianto che verrà smaltito in Lombardia tramite le bonifiche: secondo le stime, infatti, nella più popolosa regione italiana sono presenti circa 3 milioni di metri cubi di amianto. Le volumetrie a oggi autorizzate o autorizzabili per il fabbisogno regionale ammontano a 2,1 milioni di metri cubi. Oltre alla discarica di Ferrera Erbugnone ve ne sono altre quattro: l’unica attiva è la EcoEternit di Montichiari (526mila metri cubi), la Team di Bergamo (220mila metri cubi di volumetria) è in via di autorizzazione, mentre sono ancora inattive quelle di Cava Mara e la Padana Green di Montichiari. In attesa che le discariche regionali attenuino l’esportazione, ogni anno la Lombardia porta in Germania 186mila tonnellate di amianto all’anno ovvero il 95% del materiale in uscita dai centri di stoccaggio. Cosa succederà quando la Germania deciderà di bloccare l’import?

Fonte:  Corriere

Libano, a Beirut è emergenza rifiuti

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Quattro milioni di abitanti e un milione di profughi. Dall’inizio della crisi siriana il Libano è un paese nel pieno dell’emergenza e a quella dei rifugiati politici si è aggiunta negli ultimi mesi quella causata dalla saturazione della discarica di Karantina, situata nella parte settentrionale della capitale Beirut, non lontano dalle zone più glamour della città. Lo scenario è apocalittico: montagne di rifiuti imputridiscono al sole, dopo che la discarica principale della capitale libanese ha esaurito la sua capacità massima costringendo la compagnia privata di raccolta dei rifiuti a sospendere le attività nella capitale. I rifiuti hanno ricominciato ad ammucchiarsi nei quartieri residenziali di Beirut così come nelle periferie. Gli abitanti sono esasperati: “Le materie organiche fermentano, liberando odori nauseabondi e moltiplicando i batteri che si propagano in giro, causando infezioni intestinali”, spiega un addetto ai sistemi di riciclaggio. Anche i proprietari di attività commerciali sono stati penalizzati dall’odore nauseabondo provenienti dai mucchi d’immondizia e dagli insetti che prolificano. Nello scorso luglio violente proteste di piazza contro l’incapacità e la corruzione del governo avevano provocato decine di feriti a Beirut, minacciando la stabilità del governo, una fragile coalizione tra partiti sunniti e sciiti, paralizzata dalle rivalità interne anche a causa dal conflitto siriano. La polizia aveva dovuto fare ricorso a idranti e gas lacrimogeni per disperdere i manifestanti che chiedevano al governo di trovare una soluzione al problema dei rifiuti abbandonati in strada da settimane a causa del mancato accordo relativo a nuove discariche di smaltimento.

Fonte:  Askanews

Terra dei Fuochi, scoperta discarica interrata: è la più grande d’Europa

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Nell’area ex Pozzi di Calvi Risorta (Caserta) gli uomini del Corpo Forestale dello Stato hanno rinvenuto quella che potrebbe essere la discarica abusiva interrata più grande d’Europa: secondo il comandante del Corpo forestale Sergio Costasi tratta di un sito che ha un’estensione (quella certa sino a questo momento) di circa 25 ettari e un volume di 2 milioni di metri cubi di rifiuti. Le indagini sono partite circa un anno fa, quando alcuni giornalisti pubblicarono notizie e reportage su un presunto sito abusivo di smaltimento rifiuti pericolosi: sono quattro le aree nelle quali le indagine del Corpo forestale dello Stato, con l’ausilio dei mezzi del Genio militare e coordinati dalla procura della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere, si stanno concentrando e dove sono stati trovati interrati dei fusti di solvente. Anche questa mattina, scrivono le agenzie stampa, sarebbero stati rinvenuti fusti deteriorati e contenitori contenenti solventi, vernici e tracce di idrocarburi, plastica lavorata dalle industrie, buste con Pvc mentre il terreno presenta diverse colorazioni, in particolare rosse, azzurre e grigio. I rifiuti sono presenti a livello della superficie e arrivano ad una profondità di 8-9 metri.

“Il materiale è in fase di campionamento solo all’esito delle analisi si potrà valutare l’effettiva natura dei rifiuti e quindi la loro eventuale potenzialità dannosa”

si legge in una nota diffusa dalla procura.

Foto | Il Velino

Fonte: ecoblog.it