La tecnologia schiava del profitto non ci salverà. Inevitabile il ritorno alla terra

Il mondo attuale, cloroformizzato dalla potenza e meraviglia tecnologica, pensa di eludere limiti e leggi naturali utilizzando la terra come una discarica. Ma è solo un’illusione…

Più la tecnologia avanza e ci fa vedere cose strabilianti, più pensiamo che qualsiasi problema verrà risolto e, se non verrà risolto, potremo sempre andare su Marte. I fanatici di tecnologia e fantascienza, ormai praticamente la stessa cosa, vivono un mondo tutto loro che non ha niente a che vedere con la realtà e il capitombolo che faranno dall’alto dei loro voli pindarici sarà fragoroso. La tecnologia esclusivamente al servizio dell’interesse economico non si cura affatto delle sue conseguenze e, per quanto faccia progressi e sia scintillante, non sta impedendo l’estinzione umana, anzi l’accelera.

Non ha impedito l’estinzione di moltissime specie animali, di habitat naturali ormai persi irrimediabilmente. Non impedisce anzi accelera la produzione in massa di rifiuti intesi come merci ormai sempre più superflue, tanto da essere classificate da subito come rifiuti: verranno gettate velocemente e i mari sono ormai diventati brodaglie di plastica. Non si limitano gli imballaggi, non si limita drasticamente l’uso dei combustibili fossili, non si sta facendo nulla per fermare i cambiamenti climatici e sono stati raggiunti tutti i livelli più critici di emissioni; eppure si fanno progressi continui di tipo tecnologico. Visto che con tutta la tecnologia che abbiamo potremmo agire efficacemente e non lo si fa, vuol dire che non c’è nessun interesse a farlo, poiché la tecnologia deve rimanere solo un mezzo per fare soldi; se poi il mondo brucia, chi se ne frega. Però potremmo riprendere l’evento con le nostre quattordici telecamere installate sull’ultimissimo I-Phone numero 2478. E cosa faranno i fan della super tecnologia quando saranno esaurite tutte le risorse, quanto i terreni saranno devastati, il commercio in ginocchio, le città al buio e senza approvvigionamenti? I politici ovviamente daranno la colpa agli immigrati, agli ambientalisti (new entry nel gruppo dei responsabili di tutto), ai bolscevichi risorti dalle tombe, ai puffi nascosti nei boschi; ma anche dando la colpa a chiunque sia, la situazione e le responsabilità chiare non cambieranno. Politica, finanza ed economia della crescita ci stanno portando dritti verso la catastrofe. Aspettare una presa di coscienza e azioni dall’alto è pura utopia, se Trump, smentito addirittura dalla sua stessa amministrazione, continua a dire che i cambiamenti climatici non esistono. La politica, tranne miracoli che ad oggi non sembrano all’orizzonte, non farà nulla, nemmeno di fronte all’evidenza. Basta vedere le inconcludenti e inutili conferenze sul clima che si succedono fini a se stesse mentre la situazione si aggrava.

L’unica possibilità è agire direttamente e, visto che verrà minacciato l’approvvigionamento alimentare mandando in crisi l’assurdo e fragilissimo sistema che vuole i nostri supermercati pieni di prodotti che arrivano da chissà dove, la prima cosa da fare è ragionare su come ci si sfamerà di fronte al collasso in arrivo. Una soluzione è quella di ritornare progressivamente alla terra e autoprodursi il più possibile. Meglio se fatto in ottica di ecovicinato, cioè di aiuto reciproco fra vicini  all’interno dei territori in cui si vive. In questo modo si potranno alleggerire le gravi mancanze e difficoltà che ci saranno da una società votata allo sfascio. L’Italia è strapiena di posti abbandonati e terre incolte che non aspettano altro che essere ripopolate e fatte rifiorire, non in un’ottica di sfruttamento ma di attenzione all’equilibrio naturale e in ossequio alla cultura dei limiti, l’unica che può dare una rotta perseguibile nel mare di follia che ci circonda. E il ritorno alla terra non significa solo la possibile sopravvivenza ma anche una diversa e più ricca socialità, relazioni non virtuali, supporto, rafforzamento del senso di comunità che è la sola che dà davvero sicurezza agli individui. Ovviamente i “super moderni” penseranno che non si può fare, che è un ritorno al passato e tante altre fesserie simili, ma nessuna delle soluzioni e strade percorse dall’attuale sistema suicida è migliore di quella della ripresa del controllo della propria vita e dei propri mezzi di sostentamento.

La società del consumo, dello spreco, dei rifiuti, dell’inquinamento è arrivata al capolinea e non servirà chiudere occhi, naso e orecchi, perché le conseguenze saranno sempre più gravi e già ora ci investono in tutta la loro drammaticità.  Chi si preparerà per tempo avrà delle possibilità, chi aspetterà nella sua cameretta fantasticando di volare su Marte al momento opportuno, rimarrà prima assai deluso e poi non saprà come fronteggiare la situazione, ostaggio del mondo che gli crollerà addosso.

Meglio non arrivare a quel punto, meglio agire prima.

Fonte: ilcambiamento.it

Il 5G è arrivato: allarme mondiale degli scienziati

Connessioni ultraveloci, oggetti più interconnessi, internet ovunque. La tecnologia 5G è arrivata in fase sperimentale anche in Italia. Eppure appelli da scienziati di tutto il mondo chiedono di verificare i rischi sulla salute prima di installare la nuova tecnologia. Già 2G, 3G e 4G hanno dimostrato gravi effetti sulla salute per l’uomo. Prossimamente ci saranno milioni di nuove stazioni base 5G sulla Terra, 20.000 satelliti in più nello spazio, 200 miliardi di oggetti trasmittenti: è arrivata l’Internet of Things (l’internet delle cose). Ci saranno le città intelligenti, case automatizzate, industrie robotizzate, sistemi di sicurezza e controllo più efficienti, servizi e oggetti come automobili, TV, elettrodomestici fino ai piccoli oggetti di uso quotidiano come pannolini per bambini, cartoni del latte, spazzole per capelli, vestiti e scarpe: tutto conterrà antenne o microchip. Tutto a connessione Wi Fi. Una connessione globale, sempre e ovunque. La costellazione satellitare globale è affidata ad una decina di società, 3 le più grandi (SpaceX, OneWeb, Telesat) per coprire anche le zone remote della Terra: gli oceani, le foreste pluviali e l’Antartico.

Video dell’azienda OneWeb

 

La fase sperimentale, iniziata in Italia nel 2017 nelle aree metropolitane di Milano, Prato-l’Aquila e Bari-Matera, terminerà nel 2022 con il 5G a pieno regime su scala nazionale. Ma quali valutazioni sono state fatte sulla sostenibilità energetica, ambientale e sulla salute globale?

Il wireless consuma 10 volte l’energia che richiede la tecnologia con il cablaggio (cioè con i fili) quindi per ora il 5G, a regime, sembra essere meno conveniente dal punto di vista della sostenibilità energetica. I satelliti saranno localizzati nella magnetosfera terrestre che incide sulle proprietà elettriche dell’atmosfera.  Organi di ricerca internazionali  avvertono di una possibile ulteriore riduzione dello strato di ozono per il lancio dei razzi (previsti 300 l’anno) e del cambiamento climatico.

Quali sono gli effetti previsti sugli esseri viventi?

Il wireless funziona utilizzando impulsi estremamente rapidi di radiazione a microonde, la stessa dei forni a microonde. Studi clinici sugli effetti nocivi gravi da esposizione alle frequenze radio in uso (fino al 4G) sono ormai migliaia anche sugli animali e sulle piante e sempre più sentenze di tribunale sanciscono il nesso causale tra cancro ed elettrosensibilità. Oltre all’aumentato rischio di cancro anche stress cellulare, danni genetici, cambiamenti strutturali e funzionali del sistema riproduttivo, disturbi neurologici, deficit di apprendimento e memoria, cambiamenti ormonali. Inoltre, una parte crescente della popolazione europea manifesta sintomi di elettrosensibilità specifica. Per questo un appello sottoscritto da 170 scienziati, medici e organizzazioni ambientaliste di tutto il mondo chiede all’ONU, all’OMS, alle istituzioni dell’Unione Europea di bloccare lo sviluppo della tecnologia 5G, anche nello spazio, in attesa che si accertino i rischi per la salute dei cittadini. Nell’appello si legge che le strutture elettricamente conduttive dell’organismo umano possono trasportare correnti indotte dalle radiazioni all’interno del corpo. Ma le stesse cariche in movimento possono diventare delle piccole antenne che rilanciano il campo elettro-magnetico verso gli strati più profondi dell’organismo.earth-79533_1280

Anche l’ISDE (International Society of Doctors for the Environment) Italia, nel rispetto del Principio di Precauzione e del Principio OMS “Health in All Policies”, chiede una moratoria sulla sperimentazione del 5G fino a quando non vengano fatte le opportune valutazione dei rischi ambientali e sanitari con piani di monitoraggio e obbligo di informare i cittadini esposti dei rischi potenziali. Anche cittadini e amministratori chiedono cautele nell’impianto di torri vicino a zone residenziali, scuole e posti di lavoro. Ma la 5G richiede torri ogni 100 metri circa. Negli USA oltre 300 sindaci hanno annunciato una maxi-denuncia contro la Commissione Federale delle Comunicazioni se proseguirà ad installare forzatamente il 5G nelle città che hanno scelto di non averla. In Italia, comitati di cittadini, come quelli di Monteporzio Catone raccolgono documentazione scientifica per operare un controllo attivo sul territorio e chiedono di abbassare le soglie dei segnali elettromagnetici permesse dalla legge. Chiedono di fermare la sperimentazione 5G nelle città italiane finché non ci saranno prove scientifiche sull’innocuità di tale tecnologia. Quest’anno è stato pubblicato da un gruppo di ricerca Italiano dell’Istituto Ramazzini Bologna anche lo studio più importante al mondo sugli effetti delle irradiazioni delle antenne per le radiofrequenze della telefonia mobile in uso fino ad oggi,  condotto insieme al National Toxicology Program americano. L’Istituto Ramazzini è un fiore all’occhiello della ricerca indipendente (rifiuta i finanziamenti dell’industria) ed è una cooperativa Sociale (ONLUS): Istituto Nazionale per lo Studio e il Controllo dei Tumori e delle Malattie Ambientali. Gli studiosi hanno riscontrato gravi tumori maligni su cervello e cuore, nonché infarti sugli animali. La dottoressa Belpoggio, direttrice della ricerca dell’Istituto Ramazzini, ha affermato: “I nostri studi sono stati ben eseguiti e senza pregiudizi sui risultati. Contribuiranno certamente all’onere delle prove che l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (AIRC) e le altre agenzie di sanità pubblica dovranno considerare per la rivalutazione della cancerogenicità elettromagnetica”.5g

Ma come viene misurato l’elettrosmog o inquinamento elettromagnatico? Con i valori SAR, Specific Absorption Rate, cioè attraverso l’indice di assorbimento elettromagnetico di un tessuto stimato in 2W/Kg in Europa, stabiliti dall’Unione Europea e condivisi in quasi 150 paesi al mondo (generalmente indicato nelle istruzioni allegate a un telefono cellulare al momento dell’acquisto). I SAR furono calcolati in obsoleti e antiquati test fatti in laboratorio non in vivo ma su fantocci di gel e solo sugli effetti termici (cioè su quanto riscaldavano il tessuto) e non sugli effetti biologici. E non è stato mai aggiornato su organismi vivi e su parametri biologici.

Il Principio di Precauzione avallato da gran parte degli organi istituzionali sanitari è spesso stato difficile da applicare. Ad esempio per i danni dovuti all’uso del tabacco e per la tossicità da amianto ci sono voluti anni di ricerche pubblicate, per decretarne la pericolosità. L’industria arriva prima, e per il 5G è ancora più evidente: la variabile velocità dello sviluppo tecnologico rende il percorso di tutela della salute più difficile. Tanto più che non ne parla quasi nessuno e cittadini e professionisti sono poco informati.

Le lunghezze d’onda 5G ad alta frequenza sono nuove e quindi molto meno studiate per gli effetti umani o ambientali. I ricercatori denunciano la difficoltà di poter valutare i rischi con strumenti epidemiologici, poiché non rimarrà un gruppo di controllo cioè non esposto alle radiazioni con cui fare il confronto. Ciò è particolarmente importante considerando che questi effetti sono probabilmente amplificati dalle esposizioni tossiche sinergiche e da altri comportamenti a rischio per la salute. Gli effetti possono anche essere non lineari. Ci vorranno anni o decenni prima che le vere conseguenze sulla salute siano note, considerato che questa è la prima generazione che ha una durata di vita, dalla culla alla tomba, a questo livello di radiofrequenze a microonde (RF EMR) artificiali. Difficile prevedere l’effetto multiplo e cumulativo, cioè il risultato biologico a medio e lungo termine prodotto da una vastità di invisibili microonde dentro cui saremo immersi. Gli appelli degli scienziati sono volti a far conoscere i rischi e le incertezze per contrastare il ritardo sistemico delle agenzie regolatorie nel prendere posizione.electronics-1851218_960_720

Il progresso della nostra società è basato sullo sviluppo della scienza e della tecnologia quando e se esse migliorano le condizioni di vita della popolazione e dell’ecosistema di appartenenza. Già ora le nuove generazioni hanno possibilità ambientali (l’accesso all’insieme della ricchezza ambientale cioè acqua potabile, fertilità della terra, biodiversità, etc.) minori di quelle dei genitori e sono in forte aumento soprattutto fra i bambini patologie oncologiche, neurologiche, metaboliche e immunitarie. Quando e chi si assumerà la responsabilità di una valutazione rischio/beneficio? Fino a quando parteciperemo allo sviluppo insostenibile?

Ognuno può adottare nella propria quotidianità misure di cautela al fine di limitare l’esposizione: per l’uso dei cellulari usare il vivavoce o le cuffie con i fili, non usare wifi in macchina e per internet di casa spegnerlo quando non lo si usa e soprattutto di notte. Per il 5G riservare spazi liberi da RF soprattutto se destinati ai bambini (parchi pubblici, asili, scuole, zone residenziali), invitare i dirigenti scolastici e amministrativi ad utilizzare reti cablate per il collegamento a internet. Promuovere campagne d’informazione e chiedere ai propri amministratori l’impegno a non implementare la tecnologia prima che se ne attesti l’innocuità.

 

Per approfondire:

https://www.ramazzini.org/centro-di-ricerca/pubblicazioni/

https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0013935118300367?via%3Dihub

https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0013935118303475

https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S1438463917308143

https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0013935118300161

https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0891061815000599

https://www.sciencedirect.com/science/article/abs/pii/S0031938417302706
https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0013935118300355?via%3Dihub

http://www.stopglobalwifi.org/

https://www.astronautinews.it/2018/04/09/spacex-lancera-4425-satelliti-per-le-comunicazioni-a-banda-larga/

https://oasisana.com/2018/05/04/microchip-pure-su-maglie-e-scarpe-siamo-sempre-piu-a-rischio-di-overdose-da-radiofrequenze/

https://www.terranuova.it/News/Attualita/Tsunami-5G-quattro-citta-d-America-lo-rifiutano.-E-sulla-cancerogenesi-e-scontro-tra-scienziati

http://www.nogeoingegneria.com/news-eng/global-wi-fi-scheme-could-destroy-ozone-layer-and-life-on-earth/

http://www.nogeoingegneria.com/news-eng/microwave-radio-frequencies-and-earth-orbiting-satellites-are-causing-global-warming-or-climate-change/

https://www.dglr.de/fileadmin/inhalte/dglr/fb/r1/r1_1/workshop2016/161104_NeueMaerkte_Berlin.pdf

fonte: http://www.italiachecambia.org/2018/10/5g-arrivato-allarme-mondiale-scienziati/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni

 

Test EuroNcap: la tecnologia protegge ciclisti e pedoni

Alcune tecnologie, come quelle installate a bordo di Nissan Leaf, possono fare la differenza ed evitare incidenti tra auto e biciclette.http _media.ecoblog.it_4_448_euroncap-nissan-leaf-ciclisti

Dagli ultimi test Euroncap 2018 esce una vincitrice: la Nissan Leaf 100% elettrica che ha ottenuto le 5 stelle e che, arrivata ormai alla piena maturità, si propone come auto da città realmente per tutti. L’edizione 2018 dei test EuroNcap porta con sé alcune modifiche, soprattutto nella sezione “Vulnerable Road Users” cioè utenti vulnerabili della strada: pedoni e ciclisti. Per i ciclisti i nuovi test prevedono due scenari: uno in cui il ciclista taglia la strada all’automobile e l’altro con il ciclista che viaggia nella stessa direzione, di fronte alla vettura. I sistemi di protezione di pedoni e ciclisti rientrano nei dispositivi di sicurezza attiva delle auto, sistemi cioè che “fanno qualcosa” per evitare l’impatto. Ad esempio frenano autonomamente appena rilevano un pedone o un ciclista. Si chiamano sistemi di AEBVRU, Autonomous Emergency Breaking Vulnerable Road Users. Nissan ha fatto molto da questo punto di vista e ha dotato la sua Leaf di sistemi AEBVRU più efficienti rispetto ai concorrenti. Molto ancora resta da fare, ma lo score di 71% sia nella protezione dei VRU che nella sicurezza attiva in generale dimostrano i progressi fatti fino ad ora. Con la sempre maggiore diffusione di biciclette ed e-bike sulle nostre strade sistemi del genere diventano sempre più utili per salvare vite umane. Per questo motivo l’Automobile Club d’Italia chiede ufficialmente che i sistemi di sicurezza attivi olti alla protezione dei VRU siano resi obbligatori sulle auto di nuova immatricolazione.

Fonte: ecoblog.it

Una studentessa lancia in Italia il motore di ricerca che finanzia progetti virtuosi

Federica Fusco, giovane studentessa di Roma, lancia Lilo, il primo motore di ricerca solidale italiano. L’obiettivo? Riversare i profitti del web per finanziare progetti culturali, sociali ed ecologici e ridare potere di scelta agli utenti. Nasce da un’idea della giovane studentessa romana Federica Fusco l’idea di lanciare in Italia il primo motore di ricerca solidale: Lilo. L’obiettivo è quello di riversare i profitti del web per finanziare delle associazioni italiane e ridonare potere di scelta agli utenti internet.22491699_10210261599728747_675312957670021733_n1

Federica Fusco

L’idea
“Le ricerche che ognuno di noi fa quotidianamente generano un guadagno pari a 30€ all’anno per i motori di ricerca e spesso le persone non ne sono a conoscenza. Partendo da questa consapevolezza, volevo impegnarmi in un’economia digitale che rimettesse parte dell’umano su internet. Mi piaceva l’idea che gli utenti potessero ‘riprendere potere’ e decidere a cosa destinare i soldi che creano con le loro ricerche; e Lilo di certo segue questa filosofia!”.

“30 Euro l’anno –  continua Federica – potrebbe sembrare modesta ma, se moltiplicata per il numero di utenti internet in Italia, diventa una cifra colossale. E se ognuno di noi potesse riversare questo denaro a progetti di propria scelta? Immaginate cosa accadrebbe se ogni mese milioni di utenti si unissero per permettere a dei giovani di trovare lavoro o per esaudire i sogni di bambini malati o ancora per rendere l’Italia più verde con programmi di riforestazione. Tutto questo è possibile sul motore di ricerca Lilo”.

Come funziona

Il motore di ricerca assicura la pertinenza dei risultati, avendo sviluppato una tecnologia di metamotore ed utilizzando gli algoritmi dei più grandi motori di ricerca. Lilo funziona come Google e si può usare quotidianamente per tutte le nostre ricerche. La differenza è che, ad ogni ricerca su Lilo, l’utente guadagna una simbolica goccia d’acqua, logo della piattaforma e simbolo del denaro generato. In seguito, potrà donare le proprie gocce ad uno o più progetti di sua scelta, classificati secondo quattro categorie: sociale, ambientale, sanità e cultura. È Lilo poi a trasformare queste gocce in denaro e a donarlo alle associazioni. Per ogni progetto, l’utente ha la possibilità di conoscere il numero dei sostenitori, il numero di gocce d’acqua donate e la somma raccolta a quella data.  Per una “navigazione solidale” e per partecipare al finanziamento gratuito di progetti sulla piattaforma associata al motore Lilo, l’utente è invitato a testare il motore di ricerca sul sito.

VUOI CAMBIARE LA FINANZA? PARTECIPA ALLA CAMPAGNA D’AZIONE!

Come finanziare un progetto su Lilo

Per proporre e finanziare il proprio progetto sulla piattaforma Lilo, i titolari di un progetto sono invitati a compilare direttamente un modulo online  sul sito. Saranno esaminati i progetti presenti da più di un anno nel dominio sociale, ambientale, sanitario o culturale, di cui sia chiaro l’effetto positivo e sia definito l’obiettivo. I depositari riceveranno una risposta entro 15 giorni.

“Lilo.org consente a tutti di comprendere l’impatto che ciascuno può avere nella società, sensibilizza le persone a problematiche che si conoscono ma davanti alle quali spesso ci si sente impotenti. Con Lilo ci avviciniamo a progetti che ci stanno a cuore attraverso un gesto semplice come navigare sul web. Parliamo di gocce d’acqua e sembra qualcosa di piccolo ma in realtà queste rappresentano molto di più per le associazioni. Lilo è un appoggio finanziario ma, al tempo stesso, un vero e proprio strumento di sensibilizzazione”.

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La sfida: reinventare il web e renderlo più solidale

È durante i suoi studi in Francia che Federica Fusco, studentessa romana, sente parlare del modello di navigazione responsabile “Lilo”. Decide di incontrare gli ideatori del modello fondato nel 2015 e di proporgli di svilupparlo insieme in Italia. Detto, fatto! Nell’estate del 2017, solo qualche mese più tardi, Federica lancia una fase pilota e coinvolge le prime 4 associazioni italiane, ancor prima di sviluppare Lilo in Italia. Ad oggi, Federica spera di accogliere un numero sempre maggiore di progetti locali ed impegnati nel campo sociale o ambientale per raggiungere un obiettivo semplice, quanto ambizioso: “rimettere dell’umano su internet”.

In Francia, il modello di Lilo ha già permesso di raccogliere più di 420 000 euro e di finanziare una cinquantina di progetti. Altre iniziative analoghe stanno crescendo in Europa, grazie all’intraprendenza di talenti locali come Federica.

“Aver contribuito allo sviluppo di Lilo nel mio Paese è qualcosa che mi riempie d’orgoglio. La presenza di iniziative come Lilo permette a tutti di sentirsi parte attiva del cambiamento, d’un cambiamento più etico. Mi entusiasma partecipare alla crescita di una soluzione efficace che ha aspirazioni sociali. È qualcosa di motivante, tanto più che non esiste un equivalente in Italia. Il concept è buono, è la promessa concreta di un’economia digitale responsabile”.

Fonte:  http://www.italiachecambia.org/2017/11/studentessa-lancia-primo-motore-di-ricerca-finanzia-progetti-virtuosi/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni

FabLab Milano: la fabbricazione digitale incontra la condivisione

Un laboratorio di fabbricazione digitale completamente attrezzato, un luogo di condivisione e coworking aperto a studenti, docenti, imprese, ricercatori, artigiani, liberi professionisti. Situato nel quartiere della Bovisa, il FabLab Milano facilita lo scambio di idee e la nascita di nuovi progetti offrendo a chiunque la possibilità di sperimentare e acquisire competenze tecniche.  Alcuni mesi fa a Milano abbiamo intervistato il Lab Manager di FabLab Milano, Salvatore Saldano. Ecco cosa ci ha raccontato.

Fablab, come dice la parola stessa è un laboratorio di fabbricazione digitale, qui al FabLab Milano cosa fabbricate e come lavorate?

Il FabLab Milano è uno dei tanti laboratori nel mondo di fabbricazione digitale, ma ciò che forse lo rende speciale è che è partito da un progetto della fine degli anni 90 del Prof. Neil Gershenfeld del MIT di Boston che ai tempi decise di far mettere in pratica la materia di studio ai propri studenti, piuttosto che tenerli inchiodati sui libri. Da lì a poco è diventato un modello che poi è stato ripreso un po’ in tutto il mondo, arrivando in Italia nel 2011 al FabLab Torino e nel 2013, primo a Milano, è approdato al nostro FabLab Milano. Ovviamente tutto ciò che facciamo è basato sulla fabbricazione digitale, sul rapporto tra ciò che è digitale e ciò che è materia, ovvero la trasformazione dal bit all’atomo. L’icona che rappresenta ciò che facciamo è la stampante 3D, che è poi anche lo strumento che ci permette di capire in maniera molto semplice come funziona questo passaggio dallo spazio virtuale fatto di bit, che è il computer, allo spazio reale fatto di materia costruendo appunto oggetti con la stampante 3D. Al FabLab Milano affittiamo uno spazio molto grande: 350 mq interni e 350 mq di terrazzo, siamo vicini al Politecnico di Milano, Poli Design, e all’interno del nuovo polo manifatturiero di Milano. Per questo tra i nostri clienti e collaboratori abbiamo studenti, professori e aziende. Però chiunque può usufruire dei servizi che offriamo, primo fra tutti il “do it yourself” (fai da te, ndr): abbiamo uno spazio, degli strumenti, delle competenze e quindi ci sono delle risorse umane che si mettono a disposizione di chi ha bisogno di realizzare un progetto o se ha un problema con la sua stampante 3D e ha bisogno di una consulenza. Abbiamo creato una community di persone che frequentano lo spazio regolarmente e si mettono a disposizione degli altri o semplicemente svolgono il loro lavoro come in un qualunque coworking. Uniamo l’aspetto del fare legato alla fabbricazione digitale con l’aspetto del coworking, mettendo a frutto l’eterogeneità delle competenze e delle persone che frequentano lo spazio. Questa eterogeneità è molto importante perché spesso genera preziose sinergie. Grazie al coworking abbiamo ragazzi che si occupano di videogame, altri che si occupano di grafica, di crowdfunding, stagisti, ragazzi che fanno alternanza scuola-lavoro: cerchiamo di diventare sempre più un contenitore per catalizzare diversi contenuti, affinché questi possano diventare più trasversali possibili. Il fatto di avere dei ragazzi giovani, dei professionisti o in alcuni casi delle piccole startup ci porta a creare una sorta di filiera dove chi viene da fuori può trovare un servizio completo. Se qualcuno ha un bisogno inespresso, o un problema da risolvere, da noi è facile trovare una soluzione utilizzando diversi approcci. Ovviamente non siamo ferrati in tutto, né abbiamo questa aspirazione, però la passione che abbiamo nel condividere la conoscenza, che è poi la vera base culturale e motivazionale dei Fablab di tutto il mondo, ci porta ad essere sempre al passo coi tempi ed aggiornati e quindi il più delle volte riusciamo a trovare soluzioni più che soddisfacenti per i problemi più disparati.15965120_706044056240771_2646192397460527930_n

Cosa intendete per ritorno all’Umanesimo e al “saper fare”?

Siamo reduci da un periodo di depressione dovuto ad una crisi che ha messo in ginocchio il mondo intero, ma al tempo stesso, grazie ad internet, abbiamo avuto la fortuna di dar vita al movimento Open Source che ha facilitato la condivisione di tutto ciò che è legato al fare, cercando di connettere persone in tutto il mondo, rendendole informate ed abili su cose che poi un domani potrebbero fare in prima persona. Quindi il fatto di avere accesso a documentazione, informazione ed anche usare i social per condividere in maniera istantanea qualunque tipo di esperienza, genera un flusso di pensieri e di consapevolezza, che forse negli ultimi 30/40 anni si era un po’ perso. Il fatto di dover delegare ad altri e non saper fare, perché tanto c’è qualcuno che lo sa già fare, ha portato ad avere sempre meno coscienza su quello che si fa. È proprio trascurando il saper fare che alla lunga sono venuti fuori i problemi come la scarsa etica imprenditoriale a livello della sostenibilità, con aziende che si concentrano solo sul profitto senza tenere in considerazione quello che di negativo generano con le loro attività. Quindi dando maggior consapevolezza, facendo conoscere ed educando le persone anche su ciò che è ancora nuovo come la stampa 3D ad esempio, ci porta a ridurre i problemi e le eventuali criticità che sommate negli anni ci possono portare a un punto di non ritorno.

La fabbricazione digitale nasce dalla libera condivisione delle informazioni e spesso costituisce una sorta di passatempo, ma può diventare anche un’occupazione remunerativa?

L’Open Source, come dicevo prima dà una scintilla, con questa ci puoi accendere un fuoco, oppure spegnerlo. Quindi se hai passione in ciò che fai da quella scintilla può nascere una grossa fiamma. Non parlo di fiamme e scintille a caso, ma perché la passione è un vero e proprio fuoco, lo stesso fuoco che si è generato in me quando ho conosciuto i Fablab nel 2013. Inizialmente ho cominciato a dedicarmi a questo settore come volontario, come alcuni dei ragazzi che sono qui, e poi con la passione e la voglia di fare, lo spirito di sacrificio e la voglia di raggiungere un obiettivo, sono riuscito a diventare Lab Manager del FabLab, visto che con un partner che è diventato socio, Loris Dall’Ava, abbiamo creato una startup che è Sharing Mode che da spin off è diventata azienda finanziatrice del FabLab stesso. Ma il fatto di aver avuto la fortuna di creare un business grazie al FabLab non mi ha portato certo a mollare il FabLab; non mi sembrava corretto anche perché io e tutte le persone che fanno parte del FabLab abbiamo dentro di noi la voglia di condividere, ma soprattutto di migliorarci e migliorare. Quindi quando prendo gratuitamente un’informazione dalla rete dei makers, la faccio mia e poi la ricondivido, perché il mio amalgamare, aggiungere o magari togliere possa essere utile a qualcun altro e questo crea, oltre che ricchezza una crescita. Quindi non ho voluto abbandonare il progetto, bensì cercare di farlo crescere.17903575_754642051380971_4097720880410312305_n

Nel secolo scorso Gandhi ipotizzava che il movimento basato sull’autosufficienza locale dello Swadeshi potesse evolvere facendo in modo che si lavorasse da casa. Ci porteranno a questo le stampanti 3D?
Avendo noi un luogo fisico di riferimento, ma attingendo parte di ciò che facciamo da internet rendiamo locale ciò che è globale. Globale nel senso di rete, di network, di connessione con il mondo esterno. Essendo però locali abbiamo come punto di riferimento il luogo fisico in cui ci troviamo: siamo nel quartiere Bovisa e attraverso la nostra attività cerchiamo di far crescere il quartiere stesso con un valore aggiunto dato dalle nostre specifiche competenze. Ciò che lega molto il nostro quartiere con lo Swadeshi è il fatto che dando ad altri la possibilità di essere autosufficienti, riesci a produrre ricchezza, competenze, ed anche possibili partnership e sinergie che poi danno vita a nuovi progetti, nuove idee e nuovi sviluppi. Le stampanti 3D si trovano già in varie case e noi lavoriamo anche con numerosi privati cercando di aiutarli con i problemi che a volte sorgono con le loro stampanti domestiche.

Tra le varie idee che sono sorte, avete avuto quella di creare una rete di Fablab, è così?
Riguardo al progetto di network tra fablab, al momento devo ammettere che si sta rivelando di difficile realizzazione, almeno qui a Milano. Perché per quanto io abbia tutta la voglia di questo mondo di entrare in connessione con realtà locali milanesi, essendo dei progetti nati da privati, c’è una componente di sostenibilità economica che porta a guardare solo al proprio orticello. Quindi se io ho la mia società e questa mia società funziona, faccio fatica a collaborare con un altro che fa le mie stesse cose, perché magari ho paura che quell’altro mi soffi il lavoro. Ma questo modo di pensare è paradossale perché in antitesi con lo spirito che ha dato inizio al movimento dei fablab. Per cui, pur tra mille difficoltà a livello locale, portiamo avanti questo intento anche in altri modi, ad esempio con delle attività come il Fablab Tour che facciamo insieme ad Intel, abbiamo coinvolto altri 9 fablab per portare nuove competenze, strumenti e progetti da condividere grazie alla connessione tra noi. Quindi se adesso come FabLab Milano riusciamo a collaborare con i Fablab di Padova, Verona, Palermo, Cagliari, Roma, Bologna, Cuneo, Torino e altri ancora, è perché c’è una rete, dei valori condivisi, ma altri aspetti che ci distinguono e che rendono il valore specifico di ciascuno. Quindi il modo per disinnescare la competizione esistente tra i vari fablab è metterci intorno a un tavolo e cercare di evidenziare le nostre peculiarità: noi ad esempio siamo bravi con il 3D printing, altri con l’e-wearable, ovvero tutti quei dispositivi elettronici intelligenti che possono essere indossati, come lo smart whatch. In questo periodo con il Fablab Tour abbiamo lavorato intorno al concetto dell’”internet delle cose”: ovvero con la possibilità di mettere in connessione dei dispositivi online e controllarli da remoto o fare in modo che i dispositivi stessi si controllino tra loro da remoto. In questo caso l’e-wearable diventa uno strumento per controllare in maniera attiva le attività di altri dispositivi. Ho fatto l’esempio dello smart watch perché è quello più iconico, ma di wearables ce ne sono di diversi tipi ed esistono anche tanti progetti Open Source legati a questo concetto. Noi ad esempio ad un concorso di Intel abbiamo lavorato su un dispositivo che si chiama “Vita”, che attraverso un sensore è capace di rilevare i dati vitali di una persona per inviarli ad un parente o al proprio medico. L’internet delle cose entrerà sempre più a far parte del nostro quotidiano.12801312_554934371351741_6774308440964710098_n

Altri progetti?

Poiein: deriva dal greco e significa poesia. Gli abbiamo dato questo nome perché la poesia che vogliamo raccontare è quella del riuso di un oggetto che dovrebbe avere un valore ma è stato scartato a causa di un’imperfezione. Quindi insieme ad Anita Angelucci, una designer che ha avuto l’idea di riutilizzare questi oggetti, abbiamo deciso di riutilizzare gli scarti realizzati con il vetro di Murano lavorato. Il valore economico di un manufatto realizzato con vetro di Murano in origine è altissimo. Il mastro artigiano però quando inizia a plasmare il vetro, se trova delle venature o delle imperfezioni che reputa troppo pregiudicanti per il valore dell’oggetto finale, butta via l’oggetto. Sicché Anita ed io abbiamo cercato di ridare valore a questo oggetto e, visto che spesso l’oggetto in questione non ha una forma ben definita che permetta una vera e propria funzione, abbiamo deciso di farci aiutare dalla tecnologia 3D raccontando l’ibridazione tra l’artigianato classico e quello attuale, ovvero l’artigianato digitale. Per fare ciò abbiamo scansionato in 3D l’oggetto, unico nella sua imperfezione, per costruire, tramite modellazione 3D un reticolo che faccia da protesi all’oggetto. In questo modo sia la protesi che l’oggetto diventano funzionali e dipendenti l’uno dall’altro e l’oggetto originario può diventare così da scarto che era, ad esempio un vaso porta fiori.

Cos’è per te l’Italia che cambia?

Dopo questo periodo di crisi che ha messo in ginocchio tutti quanti, questo è un momento di reset dove tutti partiamo più o meno da zero e quindi è un’occasione per ripartire e magari costruire una strada migliore. Il vento del cambiamento soffia già da tempo, per cui gli strumenti ci sono, le tecnologie e le informazioni sono sempre più accessibili, quindi cerchiamo di rimboccarci le maniche e riprendere la cultura del fare che ha contraddistinto l’Italia negli ultimi secoli. Pur essendo consapevole che ci saranno sempre degli ostacoli da superare, il mio auspicio è che ci diamo da fare perché le possibilità ci sono, basta crederci!

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2017/07/io-faccio-cosi-176-fablab-milano-fabbricazione-digitale-incontra-condivisione/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni

La tua e-bike, le ultime novità ad alta tecnologia

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Il motore per la pedalata assistita e la ebike più conveniente del mondo: le ultime novità tecnologiche in tema di mobilità a pedali.

Hai mai pensato di farti da solo una e-bike?

No, non è una boutade ma una possibilità concreta, che potrebbe permetterti non solo un alto livello di personalizzazione del tuo mezzo ma anche un risparmio di costi rispetto all’acquisto ex-novo di una e-bike: esistono infatti motori che vanno a sostituire il movimento centrale della bicicletta con un sistema a pedalata assistita dalle straordinarie capacità.

Uno di questi lo produce l’azienda cinese Bafang, nella versione omologata 250w 36v o non omologata 750w 48v; anche per movimenti centrali da 100mm (fatbike) senza adattatori precari, ma con upgrade ufficiale. Attualmente in Italia sono in vendita due versioni, quella da 250W e in una versione Pedelec più veloce con potenza di 350W, entrambe caratterizzate da una coppia elevata fino a 80 Nm, il peso del motore sarà di circa 3,8 kg. Su ebikemag puoi trovare tutte le specifiche di questo prodotto. Come puoi vedere nel video in testa a questo post le batterie, che sfruttano una tecnologia al litio e vantano una capacità di 450-690W, si possono applicare sul tubo obliquo e garantire al ciclista un’autonomia massima di 240 km. Il tutto gestito da un display piuttosto grande da sistemare sul manubrio della tua bicicletta.  Ma montarsi da soli un motore sulla canna della bici per avere così anche la pedalata assistita non è l’unica opzione di alta tecnologia della quale vogliamo parlare oggi. MATE è la e-bike pieghevole più conveniente al mondo: il progetto è stato finanziato su Indiegogo, vanta un design assolutamente interessante e soluzioni tecnologiche molto avanzate, seppur di spiccata semplicità per l’utente.  Le cerniere del sistema di piegatura che equipaggia la MATE sono eleganti nel complesso ma ciò che stupisce è il motore, che permette fino a 80km di autonomia e una velocità massima di 35km/h. E, qualora ce ne fosse la necessità (chi scrive sicuramente l’avrebbe), c’è anche l’alloggiamento USB per collegare il tuo smartphone e ricaricarlo mentre scorrazzi per la tua città. Autoevolution ci ricorda che MATE è stata sviluppata in Danimarca, patria europea delle biciclette – primato condiviso con l’Olanda. Si ricarica in circa 2 ore ed è disponibile anche con freni a disco anteriori in carbonio di alta qualità e freni a disco posteriori, oltre che le sospensioni anteriori e posteriori per una guida sicura e regolare e la possibilità di montare ruote da offroad. Pian piano ci saranno sempre più e-bike a fare da compagnia a motociclisti e automobilisti: i nostri colleghi di Autoblog ne parlavano già 6 anni fa.

Fonte: ecoblog.it

Food Innovation Program, quando tecnologia e tradizione si incontrano

Dal gelato espresso alle serre smart, dal kit per i funghi domestici al cibo per astronauti al Maker Faire di Romamultimedia-161018142009

Dal gelato espresso ai funghi coltivabili fai da te, usando fondi di caffè, al cibo per astronauti o, ancora, serre automatizzate domestiche controllabili via internet: non si contano le iniziative presentate dal Food Innovation Program al Maker Faire di Roma, un master nato dalla collaborazione dell’università di Modena e Reggio Emilia con il prestigioso Institute For the Future di Palo Alto. “Siamo all’interno dell’Officucina, che è un po’ il punto di incontro per i maker ed è la casa di Food Innovation Program, dove cucina tradizionale e attrezzature di un fablab si incontrano. Da qui nascono progetti di pura contaminazione, fra il mondo dei maker e il mondo della tradizione”,

ha spiegato la fondatrice Sandra Roversi.

Ci sono i funghi espresso, con un kit per coltivarli in casa utilizzando il caffè come substrato, ci sono i pasti per astronauti, le serre connesse a Internet, un progetto che riduce i nitrati nelle lattughe e il gelato espresso.
Fra i padiglioni anche Tim West, chef, imprenditore social e cofondatore del Food Hackaton che aprirà i battenti a fine mese a San Francisco: “La vera sfida sull’alimentazione dei bambini è sui genitori perché spesso per il bene dei loro bimbi fanno cose che non hanno voglia di fare per sé. La domanda è come incoraggiarli a fare cose buone anche per loro stessi, perché ovviamente i bambini li prendono a modello”.

fonte: ecoblog.it

Project Zero: l’eccellenza italiana vola ibrido

Pare proprio che di questi tempi, per l’Italia le buone notizie arrivino dal cielo… L’eccellenza italiana infatti torna a fare parlare di sè e a gonfiare il petto del tricolore. convertiplano_project_zero-620x350

Si chiama Project Zero e non è un manga giapponese ma un velivolo ibrido, un “convertiplano”, per la precisione, un ibrido tra un elicottero e un aereo. Nelle fasi di decollo e atterraggio infatti, grazie ad una propulsione verticale, agisce come un elicottero, ma poi, nelle fasi di volo,  i suoi motori inclinati di oltre 90 gradi  gli consentono di volare come un normale aereo. L’altra (e non certamente di minor importanza) peculiarità di questo velivolo riguarda il fatto che esso sia completamente elettrico. Il convertiplano ha 13 metri di apertura alare, pesa solo 900 chilogrammi, e vola senza pilota. Project Zero è un incubatore di tecnologie. Presentato dall’italo-ingleseAgustaWestland per la prima volta al Salone aerospaziale di Le Bourget, è stato sviluppato insieme ad altre società del gruppo Finmeccanica (Selex ES, AnsaldoBreda e Ansaldo Energia), oltre a diversi partner internazionali e centri di ricerca in Italia, Regno Unito, Usa e Giappone. E’ da tempo che l’uomo cerca di realizzare un velivolo simile ma dalla notte dei tempi, intoppi vari hanno sempre reso l’impresa impossibile e fallace in qualche punto. Project Zero, dunque, in quest’ottica non è solo un generico e tecnologico ibrido, ma è anche e sopratutto la prima conquista dell’uomo in tal senso. E’ il primo infatti ad essere interamente elettrico e in grado di volare senza pilota. Il risultato è sensazionale anche nell’estetica, agile e scattante di questo pezzo tutto (o quasi) orgoglio dell’ingegno italico. Daniele Romiti, CEO di AgustaWestland, ha commentato: “Il programma per il dimostratore tecnologico ‘Project Zero’ riunisce la maggior parte delle tecnologie avanzate su cui AgustaWestland ha effettuato ricerche negli ultimi anni e dimostra la nostra forte base tecnologica dalla quale svilupperemo nuovi prodotti per soddisfare le esigenze dei clienti in futuro. Crediamo fermamente nel concetto di convertiplano come il futuro del volo ad ala rotante perché offre maggiori velocità e autonomia rispetto all’attuale tecnologica degli elicotteri.

Fonte: buone notizie.it

 

Falchi o tecnologia a Linate: il punto di vista di un falconiere

Abbiamo intervistato un rappresentante del mondo della falconeria, che per anni ha svolto questo lavoro anche all’aeroporto Amerigo Vespucci di Firenze. Il punto di vista di Mauro Martinelli sulle affermazioni di SEA Milano che non vuole utilizzare i rapaci per allontanare i volatili dalle piste dell’aeroporto di Linate375734

di Lorenzo Fracastoro

Mauro Martinelli, 67 anni, è prima di tutto un appassionato, che conosce nei dettagli le pratiche di quest’attività, che ha radici nel Medioevo.

Innanzitutto: come si fa a ottenere che un falco scacci gli uccelli da una pista di atterraggio?
Gli impulsi che motivano un rapace a svolgere questo compito sono essenzialmente tre: l’istinto di caccia,molto forte in questi volatili; il condizionamento,ovvero l’abitudine a soddisfare le richieste del falconiere che ricompenserà con il cibo le ore passate a librarsi in volo ed effettuare picchiate; infine la territorialità, che fa sì che un falco consideri suo il territorio in cui viene addestrato a volare, e dal quale, pertanto, si adopererà a scacciare gli intrusi.
A proposito del termine “caccia”: è vero che, nell’esercizio della falconeria in un aeroporto può capitare che qualche volatile venga effettivamente predato? 

È un’eventualità che certamente si può verificare, ma ciò avviene nei confronti degli individui più deboli o malati, che verrebbero probabilmente predati dai falchi selvatici,di sicuro più reattivi dei nostri animali, i quali anche quando in forma sono pur sempre degli animali allevati e meno voraci di quelli in natura. Non dimentichiamoci che i nostri esemplari, dopo una sessione di caccia vengono ricompensati prontamente per gli sforzi compiuti.
Qual è l’alimentazione di cui un falco ha bisogno?

L’alimentazione di un esemplare dev’essere il più possibile somigliante a quella dei suoi simili che vivono in natura, quindi mentre per un Gheppio o una Civetta ci si può servire di topi, nel caso di un Falco Pellegrino dovremo ricorrere esclusivamente a carne di uccelli, ad esempio acquistando da un macellaio colli di pollo. Possedere un rapace non è difficile, ma averlo “in ala”- ovvero in forma, addestrato e reattivo – è una questione di una certa complessità. Tutto gravita attorno al “peso di volo”. Se l’animale è troppo magro non ha energie sufficienti per alzarsi ed effettuare picchiate sugli uccelli, se è troppo grasso si stanca più facilmente di volare, e non avendo fame è meno incentivato alla caccia e finisce per passare il suo tempo appollaiato.

Se volessimo introdurre la falconeria per contrastare il passaggio di volatili a Linate, quali sarebbero i costi?
È difficile fornire una stima, ma posso dire che pesano soprattutto le ore passate a addestrare gli animali e prendersene cura. In un aeroporto grande come quello di Linate bisognerebbe avere una “flotta” di rapaci che assicuri un esercizio continuo di 4 o 5 esemplari contemporaneamente, affinchè tutte le piste siano coperte.
Gli animali dovrebbero alloggiare in voliere appositamente costruite a bordo pista, e servirebbe qualcuno che si prendesse cura dell’alimentazione e della pulizia degli animali e delle loro strutture.
Le operazioni andrebbero eseguite da un falconiere e da un aiuto falconiere, collegati con una ricetrasmittente agli esemplari in volo e via radio con la torretta di controllo.

È vero che, come afferma la SEA, che “l’impiego dei falchi può essere valido solo in aeroporti di piccole dimensioni, dove la frequenza degli atterraggi e dei decolli è superiore ai 3-10 minuti, e che il falco potrebbe diventare esso stesso causa di bird-strike”?

No, proprio perché il falconiere viene avvertito via radio ad ogni decollo e atterraggio, e conosce l’esatta localizzazione dei suoi esemplari, grazie anche a una ricetrasmittente posizionata sul tarso, o sulla coda, o sul dorso. Viene da sè che i falchi vengono richiamati dalla pista di decollo prima che essa venga impegnata da un velivolo; altrimenti, nel caso di aeroporti più grandi, si può ottenere da un falco ben addestrato che esso si sposti su una pista libera mentre un velivolo ne sta impegnando un’altra.

È vero che ci sono limitazioni nell’impiego nelle ore notturne, in caso di vento oltre i 25 nodi, pioggia e alte temperature?
Di notte si possono utilizzare i rapaci notturni. Nel caso di vento forte i falchi pellegrini sono di sicuro in grado di volare, riuscendo anzi a sfruttare le correnti a loro favore, essendo il vento il loro ambiente naturale. In caso di pioggia possiamo utilizzare il Girpellegrino, un ibrido tra girfalco e pellegrino resistente alle malattie e ai climi più freddi.
È vero che alcuni uccelli di grandi dimensioni o più aggressivi – come gli aironi o le cornacchie – non possono essere scacciati? 

No, nel primo caso basterebbe servirsi di un girpellegrino femmina, che può raggiungere il kg e mezzo di peso ed ha la forza necessaria per avere la meglio su un airone, mentre riguardo alle cornacchie il problema è costituito anche dal fatto che sono uccelli gregari e quindi più forti di fronte ad un falco isolato, ed è quindi opportuno affiancare un secondo individuo per assistere le operazioni, ad esempio un “falco allievo” a un “falco maestro”.

In conclusione, a Linate è meglio la falconeria o i mezzi tecnologici?

La questione va valutata in ogni aeroporto, per le sue caratteristiche e per il tipo di uccelli che lo infestano. In linea di massima possiamo dire che la falconeria, se eseguita in modo professionale, è il metodo più efficace per scongiurare gli impatti tra velivoli e volatili, perché, mentre gli uccelli si possono abituare ai metodi di dissuasione di tipo tecnologico, essi non smetteranno mai di scappare di fronte all’attacco di un falco! A parte l’Italia, dove viene ad esempio praticata negli aeroporti di Torino, Verona, Udine, Trieste e Bari, i rapaci sono molto diffusi negli aeroporti di Spagna e Germania, paesi dove peraltro esistono nutriti gruppi di falconieri. La falconeria ha però alti costi di manutenzione, mentre le soluzioni di dissuasione tecnologica, a fronte di un investimento iniziale più sostanzioso,  hanno costi di esercizio minore.

Forse è proprio il timore di costi più alti che per ora impedisce ai falchi di volare a Linate…

 

 

fonte: eco dalle città

Crederemmo a qualunque cosa pur di non cambiare vita

L’inganno del tecnologia, ovvero la persuasione che convertendosi a una forma di consumo più benigna si trasforma il consumo stesso in un aiuto all’ambienteAndy-Singer-believe-anything1-586x364

“La mia vita da presunto ambientalista è un groviglio di contraddizioni. Faccio cose che mi mettono la coscienza a posto, ma ignoro che altri atti della mia vita sono offese mortali all’ambiente. Sono costretto a identificami in quella sindrome che lo scrittore David Owen ha battezzato “l’inganno della Prius”.
Ecco come lo definisce:

è la persuasione che convertendoci a una forma di consumo più benigna , noi trasformiamo il consumo stesso in un aiuto all’ambiente.

Ovvero l’illusione che i grandi problemi possano essere affrontati e risolti attraverso una semplice sostituzione: consumando un prodotto verde al posto di uno sporco. E’ una deformazione che nasce dallo spazio soverchiante che il ruolo di consumatore occupa nella nostra vita. Per cui tutto – problema e soluzione – passa attraverso questa dimensione del consumo. Owen ha scritto un libro (The Conundrum, cioè il rompicapo) dal sottotitolo cattivissimo: come l’innovazione scientifica e le buone intenzioni possono peggiorare i nostri problemi energetici e climatici. La tentazione, irresistibile, è di rispondere a Owen rifugiandosi ancor più nell’illusione tecnologica. Mi sento improvvisamente in colpa quando sto imbarcandomi da New York a Chicago? Mi batterò per aerei più efficienti, a minore consumo di carburante. E’ vero, negli anni ‘50 gli aerei consumavano e inquinavano molto di più, però per andare da New York a Pechino dovevi fare quattro scali. Viaggiare era così scomodo, costoso e disagevole che ci pensavi parecchio prima di imbarcarti in una simile odissea. Le nostre tecnologie verdi invece ci rendono tutto facile, indolore. 10000 km di volo passano in un baleno se hai con te la musica giusta, gli audiobook e i film preferiti sui tuoi ipod e ipad. Due gadget inventati non a caso da Steve Jobs, che seguiva una rigorosa dieta vegan, ma non esitava a fare attraversare l’oceano Pacifico a tutti i suoi prodotti.” Federico Rampini, Voi avete gli orologi, noi abbiamo il tempo, Milano 2013, p. 152-154. Immagini per gentile concessione di Andy Singer. Il testo di sinistra dice:crederemmo a qualunque cosa se non ci smuove dalla nostra pigrizia. posso perdere peso mangiando di più! Posso risparmiare denaro spendendolo! Posso diventare ricco senza lavorare! Posso fermare il global warming guidando! Il testo a destra dice: il bioetanolo risparmia petrolio e riduce l’inquinamento! mentre si vede l’impatto di fertilizzanti, pesticidi e trattamenti industriali

Fonte: ecoblog