Pachamare, l’ecovillaggio diffuso che riallaccia il legame con la Terra

Con l’intento di ricreare un collegamento con Madre Natura, nell’entroterra ligure Alessandro ha dato vita a Pachamare, un progetto di vita suo e della sua grande famiglia in cui agricoltura naturale, bioedilizia e un rapporto sacro con la terra si mescolano dando vita a un luogo sostenibile, etico e felice. Qualche anno fa, leggendo il libro pubblicato da Terra Nuova Edizioni (di Francesca Guidotti, Presidente RIVE, Rete Italiana Ecovillaggi), ho scoperto un luogo in Liguria che mi ero promessa di visitare di persona alla prima occasione. Dopo un paio di visite fugaci, il Laboratorio Itinerante per la Resilienza – organizzato qualche mese fa dal Movimento Zeitgeist Italia – mi ha finalmente offerto l’occasione perfetta per fare una degna esperienza di questo luogo speciale.

Alessandro Faedda

Qui, nell’entroterra ligure, ubicato a 900 metri di altitudine nel versante ovest delle montagne della provincia di Imperia, da oltre dieci anni sorge il primo nucleo di un ecovillaggio diffuso il cui nome, Pachamare, gioca con le parole “Pachamama” (Madre Terra in lingua quechua), “mare” e “pacciamare” (la tecnica, tipica nella permacultura, di proteggere la terra con materiale organico). Quella che segue è una sintesi della lunga intervista realizzata ad Alessandro Faedda, in occasione dello Zeitcamp 2020, in cui abbiamo parlato di case in paglia, permacultura e di un Nuovo Rinascimentopossibile ricreando un collegamento con la nostra essenza più profonda con l’aiuto di Madre Natura (qui la videointervista integrale).

Alessandro, potresti spiegarci come nasce Pachamare e come mai hai cominciato questo progetto di vita insieme alla tua famiglia?

Il progetto nasce da una mia voce interiore che da quando avevo circa vent’anni mi sussurrava nell’orecchio che bisogna ricreare un collegamento con Madre Natura. Il luogo in cui ci troviamo era un terreno abbandonato dal secondo dopoguerra, visto che tutti gli italiani fuggivano dalla campagna per andare a vivere nelle città, per correre dietro al “Miracolo economico”, che in quell’epoca prometteva sicurezza, guadagni facili e via discorrendo. Quindi noi abbiamo ripulito questo terreno dall’abbandono di settant’anni, dove era ripartito parzialmente il bosco e il resto era infestato da rovi, prugnoli e biancospini. Dopo dieci anni di lavoro siamo riusciti a mettere un po’ in ordine la situazione, realizzando parecchi muri a secco per poter coltivare ortaggi nelle terrazze e piantare alberi da frutto, prevalentemente per noi (Alessandro ha una moglie e cinque figli, ndr.), cercando di vivere in modo sostenibile e di ricreare quei ritmi e quella natura che ormai si sono persi per la frenesia che ci attanaglia e che qui cerchiamo il più possibile di allontanare. Dopo un lungo peregrinare, ho realizzato infine che il mio cammino sarebbe stato quello di ricreare un collegamento con Madre Terra e di far crescere i miei figli nella natura. Ovviamente è un impegno, però fa parte della scelta di dedicare il tempo necessario a questi fiori che stavano crescendo.

Puoi descriverci gli orti in permacultura e gli edifici in paglia che avete realizzato?

Abbiamo costruito oltre 500 mq di terrazzamenti e muri a secco utilizzando la scuola ligure dei vecchi maestri di questa regione, che consente di coltivare la terra anche in montagna, creando delle superfici pianeggianti senza usare cemento e altre porcherie, ma solo le pietre del luogo. Ispirati da Masanobu Fukuoka – che sosteneva che se ogni famiglia avesse a disposizione 5000 mq di terra potrebbe auto-sostenersi – per ora abbiamo realizzato circa 2000 mq di orto in permacultura. Abbiamo costruito lecase in bioedilizia usando il legname per la struttura, la paglia e la lana di pecora come materiali isolanti e la terra per gli intonaci e abbiamo imparato che con poche migliaia di euro e in poco tempo puoi realmente costruire una casa dignitosa, sana e bella.

Bisognerebbe iniziare a dirlo ad alta voce alla gente: basta credere a ciò che ci hanno raccontato. Ci sono altri modi di vivere, bisogna solo avere il coraggio di fare il passo e cercarli! Quindi il primo corpo della casa è stato costruito in legno e sughero e così pure la seconda parte, ovvero la camera dei bambini. Il terzo corpo invece è stato fatto con la paglia: abbiamo usato le ballette di paglia come mattoni, la struttura sempre in legno, l’architravatura del basamento del pavimento e pure quella del tetto in legno di castagno, l’intonaco interno è in terra e calce, quello esterno in calce e poi appunto abbiamo usato la paglia come tamponamento e isolante termoacustico. Gli unici due nemici della paglia sono l’umidità permanente che la può far marcire e i roditori che possono annidarsi dentro. Per il resto ha un coefficiente termico elevatissimo: le case in paglia costruite con tutti i crismi sono classificate A++, sono top della gamma, perché hai una parete di 50 centimetri che mantiene fresco in estate e caldo in inverno e l’intonaco permette di regolare l’umidità interna della casa, perché se la casa è troppo umida assorbe l’umidità in eccesso, se secca rilascia umidità. Una casa naturale fa davvero stare bene: sono dieci anni che ci vivo dentro e non me ne rendo quasi più conto, ma la gente che viene, abituata a vivere dentro appartamenti costruiti in cemento e laterizio, quando entra a casa nostra si rende proprio conto del cambio di umidità, dell’aria, dell’energia. Quindi è una casa che fa bene a chi la costruisce, a chi la vive e al pianeta.

Raccontaci degli altri progetti in embrione e quelli che state per realizzare.

Grazie a Quercus, la nuova associazione che stiamo fondando, l’idea è quella di dar vita a dei veri e propri campi di lavoro della durata di due mesi in cui si potrà imparare a costruire delle abitazioni in bioedilizia, naturalmente rispettando i crismi necessari per fare una casa a norma di legge. Ma il mio sogno più grande è quello di poter aprire una fattoria didattica per trasmettere ai bimbi, che saranno gli adulti di domani, l’importanza di ricreare il rapporto sacro con Madre Terra, che per me oggigiorno è fondamentale per la sopravvivenza dell’umanità su questo pianeta. È il momento in cui bisogna lavorare coi bambini, perché noi generazioni precedenti, dopo anni di condizionamenti, facciamo più fatica ad approcciarci alla terra. I piccoli invece, se “presi” per tempo, possono essere i portatori di un nuovo messaggio. Inoltre, stiamo dando il via a un canale web radio che si chiamerà “Radio Rievolver”, in cui parleremo del concetto della “ri-evoluzione”, nel senso che io devo evolvere per stare bene con me stesso, quindi “chi sono/cosa sto facendo/sto dando un senso alla mia esistenza?” saranno le domande su cui ci fonderemo per sviluppare questo progetto. Si può partire da questo slancio per cambiare noi stessi come individui e poi cambiare veramente il mondo; però bisogna partire dal sé. Si tratterà di un canale in cui parlare e divertirci, toccando le tematiche che affrontiamo tutti i giorni nelle nostre discussioni quotidiane (qui un video di presentazione di Radio Rievolver).

Secondo te il periodo drammatico che stiamo attraversando a livello nazionale e planetario può offrirci l’occasione di un profondo cambiamento in positivo?

Stiamo avvelenando i fiumi, la terra, l’aria, ci stiamo avvelenando noi perché mangiamo cibo avvelenato; a causa delle vaccinazioni, dei farmaci, le nostre relazioni sono avvelenate, quindi c’è proprio da trovare un nuovo modo di vivere. Bisogna rieducarci alla semplicità dei ritmi del pianeta terra per poi riscoprire che c’è veramente molto di più che ci è stato nascosto, occultato, perché ripartire dalla Terra non vuol dire arrivare, ma ricreare il collegamento con la Madre per poi ritrovare un nuovo mondo spirituale. Il Covid è solo il sintomo di una nuova malattia che appesta l’uomo da tempo e c’è solo da porsi le giuste domande per andare nella nuova direzione, attingere a fonti diverse d’informazione, fare ricerche per trovare il proprio modo di auto-guarirsi e quindi di conseguenza guarire ciò che c’è attorno a noi e ricreare le basi per il nuovo mondo. Anche perché, dal mio punto di vista, il male è partito dall’Europa: noi siamo stati la popolazione che ha esportato il sapere e la conoscenza tecnologica annientando le popolazioni indigene in tutto il pianeta, perché ci spaventavano nella loro naturalezza e spontaneità, nel loro rapporto con la natura, con quell’equilibrio che avevano creato. Noi nella nostra presunzione e superbia li abbiamo annientati. Quindi sono convinto che debba proprio ripartire da qua la rinascita, anziché esportare la distruzione, esportare la creatività, la creazione, la bellezza. Secondo me è ora di attuare davvero una ri-evoluzione per dare una nuova speranza a questa umanità: perché ora siamo in un momento di nuovo Medioevo in cui probabilmente c’è bisogno di un nuovo Rinascimento e quindi abbiamo bisogno di guerrieri che escano allo scoperto. Ce ne sono, c’è gente che si sta esponendo e sta iniziando a manifestare il dissenso verso il potere.

Cos’è per te l’Italia che cambia?

L’Italia è sempre stata un faro su tante cose, siamo un popolo di inventori, di costruttori, di menti eccelse in diversi rami. Vedo quello italiano come un popolo di cuore, perché siamo capaci di amare, accogliere e quindi dobbiamo semplicemente ricreare il collegamento con questa nostra fonte energetica che è già dentro di noi. Credo che l’Italia possa pian pianino riscoprire questa sua natura divina e quindi possa veramente incidere positivamente, attingendo al cuore e all’amore per trasformare questo buio che ci attanaglia in luce che potrà avvolgerci.

Fonte: https://www.italiachecambia.org/2021/03/madre-natura-pachamare/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

A quando i lockdown e i DPCM per tutelare l’ambiente, quindi la nostra salute?

Ma se i cambiamenti climatici e l’emergenza ecologica fanno molti più morti del coronavirus, a quando allora i lockdown e i DPCM per salvare il genere umano che rischia di non sopravvivere al disastro del Pianeta? Rischiamo una previsione: mai.

Non entriamo nel merito se siano giustificate o meno le pesantissime restrizioni della libertà a cui siamo costretti ormai da un anno ma, anche ammettendo che lo siano, se tanto ci dà tanto, visto che a livello ambientale il pericolo è molto più grande del coronavirus e le conseguenti vittime sono molte di più, da chi dice di proteggere la nostra salute ci aspetteremmo un “lockdown ambientale” e DPCM con misure rigidissime e capillari perchè in gioco c’è la sopravvivenza dell’intero genere umano. E invece niente di questo accade. Circa la catastrofe ambientale nessuna misura drastica è stata presa, niente è stato chiesto di fare ai cittadini, figuriamoci imporglielo come oggi si impongono mascherine, gel, coprifuochi, chiusure, distanziamenti, con tanto di pesanti multe e nonostante ci siano sempre più perplessità che tutte queste misure abbiano una reale efficacia. E pensare che invece per salvare l’ambiente e conseguenti vite umane, le misure che dovrebbero essere prese sarebbero di immediata e indubbia efficacia.

Ci si chiede allora: ma della salvaguardia di quale salute e di quali vite si sta parlando? Perchè per proteggere alcune vite si agisce e per altre no? Ma come può essere possibile questa incredibile e macroscopica disparità?  E se fosse vero che tutte queste misure sono necessarie per proteggere la nostra salute, allora non si capisce come mai, ad esempio, gli allevamenti intensivi, autentiche bombe ecologiche e sanitarie produttrici di sofferenza e cibo malsano, non vengano chiusi all’istante. Se si agisse così si tutelerebbe la salute di persone e animali ma ciò paradossalmente non sembra essere affatto un obiettivo di chi ci dice che sta facendo di tutto per la nostra salute e questo la dice lunga sulla sua credibilità. Una ulteriore prova della “inspiegabile” situazione di disparità in cui si adottano due pesi e mille misure ce la dà una voce ufficiale come quella del neo ministro per la transizione ecologica Cingolani (quindi non certo un “complottista”) in un suo articolo scritto recentemente per il quotidiano la Repubblicadove cita dati da ecatombe ed emergenza gravissima.

«…il riscaldamento climatico è causa di siccità, con un impatto enorme sulla fauna e l’agricoltura; lo scioglimento dei ghiacciai diminuisce le risorse di acqua dolce mentre l’innalzamento del livello dei mari porta all’erosione delle coste. I continui scambi di calore tra una terra surriscaldata e la stratosfera, più fredda, generano eventi metereologici estremi, come tifoni e nevicate improvvise, che devastano i territori. Se si eccettuano i terremoti, dal 1980 ad oggi il numero di eventi naturali catastrofici è aumentato in maniera costante di anno in anno; ciò ha causato la perdita di 400.000 vite umane e la spesa di più di un trilione di dollari, pari all’1,6% del PIL mondiale». 

«E mentre la terra si riscalda, peggiora anche la qualità dell’aria che respiriamo, con un impatto sulla salute di Sapiens e sul suo ecosistema. L’emissione di particolati carboniosi (Black Carbon), idrofluorocarburi e metano, inquina l’atmosfera e provoca il rilascio di sostanze tossiche, con gravi conseguenze sociali ed epidemiologiche. Ogni anno, l’inquinamento dell’aria causa tra i sei e i sette milioni di decessi nel mondo».

E questo senza contare i milioni di morti che si hanno per l’inquinamento di terra, cibo e acqua, laddove i cibi che mangiamo e l’acqua che beviamo sono pieni di ogni tipo di inquinante che determina malattie letali.

Dove sono i lockdown, dove sono i dpcm, dove sono le imposizioni drastiche immediate, necessarie per far fronte a questa immane catastrofe? Spieghino politici, esperti, task force varie, che tanto sembrano prodigarsi per la nostra salute, perché niente si fa in questa direzione, ma proprio niente, nemmeno lontanamente paragonabile a quello che si è fatto e che si continua a fare per il Covid. Ci spieghino il perché, ci spieghino come si fa a non vedere l’ovvio, ci spieghino perché non agiscono con la stessa solerzia, la stessa sicumera, la stessa drammaticità come quando ci snocciolano quotidianamente le cifre dei morti di serie A, cioè quelli da Covid, gli unici che per loro contano. Perchè per gli altri morti non si fanno bollettini quotidiani, aperture di telegiornali, articoli e servizi a non finire, speciali di ogni tipo, reportage chilometrici, ecc. ? Chi invoca lockdown a tutto spiano, alimentando un terrore mediatico martellante, ci chiediamo perché non faccia lo stesso per una situazione molto più grave come quella ambientale. Finché non avremo risposte o interventi in questo senso, non potremmo che continuare a dare credibilità zero per chi divide salute e morti di serie A e salute e morti di serie Zeta. E il perché lo faccia, speriamo che venga a galla presto, prima che la catastrofe ambientale si aggravi diventando ancora più irrefrenabile visto che continuiamo a non fare nulla preoccupandoci di tutt’altro. E intanto in pochi giorni a febbraio siamo passati da temperature sottozero a temperature quasi estive, ma come disse il comandante del Titanic: andiamo avanti tranquillamente…..

Fonte: ilcambiamento.it

Giornata della Terra: “Chiediamo stop a deforestazioni e sostegno all’agroecologia”

In occasione della Giornata Internazionale della Terra una coalizione planetaria di oltre 500 organizzazioni chiede lo stop alle deforestazioni e alla perdita di biodiversità e il sostegno alle piccole e medie produzioni agroecologiche. Riconoscere lo stato di crisi in cui si trova il pianeta Terra, identificare le reali cause che hanno condotto all’emergenza sanitaria Covid 19 e approfittare del lockdown per ripartire con un vero cambio di paradigma produttivo, economico, sociale e culturale che tenga conto di quanto la salute della Terra e di tutte le specie che la abitano, animali e vegetali, siano profondamente interconnesse. È questa la richiesta di oltre 500 organizzazioni della società civile internazionale, appartenenti a oltre 50 paesi, che hanno aderito all’appello lanciato da Navdanya International, Naturaleza de derechos e Health of Mother Earth foundation in occasione della Giornata Internazionale della Terra. Il documento, a cui hanno aderito le maggiori organizzazioni ecologiste di tutto il mondo fra cui Ifoam, Third World Network, International Forum on Globalization, Organic Consumers Association, Acción Ecológica, Isde-Medici per l’ambiente, Pesticide Action Network – Italia e Associazione per l’Agricoltura Biodinamica, e sottoscritto da centinaia di ambientalisti fra cui Vandana Shiva, Adolfo Perez Esquivel, Maude Barlow, Maria Grazia Mammuccini, Carlo Triarico, Patrizia Gentilini e Lucio Cavazzoni, denuncia lo stato di degrado del pianeta dovuto a un sistema economico estrattivista e irresponsabile, sotto il controllo di un pugno di multinazionali, interessato solo a ottenere il massimo dei profitti senza curarsi dei danni provocati a livello sociale e ambientale.

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La pandemia in atto, si denuncia nell’appello, è l’ennesimo esempio di una cattiva gestione delle risorse naturali ma è anche un ulteriore grido di allarme che deve necessariamente essere ascoltato prima della prossima inevitabile calamità. Le organizzazioni internazionali chiedono di non tornare al “business as usual” ma piuttosto di supportare le iniziative “bottom up”, già attive su moltissimi territori e basate sul rispetto dell’ambiente e del lavoro, per promuovere una fase di transizione verso sistemi economici democratici, equi ed ecologici. In particolare, è il sistema di produzione agricola industriale a confermare, anche in questa occasione, la sua insostenibilità. La corsa alla deforestazione, per ottenere nuove terre da sfruttare per piantagioni e allevamenti, crea le condizioni ideali per la diffusione di nuove epidemie: «Invadendo gli ecosistemi forestali, distruggendo gli habitat delle specie selvatiche e manipolando piante e animali a scopo di lucro, creiamo le condizioni per nuove epidemie. Negli ultimi 50 anni sono emersi fino a 300 nuovi agenti patogeni. È ben documentato che circa il 70% degli agenti patogeni umani, tra cui HIV, Ebola, Influenza, MERS e SARS, sono emersi quando gli ecosistemi forestali sono stati invasi e i virus sono passati dagli animali all’uomo (salto di specie). Quando gli animali sono costretti a vivere in allevamenti industriali per massimizzare i profitti, nascono e si diffondono nuove malattie come l’influenza suina e l’influenza aviaria».
Agricoltura industriale e allevamenti intensivi contribuiscono alla crisi sanitaria e a debilitare i nostri sistemi immunitari rendendoci ancora più esposti a nuove malattie: «L’agricoltura industriale ad alta intensità chimica e i sistemi alimentari industriali danno origine a malattie croniche non trasmissibili come difetti congeniti, cancro, disturbi endocrini, diabete, problemi neurologici e infertilità. In presenza di queste condizioni preesistenti, che sono alla base della compromissione del nostro sistema immunitario, la morbosità del Coronavirus aumenta drammaticamente».

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È allora necessario ripartire favorendo processi di localizzazione e di economia circolare: «Durante la crisi del Covid-19 e nella fase di ripresa post-coronavirus dobbiamo imparare a proteggere la Terra, i suoi sistemi climatici, i diritti e gli spazi ecologici delle diverse specie e dei diversi popoli – indigeni, giovani, donne, contadini e lavoratori. Per la Terra non ci sono specie sacrificabili e non ci sono popoli sacrificabili. Tutti noi apparteniamo alla Terra. Per evitare future pandemie, carestie e un possibile scenario in cui le persone vengano considerate sacrificabili, dobbiamo andare oltre il sistema economico globalizzato, industrializzato e competitivo. La localizzazione lascia spazio alla prosperità delle diverse specie, delle diverse culture e delle diverse economie locali. Dobbiamo abbandonare l’economia dell’avidità e della crescita illimitata, basate sulla concorrenza e sulla violenza, che ci hanno spinto a una crisi esistenziale e passare a una “Economia della cura” – per la Terra, per le persone e per tutte le specie viventi».
I membri della coalizione planetaria firmatari dell’appello si impegnano infine a sollecitare ed esortare le autorità e i rappresentanti dei governi dei rispettivi paesi, città e comunità, a favorire il passaggio a un paradigma in cui la responsabilità ecologica e la giustizia economica siano il fondamento per la creazione di un futuro sano e prospero per l’umanità. A questo scopo, le organizzazioni indicano una serie di azioni per favorire la transizione fra cui la protezione della biodiversità, l’impulso al biologico, la sospensione dei sussidi pubblici all’agricoltura industriale con la contestuale promozione dell’agroecologia e delle produzioni locali, la fine del sistema delle monocolture, delle manipolazioni genetiche e degli allevamenti intensivi di animali, il contrasto ai cambiamenti climatici e la tutela della sanità pubblica.

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Foto tratta dalla pagina Facebook di Navdanya International

Dichiarazioni:

Vandana Shiva, Navdanya International: «Un approccio sistemico all’assistenza sanitaria in tempi di crisi del Coronavirus non si occuperebbe solo del virus, ma anche di come le nuove epidemie si stanno diffondendo mentre invadiamo le case di altri esseri. È necessario affrontare il sistema alimentare industriale non sostenibile, antinaturale e malsano alla base dell’epidemia di malattie croniche non trasmissibili. I sistemi alimentari globalizzati e industrializzati diffondono le malattie. Le monocolture diffondono le malattie. La deforestazione diffonde malattie. L’emergenza sanitaria ci costringe a deglobalizzare e dimostra che, se c’è la volontà politica, possiamo farlo. Rendiamo permanente questa deglobalizzazione e la transizione verso la localizzazione».
Fernando Cabaleiro, Naturaleza de Derechos – Argentina: «Questa pandemia ci dice che il sistema di accaparramentoaccumulazione che governa le economie mondiali, e con esse la vita, la salute della terra e delle persone e della biodiversità, ha raggiunto il suo punto di svolta: la sua elevata vulnerabilità è stata esposta dimostrando che è giunto il momento che la politica ascolti tutte le organizzazioni, le assemblee, le persone, i contadini e le popolazioni indigene che da ogni angolo del pianeta già denunciavano e mettevano in guardia da disastri di questo tipo. In questa Giornata della Terra, la società civile globale si unisce in un unico grido di speranza».
Nnimmo Bassey, Health of Mother Earth Foundation (Homef) – Nigeria: «Il mondo è a un bivio. Questo è il momento di smettere di bruciare il Pianeta, dobbiamo lasciarci alle spalle l’era dei combustibili fossili, riconoscere i diritti della Madre Terra e punire l’ecocidio in tutte le sue forme».
Patrizia Gentilini, Isde – Italia: «Non possiamo continuare ad illuderci di essere sani in un mondo malato: la pandemia ha mostrato tutta la fragilità di un sistema predatorio, iniquo e violento nei confronti delle persone e del Pianeta. Tanto meno possiamo pensare di uscire dalla crisi sanitaria, economica e sociale rimanendo ancorati o addirittura prigionieri dello stesso modello di sviluppo e di consumo che ci ha portato ad essa e dobbiamo capire che neppure la tecnologia ci salverà, perché sarà utilizzata non per renderci più liberi, ma piuttosto sempre più schiavi, controllati e succubi. Da questa crisi possiamo uscirne più consapevoli e solidali, imboccando finalmente la strada giusta, ma anche purtroppo, peggiorando ulteriormente le cose e questo purtroppo vediamo profilarsi all’orizzonte».


Leggi e firma il Comunicato per la Giornata della Terra

Visualizza i firmatari

Fonte: https://www.italiachecambia.org/2020/04/giornata-della-terra-chiediamo-stop-deforestazioni-sostegno-agroecologia/

Sulla terra si muore di fame ma noi sprechiamo soldi per andare nello spazio

L’uomo è certamente l’essere vivente più strano e inconcepibile che ci sia sulla faccia della terra. Di sicuro non il più intelligente, dato che sta riuscendo ad autodistruggersi come specie e portando con sé innumerevoli altri esseri viventi nella sua follia suicida: sta provocando le sesta estinzione di massa.

L’uomo è certamente l’essere vivente più strano e inconcepibile che ci sia sulla faccia della terra. Di sicuro non il più intelligente, dato che sta riuscendo ad autodistruggersi come specie e portando con sé innumerevoli altri esseri viventi nella sua follia suicida: sta provocando le sesta estinzione di massa. Ci sono tanti esempi eclatanti che dimostrano che dobbiamo ancora evolverci e parecchio pure. Sulla terra l’80% della popolazione, che non vive nell’attico del restante 20%, è in situazioni molto difficili o drammatiche a seconda dei casi. Miseria, fame e disperazione determinati dal modello di sviluppo del ricco 20% sono la quotidianità di miliardi di persone e i più cinici fra i nostri simili dicono pure che è colpa loro, che sono sottosviluppati, che non si danno da fare. Di fronte a tale situazione (che dovrebbe vederci tutti impegnati fino a che l’ultimo dei nostri simili abbia una vita degna di questo nome, cibo, riparo e serenità), si sprecano soldi, risorse, energia e competenze nelle maniere più assurde e insensate in spregio e sdegno alla gente in condizioni spaventose.

Uno dei modi più eclatanti per sputare sulla povertà e dignità umana è la corsa fra le nazioni per mandare equipaggi nello spazio. Conosciamo pochissimo della nostra terra, degli animali, dei vegetali, dei processi naturali, ma nonostante ciò vogliamo andare nello spazio, senza nessun motivo razionale e intelligente.  Andare nello spazio è estremamente dispendioso, non serve e in più è pericoloso perché lassù non ci sono le condizioni per sopravvivere all’esterno nemmeno un minuto.  La mentalità tipicamente maschile di prevalere e primeggiare la si ha anche nella corsa allo spazio, cioè la corsa al nulla. Gli americani andarono sulla luna esclusivamente per farlo prima dei russi, piantarono una bandiera americana  (in un luogo dove non c’è letteralmente niente, il che già dà la dimensione della follia) e se ne tornarono a casa. Come i cani che fanno la pipì per marcare il territorio, solo che in questo caso la cosa è assai più dispendiosa. Che non servisse a nulla andarci è dimostrato anche dal fatto che sulla luna non c’è mai più andato nessuno. Ma ogni paese che abbia una potenza economica ragguardevole cerca di entrare a fare parte del club dei marcatori del territorio in qualche modo. Adesso l’obiettivo si è anche spostato ed è diventato ancora più impegnativo e costoso. Qualche ricco miliardario ha deciso che bisogna andare su Marte o fare passeggiate ed escursioni spaziali e quindi via ad investimenti stellari per questa spaziale idiozia.  Ma con tutti i  gravi problemi che ci sono nel mondo e negli stessi Stati che concorrono alla corsa nello spazio, possibile non si capisca che tutti quei soldi buttati in questa demenza potrebbero essere usati per risolvere i tanti e drammatici problemi in cui quotidianamente si dibattono le persone a cui dello spazio interessa più o meno che zero? Ma qui entra in gioco un fattore fondamentale che è quello della immaginazione umana purtroppo indirizzata verso direzioni assai discutibili. Lo spazio è l’ignoto e nell’ignoto si può immaginare tutto quello che si vuole e quindi cinematografia, televisione e letteratura ci hanno ricamato molto. E quando c’è di mezzo il condizionamento dei media, del cinema, si accetta che si buttino soldi invece di utilizzarli in maniera sensata. L’immaginazione, la fantasia, il sogno utilizziamoli per fare stare meglio ogni persona e salvaguardare il nostro ambiente. Scegliamo il tutto del pianeta Terra e non il nulla dello spazio. Anche perché se non siamo capaci di preservare il nostro di pianeta e i suoi abitanti con quale senso andiamo a colonizzare altri pianeti? Per rendere una pattumiera pure loro? Meglio di no, meglio rimanere con i piedi ben piantati per terra e la mente rivolta al benessere di tutti. 

Fonte: ilcambiamento.it

La Terra è più verde. Giuseppe Barbiero: “Una notizia storica”

Per la prima volta nella storia dell’umanità gli esseri umani hanno contribuito ad aumentare la superficie verde della Terra. “Segno che malgrado i nostri limiti ed errori siamo una specie resiliente”. Approfondiamo con Giuseppe Barbiero, biologo e ricercatore, i risultati di un recente studio che attesta l’aumento dell’area verde globale del nostro pianeta. Uno studio sui dati dei satelliti Nasa, condotto dalla Boston University e pubblicato nell’ultima edizione di Nature Sustainability, mostra che oggi la Terra è più verde rispetto a 20 anni fa grazie soprattutto a Cina e India che hanno aperto la strada al rinverdimento del pianeta, attraverso programmi di piantumazione di alberi in Cina e tramite l’agricoltura intensiva in entrambi i Paesi. Come interpretare i risultati di questa ricerca? Che nesso c’è tra la maggiore concentrazione di CO2 nell’atmosfera e l’aumento del verde globale? Queste nuove aree verdi hanno anche un ruolo nel rallentare il crollo della biodiversità? Ne abbiamo parlato con Giuseppe Barbiero, biologo, ricercatore e docente di Ecologia e Biologia Generale all’Università della Valle d’Aosta.

Secondo la Nasa “il mondo è letteralmente un luogo più verde di 20 anni fa” e l’area globale verde è aumentata del 5% in questo secolo. Come commenta questa notizia? 

È una notizia storica. Non era mai successo che globalmente l’umanità contribuisse ad aumentare anziché diminuire il manto verde del pianeta. Tutti i dati paleoecologici che possediamo dimostrano un impatto negativo della nostra specie sugli ecosistemi. Tendenza che è peggiorata nel Neolitico, fino a diventare parossistica con la rivoluzione industriale. Per la prima volta nella storia dell’umanità registriamo un’inversione di tendenza. Il che dimostra che possiamo collaborare con Gaia. Basta volerlo. Nello studio si legge che il contributo della Cina alla tendenza di inverdimento globale deriva in gran parte dai programmi di conservazione ed espansione delle foreste (42%). Un altro 32% per la Cina e l’82% in India derivano invece da colture intensive di prodotti alimentari. L’agricoltura intensiva non ha anche delle implicazioni negative? 

L’agricoltura intensiva è monoculturale quindi, per definizione, riduce la biodiversità. La Cina e l’India sono i due paesi più popolosi al mondo e devono sfamare ogni giorno una popolazione complessivamente di 2700 milioni di persone. Tuttavia, la Cina, con un tasso di fertilità totale di 1,6 figli per donna, è da tempo in transizione demografica. L’India, con un tasso di fertilità di 2,3 figli per donna, è ancora in crescita demografica, ma è molto rallentata ed è ormai prossima al tasso di sostituzione (2 figli per donna). È interessante osservare che, negli ultimi 20 anni, in India e in Cina la superficie dedicata alle coltivazioni è rimasta grosso modo la stessa, coprendo circa 2 milioni di Kmq. Questo è un dato importantissimo. Vuol dire che è migliorata la tecnologia dell’agricoltura che oggi può ‘rinverdire’ aree prima aride o addirittura desertiche.

Malgrado l’aumento dell’area verde globale (aumentata del 5% in questo secolo, un’area equivalente a tutta la Foresta pluviale Amazzonica) gli studiosi hanno lanciato però un monito, invitando a non abbassare la guardia in merito alla deforestazione di Paesi tropicali come Brasile e Indonesia. Gli studiosi hanno spiegato che tale perdita naturale non può essere compensata dalla crescita del verde in altre nazioni, questo a causa della contemporanea riduzione in termini di biodiversità e sostenibilità. Com’è la situazione della biodiversità? Queste nuove aree verdi non hanno un ruolo anche nel rallentarne il crollo? 

No, purtroppo non si può sostituire la foresta tropicale pluviale con altri tipi di foreste. Le foreste tropicali pluviali si chiamano così perché le precipitazioni superano i 250 cm/anno. Questa enorme umidità permette di avere un’immensa ricchezza di specie, oltre 500 specie vegetali diverse per kmq. Per questo le foreste tropicali pluviali rappresentano l’habitat di gran parte delle specie viventi che abitano la Terra. Perdere le foreste tropicali pluviali significa perdere gran parte della biodiversità del pianeta, biodiversità non sostituibile e non recuperabile in tempi umani. La deforestazione in atto in Brasile e in Indonesia è perciò molto preoccupante e giustamente gli scienziati lanciano l’allarme. Tanto più che le leadership locali, rispettivamente di Jair Bolsonaro e di Joko Widodo, sembrano del tutto inadeguate ad affrontare la sfida.

Secondo lo studio l’aumento di aree verdi è in gran parte dovuto (circa il 70%) a un aumento della CO2 nell’atmosfera. Questa non sembra proprio una buona notizia, giusto? 

Dipende da come la si guarda. La cattiva notizia è che i sapiens hanno rotto l’equilibrio tra respiratori e fotosintetizzatori aumentando la concentrazione di CO2 atmosferica. Ma questo lo sapevamo già. La buona notizia è che Gaia sta reagendo aumentando l’attività dei fotosintetizzatori. E questo spiega il 70% dell’aumento delle aree verdi.

Cosa sono i cicli di retroazione (positivi e negativi)? Quali sono quelli principali legati al fenomeno del cambiamento climatico?

Gaia è un sistema dinamico capace di tener conto degli esiti della propria attività per poter modificare le sue stesse caratteristiche. Ciò è possibile perché Gaia è dotata di anelli di retroazione negativa, che tendono a smorzare le oscillazioni del sistema. Per esempio, sappiamo che il cambiamento climatico è un effetto del riscaldamento globale, che a sua volta è un effetto dell’aumento della concentrazione di CO2 nell’atmosfera. In termini tecnici, quindi, l’aumento della CO2 è un effetto di uno squilibrio nel ciclo biogeochimico del carbonio, determinato dall’aumento dell’attività della gilda dei ‘respiratori’. 

L’aumento della CO2 viene mitigato dalla gilda dei ‘fotosintetizzatori’, che funge da anello di retroazione negativa, per restituire l’equilibrio al sistema. Tuttavia, non dobbiamo illuderci. I sistemi di retroazione negativa hanno i loro limiti che non devono essere superati, altrimenti lo stato del sistema si sposta in maniera irreversibile. Inoltre, dobbiamo tener conto che in situazioni perturbate come quella che stiamo vivendo, può sempre attivarsi un anello di retroazione positiva.

Un esempio ben noto è il ciclo del solfuro dimetile (DMS) nell’atmosfera: (1) il riscaldamento globale aumenta la temperatura (T) degli oceani; (2) l’aumento della T degli oceani diminuisce la popolazione del fitoplancton; (3) la riduzione della popolazione del fitoplancton provoca una riduzione nella produzione e nella liberazione nell’atmosfera del DMS; (4) la riduzione del DMS – che ha una funzione aggregante nei confronti delle particelle di vapore acqueo presenti nell’atmosfera – rende più difficile la formazione delle nubi bianche; (5) la diminuzione delle nubi bianche riduce l’albedo del pianeta; (6) la riduzione dell’albedo favorisce un aumento del riscaldamento globale. L’anello si chiude al punto (6) con un ritorno al punto (1), generando però un’amplificazione del fenomeno del riscaldamento globale. Rama Nemani, ricercatore presso il Centro di ricerca Ames della Nasa e coautore dello studio, spiega: “Quando è stato osservato per la prima volta l’aumento di verde della Terra, abbiamo pensato che fosse dovuto a un clima più caldo e umido e alla fertilizzazione dovuta al biossido di carbonio aggiunto nell’atmosfera”. Ma, con i dati dei satelliti Terra e Aqua della Nasa, gli scienziati hanno capito che anche gli esseri umani stanno contribuendo. “Gli esseri umani sono incredibilmente resilienti, questo è ciò che vediamo nei dati satellitari”, ha detto Nemani. Cosa ne pensa? Concorda con il ricercatore? 

Assolutamente d’accordo. Ramakrishna Nemani è uno dei massimi esperti nell’analisi dei dati satellitari. Nell’intervista che lei cita, Nemani aggiunge: “Una volta che le persone si rendono conto che c’è un problema, tendono a risolverlo. Negli anni ’70 e ’80 in India e Cina, la situazione intorno alla perdita della vegetazione non era buona. Negli anni ’90, la gente se ne è accorta e oggi le cose sono migliorate”. Non posso che sottoscrivere: abbiamo molti limiti, ma siamo una specie resiliente, capace di capire gli errori e di correggerli.

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2019/03/terra-piu-verde-giuseppe-barbiero-notizia-storica/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni

Dall’agricoltura che distrugge la natura a quella del non fare: il grande insegnamento di Fukuoka

Molti grandi maestri hanno indicato strade alternative in diversi campi e uno di questi è senz’altro Masanobu Fukuoka, agricoltore giapponese vissuto dal 1913 al 2008 che ha rivoluzionato l’idea stessa di agricoltura.

L’insegnamento di Masanobu Fukuoka si componeva di quattro principi: nessuna lavorazione del terreno che quindi non deve essere arato, né rivoltato; nessun fertilizzante chimico, né compost preparato; non si estirpano le erbacce né a mano, né con erbicidi; nessuna dipendenza dalla chimica. A una visione così lungimirante e rispettosa della terra si aggiungono: una visione del mondo come un tutto unico, interconnesso e interdipendente, perfettamente organizzato così com’è; rispetto di tutte le creature e garanzia per esse di uguale opportunità di prosperare; tutela della capacità della natura di rigenerarsi, valorizzazione e sostegno della biodiversità; conoscenza e cura della propria casa, sobrietà, riutilizzo e riciclo diffuso evitando la creazione di rifiuti; vita vissuta con spirito di tolleranza, umiltà e gratitudine.

Uno delle convinzioni diffuse che Fukuoka, morto a 95 anni, ha sfatato è quella che fare agricoltura significa la distruzione fisica e psicologica dell’individuo e questa convinzione viene sempre citata quando si vuole denigrare, sminuire o prendere in giro chi dice che un riavvicinamento alla terra è auspicabile. Immediatamente i critici parlano di ritorno alle caverne, dei servi della gleba, della fatica inenarrabile di nonni e bisnonni. Fukuoka spazza via tutte queste teorie utilizzate per spaventare chi vuole trovare strade diverse e vuole spacciare il modello industriale e della crescita come l’unico possibile. Leggendo gli insegnamenti di Fukuoka si rimane sorpresi nell’apprendere quanto poco tempo dedicasse al lavoro agricolo e quanto sia stata longeva e sana la sua vita. Non solo non è morto con la schiena spezzata in due, ma la sua agricoltura era sana per la terra e sana per lui. La sua grande rivoluzione era che la natura ci insegna tutto, più la seguiamo, la osserviamo e più benefici ne traiamo. Più cerchiamo di combatterla, di piegarla, di dominarla e più faremo fatica e avremo problemi. La sua agricoltura a bassa intensità di lavoro ha dimostrato anche di essere produttiva quanto e più di quella tradizionale, fatta con macchinari, energia fossile e largo uso di concimi chimici e pesticidi, che non solo alla lunga producono meno cibo ma che comportano danni a non finire e la distruzione della fertilità del suolo. Di conseguenza si hanno costi enormi che vengono fatti pagare alla collettività e non a chi produce l’inquinamento. Nel libro “L’agricoltura del non fare” scritto da Larry Korn sulla vita di Fukuoka, si racconta come l’agricoltore giapponese, andando negli Stati Uniti, si accorga che le tecniche agricole degli indiani d’America fossero molto vicine a quelli che erano i suoi insegnamenti e le sue idee. Del resto la cultura indigena ha vissuto in armonia con l’ambiente circostante imparando dalla natura e non combattendo contro di essa.

Korn prendendo spunto dalle idee sui popoli indigeni di Fukuoka e descrive così questo importante passaggio:

«Lo stile di vita dei nativi, immutato per millenni, non ha esercitato ripercussioni negative sull’ambiente. Quando l’uomo ha cominciato a separarsi dalla natura, abbandonando le fonti tradizionali della conoscenza – la comprensione intuitiva, l’apprendimento diretto dagli altri esseri viventi, gli insegnamenti provenienti dalle generazioni precedenti – ha perso la capacità di comprendere l’unicità del Creato. Ha cominciato così ad affidarsi all’intelletto che però può comprendere solo piccoli pezzi della realtà, uno alla volta. Questo modo frammentario di vedere il mondo si è tradotto infine nella scienza ed è diventato lo standard secondo cui le persone organizzano l’esperienza e decidono cosa fare. Le società tribali erano considerate società dell’abbondanza perché producevano tutto ciò di cui avevano bisogno con il minimo sforzo. La nostra società moderna, invece, ha un appetito insaziabile. Anziché l’economia dell’abbondanza, il nostro sistema, così altamente produttivo, è da considerarsi “l’economia della scarsità” perché non è importante quanto si produce, la certezza è che non sarà mai abbastanza. Il nostro sistema economico istituzionalizza il bisogno di espansione, nel tentativo, assolutamente futile, di autoalimentarsi. Tutto questo viene chiamato “crescita” o “progresso”,  e nella sua applicazione pratica si traduce nell’estrazione delle risorse naturali con la maggiore velocità ed efficienza possibile».

Fukuoka faceva già negli anni Ottanta un’analisi della nostra organizzazione sociale assai veritiera e lucida. Ecco quanto riporta ancora Korn:

«Tutto nel mondo moderno è diventato rumoroso e complicatissimo e la gente vuole tornare a una vita più semplice e tranquilla, come quella che si svolge nella mia fattoria. Quanto più ci si separa dalla natura e ci si allontana dal centro immobile e immutabile della realtà, tanto più si innesca  un effetto centripeto che fa desiderare il ritorno alla natura – il vero centro. Credo che la proposta dell’agricoltura naturale sgorghi proprio da quel centro immobile e immutabile della vita. C’è anche da dire che la diffusa consapevolezza dei guasti causati a lungo termine dall’agricoltura convenzionale sta favorendo il rinnovato interesse  verso i metodi agricoli alternativi. Molte persone stanno apprezzando il mio metodo di coltivazione e cominciano a constatare che ciò che prima ritenevano primitivo o antiquato è forse più all’avanguardia della scienza moderna. La verità è che la natura fa molto meglio senza “l’aiuto” dell’uomo».

In fondo raggiungere la felicità o una vita appagante per Fukuoka non è così difficile come si pensa e non passa attraverso il successo, la carriera o l’arricchimento monetario. Si legge ancora nel libro:

«Il fatto di servire semplicemente la natura vivendo modestamente e avere ciò che è sufficiente per le nostre necessità quotidiane viene ritenuta la via più diretta verso l’auto consapevolezza. Non ci sono meditazioni, yoga, letture richieste o altro. E’ un metodo senza metodo. Man mano che il terreno sempre più torna al suo stato originale, anche la mente dell’agricoltore trova la sua strada per tornare allo stato originale. Si diventa liberi e si riesce semplicemente a godere la vita».

Fonte: ilcambiamento.it

La tecnologia schiava del profitto non ci salverà. Inevitabile il ritorno alla terra

Il mondo attuale, cloroformizzato dalla potenza e meraviglia tecnologica, pensa di eludere limiti e leggi naturali utilizzando la terra come una discarica. Ma è solo un’illusione…

Più la tecnologia avanza e ci fa vedere cose strabilianti, più pensiamo che qualsiasi problema verrà risolto e, se non verrà risolto, potremo sempre andare su Marte. I fanatici di tecnologia e fantascienza, ormai praticamente la stessa cosa, vivono un mondo tutto loro che non ha niente a che vedere con la realtà e il capitombolo che faranno dall’alto dei loro voli pindarici sarà fragoroso. La tecnologia esclusivamente al servizio dell’interesse economico non si cura affatto delle sue conseguenze e, per quanto faccia progressi e sia scintillante, non sta impedendo l’estinzione umana, anzi l’accelera.

Non ha impedito l’estinzione di moltissime specie animali, di habitat naturali ormai persi irrimediabilmente. Non impedisce anzi accelera la produzione in massa di rifiuti intesi come merci ormai sempre più superflue, tanto da essere classificate da subito come rifiuti: verranno gettate velocemente e i mari sono ormai diventati brodaglie di plastica. Non si limitano gli imballaggi, non si limita drasticamente l’uso dei combustibili fossili, non si sta facendo nulla per fermare i cambiamenti climatici e sono stati raggiunti tutti i livelli più critici di emissioni; eppure si fanno progressi continui di tipo tecnologico. Visto che con tutta la tecnologia che abbiamo potremmo agire efficacemente e non lo si fa, vuol dire che non c’è nessun interesse a farlo, poiché la tecnologia deve rimanere solo un mezzo per fare soldi; se poi il mondo brucia, chi se ne frega. Però potremmo riprendere l’evento con le nostre quattordici telecamere installate sull’ultimissimo I-Phone numero 2478. E cosa faranno i fan della super tecnologia quando saranno esaurite tutte le risorse, quanto i terreni saranno devastati, il commercio in ginocchio, le città al buio e senza approvvigionamenti? I politici ovviamente daranno la colpa agli immigrati, agli ambientalisti (new entry nel gruppo dei responsabili di tutto), ai bolscevichi risorti dalle tombe, ai puffi nascosti nei boschi; ma anche dando la colpa a chiunque sia, la situazione e le responsabilità chiare non cambieranno. Politica, finanza ed economia della crescita ci stanno portando dritti verso la catastrofe. Aspettare una presa di coscienza e azioni dall’alto è pura utopia, se Trump, smentito addirittura dalla sua stessa amministrazione, continua a dire che i cambiamenti climatici non esistono. La politica, tranne miracoli che ad oggi non sembrano all’orizzonte, non farà nulla, nemmeno di fronte all’evidenza. Basta vedere le inconcludenti e inutili conferenze sul clima che si succedono fini a se stesse mentre la situazione si aggrava.

L’unica possibilità è agire direttamente e, visto che verrà minacciato l’approvvigionamento alimentare mandando in crisi l’assurdo e fragilissimo sistema che vuole i nostri supermercati pieni di prodotti che arrivano da chissà dove, la prima cosa da fare è ragionare su come ci si sfamerà di fronte al collasso in arrivo. Una soluzione è quella di ritornare progressivamente alla terra e autoprodursi il più possibile. Meglio se fatto in ottica di ecovicinato, cioè di aiuto reciproco fra vicini  all’interno dei territori in cui si vive. In questo modo si potranno alleggerire le gravi mancanze e difficoltà che ci saranno da una società votata allo sfascio. L’Italia è strapiena di posti abbandonati e terre incolte che non aspettano altro che essere ripopolate e fatte rifiorire, non in un’ottica di sfruttamento ma di attenzione all’equilibrio naturale e in ossequio alla cultura dei limiti, l’unica che può dare una rotta perseguibile nel mare di follia che ci circonda. E il ritorno alla terra non significa solo la possibile sopravvivenza ma anche una diversa e più ricca socialità, relazioni non virtuali, supporto, rafforzamento del senso di comunità che è la sola che dà davvero sicurezza agli individui. Ovviamente i “super moderni” penseranno che non si può fare, che è un ritorno al passato e tante altre fesserie simili, ma nessuna delle soluzioni e strade percorse dall’attuale sistema suicida è migliore di quella della ripresa del controllo della propria vita e dei propri mezzi di sostentamento.

La società del consumo, dello spreco, dei rifiuti, dell’inquinamento è arrivata al capolinea e non servirà chiudere occhi, naso e orecchi, perché le conseguenze saranno sempre più gravi e già ora ci investono in tutta la loro drammaticità.  Chi si preparerà per tempo avrà delle possibilità, chi aspetterà nella sua cameretta fantasticando di volare su Marte al momento opportuno, rimarrà prima assai deluso e poi non saprà come fronteggiare la situazione, ostaggio del mondo che gli crollerà addosso.

Meglio non arrivare a quel punto, meglio agire prima.

Fonte: ilcambiamento.it

Emergenza acqua: ne va della nostra vita

L’acqua ricopre il 70% della superficie terrestre e rappresenta un bene da preservare se vogliamo garantire anche la nostra esistenza sulla Terra: se c’era bisogno dell’ennesima conferma, ecco che arriva dal rapporto “Water is life” dell’Agenzia Europea per l’Ambiente.9943-10734

L’acqua copre oltre il 70% della superficie terrestre, è in acqua che è iniziata la vita sulla Terra, è un bisogno vitale, una risorsa locale e globale e un regolatore del clima. Ma negli ultimi due secoli è divenuta l’approdo degli innumerevoli inquinanti che l’uomo ha rilasciato in natura. Occorre dunque cambiare radicalmente il modo in cui usiamo e trattiamo l’acqua. Ed è proprio questo è il filo conduttore del rapporto “Water is life” dell’Agenzia Europea per l’Ambiente.

Uso dell’acqua in Europa: quantità e qualità, grandi sfide

Gli europei usano miliardi di metri cubi di acqua ogni anno non solo per bere, ma anche per agricoltura, industria, riscaldamento e raffreddamento, turismo e altri servizi. Con migliaia di laghi d’acqua dolce, fiumi e fonti d’acqua sotterranee disponibili, la fornitura di acqua in Europa può sembrare senza limiti. Ma la crescita della popolazione, l’urbanizzazione, l’inquinamento e gli effetti dei cambiamenti climatici, come la siccità persistente, stanno mettendo a dura prova l’approvvigionamento idrico in Europa e la sua qualitàacqua1

La vita nell’acqua è fortemente minacciata

La vita nelle acque dolci d’Europa e nei mari regionali è fortemente minacciata. Il pessimo stato  degli ecosistemi ha un impatto diretto su molti animali e piante che vivono nell’acqua e questo colpisce altre specie e soggetti. Lo stato dei mari europei è compromesso, principalmente a causa della pesca eccessiva e dei cambiamenti climatici, mentre le acque dolci soffrono per acidificazione e habitat alterati. L’inquinamento chimico ha un impatto negativo su sia sui corsi e invasi d’acqua dolce che sull’acqua marino-costiera.acqua2

Un oceano di plastica

La plastica prodotta in serie è stata introdotta intorno alla metà del secolo scorso come un materiale miracoloso: leggero, plasmabile, e resistente. Da allora, la produzione di materie plastiche è aumentata rapidamente e ora la produzione annuale supera i 300 milioni di tonnellate e… non scompare dall’ambiente!

Cambiamenti climatici e acqua: mari più caldi, inondazioni e siccità

Il cambiamento climatico sta aumentando la pressione sui corpi idrici. Dalle inondazioni e dalla siccità, all’acidificazione degli oceani e all’innalzamento del livello del mare, gli impatti dei cambiamenti climatici sull’acqua dovrebbero intensificarsi negli anni a venire. È quanto mai necessario che ogni Stato e Federazione di Stati attui misure pronte, efficaci e drastiche per fermare questo fenomeno.acqua3

L’acqua nelle città

Diamo tutto per scontato nelle nostre case: apriamo i rubinetti, scarichiamo le acque reflue e ci aspettiamo che sarà per sempre così. Ma sbagliamo. Per la maggioranza dei cittadini europei, l’acqua nelle abitazioni è potabile e disponibile 24 ore al giorno, ma l’acqua fa un lungo viaggio per arrivare nelle nostre case e incontra molti ostacoli.

Gestire l’acqua in una città non è una questione che interessa solo i gestori dei sistemi idrici pubblici.

Il cambiamento climatico, lo sviluppo urbano e le modifiche ai bacini fluviali possono portare a più frequenti e dannose inondazioni nelle città, lasciando alle autorità una sfida sempre più grande.

Per scaricare il rapporto integrale QUI

Fonte: ilcambiamento.it

Alla soglia dell’irreversibilità

Esiste una soglia oltre la quale l’instabilità delle temperature della Terra diventerà irreversibile? E se sì, dove si colloca? La stiamo forse raggiungendo? Pietro Greco, chimico e scrittore, ci accompagna nel ragionamento che ciascuno di noi, oggi, è tenuto a fare.9917-10706

Sono quattro le domande che Will Steffen, scienziato del clima in forze allo Stockholm Resilience Centre, dell’Università di Stoccolma, con un nutrito gruppo di suoi collaboratori si pongono e ci pongono con un articolo, Trajectories of the Earth System in the Anthropocene, appena pubblicato su PNAS: c’è una soglia planetaria nella traiettoria del sistema Terra, superata la quale il regime delle temperature diventa altamente instabile e l’instabilità diventa irreversibile? Se sì, dove si colloca questa soglia? Quali conseguenze avrebbe per l’umanità il superamento di questa soglia? Possiamo fare qualcosa per impedire che questa soglia venga superata?

L’analisi che Will Steffen e colleghi propongono è molto articolata e andrebbe studiata nei dettagli. Non fosse altro perché le variabili in gioco sono molte e svariate sono le traiettorie possibili. Il Sistema Terra è un sistema complesso e, in quanto tale, è estremamente sensibile dalle condizioni iniziali. Basta un battito d’ali di una farfalla in Amazzonia, verificò al computer il meteorologo Edward Lorenz, per scatenare un uragano imprevisto in Texas. Ciò vale per il singolo evento meteorologico come per il clima globale. Dunque, ogni previsione contiene in sé un’intrinseca incertezza. Questo non significa, però, che ogni previsione è inutile. Al contrario, è possibile stabilire degli scenari di probabilità.
Ed è quello che, tutto sommato, hanno fatto gli scienziati guidati da Will Steffen. L’analisi parte dal fatto che nell’Olocene (gli ultimi 11.700 anni) la temperatura media del pianeta è oscillata poco intorno ai 15 °C e il clima è stato piuttosto stabile. Ma anche che negli ultimi 1,2 milioni di anni mai la temperatura ha raggiunto, in media, i livelli attuali. È stata più bassa nei periodi glaciali, ma mai più alta nei periodi interglaciali. Il sistema si è trovato, in qualche modo, in una condizione di equilibrio. Bene, dicono Steffen e i suoi colleghi: è molto probabile che la crescita della temperatura nell’Antropocene, ovvero nella recentissima era in cui l’impatto umano sull’ambiente è diventato importante e in molti casi decisivo, possa determinare fenomeni irreversibili capaci di far saltare l’equilibrio. Prendiamo, a esempio, lo scioglimento del permafrost in Siberia o di gran parte dei ghiacci in Antartide: se si verificassero, non si potrebbe tornare indietro. Non in tempi brevi, almeno. L’equilibrio salterebbe e occorrerebbero migliaia di anni se non di più prima che eventualmente sia ricomposto. Dunque alla prima domanda Will Steffen e colleghi rispondono con un netto sì. Esiste un valore soglia, superato il quale il sistema Terra cambierà in maniera irreversibile le sue condizioni attuali (e romperà il ciclo esperito negli ultimi 1,2 milioni di anni). Già, ma dove si trova questo valore soglia? È a questa domanda che Steffen e colleghi danno la risposta più inquietante. Si trova, secondo le loro inferenze, intorno ai 2 °C sopra la temperatura media dell’era pre-industriale. Oggi siamo già a metà strada: la temperatura media del pianeta è di 1 °C superiore a quella dell’era pre-industriale. Dunque siamo a un passo dal valore limite, oltre il quale potremo entrare in una condizione del sistema Terra estremamente calda e inedita negli ultimi milioni di anni. Una condizione irreversibile.
Possiamo evitare di raggiungere la soglia dell’irreversibilità? Le risposte di Steffen e colleghi non sono affatto tranquillizzanti. Se anche riuscissimo a mantenere la crescita della temperatura entro i 2 °C rispetto all’epoca pre-industriale, che è l’obiettivo degli accordi di Parigi, saremmo comunque in una situazione di rischio. Il rischio che scattino, a cascata, i processi irreversibili. Sulle conseguenze esiste una sterminata letteratura. Temperature insopportabili, avanzata dei deserti, scioglimento dei ghiacci, aumento del livello dei mari, bibliche migrazioni. Ma i ricercatori svedesi non chiudono affatto gli scenari. Se siamo drastici e tempestivi, possiamo riuscire a collocare il sistema Terra in una piccola vallata metastabile. Cercare di inchiodarlo in una condizione non molto diversa dall’attuale. Già. Ma occorrono quella determinazione e quella tempestività che, anche dopo Parigi, sembrano latitare. La politica (globale) da sola non ce la fa. Occorre, dunque, che scenda in campo una superpotenza mondiale: l’opinione pubblica. Senza una mobilitazione di noi cittadini del pianeta, le traiettorie del sistema saranno inevitabilmente indirizzate verso scenari indesiderabili. In fondo è quello che ci ha detto un’altra svedese, Greta Thunberg, di soli 15 anni, che con molta lucidità nei giorni scorsi ha iniziato uno sciopero della fame davanti al parlamento a Stoccolma per protestare contro noi adulti, che con la nostra inerzia stiamo rovinando il futuro suo e dei suoi figli.

Chi è Pietro Greco

Pietro Greco, laureato in chimica, è giornalista e scrittore. Collabora con numerose testate ed è tra i conduttori di Radio3Scienza. Collabora anche con numerose università nel settore della comunicazione della scienza e dello sviluppo sostenibile. E’ socio fondatore della Città della Scienza e membro del Consiglio scientifico di Ispra. Collabora con Micron, la rivista di Arpa Umbria.

Fonte: ilcambiamento.it

“La terra è viva e guarisce”: gli ortolani degli chef lanciano un nuovo progetto

Dopo aver cambiato vita e portato in Italia la figura professionale del “culinary gardener”, gli “ortolani degli chef” Lorena Turrini e Davide Rizzi hanno avviato un nuovo progetto chiamato “Organismo Agricolo Vivente Terapeutico” con l’obiettivo di portare vitalità alla terra, all’ambiente e, di conseguenza, all’uomo. Organismo Agricolo Vivente. È questo il nome del nuovo progetto intrapreso da Lorena Turrini e Davide Rizzi, un’artista e un musicista che qualche tempo fa hanno deciso di mettersi in gioco e ripensare la loro vita professionale, scegliendo di dedicarsi alla produzione di cibo sano secondo i principi dell’agricoltura biodinamica e avviando il progetto chiamato “culinary gardener”.

Come “culinary gardener”, Davide e Lorena producono frutta e verdura nel loro orto-giardino biodinamico in Toscana a stretto contatto con gli chef al fine di fornire materie prime ad hoc per i loro piatti. Per chi non conosce questa figura professionale, il culinary gardener è il consulente-produttore personale di uno chef: in pratica, produttore e chef decidono insieme cosa seminare per creare un menù stagionale di verdure e frutti freschi, sani e ricchi di sostanze nutritive e scelgono insieme cosa coltivare per ottenere i sapori e i profumi ricercati dallo chef.LorenaTurrini_DavideRizzi

Davide Rizzi e Lorena Turrini

Originari di Modena, Davide e Lorena si occupano di orticoltura biodinamica dal 2010 e sono culinary gardener presso una società che possiede strutture di pregio in Toscana, nelle quali lavorano due chef stellati. “Dopo sette anni passati tra le dolci colline toscane collaborando con chef stellati”, ci spiegano, “abbiamo deciso di concederci un intenso anno di studio e collaborazione presso un istituto di ricerca di Udine. Abbiamo approfondito il mondo della biodinamica da un punto di vista più antroposofico, sviluppando un modo più ‘sensibile’ di dialogare con la natura, e abbiamo messo a punto un nuovo progetto che diventa completamento del primo: l’”Organismo Agricolo Vivente Terapeutico”, un progetto sostenibile a livello sociale-terapeutico ed economico, nel quale esistono un aspetto terapeutico-passivo e uno terapeutico-attivo”.

L’aspetto terapeutico-passivo dell’”Organismo Agricolo Vivente Terapeutico” è costituito dalla presenza di siepi con alberi di specie diverse, piantumate in base agli studi sulle consociazioni arboree, dove ogni pianta irradia una particolare “forza” che agisce come stimolo o riequilibrio per l’essere umano che si avvicina ad esse. La natura, lo sappiamo, ha capacità curative-terapeutiche ed è una fonte inesauribile di energia e forza vitale per l’uomo e gli animali. È importante la presenza di essenze a portamento verticale perché questa forma costituisce una specie di “antenna” atta a captare e trattenere le forze vitali che arrivano dal cielo. Inoltre, per amplificare queste forze bisogna seguire legge del ciclo chiuso: tutto va riciclato attraverso il compost, perché compostando si amplificano sia le forze vitali sia le naturali “difese immunitarie” dell’Organismo Agricolo rendendolo sano e longevo. Per quanto riguarda, invece, l’aspetto terapeutico-attivo ed economico, oltre all’orto vero e proprio, nell’Organismo Agricolo vengono inserite piante aromatiche (privilegiando le specie autoctone e naturalizzate) utilizzabili anche per produrre olii essenziali, piante a fioritura a scalare per la vendita di fiori recisi, essenze nettarifere per il miele e alberi da frutto, insieme a frutti antichi e autoctoni per realizzare succhi o marmellate.

“Abbiamo già progettato un paio di Organismi Agricoli“, ci raccontano Lorena e Davide, “che hanno due tipologie e due finalità completamente diverse e che sono attualmente in fase di realizzazione. A Novembre 2017 ad Ibiza abbiamo ideato il nostro primo progetto di “Organismo Agricolo Vivente Terapeutico” (presso una struttura) per soggiorni di riequilibrio terapeutico da stress lavorativo. A febbraio 2018 abbiamo iniziato una collaborazione con Coopattiva, storica cooperativa sociale modenese, per il progetto di un ‘Organismo Agricolo’ in ambito sociale a Nonatola (Modena) che estende su tre ettari. Non si tratta solo di un orto, ma di un intero organismo agricolo vivente costituito da frutteto, piccola vigna, piccoli frutti, bosco, siepe terapeutica, serre, punto ristoro. Abbiamo già lavorato con ragazzi in difficoltà psichiche e con bambini e adulti con disagio e conosciamo i benefici che il lavoro nella natura offre a queste persone, al fine di migliorarne le abilità e svilupparne di nuove”.Lorena4

“Viste le nuove richieste che ci sono arrivate sia in ambito sociale, (anche) per persone anziane e per gli orti scolastici, sia da privati ed aziende, abbiamo elaborato una sorta di “progetto base” da poter utilizzare in contesti diversi, personalizzandolo di volta in volta a seconda delle specifiche del luogo e delle esigenze dei fruitori. Il ‘modello’ è uguale per tutti: un ‘Organismo Agricolo Vivente Terapeutico’, del quale cambieranno di volta in volta le forme, gli aspetti terapeutici, che saranno tarati secondo le necessità specifiche, e l’attività economica, che dipenderà dai diversi obiettivi da raggiungere. Ci sarà sempre l’aspetto terapeutico-passivo e il lavoro quotidiano in agricoltura che è l’aspetto terapeutico-attivo”.

“Non abbiamo inventato nulla. La natura esiste da molto prima di noi ed è sempre lei la protagonista. L’orto sociale è già stato fatto e funziona bene: si è visto come il contatto con la natura ed il lavoro nell’orto porti grandi benefici alle persone. Noi abbiamo fatto un piccolo passo in avanti progettando Organismi Agricoli Viventi Terapeutici, non solo orto. Abbiamo studiato molto le forme da inserire che possono già di per sé ‘curare’. L’orto stesso, ad esempio, è a forma di pentagono, cioè la forma che riporta l’uomo all’armonia. Tutto origina dai solidi platonici nei quali si manifestano due forze: forze di disgregazione terrestri e forze di vita celesti. Quando disegniamo un Organismo Agricolo lo pensiamo sempre in analogia con il corpo umano. Ogni ‘organo’ del progetto corrisponde ad un organo del corpo umano. Portando armonia nell’organismo agricolo questa si riflette specularmente nel corpo umano ristabilendo l’equilibrio, quindi la salute fisica e mentale. Di conseguenza, inseriamo in percentuali ben precise il bosco, il frutteto, l’orto, il laghetto, le siepi ed ognuno di essi è direttamente collegato ad un organo del nostro corpo (polmoni, cuore, fegato, ecc.).

“Il nostro obiettivo e missione”, concludono Lorena e Davide, “è, da sempre, quello di portare vitalità alla terra, all’ambiente e di conseguenza all’uomo favorendo l’aumento del suo sistema immunitario anche con la qualità del cibo e la bellezza delle forme. Lo facciamo con i progetti di culinary gardener e ora anche con gli Organismi Agricoli Viventi Terapeutici. Il primo amore non si scorda mai: continuiamo a collaborare con gli chef, perciò non abbandoniamo il nostro progetto culinary gardener, ma lo arricchiamo e l’idea è quella di poter creare, un giorno, un Organismo Agricolo Vivente Terapeutico anche per gli chef”.

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2018/07/terra-viva-guarisce-ortolani-chef-nuovo-progetto/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni