L’Italia del plastic-free è pronta al recepimento della Direttiva? – Parte 2

Nella prima parte di questo articolo abbiamo spiegato cosa prevede la nuova direttiva europea sulle plastiche monouso (cosiddetta SUP, Single Use Plastics), quali sono gli oggetti e gli imballaggi che vengono messi al bando e il fatto che il divieto sia esteso anche alle plastiche biodegradabili e compostabili. In questa seconda parte vogliamo quindi spingerci oltre e analizzare come l’Italia si stia preparando al recepimento della direttiva, se le iniziative “plastic- free” sono coerenti con le indicazioni contenute nella direttiva e quali sono le reazioni dei comparti industriali interessati dal divieto che riguarda le stoviglie monouso in materie plastiche. 

Leggi anche “Cosa prevede veramente la direttiva Ue sulle plastiche monouso – Parte 1“ 

Nonostante la direttiva SUP sia stata accolta con entusiasmo nel nostro paese, c’è più di un legittimo sospetto che non ne siano state pienamente comprese le misure e il potenziale che essa racchiude per un superamento del consumo monouso e per una transizione verso modelli di economia circolare. La cosa non è di per sé eccezionale, e neanche sorprendente, poiché per “decifrare” o commentare le direttive europee, è richiesta una certa conoscenza tecnica dell’argomento e una familiarità con il linguaggio giuridico-amministrativo.

Qualche dubbio in tal senso nasce dall’analisi dei provvedimenti contenuti nelle numerose iniziative Plastic Free da parte di Atenei, Regioni, Comuni, Associazioni di categoria e altri soggetti che si susseguono negli ultimi mesi. Quasi ogni giorno vengono rese note nuove iniziative che, ricordiamo, si ispirano alla “Plastic Free Challenge” l’iniziativa collegata alla campagna #Iosonoambiente di cui si è fatto promotore il Ministro Costa. Tra le misure oggetto della maggior parte delle ordinanze Plastic Free, che interessano oltre 100 comuni, c’è un comune denominatore che consiste nel divieto di utilizzo e distribuzione di stoviglie, bicchieri e posate in plastica. A seconda dei casi questo provvedimento può arrivare anche al divieto di vendita di questi manufatti da parte di negozi e supermercati e interessare anche tutto il territorio comunale, oppure solo determinate aree cittadine o determinati uffici pubblici, servizi gestiti dal comune come le mense scolastiche o eventi e manifestazioni. Entrando nel merito dei prodotti interessati dalle ordinanze si può inoltre rilevare che una parte di esse vietano l’utilizzo o la vendita di prodotti che rientrano tra i 10 che la direttiva bandisce (ad esempio cannucce o mescolatori per bevande), e altre si spingono oltre includendo invece prodotti come bottiglie, bicchieri, bicchierini da caffè con palette e altri contenitori monouso che non sono invece soggetti a restrizioni d’uso.   In quasi tutti questi casi l’amministrazione comunale dichiara, impropriamente di “anticipare la Direttiva SUP” che dovrà essere recepita negli ordinamenti normativi dei paesi membri entro la metà del 2021. Questa affermazione si ritrova praticamente in tutte le comunicazioni inviate ai media dai soggetti prima citati, e non risparmia neanche le regioni, dalle quali sarebbe legittimo aspettarsi una maggiore precisione quando si entra nel merito di provvedimenti legislativi. Come si può leggere in un articolo di e-gazette.it sulle iniziative Plastic Free Andrea Netti, esperto di diritto amministrativo afferma “Il 47% dei provvedimenti analizzati include erroneamente i bicchieri tra i prodotti monouso in plastica da abolire e ancora il 52% vuole abolire anche le bottiglie d’acqua quando la Direttiva UE richiede invece nuovi requisiti di fabbricazione”.

Un rischio insito in queste ordinanze “fai da te” , sicuramente motivate da nobili intenti, è quello di esporre  le amministrazioni a ricorsi al TAR da parte dei soggetti economici colpiti dai vari divieti, e di alimentare, allo stesso tempo, la confusione dei cittadini e degli operatori commerciali con provvedimenti che cambiano a seconda dei confini comunali.

Resta in qualche modo sorprendente il fatto che, ad oggi, non ci sia stato alcun intervento istituzionale (o di qualche altro ente autorevole) che abbia “contestato” questa interpretazione, o almeno espresso qualche dubbio sul fatto che le iniziative Plastic Free non siano sempre sono coerenti con le indicazioni della direttiva SUP. Probabilmente sono i recentissimi accadimenti,  che vedremo più avanti, a offrire una chiave di lettura che chiarisce questa situazione.

Biodegradabile e compostabile: la confusione regna 

Con l’avvento delle bioplastiche, termini prima raramente utilizzati nel quotidiano come biodegradabile, compostabile e ultimamente anche biobased, sono diventati sempre più ricorrenti nel linguaggio comune. Facendo una ricognizione sui social è facile rilevare che anche chi fa uso di questi aggettivi ha una conoscenza approssimativa del loro significato, non conosce la differenza tra compostabile e biodegradabile, e tende a ritenere che un bene marchiato compostabile possa biodegradarsi in natura.

Allo stesso tempo, da quando la plastica è nell’occhio del ciclone, questi aggettivi hanno assunto in modo automatico una valenza positiva, e a prescindere dal prodotto al quale vengono attribuiti. Non per nulla il marketing aziendale si sta adeguando a questo nuovo sentire  nella scelta dei materiali per vecchi e nuovi prodotti/imballaggi, in modo da sfruttare il potenziale vantaggio competitivo. L’impressione è che si voglia “cogliere l’attimo” senza una valutazione del ciclo di vita delle nuove proposte rispetto alle precedenti che vanno a rimpiazzare, e soprattutto senza voler entrare nel merito di quali siano le conseguenze del loro fine vita sui sistemi esistenti di avvio a riciclo dei vari flussi di rifiuti. Il fatto che le ordinanze balneari Plastic Free proibiscano stoviglie, posate o bicchieri in plastica  ma ammettano le versioni biodegradabili e compostabili si presta a rafforzare questa interpretazione errata piuttosto che confutarla. Neanche i testi delle ordinanze e i relativi comunicati aiutano a fare chiarezza, poiché gli aggettivi biodegradabile e compostabile [1] vengono usati alternativamente, come se fossero sinonimi. Raramente la comunicazione verso i cittadini si avvale di spiegazioni a chiarire che la biodegradazione avviene solamente all’interno di impianti di compostaggio industriale e dalla citazione della norma di riferimento EN 13432 che definisce le condizioni e i termini in cui avviene la compostabilità.

 E ora anche Supermercati Plastic free

 Purtroppo  non sono solamente le amministrazioni locali a “creare confusione” sul tema perché anche la Grande Distribuzione Organizzata tramite un comunicato di Federdistribuzione, ha annunciato qualche giorno fa la partenza della “lotta alla plastica monouso” della GDO che prevede che, entro il termine massimo del 30 giugno 2020, tutte le stoviglie in plastica monouso escano definitivamente dagli scaffali delle insegne associate.  Curioso che sia proprio la GDO  a voler ingaggiare “una guerra santa” contro la plastica quando sono state proprio le politiche commerciali delle insegne ad aumentarne l’utilizzo. Ad esempio aumentando progressivamente la quota di offerta di prodotti freschi pronti al consumo, di tutti i tipi, con un conseguente aumento nell’utilizzo di packaging e di banchi refrigerati che non è proprio la migliore ricetta per ridurre le emissioni climalteranti. La competitività e il fatturato di un punto vendita della distribuzione organizzata si gioca soprattutto sui prodotti freschi. Rispetto al peso del packaging abbiamo avuto l’informazione che nel nord e centro Italia solamente  il 30% circa degli acquisti tra prodotti di gastronomia, inclusi formaggi e salumi viene acquistato al banco e il restante 70% viene acquistato confezionato dai banchi frigo. Questo risultato viene ribaltato solamente nel sud dell’Italia.

Il manifesto della campagna di Unicoop Tirreno

 Tornando ai fatti recenti, la prima a passare ai fatti è stata Unicoop Tirreno che dal primo giugno scorso non ha più questi manufatti in vendita, con l’effetto che anche Conad Tirreno ha annunciato di voler seguire l’esempio. Unicoop Tirreno è stata anche la prima a fare riferimento alla direttiva nel suo comunicato stampa  “Lo stop al monouso inquinante batte sul tempo tutti e anticipa in concreto la direzione di marcia indicata dall’Europa che, lo scorso marzo, ha approvato una direttiva con cui, dal 2021, mette al bando sul territorio europeo alcuni oggetti di plastica monouso, che costituiscono il 70% di tutti i rifiuti marini.”

Ci sono altri passaggi nella comunicazione ambientale adottata dall’insegna, a partire dal suo claim “L’Ambiente non è usa e getta”, che suscitano qualche perplessità. Come l’affermazione che si possano ridurre i rifiuti usa e getta passando a stoviglie in bioplastica. Di fatto la decisione, presa per poter “ garantire un servizio”, non diminuirà questa tipologia di rifiuto, anche qualora la destinazione fosse l’impianto di compostaggio. A meno che un possibile prezzo più alto di questi manufatti, abbinato a una “corretta” interpretazione dello slogan dell’iniziativa, possano avere l’effetto di scoraggiare gli acquisti.  Tornando invece all’annuncio di Federdistribuzione, l’associazione non esclude che alcune insegne affiliate possano anticipare questa tempistica e nel comunicato stampa ribadisce che  “Nei punti vendita della Distribuzione Moderna Organizzata acquistano 60 milioni di persone ogni settimana, che si aspettano da noi comportamenti etici (…). Siamo consapevoli di questa responsabilità e vogliamo essere attori di cambiamento, coerenti con i nuovi valori, anticipando le leggi e stimolando i consumatori verso atteggiamenti e azioni sostenibili e favorevoli alla tutela dell’ambiente”.Un percorso graduale ma determinato, coerente con lo sviluppo dei nuovi materiali secondo le indicazioni della Direttiva Europea e con i tempi necessari per la riconversione del comparto industriale.”

Il giorno seguente alla presentazione del quinto Rapporto annuale di Assobioplastiche il direttore dell’area legale di Federdistribuzione Marco Pagani ha spiegato che la decisione di anticipare l’entrata in vigore del provvedimento “è stata presa per fornire un sufficiente lasso di tempo alle aziende della grande distribuzione e ai loro fornitori per adeguarsi alle nuove norme in modo graduale, evitando il caos seguito all’introduzione degli shopper compostabili. Mentre la decisione di mantenere a scaffale le stoviglie ‘bio’ anche dopo il 2021 dipenderà da come la direttiva SUP sarà recepita nel nostro paese”.

Il ragionamento fatto da Federdistribuzione per arrivare a questa linea d’azione, così come viene illustrata, non ci appare tuttavia così lineare, a meno che l’associazione consideri molto probabile un recepimento della direttiva che non vieti anche le versioni compostabili.

Guerre commerciali  

In occasione del convegno prima citato Assobioplastiche ha reso noto che si sta muovendo presso il Ministero dell’Ambiente e le commissioni parlamentari per far esentare le bioplastiche compostabili dai divieti imposti dalla direttiva sugli articoli monouso. Secondo il Presidente dell’associazione Marco Versari vi sarebbero una serie di elementi  presenti nel pacchetto sull’economia circolare e nella strategia europea sulla plastica e all’interno dell’art. 3 della direttiva  che aprirebbero la strada ad un possibile recepimento italiano della direttiva che escluda le bioplastiche dal suo campo di applicazione. Non si è fatta attendere la reazione di Federazione Gomma Plastica FGP a difesa di un settore che conta 25 aziende, 3mila dipendenti e 1 miliardo di fatturato, che in una nota inviata ai media,  si è dichiarata sconcertata dal “repentino cambio di rotta di Assobioplastiche“ che  “preannuncia forse un recepimento “truffaldino” dei contenuti della Direttiva, che il Gruppo Promo e Unionplast contestano nella sua interezza”.

La nota firmata da Angelo Bonsignori Direttore di FGP dichiara inoltre che “Questa notizia si aggiunge alla sorprendente decisione di Federdistribuzione di anticipare i termini della “SUP” al 30 giugno 2019. Con questi atteggiamenti, questi comportamenti e queste inutili e dannosissime fughe in avanti stiamo aprendo le porte dell’Unione Europea a massicce importazioni di materiali di origine asiatica di dubbia composizione, di dubbia igienicità e di incertissima sostenibilità ambientale!”.

Che dire se non che siamo di fronte a due competitor che hanno l’interesse a mantenere o a conquistare il mercato dei prodotti monouso, supportati da studi e analisi che sono legittimamente “di parte”. Ci auguriamo che la politica faccia il suo dovere e vada oltre al mero ruolo di arbitro tra i diversi interessi economici. Se vogliamo avere una minima chance di poter mitigare il riscaldamento climatico servono urgentemente politiche ambiziose di decarbonizzazione dell’economia che inducano allo stesso tempo drastici cambiamenti negli attuali stili di vita e di consumo “spreconi”  che hanno una diretta influenza sul consumo di risorse e la conseguente perdita del capitale naturale.

Effetti collaterali sulle politiche di riduzione da parte dei comuni 

Da un’analisi dei provvedimenti contenuti nelle ordinanze Plastic Free emerge che è ormai passato il messaggio sul fatto che le misure adottate siano in linea con la direttiva Sup. Chi si sia fatto carico, volontariamente o meno, di inviare questo messaggio è ormai di secondaria importanza. In riferimento alle potenziali politiche di riduzione dei rifiuti da parte dei comuni l’avere chiaro che gli articoli monouso più frequentemente utilizzati nel settore alberghiero e della ristorazione (cosiddetto Ho.re.ca) non potranno essere sostituiti con altri tipi di monouso, potrebbe avere un effetto propulsivo, rendendole più ambiziose. Poter giocare la carta della direttiva all’interno di azioni verso le attività commerciali che fanno un massiccio utilizzo di articoli monouso, potrebbe essere per le amministrazioni la mossa vincente per spingerle ad adottare alternative riutilizzabili e/o sistemi di riutilizzo. Mentre le stoviglie e i sistemi usa e getta sono appetibili per la comodità di non dover lavare e gestire i manufatti (che per l’industria significa risparmi economici importanti sulle ore del personale), i sistemi di riutilizzo lo sono molto meno perché richiedono cambiamenti e investimenti iniziali per cambiare l’operatività dei servizi e renderli invitanti per gli utenti. Venire a conoscenza che il nostro paese sta lavorando per mantenere nel mercato questi manufatti monouso, senza che siano comunicate allo stesso tempo misure per scoraggiarne l’uso a favore di sistemi riutilizzabili, non avrà l’effetto di stimolare un cambio di paradigma verso modelli di riuso. È difficile mantenere l’ottimismo se guardiamo a cosa è successo quando è stato introdotto lo scorso anno il divieto di commercializzazione per i sacchetti ultraleggeri in plastica, a favore delle alternative in bioplastica. L’ultimo atto è stata la circolare da parte del ministero della Salute, che, sollecitato dal ministero all’Ambiente ad esprimersi sulla possibilità di mettere a disposizione sacchetti riutilizzabili nel comparto ortofrutta da parte della GDO, ha di fatto bocciato la proposta per ragioni di ordine sanitario. Mentre in quel caso solamente la catena NaturaSì ha introdotto ugualmente tali sacchetti, Federdistribuzione e le sue associate non hanno ritenuto di fare prevalere il ruolo di “attori del cambiamento” che  “stimolano i consumatori verso atteggiamenti e azioni sostenibili e favorevoli alla tutela dell’ambiente” menzionato nel  loro comunicato del 30 maggio. Il nuovo rapporto Preventing plastic waste in Europe a cura  dell’Agenzia Europea per l’Ambiente (EEA) ha preso in esame le politiche di prevenzione dei rifiuti plastici in  27 diversi paesi UE e concluso che la performance è altamente insufficiente. Solo 9 paesi si sono dotati di un programma con obiettivi stringenti di prevenzione per i rifiuti di plastica, e sono risultati  pochissimi anche i casi di iniziative adottate in cui è stata fatta una misurazione e una valutazione adeguata dei progressi ottenuti. Questa situazione che fotografa lo stato dell’arte delle politiche di prevenzione dei rifiuti dimostra quanto sia invece necessario un approccio fatto di azioni ex ante, prima che che la produzione dei rifiuti avvenga.

Come intervenire concretamente ? 

A nostro parere è necessario sia cambiare la comunicazione che è stata fatta ad oggi verso il pubblico, che aprire urgentemente un confronto con tutti gli stakeholder per sviluppare un piano condiviso di azioni di prevenzione dei rifiuti da usa e getta che sia ispirato alla gerarchia europea di gestione dei rifiuti [2]. Questo prima ancora di andare a pensare come sostituire al meglio i materiali con cui realizzare prodotti monouso.  Un esempio su tutti ci fa capire quanto sia importante cambiare la comunicazione: da quando sono stati introdotti i sacchetti biodegradabili/compostabili è successo che articoli o servizi che trattano di inquinamento da plastica dei mari, o delle conseguenze sulla fauna marina, finiscano per fare un accenno alla legge che ha vietato i sacchetti in plastica come un esempio di best practice europea.

Ugualmente, in qualsiasi iniziativa in cui si sono sostituiti i manufatti in plastica con opzioni compostabili è stato fatto riferimento alla problematica della plastica in mare. Questa “presunta” relazione tra l’utilizzo di manufatti compostabile e salvaguardia dei mari rafforzata da immagini e video è inoltre il “piatto forte” di quasi tutte le iniziative Plastic Free. Viceversa nelle occasioni in cui sono state riportate notizie di avvenute sostituzioni di manufatti monouso con versioni riutilizzabili (purtroppo rarissime) questa associazione non si è mai esplicitata. Fatta eccezione, per fare un esempio concreto, dei casi in cui si è annunciato la sostituzione di cassette in polistirolo per il pesce con alternative riutilizzabili  (da parte di Unicoop Tirreno e di Eataly per un progetto pilota) in cui esisteva un chiaro rapporto di causa effetto. Per affrontare l’attuale confusione ed evitare interpretazioni “sbagliate” sarebbe invece necessario, a nostro avviso,evitare accostamenti tra temi come la salvaguardia di mari e dei fiumi dalla minaccia della plastica e l’utilizzo di materiali compostabili.

Gli impatti delle bioplastiche sui sistemi di raccolta e l’impiantistica nazionale  

Per quanto riguarda il fine vita dei manufatti  compostabili è evidente che si sta delineando un potenziale problema che verrà causato da un loro aumento incontrollato nella raccolta dell’umido, a seguito dei provvedimenti Plastic Free e dalla decisione degli associati a Federdistribuzione. Questo avverrà prima ancora di un eventuale possibile recepimento dell’Italia a favore delle bioplastiche. Gli impianti di compostaggio industriale sono infatti in grado di smaltire correttamente le plastiche compostabili solo se non superano una certa percentuale del totale del materiale organico.

E non ci riferiamo solamente a stoviglie e bicchieri, ma anche a varie tipologie di imballaggi compostabili che l’industria del largo consumo, in fuga dalla plastica, ha adottato, o è in procinto di adottare. Al momento, le opzioni di imballaggio che sono già presenti sul mercato si sono orientate sul PLA  (acido polilattico) come monomateriale o in abbinamento alla carta nel caso di imballaggi multistrato. Si tratta di involucri per surgelati e altri prodotti, vaschette e bottiglie per l’acqua minerale. Da una ricognizione effettuata in altri paesi risulta che ad oggi il PlA non venga riciclato e neanche compostato trattandosi di un materiale difficile da gestire e valorizzare a fine vita. I motivi sono diversi e non si riducono solamente al fatto che non ci siano quantità sufficienti per rendere economicamente sostenibile una loro gestione post consumo come flusso separato. Senza parlare del problema che il PLA e altre bioplastiche vengono facilmente confuse con la plastica fossile e quando conferiti con la plastica ne contaminano il riciclo. Evenienza che si verifica nel caso della biobottiglia della nota marca di acqua minerale che invita i suoi clienti a conferirle nell’umido. Questa difficoltà di individuazione del materiale che per molte persone avviene  “ad occhio” non si risolverà facilmente con una corretta etichettatura.

Servirebbe pertanto a nostro avviso l’affidamento urgente a un ente terzo di uno studio che valuti lo stato dell’arte e l’impatto sul breve e sul lungo termine che si determinerà in seguito ad un massiccio aumento di questi materiali sulla tecnologia degli impianti a digestione aerobica e anaerobica presenti in Italia. Impatto che sarebbe da verificare sia a livello ambientale che economico e tenendo anche conto dell’inevitabile aumento di conferimenti impropri dovuti al fattore umano e dei conseguenti effetti sulla qualità del compost. La dichiarazione del presidente del Consorzio Italiano Compostatori (CIC) Flavio Bizzoni nel corso della tavola rotonda del convegno di Assobioplastiche, che ha sottolineato come la presenza nel compost di plastiche non biodegradabili incida per il 15% sui costi di recupero della frazione organica dei rifiuti, farebbe supporre che qualche studio o analisi in tal senso sia già stata fatta, nel qual caso sarebbe interessante poterla visionare.   

Per chi abbia voglia di approfondire, segnaliamo come approfondimento la guida rilasciata da Zero Waste Europe,  per un corretto recepimento della Direttiva (di cui si consiglia la lettura) scaricabile qui. 

NOTE: 

[1] Un materiale biodegradabile deve, per definirsi tale secondo la normativa europea, degradarsi per almeno il 90% entro 6 mesi, mentre uno compostabile deve ottenere lo stesso risultato entro 3 mesi. Il materiale compostabile può essere conferito nel compost, mentre quello biodegradabile no. In nessun caso, se di origine artificiale come nel caso delle plastiche, possono essere dispersi in natura.  

[2] La gerarchia di gestione dei rifiuti è inclusa nel Pacchetto europeo sull’economia circolare e prevede, nell’ordine: 1. riduzione/prevenzione della produzione di rifiuti; 2. Riuso; 3. Riciclo; 4. Recupero di altro tipo (energia); 4. smaltimento. Fonte: http://www.italiachecambia.org/2019/06/italia-plastic-free/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni

Europarlamento approva Pacchetto Economia Circolare. Prossimo passo, l’accordo con il Consiglio UE

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Target di riciclaggio al 2030 innalzati al 70% per i rifiuti solidi urbani ed all’80% per gli imballaggi. On line i comunicati di Legambiente e Simone Bonafé, eurodeputata e relatrice del provvedimento. Disco verde da parte Parlamento europeo al pacchetto sull’economia circolare che contiene target di riciclo più elevati rispetto a quelli proposti dalla Commissione Ue. La plenaria di Strasburgo ha confermato a larghissima maggioranza l’aumento al 70% di rifiuti urbani riciclati entro il 2030 (contro il 65% chiesto da Bruxelles) e all’80% per gli imballaggi (contro il 75%), la riduzione al 5% di quelli in discarica (contro il 10%), e ha introdotto anche il taglio del 50% degli sprechi alimentari. L’Aula dovrà ora negoziare il testo con il Consiglio Ue per arrivare a un accordo finale. Come spiega bene Veronica Ulivieri sul Fatto Quotidiano questi target per molti Paesi europei “non sono proprio dietro l’angolo”: oggi in Europa la media del riciclo dei rifiuti urbani arriva al 44%,  mentre per gli imballaggi la percentuale è del 65%. L’Italia per quanto riguarda i rifiuti urbani si attesta a circa il 47% mentre per gli imballaggi è al 67% quindi non troppo lontana dall’obiettivo posto dal Parlamento. Ma forse il target più ambizioso, allo stato attuale, è quello che sta costando al nostro paese milioni in multe proprio dall’Ue, ovvero la riduzione dello smaltimento in discarica. Bisogna arrivare al 5% partendo dall’attuale 26% . La media europea è del 28%. Riportiamo di seguito i comunicati di Legambiente e Simone Bonafé, eurodeputata e relatrice del provvedimento.

Legambiente: “Questa è l’Europa che vogliamo. Il 24 aprile saremo a Bruxelles insieme ai campioni italiani dell’economia circolare a sostegno di un accordo ambizioso con il Consiglio”

Un ulteriore passo verso un’ambiziosa riforma della politica europea dei rifiuti. Il voto di oggi a larga maggioranza del Parlamento Europeo apre la strada verso una politica europea finalmente in grado di trasformare l’emergenza rifiuti in una grande opportunità economica ed occupazionale. Il rapporto adottato – grazie all’impegno della relatrice Simona Bonafè – migliora considerevolmente la proposta del 2015 fatta dalla Commissione Europea, in particolare per quanto riguarda i target di riciclaggio al 2030 innalzati al 70% per i rifiuti solidi urbani ed all’80% per gli imballaggi. Il raggiungimento di questi obiettivi consentirebbe – secondo la valutazione della stessa Commissione Europea – di creare 580 mila posti di lavoro, con un risparmio annuo di 72 miliardi di euro per le imprese europee grazie ad un uso più efficiente delle risorse e quindi ad una riduzione delle importazioni di materie prime. I posti di lavoro potrebbero crescere sino a 867 mila se, all’obiettivo del 70% di riciclaggio si accompagnassero a livello europeo e nazionale anche misure ambiziose per il riuso, in particolare nell’arredamento ed il tessile. Solo nel nostro paese si possono creare almeno 190 mila nuovi posti di lavoro, al netto dei posti persi a causa del superamento dell’attuale sistema produttivo.

Opportunità che non possono essere sprecate. Legambiente nelle prossime settimane si mobiliterà per una rapida approvazione del pacchetto legislativo sull’economia circolare in linea con quanto proposto oggi dall’Europarlamento.

Questa è l’Europa che ci piace. Un’Europa capace di indicare una strategia moderna e sostenibile per uscire dalla crisi puntando su innovazione e coinvolgimento sinergico tra cittadini, istituzioni e economia – ha dichiarato la presidente di Legambiente Rossella Muroni -. Il 24 aprile saremo a Bruxelles, insieme ai campioni italiani dell’economia circolare, proprio per sostenere un accordo ambizioso tra Parlamento e Consiglio e far sì che la riforma della politica europea dei rifiuti divenga al più presto realtà.  Ma anche il nostro governo deve fare la sua parte. L’Italia, in sede di Consiglio, deve sostenere una riforma della politica comune dei rifiuti che faccia da volano per l’economia circolare europea, senza nascondersi dietro le posizioni di retroguardia di alcuni governi che si oppongono ad un accordo ambizioso con il Parlamento”.

Simona Bonafé, PD: approvazione del provvedimento segna una svolta per nuovo modello industriale sostenibile. Provvedimenti anche per la lotta allo spreco alimentare

L’eurodeputata del Partio Democratico,  relatrice sulle quattro proposte ha ricevuto un largo sostegno al testo portato in plenaria, con quasi 600 voti a favore. “Un dossier che solo formalmente riguarda la modifica di quattro direttive sui rifiuti ma che in realtà pone un tema ben più ambizioso- sostiene Simona Bonafé- Il voto di oggi rappresenta un passo significativo per la transizione verso un’economia circolare. Questo vuol dire- sostiene l’eurodeputata democratica- che finalmente si passa da un modello economico lineare, inefficace, costoso e insostenibile ad un modello che faccia della sostenibilità ambientale una leva per la crescita, lo sviluppo e la competitività industriale. Dobbiamo superare il modello “produci, consuma e getta” per passare ad un´economia dove i prodotti sono progettati per durare ed essere riparati, riusati e riciclati. Ogni anno- ribadisce la relatrice del provvedimento- in Europa gettiamo via 600 milioni di tonnellate di rifiuti, rifiuti che potrebbero essere reinvestiti nell´economia. Il Parlamento chiede un obiettivo di riciclaggio al 2030 del 70%. Per questo motivo chiediamo con forza che al 2030 i rifiuti che finiranno in discarica  siano ridotti al massimo del 5% dei rifiuti urbani. Un obiettivo più ambizioso rispetto alla proposta della Commissione Europea che prevedeva un tetto del 10%”. Inoltre- conclude Simona Bonafè-  E’ fondamentale, con questo provvedimento intensificare il contrasto ai rifiuti marini e allo spreco alimentare. Pensate che ogni europeo butta ogni anno una scioccante quantità di cibo, 180 Kg. Dimezzare lo spreco alimentare entro il 2030 non è solo un obiettivo ambizioso ma anche un dovere etico”

Fonte: ecodallecitta.it

 

 

Materiale riciclabile e raccolta differenziata: cosa fare con carta e plastica

Quale destino per il materiale riciclabile? Dove si buttano la carta plastificata e la carta per alimenti? Ecco alcuni consigli su come fare la raccolta differenziata e sul riciclaggio della carta e della plastica.

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Molte volte la raccolta differenziata rappresenta un vero e proprio enigma. Tante sono le domande che ci poniamo di fronte al materiale riciclabile. Per esempio dove va la carta plastificata? Qual è il modo corretto per effettuare il riciclaggio della carta? Dove devo mettere la carta per alimenti? E in quale posto posso mettere la plastica?

Per quanto riguarda la carta la regola numero uno è la seguente: carta, cartoni e cartoncini utilizzati o sporchi non possono essere gettati nella raccolta differenziata; i fazzoletti usati, la carta assorbente unta, la carta per alimenti, la carta da lucido e la carta plastificata non rientrano nella carta riciclabile e nei normali iter di riciclaggio della carta.

La carta alluminio va inserita nei contenitori delle lattine e degli altri prodotti in alluminio. Tante le cose che si possono riciclare: giornali, riviste e fumetti, ma anche i dépliant pubblicitari che vengono messi nelle buche delle lettere, i sacchetti della spesa di carta, il packaging di panettieri e fruttivendoli. Nell’elenco materiali riciclabili e nella carta riciclabile sono compresi anche i cartoni di imballaggio degli elettrodomestici, le scatole delle scarpe, dei detersivi e dei prodotti in cartoncino e anche i contenitori del latte e dei succhi di frutta in Tetrapak. I rifiuti di plastica riciclabili sono: tutti i contenitori che recano le sigle PE, PET e PVC, i contenitori per liquidi, le bottiglie per bevande, i flaconi per prodotti per l’igiene personale e pulizia per la casa, i contenitori di shampoo e bagnoschiuma, le vaschette per l’asporto dei cibi, le confezioni per alimenti, il polistirolo espando degli imballaggi e simili, le borse di nylon e la plastica in pellicola.

Veniamo allo smaltimento cd. In molti pensano che il materiale possa finire nell’alluminio, ma non è così. A meno che non si decida di optare per un riciclo creativo l’unica soluzione è l’indifferenziata. Le custodie dei cd di plastica, invece, è meglio tenerle perché potranno essere utili per futuri cd.

Raccolta differenziata: il glossario per riciclare

Anche questa settimana proseguiamo il nostro viaggio nella complessa gestione dei rifiuti relativamente a tutti quegli oggetti di uso comune che iniziano con la lettera C. Prima, però, è doveroso fare alcune specifiche essenziali – per quanto certamente già note ai lettori di ecoblog – a proposito del materiale cartaceo: non si può riciclare la carta unta e bisunta ma solo quella pulita! Sarebbe opportuno, poi, non raccogliere la stessa in buste plastiche che, se buttate nel cassonetto della carta, contribuirebbero ad aumentare enormemente i costi del riciclo.  Quanto a scatole e pacchi è sempre consigliabile ridurne il volume prima di gettarle, in modo da non occupare troppo spazio all’interno del cassonetto evitando, in questo modo, che altri siano costretti ad abbandonare il prezioso rifiuto all’aperto, spesso involontariamente, disperdendolo.

Dopo il salto l’elenco dei materiali e le procedure per lo smaltimento.

Carrozzine e passeggini – singoli componenti riciclabili – isole ecologiche e centri di raccolta.
Carta assorbente per cucina – non riciclabile – cassonetto indifferenziato.
Carta da forno – non riciclabile – cassonetto indifferenziato.
Carta da pacchi – riciclabile – cassonetto della carta.
Carta lucida da disegno – non riciclabile – cassonetto indifferenziato.
Carta (né unta, né bagnata) – riciclabile – cassonetto della carta.
Carta per alimenti – tendenzialmente non riciclabile, salvo a separarne i componenti – cassonetto indifferenziato.
Carta plastificata – non riciclabile – cassonetto indifferenziato.
Carta velina – riciclabile – cassonetto della carta.
Cartoni ondulati – riciclabile – cassonetto della carta.
Cartoni per bevande –riciclabile – cassonetto della carta.
Cartucce per stampanti – riciclabili alcune componenti – isole ecologiche e centri di raccolta.
Casco – componenti riciclabili – isole ecologiche e centri di raccolta.
Cassette audio e video – non riciclabili – isole ecologiche e centri di raccolta.
Cassette della frutta in legno – riciclabili – isole ecologiche e centri di raccolta.
Cassette della frutta in plastica – tendenzialmente non riciclabili – isole ecologiche e centri di raccolta.
CD (inclusa la custodia in plastica rigida) – non riciclabili – cassonetto indifferenziato.
Cellulari e caricabatterie – componenti in parte riciclabili -isole ecologiche, centri di raccolta e rivenditori autorizzati.
Cicche di sigaretta – non riciclabile – cassonetto indifferenziato.
Ceramiche in cocci – riciclabile – cassonetto indifferenziato. Cerotti – non riciclabile – cassonetto indifferenziato.
Cibi (sia crudi che cotti) – utili per il compostaggio – cassonetto dell’umido o indifferenziato.
Collant e calze – non riciclabili – cassonetto indifferenziato.
Computer e componenti – riciclabili alcune componenti – isole ecologiche e centri di raccolta.
Condizionatori d’aria – riciclabili alcune componenti – isole ecologiche e centri di raccolta.
Confezioni di caffè e simili – riciclabili – cassonetto multi materiale.
Confezioni di carta – riciclabili – cassonetto della carta.
Contenitori di detersivi in plastica – riciclabili – cassonetto multi materiale.
Contenitori di prodotti per l’igiene personale – riciclabili – cassonetto multi materiale.
Coperchi di barattoli per alimenti – riciclabili – cassonetto multi materiale.
Coperchi vasetti di yogurt in carta stagnata – riciclabili – cassonetto multi materiale.
Coperte – riciclabili – cassonetto giallo. Cornici – tendenzialmente riciclabili – isole ecologiche e centri di raccolta.
Cristalli – non riciclabili – cassonetto indifferenziato.

Foto | Flickr

Fonte: ecoblog.it

 

9 invenzioni sostenibili che potrebbero cambiare la nostra vita

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Alcune delle menti creative presenti nei diversi Paesi hanno messo, e continuano a mettere, le loro idee e intuizioni al servizio della società e dell’ambiente. Esistono delle invenzioni che hanno segnato delle tappe molto importanti nella nostra esistenza, soprattutto in termini di sostenibilità. Molte altre ne dovranno essere ancora create, ma queste nove, potrebbero veramente dare la differenza nelle nostre vite. Vediamo insieme quali sono.

Riciclaggio

Il riciclaggio è forse uno dei punti cardine del “movimento verde”. Più che un’idea, è una necessità, qualcosa che richiede il nostro sforzo e la nostra partecipazione affinché entri appieno a far parte della nostra vita quotidiana. Tutto ha il suo posto preciso; tutto, o quasi, può avere nuova vita per ridurre l’impatto sull’ambiente e il volume di rifiuti prodotto.

Lampadine a risparmio energetico

Sono ovunque nella nostra casa. Le lampadine a risparmio energetico arrivano a utilizzare il 75% in meno dell’energia necessaria alle lampadine normali. Ultimamente, si sta diffondendo un altro tipo di tecnologia, apparentemente più vantaggiosa di quella precedente: la tecnologia a ledpiù resistente, più luminosa e con una bassa dispersione di calore.

Pannelli solari

pannelli fotovoltaici sono un’altra delle invenzioni che potrebbe veramente cambiare il panorama energetico mondiale. Non solo sono una fonte di energia pulita, ma possono contribuire a ridurre i costi energetici delle case. Sono relativamente facili da installare e si può ottenere il massimo del funzionamento. Ne esistono di diversi tipi e possono essere utilizzati anche a complemento delle tradizionali fonti energetiche utilizzate per il fabbisogno domestico.pannelli-solari

Buste di plastica che diventano carburante

Questa invenzione prende il nome di Blest Machine ed è un’idea partorita dalla società giapponese Blest Corporation. La Blest Machine è un elettrodomestico trasportabile in grado di trasformare la plastica in carburante. L’idea è nata dalla semplice constatazione che la plastica è composta da olio e che quindi deve poter tornare al suo stato originario. Il dispositivo è in grado di convertire 1 kg di plastica in circa un litro di carburante, impiegando solo 1 kw di potenza. L’unico ostacolo alla diffusione è il prezzo: circa 10mila dollari. Per questo, i creatori si stanno concentrando sul ricercare un modo per abbattere i costi.

Auto ibride

Le auto ibride sono un’invenzione che potrebbe consentire di liberarsi dalla dipendenza dai combustibili fossili. L’Università di Middle Tennessee ha addirittura sviluppato un kit in grado di trasformare una normale automobile a benzina in un veicolo ibrido. Le soluzioni proposte per una mobilità sostenibile, fino ad oggi, sono comunque veramente numerose.

Bottiglia di plastica biodegradabile

Creata da una miscela di alghe brune e cloruro di calcio, Ooho è una sorta di membrana di plastica biodegradabile che potrebbe sostituire le bottigliette d’acqua. È un packaging commestibile, che permetterebbe di eliminare uno dei materiali più comunemente usati nel mondo e anche tra i più inquinanti.

Aereo a energia solare

L’aereo Solar Impulse è il primo prototipo di aereo fotovoltaico che utilizza come combustibile l’energia solare. Nato dopo un lungo lavoro di 7 anni, per mezzo di un progetto che ha coinvolto 70 persone e 80 imprese, Solar Impulse ha effettuato il suo volo inaugurale qualche anno fa. Alla guida, André Borschberg, uno dei fondatori del progetto stesso.

Macchina per creare carta igienica riciclata

Ecco un’invenzione decisamente bizzarra: la White Goat machine. Nata dal genio di alcuni inventori giapponesi, questa macchina ha lo scopo di convertire la carta dell’ufficio (o dell’altra normale carta) in rotoli di carta igienica. Ci vuole circa mezz’ora per convertire 40 fogli in un rotolo di carta igienica. Peccato che il prezzo sia eccessivo: 100mila dollari. Un’invenzione interessante però, non c’è dubbio!

Creare l’acqua dall’aria

WarkaWater è un progetto che potrebbe rivelarci decisivo per risolvere il problema della mancanza di acqua nelle zone dove c’è siccità o si sono verificati disastri naturali. L’idea è tutta italiana e viene dalla mente dell’architetto Arturo Vittori e del collega Andreas Vogler. la “torre” di WarkaWater si presenta come un enorme vaso, alto quasi poco più di nove metri e con una capacità di oltre 90 litri e ha il compito di raccogliere l’acqua di condensazione dell’aria. Per approfondire: http://www.lastampa.it/2014/04/18/blogs/voci-globali/warkawater-invenzione-rivoluzionaria-l-dove-manca-lacqua-RRGj9qsIOXtd95L9mlcCVP/pagina.html

Queste sono solo alcune delle invenzioni sostenibili che potrebbero cambiare le nostre abitudini, nel rispetto dell’ambiente. Anche se alcune sembrano veramente bizzarre!!

Ve ne vengono in mente altre?

(Foto in evidenza: StockMonkeys.com; foto interna: h080)

Fonte: ambientebio.it

Comuni Ricicloni: Ponte nelle Alpi, un esempio per l’Italia

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Il Comune di Ponte nelle Alpi, in provincia di Belluno, ha ricevuto per la quarta volta l’Oscar dei Comuni Ricicloni,  iniziativa di Legambiente che premia le comunità locali, amministratori e cittadini, che hanno ottenuto i migliori risultati nella gestione dei rifiuti e portata avanti con il patrocinio del ministero dell’ambiente e la collaborazione dell’Anci e di associazioni impegnate nella promozione del rispetto e della difesa dell’ambiente. Si tratta di un riconoscimento per i piccoli gesti quotidiani, dall’attenzione posta fin da quando si fa la spesa, evitando di acquistare imballaggi inutili, alla separazione accurata dei rifiuti in casa fino alla loro consegna al servizio di raccolta domiciliare, al conferimento di ogni materiale all’ecocentro comunale. Il denominatore comune è la responsabilità, che passa di mano in mano dalla bottega del negozio di alimentari, ai cittadini, alla Ponte Servizi Srl che gestisce con grande professionalità il servizio di raccolta, alle piattaforme di selezione che ritirano questi materiali e li riconsegnano alle aziende che li ritrasformano in nuovi beni. “Siamo orgogliosi di ricevere per la quarta volta consecutiva l’Oscar dei Comuni Ricicloni, – ha dichiarato Ezio Orzes l’Assessore all’Ambiente del Comune di Ponte nelle Alpi – premio che riconosce l’impegno dei tanti che hanno contribuito a questo risultato”. “Non ci possiamo più permettere di buttare sottoterra, in una discarica o dentro un inceneritore, materiali preziosi spendendo in smaltimento quantità enormi di denaro”. A Ponte nelle Alpi questo costo è stato abbattuto di oltre 90% (da 450.000 a 40 € l’anno) ed i soldi risparmiati sono stati impegnati per dare lavoro a delle persone che erogano un servizio di grande qualità ai cittadini ad un costo basso. A Ponte nelle Alpi si differenzia quasi tutto e ogni cittadino produce ormai meno di 30Kg di rifiuto indifferenziato all’anno. Obiettivi apparentemente irraggiungibili sono invece alla portata di tutti. Lo dimostra Ponte nelle Alpi che lancia ora una sfida a tutto il Paese: se tutti i Comuni Italiani sotto i 50.000 abitanti facessero la raccolta differenziata come da noi in Italia si potrebbero abbattere dei costi improduttivi, come lo smaltimento dei rifiuti indifferenziati, e si potrebbero creare almeno 200.000 posti di lavoro offrendo ai cittadini servizi di grande qualità ad un costo contenuto. In media una famiglia di quattro persone, se differenzia bene, a Ponte nelle Alpi può spendere meno di 160€ l’anno, tramite l’applicazione di tariffa puntuale che premia con una bolletta leggera le famiglie che differenziano meglio.

Come è riuscito il comune di Ponte nelle Alpi a raggiungere questi risultati?

– Un’amministrazione compatta e decisa che ha tradotto la vaghezza di termini come “Green Economy” in politiche e azioni concrete.

– Una progettazione< e una pianificazione accurata del servizio di raccolta domiciliare porta a porta

– La partecipazione attiva e il coinvolgimento dei cittadini, dei bambini e ragazzi delle scuole, veri protagonisti del cambiamento.

– Una gestione di grande qualità, affidata alla Ponte Servizi Srl, società pubblica del Comune di Ponte nelle Alpi, esempio di assoluta eccellenza nella gestione del servizio. Puntualità, professionalità, competenza, cortesia: il gestore ideale che tutti vorremmo trovare a gestire un servizio pubblico!

“Questo traguardo è dedicato ai Pontalpini – dichiara infine l’Assessore Ezio Orzes – noi amministratori siamo orgogliosi di una comunità così attenta ai valori ambientali e corresponsabile nella gestione dei beni comuni”.

Fonte: il cambiamento

Sonita, l’auto elettrica riciclabile ha origini cuneesi

Presentata al salone EVER di Montecarlo il prototipo dell’auto elettrica nata da un’idea di Antonio Bertolotto, imprenditore leader nel recupero del biogas da discarica. L’auto potrebbe esser prodotta in nove diverse versioni a partire dal 2014

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La prima uscita pubblica è stata il 27 marzo al salone della mobilità sostenibile EVER di Montecarlo, ma è 100% italiana Sonita, l’auto elettrica nata dall’idea di Antonio Bertolotto, imprenditore leader nel recupero del biogas da discarica con la sua Marco Polo Environmental. Dopo anni di produzione di energia verde, l’imprenditore piemontese ha deciso di cimentarsi nella produzione di un veicolo elettrico da lavoro e da tempo libero leggero, robusto, poco costoso (circa 20 mila euro) e longevo, tale da rendere semplice e poco oneroso il trasporto di persone, piccoli animali e prodotti. Per ora un prototipo, Sonita potrebbe esser prodotta in nove diverse versioni già a partire dal 2014. La piccola auto elettrica dalle origini cuneesi ha l’ambizione di essere più ecologica delle sorelle elettriche finora progettate delle principali case automobilistiche. “Sonita -si legge nella presentazione del veicolo- non deve inquinare nella fase costruttiva poiché si utilizzano come avvii del progetto tutti materiali riciclabili, soprattutto leggeri e resistenti e tutti assemblati con la logica del componente di facile montaggio nella fase costruttiva, fatto salvo il telaio, senza saldature e senza verniciature e di facile smontaggio e riciclaggio alla fine del ciclo di vita del veicolo“. Inoltre Sonita, grazie ad una partnership con la Marcopolo Engineering, mira alla riduzione della CO2 passiva prodotta per la costruzione del veicolo. In pratica ogni veicolo prodotto avrà in dotazione un quantitativo di Humus Anenzy®, il cui contenuto di carbonio andrà ad equilibrare la CO2 prodotta in fase di produzione.

fonte: eco dalle città