Sunny Hill, l’ecovillaggio della “semplicità lussuosa”

Uno spazio di cooperazione e innovazione che promuove le condizioni per la ricerca, l’educazione e la pratica del vivere sostenibile. Passa per la Slovenia il secondo di sette appuntamenti con alcune tra le più importanti comunità intenzionali d’Europa. Le interviste sono state realizzate durante la conferenza europea degli ecovillaggi che si è svolta dal 14 al 17 luglio scorso in Toscana. L’ecovillaggio Sunny Hill è situato nell’incantevole borgo di Hrvoji, nell’Istria slovena, a meno di un’ora da Trieste e a poco più di mezz’ora da Capodistria. “È uno spazio di cooperazione e innovazione la cui missione è creare la giusta atmosfera per la ricerca, l’educazione e la pratica del vivere sostenibile.” Ce lo dice Nara Petrovic, fondatore dell’ecovillaggio nel 2014 insieme ad altri 5 pionieri da lui conosciuti attraverso forum ecologisti.

Nara Petrovic racconta Sunny Hill (sottotitoli in italiano disponibili) 

L’idea è nata quasi per gioco. Alzi la mano chi non ha mai fantasticato di mettere insieme qualche decina di migliaia di euro insieme ai propri amici per comprare un piccolo borgo da ristrutturare e diventare il più possibile autosufficienti. Ecco, la differenza è che Nara e i suoi amici non stavano scherzando. E così oggi, attraverso la cooperativa “Sunny Hills of Istria”, sono proprietari di un edificio di 200 anni da loro stessi ristrutturato. Un contenitore che ha la funzione di mostrare, a chiunque passi per quel luogo magico, le più interessanti soluzioni per ridurre gli sprechi e l’impatto sull’ambiente attraverso l’uso integrate di conoscenze tradizionali e tecnologia. Un’opera di ristrutturazione e di “rigenerazione” del borgo dove si sono insediati che non è affatto terminata, visto che dopo l’edificio principale hanno iniziato a ristrutturare anche quelli circostanti.

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Nara è piuttosto conosciuto in Slovenia. Nel 2009 ha infatti lanciato l’evento “puliamo la Slovenia in un giorno”, cui hanno aderito circa 200mila suoi connazionali che hanno ripulito 20mila tonnellate di rifiuti dalle strade e dalle discariche abusive delle maggiori città del Paese in uno stesso giorno. Da allora vive e cammina scalzo, che è solo la più visibile delle scelte radicali che ha fatto per avvicinarsi alla natura. Sul suo stile di vita ha scritto più di un libro, sono stati girati due documentari ed è spesso invitato a divulgare le sue ricerche a seminari e conferenze in tutto il paese. Nonostante ciò, Nara rifiuta categoricamente il ruolo di leader spirituale o quello di figlio dei fiori. È semplicemente un fautore della semplicità volontaria, o downshifting. Tutto ciò non deve far pensare a Sunny Hill come un luogo privo di qualsiasi comodità. Al contrario, essendo una comunità formata da circa 15 membri, diventa persino più facile permettersele, e senza dipendere da lavori ed apporti monetari esterni. Il principio di base, comune a tutte le comunità intenzionali, è infatti quello della condivisione. “Quando condividi con altre persone spazi, mezzi di trasporto, utensili, apparecchi ad alta tecnologia, ripari e ricicli tutto il possibile, autoproduci il tuo cibo e una buona parte dell’energia che ti occorre, puoi diminuire drasticamente la quantità di denaro di cui necessiti per vivere con agio. È in questo modo che noi riusciamo a vivere quella che noi chiamiamo la semplicità lussuosa”, ci dice.

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 A Sunny Hill si organizzano eventi, workshop e raduni, viene offerto supporto a tutti coloro che vogliono adoperarsi per effettuare la transizione verso una vita più consapevole degli effetti delle nostre azioni sull’ambiente, sugli altri umani e sulle altre creature viventi. Inoltre il piccolo borgo istriano ospita volontari, “volonturisti” (come li chiamano loro) e iniziative come il programma europeo per la formazione sul campo Erasmus+, l’incubatore per ecovillaggi CLIPS e molte altre. Inoltre, è membro delle rete europea degli ecovillaggi GEN Europa, di ECOLISE e di altri network. 

Per entrare in contatto con l’ecovillaggio basta scrivere a sunnyhill.slovenia@gmail.com.

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2019/09/sunny-hill-ecovillaggio-semplicita-lussuosa/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni

Nasce la Scuola di Agricoltura Indigena

L’idea è del gruppo che ha deciso di costituire l’ecovillaggio “La casa rotta”, a Cherasco, in provincia di Cuneo. Hanno dato vita a un progetto che hanno chiamato “Scuola di agricoltura indigena”, «e cioè un’agricoltura che non distrugge la vita ma la genera continuamente» dicono gli ideatori.

La Scuola di Agricoltura Indigena nasce dallo sviluppo del progetto in agroecologia dell’ecovillaggio La Casa Rotta e dell’organismo agricolo Nuove Rotte.

Il termine “indigeno”, come spiegano i promotori, ha un’etimologia latina e significa “generare”.

«Ci piace usarlo perché la parola GENERARE indica un’agricoltura che non distrugge la vita ma la genera continuamente – spiegano dall’ecovillaggio “La casa rotta” – L’agricoltura indigena attinge a tecniche non solo locali e pone l’accento sull’intima relazione che esiste tra l’essere umano e l’universo».

«Con agricoltura indigena intendiamo l’insieme di tutte le osservazioni, le tecniche e le conoscenze che per migliaia di anni hanno accompagnato l’evoluzione e la sopravvivenza dell’uomo, inserendolo all’interno di un ambiente in modo armonico – spiegano ancora dall’ecovillaggio – Spesso in passato l’agricoltura era di competenza non solo dei contadini ma anche dei sacerdoti, dei monaci, degli alchimisti e di tutti coloro che studiavano la vita e il suo mistero e la natura in genere era il campo di indagine perfetto. È un patrimonio ricchissimo che va riscoperto: il nostro compito principale è rinnovarlo e adattarlo per renderlo comprensibile ai problemi della nostra epoca (ad esempio l’inquinamento o i cambiamenti climatici) o alla modernizzazione, al nuovo stile produttivo e alle nuove tecniche e tecnologie».

La biodinamica e la permacultura sono buoni esempi di sincretismo tra antico e moderno in agricoltura e «nella scuola di agricoltura indigena  si attinge a queste due grandi pratiche filosofiche e a una miriade di ulteriori tecniche, tradizioni, esperimenti».

Inoltre i membri dell’ecovillaggio propongono un lavoro di osservazione interiore che precede il lavoro in campo.

«In tutte le culture indigene c’è sempre stato e ci sarà sempre un rapporto univoco e preciso tra il microcosmo (l’uomo) e il macrocosmo (l’ambiente): ciò che osservo dentro lo posso trovare fuori e viceversa, sicuramente in forma diversa ma con lo stesso principio che le unifica. Questo permette un duplice vantaggio: poter osservare da entrambe le parti la stessa cosa, pensarla, sentirla e praticarla nel modo giusto al momento giusto ti permette di padroneggiare la tua conoscenza in qualunque situazione! Quindi, in sintesi, durante ogni lezione cerchiamo di percepire dentro di noi quello che poi mettiamo in pratica in campo».

La Casa Rotta non è nuova a questo tipo di progetti; si pone infatti come una sorta di polo di ricerca pratica di agricolture naturali e stili di vita che arricchiscono l’individuo sia sul piano fisico che spirituale. «Ha cioè l’obiettivo di aumentare la sinergia tra l’uomo e la natura lavorando molto sull’atteggiamento dell’essere umano quale essere sociale e naturale – spiegano i promotori – La pratica dell’agricoltura indigena oltre che aiutare la Madre Terra e produrre cibo nutriente e vitale, infonde responsabilità, coraggio e creatività perché propone un processo di conoscenza e auto conoscenza continuo molto profondo».

La Casa Rotta, tramite l’agricoltura indigena, crea collegamenti tra individui, hobbisti e aziende che vogliano autoprodursi il cibo, conoscere la natura  facendone il proprio lavoro. «In un’era permeata di individualismo e di digitalizzazione, dove il tessuto sociale è iperconnesso ma nella concretezza della vita reale è sempre più sfibrato, la creatività e la collaborazione nella visione e nella pratica sono qualità fondamentali per nuovi modi di fare impresa tra le persone. La manualità unita alla conoscenza vera e interiore dei processi è una qualità sempre più preziosa dato il continuo sovraccarico di informazioni puramente mentali con cui il nostro essere viene sollecitato quotidianamente».

Ma vediamo cosa offre la scuola di agricoltura indigena.

«L’agricoltura ha senza dubbio tanti ruoli – spiegano i promotori – produrre cibo per altri esseri, cibo che può essere una medicina per corpo, mente e spirito; creare relazioni tra individui e opportunità di avvicinarsi ai grandi misteri della natura. L’agricoltura è una delle attività umane con le più grandi potenzialità perché permette di: osservare e interagire con tutti i regni; vivere in interazione diretta con loro in tutte le sue fasi compresa quella della nascita e della morte (i due più grandi e affascinanti avvenimenti della vita di tutti gli esseri viventi); osservare le relazioni tra gli esseri e le straordinarie bellezze della Natura; allargare la sfera delle relazioni al Cosmo, ai pianeti alle costellazioni».

«In questo modo nasce un nuovo agricoltore che è in relazione con se stesso e allo stesso tempo un coordinatore armonioso, in quanto l’agricoltura indigena è una sintesi tra scienza, mistica, filosofia e arte. La scuola ha la finalità di formare agricoltori come guardiani del paesaggio, in grado di osservare, conoscere e agire, abili nel capire le strategie da usare nei vari contesti. Per arrivare a questo verranno insegnate varie linee guida e le ricette base da applicare nelle diverse situazioni, sia di progettazione, sia di pratica quotidiana che di emergenza,  in modo da saper far fronte a ogni situazione. L’agricoltore è la chiave: molto più che la pratica agricola, la sua forma mentis, la sua moralità e la sua capacità di ‘sentire’ l’ambiente, la sua fantasia creativa verranno sollecitate in modo che si sviluppi la percezione su più piani».

La Scuola di Agricoltura Indigena si rivolge chi si approccia per la prima volta all’agricoltura e lo vuole fare in un modo totalmente rispettoso della natura conoscendo e usando le forze che ci mette a disposizione; a chi ha un progetto di comunità intenzionale o ne è attratto e vuole muoversi verso l’autosufficienza alimentare; ai piccoli coltivatori interessati ad una nuova metodologia di coltura sostenibile/rigenerativa, produttiva e del tutto rispettosa dell’ambiente; a chi vuole fare un percorso di autoconoscenza attraverso la comprensione delle forze che agiscono nel microcosmo (uomo) e nel macrocosmo (natura/agricoltura)».

Il corso di quest’anno è già iniziato, restano gli appuntamenti di luglio, settembre, ottobre, novembre e dicembre.

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Fonte:ilcambiamento.it

Vado a vivere in un ecovillaggio! Perché?

Cresce il numero di persone che decidono di rivoluzionare la propria esistenza, abbandonare lo stile di vita urbano e abbracciare nuovi modi di abitare, basati sulla condivisione e la sostenibilità. Cosa determina la scelta di vivere in un ecovillaggio? Ecco le testimonianze raccolte in occasione dell’ultimo raduno della RIVE – Rete Italiana degli Ecovillaggi.

“A volte il futuro abita in noi senza che lo sappiamo”, così scriveva Marcel Proust nella sua Ricerca del tempo perduto. Una scelta improvvisa, una serie di eventi, un questione di tempo, un ritorno alle proprie radici. Queste sono solo alcune delle motivazione che possono spingere delle persone a scegliere un percorso di vita condivisarive3

Vogliamo raccontarvi questo percorso direttamente con i volti di chi ha deciso di intraprendere questo cammino. Cosa è successo? Cosa è cambiato? Non c’è una risposta univoca a questa domanda, ci sono solo tante storie. Storie di persone come me, e come te, che hanno deciso di rivoluzionare la loro vita.

“Ho scelto di vivere in un ecovillaggio per una questione di tempo”, ci racconta Vito di Habitat, “il tempo che sentivo che mi sfuggiva, il tempo che non sentivo più una cosa mia, il tempo che è denaro. Alla fine mi sono ritrovato ad esserne vittima, ora è un mio amico”. Una questione di armonia, una scelta di cambiamento per fare pace con la parte più profonda di se stessi, un tempo ritrovato. Un futuro che è in noi, un qualcosa che semplicemente accade. Questo è quello che è successo a Massimo di Torri Superiore: “Non è stato un percorso ragionato, è un qualcosa che è accaduto, era da fare. I significati li ho ricostruiti vivendoli”.

Per altri, invece, la scelta di cambiamento combacia con un vero e proprio viaggio alla scoperta delle proprie radici. Un percorso che nasce dal desiderio di riconnettersi con una parte di sé che si è sempre avuto addosso, come ad esempio un cognome, e del quale non si è mai saputo abbastanza. “Sono Manuela Pizzi, vengo dalla Spagna”, ci racconta Manuela in un italiano perfetto, “ho iniziato a viaggiare in Italia perché tutti mi chiedevano: ma tu lo parli l’italiano? Ed io rispondevo: No!”.rive2

Diversa è la storia di Mario (Il Popolo degli Elfi). Per lui il ritorno alla terra era una condizione necessaria del suo essere. Il ricordo del nonno e la consapevolezza che “ la mia strada è sempre stata quella di tornare alla terra”. Una scelta che può nascere da una delusione politica e dal desiderio di trovare strade alternative per veder trionfare i propri ideali. Una volontà di vivere un’esistenza comunitaria, una propensione all’accoglienza e alla condivisione così profonda da dar la forza di ridisegnare la propria realtà. “Una realtà anticapitalista, una realtà che rifiuta la proprietà privata, che si pone il tema delle scelte che vengono compiute in maniera del tutto egualitaria, senza leader, l’assemblea è l’unico organo decisionale”, ci racconta, soddisfatto, Alfredo di La Comune di Bagnaia. Diversa, ancora, può essere la storia di chi decide di cambiare perché si rende conto di aver sempre lottato per qualcosa di effimero. Esattamente all’apice del successo, in un momento estremamente bello della propria vita, comprendere di aver bisogno di più autenticità. “Avevo bisogno di vivere una vita vera, con gente vera, dove si diceva quello che si pensava e si faceva quello che si diceva”, ci racconta Macaco della Federazione di Comunità di Damanhur. Una consapevolezza totale, ma non ingenua. Perché scegliere di vivere in comunità non è la panacea a tutti i problemi. I problemi e i conflitti sono parte integrante della nostra esistenza, ma la vita condivisa, ci sottolinea Macaco, “crea un campo che rende molto facile anche trovare delle soluzioni a delle cose che sembrano difficili da risolvere”. C’è chi decide di vivere in un ecovillaggio per amore della natura, come Sara dell’ecovillaggio Habitat. Chi, come Eva Lotz, ha sempre avuto, nel suo cuore, il desiderio profondo di cambiare vita. E ancora chi, semplicemente, ha voluto offrire una vita diversa alla propria famiglia. Così è stato per Monica che ha cercato un bel luogo in cui far crescere la propria prole.rive1

Infine, c’è chi, come Claudio, decide di cambiare perché non si diverte più. La scelta di ritagliarsi il proprio spazio in contrapposizione ad una società che offre sempre meno. Dove la socialità è solo orizzontale, giovani con giovani. Dove non si condivide uno scambio intergenerazionale e, quotidianamente, ci si perde un enorme bagaglio di conoscenza che detengono gli anziani. Questi sono solo alcune delle motivazioni di chi ha deciso di intraprendere un cammino di ricerca. C’è però un fil rouge che lega tutte le persone che ho incontrato al XXI raduno della Rete Italiana Villaggi Ecologici. Sia chi è giunto a destinazione, chi si appresta ad iniziare il cammino, sia chi ci sta solo pensando e chi ha questo desiderio che, saltuariamente, quando il giorno lascia lo spazio alla notte, fa capolino, appena prima di addormentarsi. Tutte queste persone hanno una luce negli occhi. La luce di chi decide di essere protagonista della propria vita. La luce di chi lotta per riappropriarsi del proprio tempo. La luce di chi combatte per una società migliore. Quella luminosità meravigliosa che avvolge l’essere umano quando sa che sta facendo la cosa giusta.

 

Guarda tutti i video con le testimonianze raccolte al raduno della RIVE

Fonte:  http://www.italiachecambia.org/2017/08/vado-vivere-in-un-ecovillaggio-perche/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni

Nelle Marche il primo passo verso un ecovillaggio sostenibile e autosufficiente

Un ecovillaggio completamente autosufficiente dal punto di vista energetico ed economico situato nello splendido contesto delle colline marchigiane, tra mare e montagna. Nasce dall’impresa sociale Montefauno, azienda agricola di prodotti biologici, il progetto dell’ecovillaggio “La Magione”, un esempio concreto di un nuovo modo di abitare e vivere su questo pianeta. L’impresa sociale Monte Fauno è un’azienda agricola marchigiana che produce prodotti biologici certificati, “con l’intento di racchiudere in un vasetto” – si legge sul sito – tutti gli odori e i sapori della migliore cucina italiana”. Nata su iniziativa di Luigi Quarato, la Montefauno è il primo passo per un progetto molto più ampio che sta poco a poco prendendo vita, quello di costruire l’ecovillaggio “La Magione”  nel Maceratese, presso il comune di Montefano.la-magione2

“Per arrivare alla fase esecutiva di un ecovillaggio in linea con la nostra filosofia abbiamo seguito un percorso diverso dal solito”, spiega Luigi, “e prima di trovare il gruppo con cui condividere questa esperienza abbiamo voluto verificare la fattibilità del progetto”. “La Magione” sarà un ecovillaggio completamente autosufficiente economicamente, vi si stabiliranno 40 famiglie e in ciascuna di esse uno dei membri potrà lavorare a una delle diverse attività che nasceranno.la-magione

L’azienda agricola Montefauno farà parte dell’ecovillaggio e oltre alla consueta produzione di ortaggi (prevalentemente), è prevista la costruzione di un piccolo capannone per la trasformazione dei prodotti. Sorgeranno poi un’azienda per la lavorazione di piante officinali per l’estrazione di oli essenziali e pigmenti naturali, una struttura turistica dotata di sette camere e una cooperativa sociale per le attività di assistenza e formazione professionale (bioedilizia, agricoltura, gestione dei fondi comunitari ecc…). Le unità abitative, circa 40, saranno tutte autocostruite in paglia e terra cruda e verrà garantita una qualità eccellente, anche grazie alla convenzione instaurata con l’Università Politecnica delle Marche di Ancona, per cui ogni abitazione sarà ecocompatibile, ecosostenibile e autosufficiente. L’ecovillaggio che verrà (l’inizio dei lavori è previsto per la primavera 2018 e avranno durata di circa un anno), vuole rivedere nel complesso il modo di vivere odierno fornendo un’alternativa concreta e diventando esempio di sostenibilità dal punto di vista abitativo e alimentare, per la creazione di posti di lavoro etici e integrati nel contesto socio-economico locale, per le attività socio-culturali e – infine – per un nuovo modo di abitare e costruire.

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2017/05/marche-ecovillaggio-sostenibile-autosufficiente/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni

 

Una nuova economia? Il segreto è nelle donne

Un’economia del Dono che sia un’economia di pace e abbondanza per tutti, in contrasto con un’economia dello scambio che fa del saccheggio la base per un’economia per pochi. Il femminile e il materno come pilastro di una nuova società, che sfugga al patriarcalismo dominante. Dialogo con Genevieve Vaughan, alla ricerca di un nuovo modo di vedere e interpretare l’economia.

Per cambiare la società, dobbiamo pensare in modo diverso. Quando si tratta di ripensare il nostro sistema economico, come stiamo vedendo in questi anni, tutto diventa più difficile, confuso, disordinato: da molto tempo, nel Mondo, i segnali di un profondo malcontento rispetto al funzionamento dei nostri schemi economici attuali si sta manifestando in molteplici modi, che spesso purtroppo sfociano nella rabbia, nella rassegnazione, nell’insofferenza fine a se stessa. E se, per cambiare la società, dovessimo riscoprirne i valori delle origini? Se nella cure della madre verso il proprio bimbo si annidi un modo diverso di vedere l’economia? Questo e altro sono le radici dell’Economia del Dono, che nella differenza tra scambio (patriarcale) e dono (matriarcale) pone la base della sua radicale critica nei confronti dell’economia di mercato.

Base fondante della tesi dell’Economia del Dono è che l’economia capitalista, per come la conosciamo oggi, basa la sua stessa logica sullo scambio, dove un bene è dato per ricevere il suo quantitativo equivalente, un bisogno è soddisfatto affinché soddisfi il proprio bisogno. Lo scambio di mercato non è naturale, non è reale e nemmeno necessario, ma semplicemente alimenta il nostro Ego, crea posizioni innaturali di conflitto che alimentano l’isolamento, la competizione, la guerra e il dominio. Questa logica patriarcale, basata sulla socializzazione maschile, va in conflitto con quella femminile, matriarcale, viaggia su un binario opposto rispetto alla madre che nutre. È per questo che l’economia del dono vuole portare al centro dello scambio economico il valore d’uso degli oggetti e delle azioni: “sono delle azioni che noi mettiamo già in pratica, solo che non ce ne rendiamo conto minimamente, rimangono inconsce” ci spiega Genevieve Vaughan, ricercatrice e femminista statunitense stabilitasi da anni a Roma e teorica dell’economia del dono. “Penso che al di sotto dell’economia di mercato e del capitalismo esista un altro tipo di economia, un’economia materna in cui tutti noi nasciamo ma che viene sfruttata dal mercato; tutti i doni a nostra disposizione, compresi quelli fornitici dalla Madre Terra, vengono risucchiati dal mercato e messi a disposizione di pochi. È una logica predatoria e patriarcale, tipica della nostra economia che ci sta portando alla catastrofe”.freswota-another-perfect-day-11

Il senso dell’Economia del Dono

Già con la creazione del denaro, si è andato configurando un modello di economia basato sul patriarcato. Il modello di scambio che ne è nato ha negato quello del dono già in vita presso alcune società precapitalistiche, come ad esempio quelle native americane: l’unico spazio che il mercato non ha risucchiato è stato quello della pratica materna, nel dono che una mamma da consapevolmente al proprio bambino, che nasce dipendente dalle cure materne e che le riceve senza che la madre pretenda nulla in cambio. Questo è l’esempio base per provare a capire dove si annidino le basi culturali dell’Economia del Dono: “Le logiche dello scambio e del donare costituiscono due paradigmi o visioni del mondo che competono e si complementano: la pratica materna e tutti i tipi di lavoro donati gratuitamente sono resi difficili o addirittura sacrificati dalla scarsità che è necessaria al funzionamento del mercato.” scrive Genevieve Vaughan nei suoi 36 passi verso l’economia del dono “ La scarsità viene creata artificialmente dall’appropriazione dei doni di molti da parte di pochi, dei doni dei paesi poveri a quelli ricchi, dei doni della natura, del passato e del futuro ai pochi per il loro profitto nel presente. I valori materni sono visti come non realistici e svalutati dai misogini. Essi sono visti come cause della sofferenza, mentre denunciare le sofferenze e la mancata soddisfazione delle necessità da parte delle donne è vista come vittimismo. Al contrario, sono la scarsità necessaria (funzionale) al mercato e la svalutazione del paradigma del dono che causano la sofferenza delle donne (e dei bambini e degli uomini).”  Il dare per ricevere (compreso il baratto) diventa così una logica altra rispetto al donare per soddisfare un bisogno: per cambiare il paradigma, diventa importante da adulti creare un’economia del dono unilaterale allargata e generalizzarla a tutti. Una sfida enorme, ma che noi inconsciamente pratichiamo già.popolo-degli-elfi

Alcuni esempi di Economia del dono, il dono del cambiamento sociale

“Prendiamo l’esempio delle persone che si uniscono e danno vita ad un ecovillaggio. Lo fanno spesso con poca disponibilità economica, senza baratto, senza scambio. Così come molti altri progetti legati al cambiamento sociale nascono con questa logica” ci spiega la Vaughan “spesso non ce ne rendiamo conto ma stiamo mettendo in pratica l’economia del dono, le creazioni di queste persone sono dei doni che vengono dati alla società, migliorano la vita di alcuni di noi, di coloro che vi si approcceranno, senza pretendere nulla in cambio!”.

Altro esempio tipico alla base del rapporto predatorio dello scambio sul dono, e che ci aiuta a capire meglio il senso profondo del dono stesso, è il plusvalore: questo rappresenterebbe un dono che potrebbe andare verso la società, ma il profitto (che fa parte della logica dello scambio) lo ha soppiantato e inglobato. È la logica dello scambio che sovrasta e ingloba un possibile dono per la società, un rapporto unilaterale che inevitabilmente risucchia e distrugge, senza seminare. Una “guerra” generalizzata contro la pratica del dono, ma che è inconscia e per questo non riusciamo più a riconoscerla. Nella stessa logica rientra, come ulteriore esempio, il lavoro casalingo: se fosse calcolato in termini monetari, darebbe un valore aggiunto enorme al Pil delle varie nazioni. È un esempio di economia del dono che viene già messo in pratica come strada di economia alternativa: non vale affatto come esempio assoluto valido per tutte e tutti (non dobbiamo fare solo le casalinghe per praticare l’economia del dono) ma ci aiuta a vedere la ricchezza nascosta insita del dono. “Recenti sviluppi, come ad esempio il brevettare forme di vita e geni, mostrano come il capitalismo patriarcale assuma il controllo e trasformi i doni in prodotti. Le forze della globalizzazione sfruttano sempre più doni a livello internazionale, dal Sud al Nord.”

È il dono della natura, che contiene un’enormità di doni che vengono sottratti ai molti per rimanere nella disponibilità di pochi. L’alternativa è proprio saper vedere l’economia del dono per quella che è: materna, femminile e naturale. “Il mercato galleggia su un’infinità di doni, lo stesso profitto è una parte di dono che il mercato si prende” conclude Genevieve Vaughan “credo da americana trapiantata in Italia che l’Italia su queste tematiche sia molto all’avanguardia e pronta. C’è una coscienza legata alla condivisione e indirizzata al dono molto forte qua. Non la vedete, così come sembra invisibile l’Economia del Dono.”

 

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2016/11/io-faccio-cosi-142-nuova-economia-segreto-donne/?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=general

Tempo di Vivere, un villaggio ecologico per costruire il futuro

Nel cuore dell’Emilia si trova Tempo di Vivere, una comunità di persone che condividono un obiettivo: costruire un nuovo modello di società che sia sostenibile, resiliente e incentrato sulle relazioni umane. Hanno affittato un terreno con un casale, organizzano corsi e laboratori e stanno creando un tessuto solidale con gli altri attori del territorio.

Un ecovillaggio, un co-living, una comune, un centro di formazione. Tempo di Vivere è tutto ciò, eppure è qualcosa di ancora diverso. È un casale vecchio e incantevole, situato su un promontorio che domina per chilometri la pianura padana. È un luogo di sperimentazione dove vengono messe in pratica nuove idee per un futuro sostenibile. Ma soprattutto, è un gruppo di persone che vuole dimostrare che è possibile vivere e crescere insieme, come individui e come comunità, per costruire un mondo migliore. Siamo andati a trovarli sulle colline modenesi per farci raccontare la loro storia.

Quella che abbiamo trovato a Tempo di Vivere è una rara miscela di spiritualità e pragmatismo. Da un lato, una piccola comunità che mette al centro la persona e le relazioni, le emozioni, le necessità, i dubbi e le speranze di ognuno. Senza giudicare, con semplicità e affetto. Dall’altra, un’iniziativa che vuole fornire strumenti concreti per costruire un nuovo modello, interagendo con il territorio e coinvolgendo i cittadini per generare una massa critica.

Il progetto, a partire dal nome, nasce da un percorso arduo e doloroso del fondatore, Antonio: «Dopo un periodo difficile della mia vita, ho avuto tanto tempo a disposizione per riflettere grazie all’ospitalità di un amico. Stando da lui ho capito il significato dell’accoglienza, del volersi bene, dell’essere accettato e ho deciso di ricreare la stessa esperienza. Il nome deriva dalla sofferenza che ho attraversato e dalla decisione che ho preso: vivere o morire? Io ho scelto di vivere».tempodivivere4-1024x589

Dopo anni di ricerche, il gruppo – che nel frattempo era diventato più folto – ha trovato la sua casa in affitto fra le colline modenesi. «Questo territorio è molto particolare, qui nacquero le prime comuni agricole», ricorda Ermanno, un altro membro di Tempo di Vivere. «C’è curiosità, molti vengono a trovarci per vedere cosa facciamo. Vogliono capire se è possibile vivere in modo sostenibile anche normalmente, senza essere “strani” o isolati, e trovare delle risposte nella propria quotidianità».

Già, perché le attività dell’ecovillaggio sono fortemente proiettate verso l’esterno: «Organizziamo molti corsi e i partecipanti arrivano da tutta Italia. Uno che abbiamo fatto recentemente e che riproporremo anche in futuro è quello per imparare a realizzare una food forest, ovvero un piccolo boschetto o giardino di piante commestibili ed erbe medicinali. Ma le tematiche degli incontri sono le più disparate: permacultura, downshifting, cucina naturale, rimedi naturali, thermocompost, autocostruzione, scollocamento e tanti altri».tempodivivere8

I workshop sono un momento importante, sia dal punto di vista relazionale che da quello pratico. Ciascun partecipante porta le proprie competenze e il proprio punto di vista, arricchendo tutto il gruppo. Inoltre, è un aiuto importante per sperimentare e realizzare opere che senza il contributo degli altri non ci sarebbero, come per esempio il forno in terra cruda o la cupola geodetica, entrambi costruiti durante dei laboratori.

Un altro degli obiettivi di Tempo di Vivere è raggiungere l’autosufficienza: «Ci autoproduciamo pane, pizza, marmellate, conserve, seitan e tutto ciò che riusciamo a fare da soli», spiega Ermanno. «Abbiamo avviato un orto sinergico, ma vogliamo sperimentare anche altre tecniche di coltivazione. Per quello che non riusciamo ad autoprodurre, abbiamo in programma di fondare un gruppo d’acquisto solidale, poiché la mole di approvvigionamenti che ci serve è ingente e non riusciremmo a entrare in uno già esistente».tempodivivere5-1024x604

L’elemento dell’accoglienza e dell’apertura verso l’esterno è ricorrente. Grazie a open days organizzati con regolarità, le persone possono visitare Tempo di Vivere e capire com’è gestito. Uno dei workshop residenziali proposti – “Vita da ecovillaggio” – consente persino di sperimentare la routine quotidiana per alcuni giorni. Poi, le braccia sono sempre aperte per chi decide di avvicinarsi ulteriormente: «Siamo incentrati sulle dinamiche emotive dell’essere umano», spiega Gabriella, che viene da un percorso professionale di facilitatrice e mediatrice. «Gli ospiti hanno la possibilità di esprimere loro stessi, con autenticità, senza giudizio, in confronto e condivisione».

Anche l’aspetto alimentare si coniuga con quello relazionale: «La gestione della cucina è complessa perché siamo tante anime diverse – vegani, vegetariani, onnivori – e ciascuna deve essere accontentata. Quello del pasto è per noi un momento molto importante: mangiamo tutti insieme per celebrare un rito comunitario, di condivisione. Ciascuno svolge la propria attività separatamente durante il giorno, ma a tavola ci ritroviamo tutti».tempodivivere1-1024x536

Antonio, Ermanno, Katia, Gabriella, Simona, i piccoli Isotta e Pietro. Ciascuno di loro si è impegnato profondamente in questo progetto, si è messo in gioco abbandonando casa e lavoro, lasciandosi alle spalle la propria vita precedente. L’obiettivo è dimostrare che è possibile costruire un nuovo modello di comunità partendo dalle relazioni e dagli affetti, fino ad arrivare all’alimentazione, all’energia, al lavoro, all’educazione e a ogni altro aspetto della vita di una persona. E tutto questo si può fare senza chiudersi in sé stessi, senza rinunciare alla socialità, ma – anzi – facendo leva sulla gioia della condivisione per contaminare positivamente chi ci sta accanto.

 

 

Visita il sito di Tempo di Vivere.

 

Visualizza la scheda di Tempo di Vivere sulla mappa dell’Italia che cambia.

 

Visualizza la Rete Italiana Villaggi Ecologici sulla mappa dell’Italia che cambia.

 

Fonte : italiachecambia.org

Huehuecoyotl, l’esperimento sociale di ecologia profonda

A un’ora di auto da Città del Messico, annidato tra montagne straordinarie (la Sierra del Tepozteco), c’è un’incredibile formazione rocciosa circondata dalla foresta dove da 30 anni viene portato avanti un esperimento di vita alternativa: l’ecovillaggio di Huehuecoyotl.huehuecoyotl_messico_ecovillaggio

Un gruppo di artisti itineranti messicani e di diverse altre nazionalità hanno deciso, a suo tempo di fermarsi lì, dopo avere viaggiato per 15 anni insieme, diventando culla di progetti magari visionari, ma di grande impatto. Huehuecoyotlè una parola Nahuatl che significa coyote molto vecchio. La storia di questo avamposto inizia da due studenti, Alberto Ruz Buenfil (figlio di un archeologo messicano) e Andres King Cobos. Negli anni 60 si recarono in Europa per rendere omaggio al situazionista danese Jorgen Nash e formarono un gruppo al quale si unì anche la sorella di Nash. Tennero spettacoli di strada in Europa, Asia e Nord America negli anni 70 vivendo con il denaro che raccoglievano, senza passaporto, ballando, suonando il tamburo, passando per città e remoti villaggi, facendo figli, cambiando compagni e partecipando  a molti degli esperimenti sociali più radicali di quegli anni. All’inizio degli anni 80, i due fondatori del gruppo sentirono che era ora di tornare a casa. Erano in 26, molti con bambini piccoli. Individuarono un luogo nella Sierra del Tepozteco nel 1982, dove si stabilirono. Nacque Huehuecoyotl. Trascorsero i primi anni vivendo in maniera spartana su terre non lavorate e dentro roulotte e pullmini recuperati e dipinti. Diedero inizio ad una originale scuola elementare a Tepoztlán, la più vicina città. E’ stata gestita in maniera collettiva per 16 anni dalle famiglie dei bambini. Poi iniziarono a costruire alcune infrastrutture, edifici sostenibili, impianti per la conservazione dell’acqua. Quel luogo pittoresco divenne ben presto il paradiso desiderato da molti esponenti della New Age, ma divenne ben presto anche luogo di grandi battaglie per preservare la terra e la cultura locale dalle grandi invasioni commerciali e industriali. I cittadini diHuehuecoyotl sono riusciti ad evitare la costruzione di un campo di golf e di un mega hotel sulle loro terre, battaglia che è stata poi raccontata dal regista Saul Landau in We Don’t Play Golf Here. Le famiglie di Huehuecoyotl hanno adottato fin da subito una ecologia profonda, hanno organizzato gruppi di custodi della terra in numerose aree rurali, chiamatiConsejo de Visiones – Guardianes de la Tierra. Sono arrivati in tanti per imparare dagli indigeni una visione “terra-centrica” e non più “antropocentrica”, le tecniche della permacultura e il bioregionalismo. Nel 1994, Ruz Buenfil, attirato di nuovo dal richiamo del viaggio, decise di lanciare un nuovo progetto itinerante, un caravan che avrebbe attraversato l’America fino alla Terra del Fuoco insegnando permacultura, promuovendo il rispetto per le tradizioni indigene e le culture locali attraverso la musica, la danza e il teatro di strada.  La Caravana Arcoiris por la Paz viaggiò per 13 anni, fino a che il ministero brasiliano della cultura (guidato all’epoca dal musicista Gilberto Gil) non riconobbe loro il ruolo di docenza e organizzazione di eventi nella promozione di una sostenibilità ecologica attraverso l’arte e la cultura. Nel tempo Huehuecoyotl divenne punto di riferimento per ogni sorta di contaminazione culturale, sede di eventi e festival; uno dei suoi fondatori assunse una docenza al Goddard College in Vermont e portà gli studenti al suo ecovillaggio affinchè apprendessero stili di vita sostenibili. La comunità fu anche tra i fondatori del Global Ecovillage Network, che oggi include oltre 200 realtà su cinque continenti. Un altro fondatore diede inizio a una sorta di college internazionali “senza muri”, chiamato Gaia University, che offre programmi di rigenerazione ecosociale. Tante altre connessioni sono state messe in atto e continuano ancora oggi. Al proprio interno, Huehuecoyotl non è stato e non è privo di contraddizioni. Sono stati rimproverati individualismi, manca un progetto economico collettivo, non c’è più oggi l’impegno per autoprodurre completamente il cibo che si consuma. E’ in comune attualmente la proprietà e la gestione della terra sulla base di un accordo consensuale. Ma sono tanti i membri che ancora sono mossi da un fervente impegno nell’attivismo ecologico. Ruz Buenfil si è dedicato a formulare la Dichiarazione dei Diritti di Madre Terra (oggi parte delle leggi approvate in Bolivia e Ecuador); altri sono coinvolti nella tutela delle popolazioni indigene, nelle campagne per salvare le coltivazioni dei nativi e per difendere l’agricoltura biologica e contadina. Oggi Huehuecoyotl è entrato in una fase in cui molti esperimenti sociali collettivi sono forse meno intensi, i membri fondatori hanno tra i 60 e i 70 anni, molti non vivono più a tempo pieno nell’ecovillaggio e negli ultimi 15 anni non sono stati tanti i nuovi membri arrivati. Sono pesantissimi i tentativi esterni di speculazione sulle terre di quella zona, la popolazione messicana è vittima di spaventose iniquità nella distribuzione delle risorse e delle ricchezze, ci sono tantissimi giovani senza lavoro nè istruzione, molti si sono spostati nelle grandi città. Così, probabilmente, il futuro di Huehuecoyotl non è garantito più di quanto non sia garantito quello del Messico nel suo complesso. Ma resiste ancora, come prova di quanto è possibile fare e cambiare se si hanno volontà e spirito giusto. Se queste alternative potranno svilupparsi negli anni a venire dipenderà da fattori forse non tutti prevedibili, dato che in questo ventunesimo secolo a prevalere forse è il caos, che però è anche fermento e desiderio di cambiamento. Comunque, fino a che progetti visionari e lungimiranti come Huehuecoyotl  continueranno ad esistere , offriranno esempi concreti di percorsi che possono essere intrapresi, dovunque.

Fonte: ecoblog.it

Un movimento per cambiare

cambiamento

Oggi, dopo una chiamata che mi ha acceso la luce, ho deciso di muovermi per riuscire in un progetto che da tempo spero. Perciò spero che questo post arrivi a tutti i cuori degli interessati. Stiamo cercando persone per la costituzione di un ecovillaggio. E proprio qualche giorno fa (mentre facevo qualche ricerca per possibili terreni in vendita) ho visto sul sito “Il cambiamento” un annuncio di vendita di uno splendido B&B. Ci ho pensato molto e spero ci possa nascere un progetto di libertà e consapevolezza, che non può nascere senza il sostegno di un gruppo di persone.
Dopo aver chiamato la proprietaria ho sentito il suo entusiasmo per il progetto, invitandoci ad andare a vedere il posto e conoscersi. Perciò siamo alla ricerca di persone che credano in una vita diversa, con più consapevolezza e rispetto per sè stessi, per gli altri e per la natura. Cos’è un ECOVILLAGGIO? è appunto un villaggio che si basa sul rispetto per la natura, in buona parte autosufficiente e sull’aiuto reciproco. Questo è quello che c’è da sapere. Ogni ecovillaggio poi ha le sue particolarità, ecovillaggi a sfondo spirituale, artistico, culturale, chi si unisce semplicemente per fare agricoltura ecc..ecc.. La nostra idea sarebbe riuscire a prendere questo B&B e i terreni limitrofi, per poter coltivare. E tenere il B&B per corsi, laboratori.. e per le persone che sono di passaggio sfruttandolo appunto come bed and breakfast.
Le idee sono tante, mancano solo persone. Persone che vogliano mettersi in gioco e che abbiano la voglia di condividere quest’esperienza di vita con altre persone, quindi disposte a fare un lavoro di crescita sia personale che di gruppo. Ci sarebbero molte cose da dire, inutile scrivere su di un computer perciò per chiunque fosse interessato invito a scrivermi a questa email: alessia.roncoroni@alice.it, oppure a lasciare commenti, oppure ancora chi ne ha voglia, condividere e spargere la voce. Grazie di cuore 🙂

Fonte: https://langolodelterzopiano.wordpress.com/2015/10/01/un-movimento-per-cambiare/

Un modo diverso di vivere? È già qui

Sieben Linden: un magnifico esempio di un diverso modo di vivere, più a contatto con se stessi e con gli altri dove il valore della condivisione, dell’umanità e dell’etica sociale e ambientale sono riportati al centro. L’ecovillaggio tedesco, uno degli esempi di maggior valore in Europa, si racconta qui attraverso le parole di Eva Stützel, cofondatrice di Sieben Linden e consulente internazionale di progetti comunitari da 15 anni.evastutzel

Intervista e traduzione a cura di Marìca Spagnesi collaboratrice di LLHT.

Se ne sa ancora pochissimo, non se ne conoscono ancora appieno lo spirito, il valore e l’importanza per una vita più a misura di essere umano. Che si sia portati oppure no, attratti oppure  no da uno stile di vita comunitario, di sicuro l’esempio di Sieben Linden dimostra che un progetto di vita differente, in armonia con noi stessi e con l’ambiente che ci ospita, è possibile. Ed è possibile pensarlo e realizzarlo anche in Italia. Peraltro ci sarà occasione di ascoltare direttamente Eva Stützel al Parco delle Energie Rinnovabili in Umbria, durante il corso dal titolo “Costruire la società del futuro” dal 3 al 5 luglio.

Eva, ci puoi dare una definizione di ecovillaggio?

«Un ecovillaggio è un villaggio consapevolmente progettato dai suoi abitanti in una dimensione sociale, ecologica, economica e culturale».

Quali sono gli elementi che caratterizzano questa realtà?

«Un rapporto consapevole con tutto ciò che ci circonda: la natura, gli altri esseri umani e noi stessi. Questo comprende uno stile di vita ecologico, interazioni con le altre persone improntate al rispetto, consumo consapevole e, prima di tutto, prendersi la responsabilità della propria vita, da tutti i punti di vista».

Quali sono i vantaggi per l’individuo che decide di entrare a farne parte? E per la comunità quali sono i benefici? Parti dall’esempio di Sieben Linden, dove vivi.

«Il vantaggio principale è quello di vivere una vita piena di obiettivi. Sappiamo che con la nostra vita siamo una parte della soluzione ai problemi della società e non (non così tanto, almeno) parte del problema. Devo dire “non così tanto” poiché la nostra impronta ecologica è ancora oltre le possibilità della terra di sostenerla. Per me personalmente, il vantaggio principale di vivere in un ecovillaggio è vivere in una comunità che mi supporta in molti modi: nella mia crescita personale, nell’aiutarmi a crescere mio figlio, mi dà la possibilità di realizzare cose che non sarei in grado di realizzare da sola. Per la comunità intorno all’ecovillaggio è una fonte di ispirazione che mostra una prospettiva per le regioni rurali. E’ un villaggio dove le persone vengono a vivere e dove sono nati molti bambini, mentre in tutti gli altri paesi le persone se ne vanno e rimangono a viverci solo gli anziani. Quindi è un importante contro-fattore allo sviluppo demografico che sta minacciando le aree rurali oggi».

Privacy e comunità. Come rispondi a chi ha paura che la vita in un ecovillaggio non rispetti le esigenze di privacy individuale, della coppia o della famiglia?

«La risposta semplice è che noi a Sieben Linden abbiamo la massima considerazione della privacy. Rispettiamo le esigenze degli individui, delle coppie e delle famiglie. Sono i pilastri della comunità. Se gli individui non stanno bene, se le coppie sono in difficoltà, se le famiglie non funzionano, la comunità non funziona. Quindi abbiamo un grande rispetto dell’esigenza di privacy. Nessuno entrerebbe mai nella tua stanza senza bussare o senza un invito. Allo stesso tempo, però, abbiamo capito che la “trasparenza” è un fattore importante per creare la comunità. Questo significa che noi informiamo noi stessi dei nostri sentimenti e di cosa è importante per noi. Abbiamo capito che la comunicazione autentica e la condivisione è importante e crea fiducia e un senso di comunità. Per questo noi condividiamo molti dei nostri problemi nelle nostre relazioni o nelle nostre famiglie. Per noi questo non rappresenta una contraddizione riguardo alla privacy. Naturalmente ciascuno ha il diritto di decidere che cosa condividere ma abbiamo capito che è sempre un sollievo condividere molte cose che normalmente vengono tenute segrete».

Ci sono rischi? Per esempio c’è un rischio di isolamento dal resto della comunità al di fuori dell’ecovillaggio? Che rapporti avete con la realtà “fuori”?

«Il rischio principale che vedo per noi è che, poiché lavoriamo molto senza essere pagati o soltanto in cambio di un piccolo stipendio, saremo tutti poveri quando saremo anziani e prenderemo pensioni molto basse. Speriamo che la comunità ci darà allora alcuni vantaggi visto che abbiamo realizzato la comunità con il nostro lavoro, ma possiamo davvero contarci? C’è indubbiamente un certo isolamento dal resto della società fuori dall’ecovillaggio. La maggioranza di noi ha la maggior parte degli amici all’interno del villaggio e non ci sono molti contatti con l’esterno. Ma abbiamo amici nella regione, ci sono molte cooperazioni, molti di noi sono politicamente impegnati nella regione stessa, alcuni lavorano in progetti regionali o ambientali, abbiamo alcuni impiegati che vengono dalla regione, alcuni di noi ci lavorano. Quindi c’è un legame ma mi piacerebbe che ce ne fossero di più. Siamo collegati col resto del mondo che condivide i nostri valori attraverso i seminari e le reti di cui facciamo parte. Ma questo significa essere in contatto con persone che la pensano come te e che vivono in tutto il mondo, abbiamo molti contatti in questo senso. La sfida è, piuttosto, stabilire buone relazioni con la gente che vive in contesti tradizionali nella nostra regione che è un’area rurale convenzionale e piuttosto scettica nei confronti dei cambiamenti».

I bambini: che rapporto hanno con i coetanei che non fanno parte della comunità? Qual è l’esperienza riportata dai giovani che vi sono nati e cresciuti senza, quindi, averlo potuto scegliere?

«Abbiamo circa 40 bambini che hanno molti amici fuori dall’ecovillaggio e sono rispettati e ben visti nelle loro scuole. Abbiamo spesso il feedback che i nostri bambini contribuiscono molto alla coesione delle loro classi poiché hanno un’alta competenza sociale. I nostri ragazzi sono molto orgogliosi di essere i giovani di Sieben Linden. Hanno Sieben Linden per lo studio e per la formazione professionale ma sono ben collegati con altri giovani che vivono in comunità e amano viverci. Adesso ci stanno chiedendo chiarezza circa la possibilità di poter sempre tornare a Sieben Linden anche se i loro genitori se ne sono andati. Vedono il nostro ecovillaggio come la loro casa e vogliono che rimanga tale anche se vivono altrove».

Qual è l’impatto dell’ecovillaggio sull’ambiente che lo circonda? In che modo influisce sulle persone e il territorio che lo circondano?

«E’ stato realizzato uno studio sulla nostra impronta ecologica che dice che è circa il 70 per cento inferiore rispetto all’impronta di un tedesco medio. Ma non è abbastanza per salvare il mondo».

Dal momento in cui Sieben Linden è stato fondato quali sono state le problematiche emerse più spesso? E come le avete risolte?

«Il problema principale che abbiamo dovuto affrontare è stato che a un certo punto la chiesa locale aveva messo in giro la notizia secondo cui eravamo una setta pericolosa. Siamo riusciti a convincerli che era solo l’idea di un sacerdote che era forse paranoico e che, se avessero visto più da vicino la nostra realtà, avrebbero scoperto che non lo siamo affatto. Ma ci sono volute 4 settimane durante le quali i media locali hanno fatto molto per distruggere la nostra reputazione».

Quali sono, invece, le problematiche che  state cercando di risolvere?

«Il nostro problema nell’immediato è fare in modo che le persone si impegnino continuativamente per la gestione della comunità. Molti hanno da fare con il loro lavoro, la loro vita, la loro famiglia e la comunità nella sua dimensione ha bisogno di impegno. Al momento è difficile trovare persone che si prendano la responsabilità in questo senso».

Che cosa ti ha insegnato personalmente vivere a Sieben Linden?

«Moltissimo. Credo, prima di tutto, di aver imparato a credere che i sogni possono avverarsi se lavori per realizzarli e se ti lasci trasportare dalle tue intuizioni».

Quali sono i requisiti necessari perché un individuo o una famiglia possa entrare a far parte della vostra realtà?

«Il requisito principale è che le persone siano consapevoli del fatto che vivere in una comunità è sempre una sfida per la propria crescita personale e che possiamo vedere tutto quello che ci succede come qualcosa da cui possiamo imparare. Così puoi affrontare le sfide della vita di comunità».

In che modo l’individuo o la famiglia partecipa al funzionamento dell’ecovillaggio?

«Ciascuno deve occuparsi delle faccende domestiche ma l’impegno per la gestione dell’ecovillaggio è volontario. Ecco perché è difficile al momento trovare qualcuno che se ne occupi».

Ci sono vantaggi economici oltre ai grandissimi benefici umani? Puoi darcene un’idea? Con quanti soldi, ad esempio, una famiglia può vivere a Sieben Linden?

«Le persone possono vivere spendendo molto meno a Sieben Linden che nelle città grandi in Germania. Ma la vita è più cara da noi  rispetto alle campagne vicine. Noi costruiamo in modo ecologico e compriamo solo biologico e da commercio equo-solidale. E tutto questo ha un costo. Se si vuole vivere con pochissimo, è meglio vivere in campagna con progetti individuali. I vantaggi economici sono che tutti abbiamo molta ricchezza anche se non abbiamo molti soldi. Disponiamo di una sauna, organizziamo serate cinema tutte le settimane, feste da ballo, corsi di yoga, abbiamo una piscina naturale, macchine a disposizione anche se non ne possediamo una».

Come vedi il futuro degli ecovillaggi nel mondo?

«Credo che ce ne saranno di più, in futuro, ma la cosa più importante è che ci saranno più persone che vivranno consapevolmente e su base comunitaria come facciamo noi. L’auspicio è che lo facciano ovunque non solo in ecovillaggi o in comunità ma che creino uno spirito comunitario anche a casa loro, nelle loro strade, nel loro quartiere o condominio. E che ci siano molti progetti di condivisione e mutuo aiuto. Spero che le idee e i valori degli ecovillaggi diventino un giorno la norma anche per le persone che vivono in contesti normali».

Che cosa serve per essere felici, Eva?

«Una vita piena di obiettivi, buone relazioni umane e, naturalmente, salute, pace, cibo sufficiente e una casa per ripararsi».

Dal 3 al 5 luglio a Parco delle Energie Rinnovabili in Umbria ci sarà l’occasione di incontrare Eva Stützel durante il corso dal titolo

Costruire la società del futuro.

Il valore e il senso della comunità partendo dall’esempio dell’ecovillaggio tedesco di Sieben Linden

Appuntamento assolutamente da non perdere.

QUI TUTTE LE INFORMAZIONI PER PARTECIPARE

Chi è Eva Stützel

È nata a Saarbrücken in Germania nel 1964. Dopo molti anni di impegno negli scout, nell’associazione nazionale per la protezione della natura e nel club automobile ecologico, e dopo anni della vita intensa di chi condivide l’appartamento con altri, si è laureata in psicologia nel 1993. Ha poi conosciuto il progetto di ecovillaggio Sieben Linden dove vive e dove ho collaborato in diverse posizioni di responsabilità, accompagnando i processi di comunità. Dal 2004 lavora come coach e consulente per progetti. Ha specializzazioni e formazioni: sviluppo dell’organizzazione basata sulla psicologia della gestalt, il Process Work, il Possibility Management, la Comunicazione Non Violenta e il DragonDreaming.

Fonte: ilcambiamento.it

Costruiamo insieme la società del futuro

L’ecovillaggio tedesco di Sieben Linden si presenta in Italia. Dal 3 al 5 luglio per la prima volta nel nostro paese Eva Stützel, cofondatrice di Sieben Linden e consulente internazionale di progetti comunitari da 15 anni.sieben_linden

L’ecovillaggio di Sieben Linden, uno dei più famosi a livello mondiale, è situato in aperta campagna nel nord della Germania, regione della Sassonia Anhalt (ex Germania Est), ed è abitato da 150 persone di cui 40 bambini e adolescenti. Queste persone hanno deciso che la crisi ambientale, sociale, economica, politica la risolvono per davvero, giorno dopo giorno, nel loro quotidiano, con le loro azioni, con la loro coerenza, con la loro (auto)determinazione. Il progetto esiste dal 1997 e dimostra che, se si vuole, si può migliorare la qualità della vita dando a questa un senso profondo. Persone normali di tutte le estrazioni sociali e possibilità economiche hanno creato un sistema sostenibile senza essere marziani, hippies o miliardari. Le abitazioni sono state costruite con materiali come il legno locale, balle di paglia, isolamento in fibra di cellulosa e fibra di legno, terra cruda e vengono alimentate energeticamente da legna, pannelli solari fotovoltaici e termici, il tutto per ridurre al minimo l’impatto ambientale. Le decisioni vengono prese da tutti attraverso metodologie maturate nel corso di molta esperienza sul campo; ci sono vari gruppi di lavoro e ognuno ha un ruolo all’interno dell’ecovillaggio che è un modello di micro società del futuro. La cucina è vegetariana e vegan con molti alimenti autoprodotti all’interno di un sistema di permacultura. Per tutto quello che non si autoproduce c’è un acquisto collettivo biologico che coinvolge l’intera comunità e che riduce i costi del 40% dei prodotti non solo alimentari ma anche di tutti quelli che servono per l’igiene personale e la pulizia della casa. E’ presente un asilo dove i bambini passano molto tempo all’aperto e non corrono il rischio di essere investiti. Su 150 persone le automobili sono solo una ventina e alcune sono della comunità a disposizione di tutti; se si usano si pagano solo i chilometri effettivamente percorsi, senza bisogno di pensare ad assicurazioni, spese di manutenzione, etc. Le persone si aiutano molto fra di loro, c’è solidarietà e supporto fra gli abitanti che permette di rafforzare le relazioni e anche risparmiare molti soldi in servizi che nella società normale devono essere pagati e che invece in progetti del genere sono gratuiti e volentieri donati reciprocamente. Una volta a settimana c’è il cinema, ci sono spettacoli teatrali organizzati dalla comunità, c’è la discoteca, un locale bar, un negozio interno, la sauna, un coro, si organizzano corsi di yoga, thai chi, danza, pittura, eccetera e la maggior parte di queste attività è gratuita per i membri dell’ecovillaggio. Ci sono tante relazioni con persone di diverse professionalità, conoscenze, culture, storie che regalano una grande ricchezza a chiunque frequenti il posto anche per poco tempo. Sieben Linden sfata i pregiudizi di coloro che pensano che questi progetti siano isole felici scollegate dalla realtà e per pochi disadattati. Laddove in quella zona prima dell’arrivo di queste persone c’era abbandono, deserto relazionale e culturale, è stata portata una ventata di entusiasmo e di rinascita dell’economia locale con persone che vengono a Sieben Linden a lavorare o a visitare il posto da tutte le parti della Germania e anche dall’estero. Fra le tante attività si organizzano infatti corsi, seminari, incontri internazionali per tutti coloro che siano interessati a conoscere questa interessante realtà. Proprio perché in questo posto non si spreca, si risparmiano energie e risorse, ci si dà una mano, si condivide molto senza per questo fare particolari rinunce o essere dei monaci, la vita costa veramente poco. Una persona, considerati gli elementi base di affitto, alimentazione, energia, acqua, internet, eccetera, spende mediamente al mese circa 500/600 euro e poco più se ha dei figli. All’interno di questa cifra si può anche usufruire di una mensa comune biologica che prepara quotidianamente pasti per la colazione, pranzo e cena. A Sieben Linden hanno fatto quadrare il cerchio, si spende poco, si ha tutto quello che serve, si vive a contatto con la natura, si ha supporto dalla comunità, si ha una intensa vita culturale, si imparano molte cose nuove e mestieri, si conoscono persone e culture diverse. La società del futuro, speriamo non troppo lontano, sarà simile a quella di questi pionieri. Nasceranno sempre più variegati progetti di questo tipo che si scambiano competenze e informazioni e si rafforzano fra loro, progetti costituiti da persone consapevoli, attive e che danno risposte sensate e pratiche ai problemi. Per avere ispirazione da Sieben Linden si potrà incontrare Eva Stutzel, una delle cofondatrici dell’ecovillaggio, per un evento imperdibile al Parco dell’Energia Rinnovabile in Umbria dal 3 al 5 luglio, tenendo ben presente che noi in Italia siamo molto più avvantaggiati perché con le nostre condizioni geoclimatiche, potremmo autoprodurci molti più alimenti ed energia. L’Italia può diventare un meraviglioso giardino nel quale fare crescere speranza e bellezza. Attraverso il corso con Eva, i partecipanti impareranno i fattori che contribuiscono al successo o al fallimento di un progetto comune. e partendo dall’esperienza di Sieben Linden Eva metterà a disposizione le sue competenze di 15 anni di lavoro di consulenza per progetti comunitari. La bussola per lo sviluppo di progetti comunitari e organizzazioni, rappresenta l’essenza del suo lavoro identificando le 5 maggiori aree tematiche che bisogna tenere presente nella costruzione di un progetto comune: Comunità, Visione, Struttura, Economia, Interrelazione.

QUI tutte le informazioni sul corso: come partecipare e come iscriversi.

Fonte: ilcambiamento.it