Impariamo dagli animali a stare bene con noi stessi e con gli altri

La ricerca del benessere interiore e di un modo sano e appagante di relazionarci condiziona la vita di moltissimi ma spesso porta risultati effimeri. E se invece che a corsi, guru e rimedi miracolosi ci ispirassimo ai nostri amici non umani e alla loro capacità di trovare la felicità liberandosi dai condizionamenti sociali e valorizzando loro stessi?

Per stare bene con noi stessi, vivere e relazionarsi con altri individui occorre avere innanzitutto una chiara consapevolezza di sé. Soprattutto quando questi individui appartengono a specie non umane, quindi naturalmente meno cariche di informazioni strutturate e sovrastrutture mentali che alterano la percezione di situazioni, emozioni ed esperienze.

Stare bene con sé: facile a dirsi, difficile a farsi, soprattutto di questi tempi. Per anni nemmeno avevamo capito cosa volesse dire, questa affermazione, di preciso. Adesso imperversano metodi salvifici di benessere, tecniche per ottenere risultati strabilianti, metodi e “pochi semplici passi” per stravolgere la propria vita; strumenti e prodotti per anestetizzare ogni tipo di fastidio.

Un’esperienza di benessere è quella che abbiamo vissuto alcuni giorni fa, quando insieme ad alcune persone e ad animali non umani abbiamo condiviso una passeggiata, ciascuno sui propri piedi, zampe e zoccoli, nelle campagne toscane. Durante la passeggiata abbiamo smarrito il sentiero e ci siamo trovati a camminare nell’erba alta, ad aver fame e a esser ancora ben lontani dal punto di arrivo e per noi umani dal ristorante. Ci ha sorpresi anche la pioggia. Eppure, come siamo stati bene!

Proprio così, siamo stati molto bene, senza seguire nessuna tecnica per il raggiungimento del benessere e, soprattutto, senza nessuno che ci dicesse cosa fosse giusto o sbagliato fare. Perché questo è il ben-essere, almeno per come lo intendiamo noi: è stare centrati su cosa è buono, bello, nutriente; su cosa dà pace, cosa fa sorridere, cosa dà energia a ognuno di noi, in maniera soggettiva. Ciascuno ha il suo benessere. Se proprio volessimo trovare qualcosa di oggettivo potremmo approdare alle emozioni che condividiamo, ai meccanismi di empatia, al riappropriarsi della propria capacità di scelta, alla valutazione critica di ciò che è buono per noi stessi, al sostenere il proprio valore. Gli animali non umani lo fanno; noi, spesso, cadiamo nelle trappole del pensiero come quando ci diciamo “se faccio, cosa fa/dice lei/lui, starò bene”. E così ci snaturiamo sempre più. Tornare a noi stessi è possibile. Gli animali non umani ce lo mostrano. I cani, ancora una volta, ne sono un esempio evidente. Nel relazionarsi con gli umani, o con altre specie, non perdono mai loro stessi. Il loro sviluppo emotivo è influenzato dall’ambiente naturale in cui vivono e dagli individui di ogni specie che lo popolano. Questo ambiente e questi individui amplificano e valorizzano le loro caratteristiche di specie e grazie a questo processo si rafforzano le soggettività e le determinazioni. Sarà capitato a tanti di sentire che i cani vivono nel qui e nell’ora. Questa è una verità parziale: i cani, quali magnifici esseri sociali, vivono anche proiettandosi in avventure fantastiche, dove ogni odore e ogni ambiente diventa occasione di esplorazione, così da maturare consapevolezze, scoprire nuove sensazioni, ritrovarne di vecchie. Amano crearsi immagini del mondo grazie al passaggio nell’ambiente di altri individui depositari di odori e informazioni, intenzioni e stati d’animo. Hanno il desiderio di lasciare a loro volta tracce di sé che diventeranno rappresentazioni per chi arriverà dopo di loro, in un dinamismo non frenato da sovrastrutture, un dinamismo che è vita. Nel far questo i cani non si giudicano e non hanno paura di essere giudicati. La manifestazione del sé è sempre qualcosa che non dipende dal giudizio, è una naturale espressione delle loro soggettività. Le loro azioni, grazie alla consapevolezza delle loro emozioni e al desiderio di comunicazione, nutrono un senso di appartenenza e socialità, senza mettere in secondo piano i loro bisogni.

E allora, ancora una volta, dobbiamo constatare come gli animali sociali non umani ci forniscono un’invidiabile finestra di osservazione per capire come la nostra socialità stia diventando distorta, appesantita dal bisogno mai appagato di accettazione da parte degli altri. Dimenticandoci oramai troppo spesso chi siamo, l’accoglienza che dobbiamo a noi stessi, ai nostri bisogni, avendo paura di portare il valore dei nostri talenti nelle relazioni con gli altri, ci perdiamo l’essenza del fare esperienza di noi e degli altri. Trasformiamo le relazioni, molte volte inconsapevolmente, da opportunità di scambio e di crescita, in gabbie capaci di allontanarci dalle nostre vere passioni, dal nostro vero essere e, di conseguenza, dalla nostra felicità. Il cambiamento per ritrovare il benessere è una via che molte persone scelgono con sempre maggiore frequenza, consapevoli che la socialità è la manifestazione e integrazione delle nostre peculiarità con quelle degli altri. Questa scelta si può fare in ogni momento della nostra vita, a ogni età, e si compie vivendoci: vivendo le nostre perfette imperfezioni, amandole come unicità, svincolandoci dalla logica dell’apparenza che genera solo un crescente senso di inadeguatezza, fondato su paragoni che non hanno ragion di esistere perché ogni soggetto è unico e speciale. Ecco allora che tornare a una logica della soddisfazione del sé è possibile grazie a scelte indipendenti frutto di un dialogo sincero con noi stessi, all’ascolto e valorizzazione del nostro sentire unite alla condivisione di esperienze, alla voglia di scoprire l’altro, senza che l’altro diventi metro di paragone con noi. A nostro avviso è l’unica strada per un reale cambiamento e per il ritorno ad un benessere personale e sociale. Fonte: https://www.italiachecambia.org/2021/06/animali-stare-bene-con-noi-stessi/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

Ecovillaggio a pedali: il cantiere-scuola che ha dato vita a una comunità

Vivere insieme a contatto con la natura ricercando l’autosufficienza alimentare, energetica ed economica. Questo il sogno di un gruppo di amici che in Umbria hanno dato vita all’ecovillaggio a pedali: un progetto di comunità intenzionale, ecologica e solidale. Situato ad Avigliano Umbro, in provincia di Terni, l’ecovillaggio a pedali nasce dall’idea di un gruppo di amici con un sogno in comune: vivere in una comunità ecologica a 360°. Parliamo di ecologia profonda, ovvero del senso di appartenenza ad un sistema ecologico globale che riscopre il valore delle relazioni con se stessi, con gli altri e con il pianeta. La natura dentro e attorno a sé, insomma, e la voglia di una vita semplice e genuina. Abbiamo incontrato Laura Raduta, 33 anni, co-fondatrice della comunità, che ci ha raccontato la nascita e l’evoluzione di questo progetto.laura-ecovillaggio-a-pedali

Laura Raduta, cofondatrice dell’ecovillaggio a pedali


Come nasce l’idea?

Nel 2013 insieme ad alcuni amici affittammo un casale, rimanendo ognuno a vivere a casa propria, per sperimentare, per condividere intere settimane, per acquisire strumenti di autosufficienza, per conoscerci e capire meglio le esigenze reali di ognuno. Man mano le persone passavano e frequentavano il casale: chi per un corso, chi per una cena, chi per costruire il forno in terra cruda o solo per curiosità. Tante idee, confronti e domande: diventare una comunità intenzionale? Cosa mettere in comune? Quanto condividere? Quest’esperienza è durata tre anni, finché due di noi, io e mio marito, abbiamo comprato un terreno con una casa da ristrutturare nella bassa Umbria e il progetto si è trasferito lì.

Vi siete occupati della progettazione e della ristrutturazione del luogo. Qual è il vostro percorso di formazione?
Entrambi siamo ingegneri e questo ci ha dato una base strutturale, poi il corso di permacultura ci ha aperto alla progettazione sistemica, allo sguardo d’insieme, alla complessità. In seguito abbiamo frequentato tanti corsi, tenuti da permacultori, sulle varie tecniche di progettazione e sull’uso di diversi materiali. Questo ci ha permesso di approfondire e mettere a sistema i vari elementi che avevamo a disposizione. A chiudere il cerchio molta letteratura inglese e molta pratica: sbagli e impari.

Avete messo in piedi un cantiere-scuola?

Sì, a partire dalla fase di progettazione fino a quella di ristrutturazione. La cosa bella, infatti, è che chiunque passi da qui e abbia voglia di imparare, contribuire o solo curiosare partecipa alla costruzione del sogno. È così che la comunità si allarga e diventa diffusa. L’edificio, costruito con i canoni classici, viene rimodellato con i principi di bioarchitettura e l’uso dei materiali naturali e locali. Stiamo scegliendo la terra cruda, dalle tante proprietà ottimali, la paglia, ottimo isolante termico e acustico, la calce e il legno.ecovillaggio-pedali-forno

State ristrutturando questo posto in modo sostenibile. Cosa vuol dire più precisamente?

Abbiamo scelto di ristrutturare, dove possibile, piuttosto che costruire da zero. Abbiamo inoltre scelto di utilizzare materiali il più possibile naturali, di provenienza locale: il legno, la paglia per isolare, la terra cruda per intonacare e per i pavimenti, la calce per i bagni idrorepellenti. Lavorare con materiali naturali e locali permette di avere un impatto molto basso sull’ambiente e spesso, se realizzati in proprio, di abbassare i costi dei lavori. L’utilizzo di materiali naturali permette peraltro di raggiungere un comfort abitativo incredibile. La paglia è un eccellente materiale isolante, facilmente reperibile, rinnovabile e non inquinante. La terra cruda è a metri zero, gli intonaci permettono di regolare l’umidità interna, di diminuire i campi elettromagnetici e di gestire il livello delle tossine nell’aria. I materiali naturali, infine, ci permettono di utilizzare il cantiere come scuola per chi, vuole trascorrere delle giornate insieme a noi per con conoscere I possibili usi di terra cruda, paglia e calce.ecovillaggio-pedali

Il vostro ecovillaggio è autosufficiente dal punto di vista energetico, alimentare ed economico?

Una cucina a norma ci permette di proporre una piccola ristorazione, di trasformare i cibi, di ospitare eventi e corsi. Un laboratorio-falegnameria per i lavori artigianali, l’orto e una foodforest incrementano l’autosufficienza ma diamo anche grande valore allo scambio del surplus, che ottimizza le energie e crea comunità con il territorio locale.  Seguiamo una dieta vegetariana e vegana che, tra le altre cose, permette con più facilità l’autoproduzione. Volendo, qui attorno, si possono prendere in comodato dei boschi per la legna, le castagne, le nocciole, etc. Ci sono tante possibilità, insomma.

La casa inoltre diventerà energicamente passiva grazie al fotovoltaico, al solare termico, al cappotto esterno in balle di paglia e alla serra bioclimatica. La raccolta dell’acqua piovana in cisterne di accumulo ridurrà molto la richiesta idrica esterna. La struttura può garantirci delle entrate economiche per le piccole spese fisse, soprattutto tasse e spostamenti e quindi aiutarci a raggiungere l’autosufficienza economica. La ristrutturazione della struttura, infine, sta diventando una opportunità lavorativa. Le competenze maturate in edilizia sostenibile, in progettazione in permacultura e nell’uso di materiali naturali ci permette infatti di divulgare la nostra esperienza e contemporaneamente ci restituisce un reddito.ecovillaggio-pedali-1

Perché si chiama ecovillaggio a pedali?

Tempo fa in un ecovillaggio ho visto una lavatrice a pedali e ne sono rimasta affascinata per diversi motivi: uso delle gambe e non corrente elettrica, leggerezza ambientale, autonomia di riparazione, senso di semplicità e indipendenza, etc. Quindi abbiamo deciso di chiamare così il nostro ecovillaggio per trasmettare quell’idea di semplicità, lentezza e sostenibilità.

Il sogno continua?

Si, ci piace sognare. Non ho mai avuto dubbi che questa fosse la cosa giusta, per lasciare la propria impronta positiva al mondo e che fosse veramente realizzabile.  Quando tutte le stanze saranno abitabili vorrei che la nostra comunità includesse diverse generazioni, dai giovani agli anziani: si sta meglio tutti e ci si aiuta economicamente. E vorrei che fosse una comunità accogliente per poter aiutare bambini in difficoltà, migranti e altri. Man mano che arriveranno nuove competenze apriremo nuovi capitoli. Esistono tante possibilità per condurre una vita più semplice e a contatto con la natura.

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2018/05/ecovillaggio-a-pedali-cantiere-scuola-ha-dato-vita-comunita/

Lorenza, paladina del risparmio con una vita “low impact”

Lorenza, 34 anni, pur abitando in una grande città come Torino riesce a vivere a bassissimo impatto ambientale e a bassissimi consumi. Ci racconta come fa, perché tutti possano prendere spunto.

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In questi ultimi anni aumentano sempre di più le preoccupazioni riguardo i gravi problemi che stanno portando alla distruzione della nostra terra, quali l’inquinamento, lo spreco, l’aumento dei rifiuti e i cambiamenti climatici dovuti ai gas serra, tanto che già molte persone hanno adottato uno stile di vita diverso in cui il riciclo, l’autoproduzione, la sobrietà e il conseguente risparmio in termini economici ne sono alla base. È il caso di Lorenza Noto, 34 anni, alessandrina di nascita ma ora residente a Torino, che da sempre cerca di ridurre il proprio impatto ambientale conducendo una vita il più possibile ecologica. Nella sua famiglia hanno un grande rispetto per l’ambiente con gesti molto semplici come non sprecare l’acqua, riutilizzare la carta e i sacchetti tantissime volte, fare meno immondizia possibile praticando la raccolta differenziata non appena sono apparsi i primi bidoni in città anche facendo molta strada per raggiungerli. Appena diplomata si è trasferita a Torino dove ha continuato questo modo di vivere trovando costantemente nuovi metodi per ottimizzare i suoi consumi e inquinare il meno possibile.lorenza16522742_10209332609095481_1123154924_n

Lorenza, quali sono le tue strategie per risparmiare e salvaguardare l’ambiente?
“Da quando vivo da sola, agisco su più fronti per limitare i miei consumi: ad esempio, il mio frigo viene usato come tale solo nei mesi estivi mentre in inverno diventa una libreria! Ho l’abitudine di fare una piccola spesa ogni due giorni così che i cibi rimangano freschi sul piano della cucina; vivendo in città, considero i negozi e i supermercati il mio grande frigorifero sempre a disposizione, hanno un orario di apertura molto ampio e questo mi consente di non avere l’esigenza di conservare gli alimenti. In ogni caso prediligo l’acquisto diretto dai contadini al mercato quando ho tempo, soprattutto per evitare le confezioni di plastica. Ogni volta che acquisto penso a ciò che dovrò buttare via, per questo se vedo imballati due ortaggi su una vaschetta di plastica preferisco non comprarli e cercare un negozio con prodotti non confezionati e anche per detersivi o riso e pasta mi rivolgo a negozi che consentono di acquistare prodotti sfusi senza confezionamento. Si può acquistare la spesa di una settimana senza affaticarsi portando uno zaino in spalle, il ché riduce anche lo spreco di sacchetti di plastica. Ho un metodo di cottura che prevede il risparmio del gas, al punto di ebollizione dell’acqua spengo il fuoco e permetto che la cottura continui a coperchi della pentola chiusi. Risparmio anche sul riscaldamento degli ambienti, l’anno scorso sono riuscita a non accendere la caldaia nemmeno per un’ora. Credo che il periodo più rigido qui dove vivo si limiti a una sola settimana, generalmente l’ultima di gennaio. L’anno scorso non ho trovato così difficile rinunciare al riscaldamento, per via delle temperature accettabili e non ho nemmeno avuto problemilorenza16507336_10209332609055480_308445188_n

di umidità: pareti completamente asciutte e panni stesi asciutti nel giro di due o tre giorni. Per coprirmi uso tute e pile, anche due o tre insieme nei periodi più freddi. Utilizzo molto gli spazi dedicati al pubblico come le biblioteche o le aule studio per socializzare e risparmiare sui bisogni individuali di luce e riscaldamento. Si tratta di luoghi voluti e ottenuti dal comune grazie a volontari e attivisti che si sono impegnati per assicurarci questo servizio quindi frequentiamoli! Tutto ciò aiuta anche ad uscire dall’individualismo a cui spesso la vita ci porta e, personalmente, rinunciare al riscaldamento mi avvicina a comprendere le situazioni di difficoltà in cui si trova la gente, come chi dovrà affrontare una notte in auto per via dei sismi, i senzatetto e le vittime della tratta di prostituzione, e questo mi spinge anche ad occuparmene in modo attivo. Utilizzo i mezzi pubblici e mi sposto molto a piedi, quando non uso per più giorni l’auto, la scollego dalla batteria. Non è mai stato faticoso raggiungere il posto di lavoro in orario, basta partire da casa in tempo e anzi, recupero tantissimo tempo da dedicare all’ascolto di musica o di notizie alla radio durante il tragitto, arrivando a lavoro molto più carica di come sarei potuta arrivare in auto”.

Com’è cambiata la tua alimentazione in questi anni e perché?

“Generalmente non mangio pesce, né carne né latticini, ma se ne sentissi l’esigenza li consumerei il giorno stesso dell’acquisto. Non sono vegana ma condivido alcune delle preoccupazioni riguardo alla salute e all’inquinamento che ne deriva dal consumo di carni e pesci e dal consumo di massa di latte e formaggi, oltre che per lo sfruttamento eccessivo di animali da allevamento. Per preservare la mia salute e nutrirmi correttamente, mi piace mangiare verdure crude condite con spezie, consumo quotidianamente mandorle pelate e prediligo alimenti come zuppe di riso integrale e altri cereali, farro, fagioli e lenticchie. Mantengo questa alimentazione da alcuni anni, da quando cioè ho subito un intervento chirurgico. Quello che ho imparato da questa esperienza è che la prevenzione è alla base di tutto e ho scoperto l’incredibile potere curativo degli alimenti, in particolare delle verdure: gli effetti di un concentrato di vitamine fresche sono quasi immediati e da allora non mi sono più ammalata nemmeno di un raffreddore! Questo mi ha permesso di evitare l’uso di farmaci, riducendo l’impatto sull’ambiente, nonché sulla mia persona e sul portafogli.”

Pensi che l’aumento della raccolta differenziata di questi ultimi anni porterà a un cambiamento delle nostre abitudini in direzione di una maggiore consapevolezza per la tutela dell’ambiente e la diminuzione dello spreco?
“Purtroppo devo osservare dei cambiamenti che non sono del tutto positivi: il moltiplicarsi dei bidoni per la differenziata in città, se da un lato ha invitato le persone a smistare i rifiuti, dall’altro non le ha disincentivate a diminuirne la produzione. I bidoni per la plastica in particolare sono stracolmi, e nonostante io creda nel riciclo, non lo vedo intorno a me nella forma predominante che dovrebbe essere. Penso che chi è a capo delle gestioni amministrative del nostro paese debba prendere coscienza dei cambiamenti climatici a cui stiamo andando incontro e debba mettere freno al consumismo esagerato dei nostri tempi. Credo inoltre che le aziende di produzione debbano mettere in atto cambiamenti più ecosostenibili senza necessariamente aspettare l’incentivo da parte del governo o senza doverne essere costretti a causa di una tassa, come può essere una tassa sulla sovrapproduzione o sul superamento di livelli di tossicità prodotti nell’ambiente. Anche noi stessi possiamo fare molto in questo senso perché siamo in grado di capire quanto la nostra auto sia nociva per la nostra città e cosa significhi riempire bidoni di plastica ogni settimana per poi ricomprare altra plastica originale e nuovissima che andrà nel bidone nel tempo di due giorni e così a seguire. Ognuno di noi ha la piena responsabilità dei cambiamenti climatici ed è anche l’unico settore dove ha pieno potere delle proprie scelte.”

Fonte: ilcambiamento.it

 

L’Italia riscopre la vita in montagna

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Sono sempre di più gli italiani che scelgono di vivere in montagna. A dirlo sono i numeri del Censis che fotografano un aumento della popolazione sulle montagne italiane che rappresentano il 54,3% della superficie nazionale e contano attualmente sul 17,9% della popolazione complessiva. La montagna non subisce più l’impoverimento demografico degli scorsi decenni e, secondo i dati Censis, fra il 2004 e il 2014 ha visto crescere la propria popolazione dell’1,3%. Ci sono altri dati molto interessanti: una maggiore longevità, un livello di istruzione e un tasso di occupazione in media con quelli nazionali. In montagna si produce il 16,3% della ricchezza totale generata nel paese, inoltre il tasso di imprenditorialità risulta più alto nei comuni montani (86,7 imprese ogni 1000 abitanti) rispetto ai comuni non montani (84,7 imprese su 1000). I recenti dati Censis, quindi, fanno piazza pulita di molti luoghi comuni e sottolineano anche come il consumo del suolo (edificazione, infrastrutturazione e impermeabilizzazione) nei territori montani (2,7%) si sia verificato in una misura decisamente inferiore a quanto è avvenuto nei comuni non montani (9,7%). Questo anche grazie al fatto che il 33,3% dei comuni montani è collocato all’interno di un parco nazionale o regionale.

Fonte:  Vita

 

E’ peggio temere la morte o fuggire la Vita?

“La Vita è davvero un miracolo eppure noi la passiamo in gran parte inconsapevoli, inseguendo obiettivi fatui, scappando da problemi apparentemente immensi, ma in realtà spesso futili e sognando un Domani Felice. Un domani che non arriva mai, perché non abbiamo mai tempo per costruirlo veramente, per viverlo Adesso”.

Siamo fatti di carne e ossa. Banale no? Eppure chi ci pensa mai veramente? Ieri notte ero a letto, ho fatto un po’ tardi. Mi sono messo sotto le coperte nella mia casa tra i monti. Ero solo, completamente solo. Ho appoggiato la testa al braccio e ho sentito il battito del mio cuore. Avete presente? quel sottofondo che ci accompagna sempre ma non ascoltiamo quasi mai? Batteva e in un attimo di consapevolezza l’ho visualizzato. Un affare rosso, un po’ impressionante, dentro il mio petto. Mi faceva quasi paura…

Un pezzo di carne a cui non penso mai ma che mi tiene in vita e senza il quale io non sarei più. Ed ecco che il senso di tutte le azioni quotidiane svanisce in un istante. Cazzo, un giorno quel coso smetterà di battere! Nella migliore delle ipotesi saro’ molto vecchio, ma smettera’. E chissa’ quali altre diavolerie contiene il mio corpo. Pezzi di carne a cui non penso mai, ma che mi permettono di essere, fare, pensare.3031743-poster-p-1-3031743-the-future-of-work-enough-about-introverts-mastering-the-way-to-work-with-extroverts

Che impressione… Siamo così forti e così fragili… La Vita è davvero un miracolo eppure noi la passiamo in gran parte inconsapevoli, inseguendo obiettivi fatui, scappando da problemi apparentemente immensi, ma in realtà spesso futili e sognando un Domani Felice. Un domani che non arriva mai, perché non abbiamo mai tempo per costruirlo veramente, per viverlo Adesso.

Mi sono addormentato con questi pensieri. Addormentato… Che succede quando dormo? Dove vado? Cosa è reale e cosa sogno? Domande banali vero? Solo che a volte penso che a forza di definire banali alcune verità e retorici alcuni valori abbiamo finito per l’allontanarli dalla nostra vita. La morte e la nascita sono eventi straordinari. Eventi a cui non assistiamo quasi mai.

Avvengono in luoghi impersonali, sterilizzati, bianchi, grigi, verdini. I cadaveri, i nostri noi del futuro, vengono seppelliti in bare super resistenti in cimiteri lontani. Vediamo delle croci, vediamo delle foto, ma non vediamo i nostri organi decomporsi. Le guerre, dove scorre il sangue, sono lontane: “Per carità! Non mostriamo i corpi in tv! I bambini si impressionerebbero!”

Sangue? Morte? Corpi? Eliminati, anestetizzati. Si fa l’amore con una busta di plastica che impedisce il contatto con l’altro, si partorisce con il cesareo, si mangiano animali accuratamente sezionati da altri, senza occhi, senza alcun legame apparente tra cadavere e corpo.

E così l’intera vita è virtualizzata. Possiamo vivere 50 o 100 anni, ma li passiamo senza sapere cosa siamo, come siamo fatti, di cosa ci nutriamo, in che mondo siamo immersi. Poi un giorno un pezzo si rompe ed ecco che inizia il calvario negli ospedali. Ecco che improvvisamente siamo pieni di rimpianti, vorremmo Vivere davvero… ma ora sì, rischia di non esserci più tempo. Cosa aspettiamo veramente? Da cosa fuggiamo nel nostro eterno rinviare la Vita? Cosa ci terrorizza così tanto? E perché? Non lo so. Forse potrei approfondire l’argomento, magari cercare di vivere una Vita Consapevole, ma non ho tempo… Ho troppi impegni. Domani forse.

O almeno, questo è quello che mi sono detto fino ad oggi. Ma ora non più. Ora voglio vivere il mio presente.

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2016/02/temere-morte-fuggire-vita/

Perché la vita accelera quando invecchiamo?

Avete anche voi la sensazione che la vita acceleri mano a mano che si invecchia? Se sì, non siete i soli. Ma ci sarà poi una ragione? Il dottor Dharma Singh Khalsa, presidente e direttore scientifico dell’Alzheimer’s Research and Prevention Foundation di Tucson, in Arizona (e autore del libro “Il cervello giovane”), prova a fare luce su ciò che tanti vorrebbero capire.

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La prima teoria per spiegare questo fenomeno, secondo Dharma Singh Khalsa, è legata al fenomeno chiamato “telescopio”, «cioè la sottostima del tempo, come quando si guarda dentro un telescopio e si vedono gli oggetti più vicini di quanto in realtà siano. Il nostro cervello reagisce pensando agli eventi anche lontani come se fossero accaduti il giorno prima». La seconda ragione per la quale il tempo sembra correre più veloce quando invecchiamo è chiamata “effetto della reminiscenza”: gli eventi a maggior carica emotiva vengono ricordati in maniera più vivida e con maggiori dettagli di tutto il resto. Mano a mano che il tempo passa, solitamente la vita imbocca una sua routine, ci sono eventi che spiccano e il tempo sembra scorrere più veloce. «Ma nessuno di questi due fenomeni basta a spiegare quanto sentiamo accadere – spiega Dharma Singh Khalsa – né ci spiega come si possa fare per “rallentare” il tempo o la percezione di esso. Ed ecco che arriviamo alla terza ragione, quella forse che più astutamente spiega perchè sentiamo il tempo volare. Questa terza teoria vede l’invecchiamento dell’orologio del nostro cervello. Si chiama nucleo soprachiasmatico, si trova in una ghiandola chiamata ipotalamo localizzata dietro la fronte. L’ipotalamo è anche noto come “il cervello del cervello” e controlla il rilascio di un buon numero di importanti ormoni anti-invecchiamento. Manda segnali a tutti i 30 trilioni di cellule dicendo loro se tutto va bene oppure se siete stressati. Lo stress induce l’invecchiamento del corpo e dei geni. Tali segnali influenzano la lunghezza dei vostri telomeri alle estremità dei vostri cromosomi. I telomeri sono una sorta di cappucci di protezione del DNA e sono estremamente sensibili allo stress». Con lo stress si accorciano e si danneggiano, mentre la riduzione dello stress ne aumenta la dimensione e allunga la vita. Quindi quanto l’orologio interno rallenta, il mondo esterno pare correre più veloce. E questo può farci invecchiare in maniera accelerata. Ma, come spiega Dharma Singh Khalsa, «ci sono tre modi con i quali si può modificare la percezione del tempo, rallentare l’invecchiamenti e allungare i telomeri».

E sono:

Rallentare

Nel nostro mondo iper-caffeinico, iper-connesso e super intenso, possiamo investire un po’ di tempo a rilassarci. Fermiamoci e respiriamo profondamente nel corso delle nostre impegnatissime giornate.

Meditare di più

Gli studi condotti dall’Alzheimer’s Research and Prevention Foundation rivelano che si può agire sui propri telomeri positivamente meditando anche solo 12 minuti al giorno. La Fondazione di Khalsa propone una tecnica chiamata Kirtan Kriya (KK).

Più attenzione e consapevolezza

Basta fare una passeggiata nella natura e osservare ciò che c’è intorno: gli animali, il cielo, gli alberi e le nuvole. E’ bene gustarsi il cibo e sentirsi pienamente vivi. Provare gratitudine aiuta a vivere una vita più piena di significati, che ci permette di avere momenti che ricorderemo con grande carica emotiva. La finalità è la pace della mente, un raro privilegio in questo mondo dai ritmi così febbrili.

Fonte: ilcambiamento.it

L’inquinamento accorcia la vita degli italiani

Secondo il Ministero della Salute, l’inquinamento dell’aria accorcia la vita di dieci mesi.ilva

Sono stati resi noti quest’oggi i dati relativi al progetto Viias sulla mortalità attribuibile all’inquinamento dell’aria in Italia. Sono 30mila le vittime annuali del combinato di particolato, biossido di azoto e ozono, il 65% delle quali al Nord e con un’incidenza del 7% sulla mortalità complessiva. Insomma non si è certo ai livelli insostenibili della Cina, ma di inquinamento, in Italia, si continua a morire. Ben 5mila sono le vittime nella sola provincia di Milano, la più urbanizzata e inquinata d’Italia. Il rapporto traccia una strada per il futuro e spiega come 11mila vite all’anno potrebbero essere salvate, entro il 2020 se venissero rispettati i limiti di legge per l’inquinamento.

Le soluzioni? Innanzitutto la riduzione del traffico provato a favore della mobilità sostenibile (trasporto pubblico, pedonalizzazione e biciclette), poi un regolamento più severo sulla combustione delle biomasse. Gli effetti dell’inquinamento sono particolarmente gravi nel Nord Italia dove l’aspettativa di vita si riduce di 14 mesi, mentre nel Centro Italia la riduzione dovuta all’inquinamento è di 6,6 mesi e al Sud e nelle Isole di 5,7 mesi. In un’ottica nazionale l’accorciamento medio dell’aspettativa di vita è di 10 mesi. La maglia nera spetta alla Lombardia con 164 decessi attribuibili ai PM2,5 ogni 100mila residenti. Seguono, nettamente distaccate, l’Emilia Romagna e il Veneto con tassi, rispettivamente, di 124 e 111 decessi ogni 100mila abitanti. Il rapporto Viias disegna due scenari ottimistici per il 2020: nel primo si auspica il rispetto dei limiti di legge, nel secondo una diminuzione del 20% degli inquinanti. In entrambi i casi si salverebbero fra le 10mila e le 20mila vite l’anno.

Fonte:  Corriere 

«Via dalla vita che ci fa appassire»: la storia di Giovanna

Giovanna Cambi ha lasciato il lavoro d’ufficio, che ormai sentiva come una costrizione e che non aveva più niente da darle. Si è trasferita in una casetta di campagna, si dedica all’orto e al frutteto e soprattutto oggi può dire: «Sono felice».cambiovitaelavoro

«Tutto cominciò il giorno in cui decisi che per sentirmi realizzata dovevo assolutamente raggiungere i principali obiettivi che un individuo, specie una donna, auspica: sposarsi, fare bambini, avere una casa e un posto di lavoro sicuro. Premetto che fino ad allora avevo avuto una vita soddisfacente e stimolante. Riuscivo sempre a raggiungere gli obiettivi che mi proponevo e questo continuava ad accadere, specie in campo professionale». Esordisce così Giovanna Cambi, nel raccontare la storia del suo personale cambiamento. Giovanna è uno dei numerosi partecipanti agli workshop tenuti dall’ufficio di scollocamento di Paea per prendere coraggio e cambiare vita e lavoro.

«In virtù di questo, non passò molto tempo da allora che conobbi il fidanzato “giusto”, trovai la casa “ideale” e il lavoro fisso in una grande società. Arrivò anche il figlio maschio… Un anno e mezzo dopo la nascita di mio figlio mi resi conto di quanto fosse illusorio e falso il retaggio culturale/sociale da cui provenivo, almeno dal mio punto di vista! Avevo la chiara sensazione che ciò che avevo messo in piedi con le scelte effettuate non veniva realmente da me e che quello che invece auspicavo era tutt’altro. Non dimenticherò mai quanto è stata dura uscire dalla rete che avevo io stessa tessuto…ora posso raccontarlo!».

«Sono sempre stata un adulto libero di sperimentare e muoversi in questa realtà con la netta sensazione di essere protetta e guidata da qualcosa di diverso dal mio Ego, eppure consentivo spesso a quest’ultimo di agire nella totalità. Sono passati alcuni anni da quando ho avuto la piena consapevolezza di dove stavo andando e cosa invece realmente volevo ma solo oggi posso dire di avercela in parte fatta. E’ stato un lungo e duro cammino di grande pulizia interiore che mi ha portato alla scelta di separarmi da mio marito, vendere la casa in centro e lasciare il lavoro».

«Sto attraversando finalmente la porta che mi conduce verso la mia vera realizzazione: essere felice e libera di esistere. Cosa ne sarà di me? Non so, ma sono tanto felice (anche la via in cui abito ora ha questo termine affinchè possa ricordare sempre ciò che per me è importante!). Oggi e da circa un anno e mezzo, viviamo in una piccola casa in campagna con poche pretese ma che suggerisce tanta creatività, vicino Roma con 7.000 metri di terra a frutteto. Non abbiamo televisore da anni e uso internet e radio per le notizie che valuto se ascoltare/leggere o meno nella massima libertà. I frutti sono abbondanti, il piccolo orto è rigoglioso e dalla colorata amaca osservo i colori del tramonto dipingere meravigliosi oceani di luce. Il mio bambino chiama e insieme andiamo ad accarezzare i giovani alberi appena piantati. Diamo loro costantemente il nostro benvenuto per farli sentire a casa…la nostra dolce casa».

«I gattini e la nostra cagnolina maremmana ci seguono lungo il percorso e osservano ad ogni passo gli insetti danzare loro davanti. Mi dirigo verso il mio albero maestro, l’alfa e l’omega della mia terra, e da uno scorcio osservo gli uccelli planare verso i lidi prescelti. Lui mi rincuora, mi rende forte e sicura…mi fa sentire a casa. Ho rivolto una preghiera chiedendo protezione per questa terra e i suoi molteplici abitanti, ho chiesto che possa essere un luogo di guarigione per me stessa in primis e per chiunque varchi i suoi confini così accuratamente accarezzati dal mio sguardo e dal mio intento. Questo è solo l’inizio…».

«Stiamo ristrutturando una piccola rimessa accanto alla casa per realizzare un piccolo progetto di auto-sostenibilità. Abbiamo ottimi rapporti con il vicinato e le associazioni locali. Ci nutriamo principalmente di prodotti locali e acquistiamo il resto con il GAS della zona con il desiderio di riuscire totalmente a staccarci dal circuito dei supermercati. I nostri animali sono pura gioia…ci aiutiamo vicendevolmente, rispettando ognuno i propri spazi. Dopo aver lanciato, qualche anno fa e senza esito positivo, un progetto di ecovillaggio e di scuola familiare, ho compreso che il cambiamento doveva iniziare principalmente da me come essere singolo prima di pensare in grande. Nonostante ciò l’anno scorso ci fu il tentativo di lanciare una proposta di vacanza alla pari. Scrissi un appello a cuore aperto…forse troppo! Mi hanno risposto in pochi…sono rimasta sbalordita su quanto la gente poco si affidi al proprio sentire! Maggiormente coloro che dichiarano a parole di procedere verso i sentieri della consapevolezza e della “luce”…».

«Sicuramente molti pregiudizi hanno offuscato il cuore di coloro che a primo impatto hanno saputo ascoltare! E’ stato comunque prezioso conoscere ed incontrare coloro che mi hanno scritto. Questa ultima esperienza mi ha insegnato che occorre arrivare al cuore delle persone a piccoli passi affinchè il fiammifero di ognuno possa naturalmente accendersi e illuminare a poco a poco tutto il loro essere. La guarigione per me è stata reale e concreta e posso testimoniarlo ma è anche vero che c’è voluto del tempo… altra lezione di vita per il mio ego e altra esperienza arricchente che mi ha permesso di essere ciò che sono oggi».

«Chi sono? Sono finalmente io! Una persona semplice, da sempre amante della natura e dell’ambiente, della sana socialità ma anche capace di stare in silenzio da sola in contemplazione. Un mese fa ho avuto l’ultimo slancio di amore per me stessa: lasciare il lavoro di dipendente nel gruppo FS Italiane ed avventurarmi alla ricerca di ciò che vorrei diventare. I lavori sono ancora in corso ma sono tanto felice di aver fatto questa scelta, anche se non è stato semplice! Ormai era tutto vecchio e superato per me e la sensazione che percepivo quando entravo in ufficio immagino sia quella che un fiore provi quando lentamente appassisce. So che molte persone provano lo stesso e so anche che la paura dell’ignoto è tanta. L’ultimo giorno di lavoro ho festeggiato con alcuni colleghi d’ufficio e ho ricevuto tanti complimenti per il coraggio che ho dimostrato nel prendere questa decisione. Ho risposto che il loro coraggio di restare ancora in quell’ambiente era notevolmente superiore al mio! Devo dire che sono stata aiutata in questo percorso da una forza sconosciuta che volente o nolente mi ha trascinato verso un’unica direzione; tutte le richieste che proponevo all’Azienda e che mi avrebbero agevolato nella mia posizione lavorativa (part-time, eventuali trasferimenti…) trovavano sempre uno schieramento di opposizione che mi stava portando ad un forte e sempre più incontenibile stress. Al lavoro non avevo più soddisfazione professionale e stavo subendo un velato attacco di mobbing. Nonostante avessi consapevolizzato ciò, continuavo a pormi nel migliore dei modi cercando altre soluzioni o scappatoie a quella che era sempre più chiaramente l’unica via da intraprendere. La mia indole è forte e collaborativa ma la mia testardaggine è notevolmente superiore. Ad ogni modo, sapevo che le mie paure richiedevano tempo per essere metabolizzate e le decisioni da prendere in questi casi ancor di più!».

«Da tempo ormai avevo maturato il desiderio di andare via da quell’ambiente per me malsano ma non osavo farlo a meno che non fosse accaduto qualcosa. Quel qualcosa accadde! Il tempo a disposizione però non era molto: era in corso una ristrutturazione aziendale. In vista di questo, l’Azienda stava proponendo un incentivo all’esodo a chi ne avesse fatto richiesta. Dovevo trovare la forza di agire al meglio, con mente lucida. Mai uno sforzo è stato più grande, neanche quando ho partorito mio figlio! Dare alla luce me stessa è stato ancora più impegnativo. Un ciclo era concluso e la via per altre esperienze si apriva chiaramente davanti a me; era giunto il tempo che io prendessi in mano la responsabilità della mia vita e così è stato! Ora sto percorrendo quel sentiero che non so dove mi porterà ma è luminoso e mi fa stare bene! Questo è ciò che conta! Ognuno di noi ha tutto ciò che serve per farcela, dobbiamo solo credere di più nella nostra forza interiore e continuare a sognare, sognare; perché i sogni che vengono dal cuore possono veramente realizzarsi!».

 

Fonte: ilcambiamento.it

Il perdono ti cambia la vita

Il rivoluzionario metodo del perdono in 7 passi per imparare a vivere meglio. Daniel Lumera, autore de I 7 passi del perdono, ha condotto uno studio olistico sul perdono mettendo in evidenza come esso sia in grado di migliorare la nostra esistenza sotto più punti di vista

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Daniel, che cos’è il perdono?

Il perdono è la capacità della nostra coscienza di riconquistare uno stato unitario di piena realizzazione. È un processo che accompagna l’essere umano attraverso l’abilità di liberarsi dalla sofferenza, di guarire profondamente le ferite della propria anima e di realizzarsi. È sia un processo che uno strumento molto potente in grado di guarire qualsiasi ferita, fisica o psichica che sia.

Di solito si pensa al perdono in chiave religiosa. Tu lo affronti dal punto di vista olistico. Qual è la differenza?

C’è una differenza sostanziale: finora il perdono è stato studiato solo in determinati contesti, soprattutto in chiave religiosa. Io penso invece che il perdono sia uno strumento olistico che agisce su 7 piani differenti di azione. Il primo di questi piani è quello fisico: è stato dimostrato che il processo del perdono agisce, fra gli altri, sul sistema immunitario, cardiovascolare, nervoso centrale; sul piano vitale libera i blocchi energetici e influenza i processi di rigenerazione dell’energia vitale rendendola più fluida. Sul piano emozionale il perdono è in grado di regolare la dieta emozionale, permettendo il manifestarsi di emozioni quali la compassione, l’amore e la gratitudine; mentre sul piano mentale influenza la salute mentale permettendo il manifestarsi di pensieri e idee positive e lo sviluppo dell’ottimismo. Sul piano causale agisce sugli eventi del passato che generano conflitti e squilibri nel presente, così come è in grado di agire sulla qualità delle relazioni e di espandere la coscienza. Sul piano spirituale è in grado di guarire le ferite più profonde dell’anima e da ultimo, sul piano coscienziale il perdono è in grado di attuare una vera e propria esperienza di autorealizzazione. Per queste ragioni, considero l’approccio olistico quello più completo perché offre una visione d’insieme del perdono, piuttosto che soffermarsi solo sulla dimensione religiosa o psicologica. Il mio metodo esplora per la prima volta tutte le dimensioni del perdono offrendo una visione completa e forse è il metodo più adeguato all’evoluzione della coscienza umana in questo momento storico.

Dagli studi che hai fatto emerge che il perdono è in stretta relazione con il benessere e la salute di una persona. L’incapacità di riuscire a perdonare può essere causa di malattie o problemi psichici?

Assolutamente sì. La mancanza di perdono è concausa di blocchi, malattie e altri disturbi fisici. Il primo passo del processo del perdono è la capacità di sbloccare un blocco che si è creato. Dall’esperienza che ho fatto emerge che la persona che non è in grado di sbloccarsi può andare incontro a grossi squilibri che coinvolgono i 7 piani di cui parlavo prima: può ammalarsi fisicamente, avere problemi depressivi o avere problemi legati alla propria salute mentale o emozionale. Il perdono è un’esperienza in grado di ridefinire la propria armonia ed è in grado di riequilibrare la persona e chi non è in grado di perdonare corre molti rischi.

Perché secondo te è più facile serbare odio e rancore che perdonare?

Credo che l’essere umano non sia consapevole che dietro al perdono c’è anche una logica puramente di convenienza: è una questione di salute, di qualità della vita e di benessere. Finché queste ragioni non saranno completamente chiare non credo che si possa comprenderne completamente l’importanza e la portata. Molte volte il perdono è considerato una debolezza, anche per mancanza di informazioni, quindi non si è disposti a perdonare, invece è esattamente il contrario: ci vuole molto coraggio per perdonare, e perdona solo chi ne ha compreso le ragioni profonde e ha capito che per vivere bene è necessario conoscere e passare attraverso questo processo benefico. Molti interpretano il passaggio del Vangelo sul perdono come un “lascia che ti facciano del male e non reagire”, ma è esattamente il contrario: quando si perdona, si decide di agire e reagire, ma lo si fa da una maggiore centratura, senza mettere in atto desideri di vendetta ma, coscienti di poter creare una realtà più armonica e consapevole.

È per questo che le persone che hanno subito i torti più grandi – penso a Nelson Mandela imprigionato per quasi 30 anni – riescono a trovare la forza di perdonare piuttosto che serbare sentimenti di vendetta?

Tutte le persone che sono realmente appagate, e sono a posto con la loro coscienza, non trovano nessuno stimolo nella vendetta e nel rancore, ma anzi hanno capito che se continuano a provare sentimenti di vendetta e rancore si condannano due volte, non solo per quello che hanno subìto, ma anche perché continuano a vivere prigionieri del dolore. È quindi controproducente, e questo dimostra che la nostra cultura è profondamente ammalata, perché non è stata in grado di spiegare e trasmettere autenticamente quei valori cardini che educano alla vita, all’amore e alla pace applicata alla vita quotidiana.

Cosa ti ha spinto ad appassionarti alle tematiche del perdono?

Ho sentito l’esigenza personale di integrare un percorso di autorealizzazione e ho incontrato il perdono in un momento molto forte della mia vita, riuscendo a sbloccare delle situazioni che creavano fortissimo disagio. Il perdono mi ha avvicinato a valori come l’accoglienza, la pace e la compassione, ed è capace di guarire qualsiasi aspetto dell’esistenza e di darci maggiore centratura. Ha poi il merito di liberarci dalla sofferenza, di aprirci agli altri, ci permette di entrare nella fase più elevata della realizzazione. Ho deciso di scrivere il libro solo dopo che sono arrivato alla fine del processo del perdono, dopo cioè che ho sperimentato il profondo potere guaritore, il benessere che ne deriva e ne ho compreso gli straordinari benefici.

 

Il perdono è un’esperienza in grado

di ridefinire la propria armonia ed è in grado

di riequilibrare la persona

Daniel Lumera

È formatore, scrittore e conferenziere; attualmente è docente della cattedra di Management pubblico-privato per la gestione della fiducia, e responsabile della Ricerca e Sviluppo per UNESCO Club Heritage. Collabora come docente con varie Università ed è l’ideatore del percorso formativo My Life Design: il disegno consapevole della propria vita. È fondatore della Scuola Internazionale del Perdono (International School of Forgiveness). Per maggiori informazioni: http://www. mylifedesign.info/

Fonte: viviconsapevole.it

Ufficio di scollocamento: cambiare vita e lavoro, istruzioni per l’uso

«Decrescita non è parola da associarsi a privazione, così come non è privazione lo scollocamento, bensì sfida e opportunità»: Paolo Ermani, presidente dell’associazione Paea, ha incontrato a Torino una vasta platea di persone che vuole cambiare vita e paradigma. Non è affatto impossibile.cambiare_vita_scollocamento

Una vasta platea di persone intenzionata a cambiare non solo prospettiva, ma anche stile di vita e ritmo di lavoro, ha ascoltato a Torino Paolo Ermani, presidente dell’associazione Paea, che ha tenuto una conferenza sulle opportunità offerte dai cosiddetti “uffici di scollocamento”. L’iniziativa era organizzata dall’Associazione RIP, Riprendiamoci Il Pianeta. «Generalmente siamo portati ad interpretare il concetto di decrescita come qualcosa di negativo perché lo associamo alla perdita, alla preoccupazione, alla paura e di contro interpretiamo la parola crescita come qualcosa di positivo – ha spiegato Ermani – Forse questo stesso pregiudizio lo applichiamo al mondo del lavoro, infatti il collocamento viene visto come un’opportunità, come qualcosa di desiderabile, di positivo e lo scollocamento come perdita, come qualcosa di negativo. Invece il concetto di scollocamento ha un’accezione positiva di sfida e opportunità. Infatti l’essere umano ha grandi potenzialità e capacità immense con cui deve ritornare in contatto riscoprendo la propria creatività tornando anche ai lavori manuali».

Secondo Ermani, il sistema economico vigente:

•    Ha generato una crescita infinita in un mondo finito;

•    Ha generato violenza nei confronti dell’ambiente che è stato derubato delle sue risorse, sono state distrutte le biodiversità ed è aumentato l’inquinamento e la quantità di rifiuti;

•    Ha generato ingiustizie sociali specie nei paesi più a sud del mondo non tenendo conto dei diritti umani di base;

•    Ha generato una perdita di senso generale che si manifesta in termini di cronica mancanza di tempo, di insoddisfazione, di degenerazione dei rapporti.

«Il sistema ha potuto tutto ciò perché ha trovato in noi dei complici – ha proseguito il presidente di Paea – Ed è da questo sistema che dobbiamo scollocarci! Si deve rimettere al centro: la persona (relazioni, spiritualità e lavoro); l’ambiente; la finanza e l’imprenditoria etica. L’uomo deve smettere di delegare, deve iniziare ad assumersi le proprie responsabilità, deve riappropriarsi del potere insito nella sua stessa natura e tutto questo deve essere orientato alla realizzazione di un modello alternativo di vita». E questo modello alternativo ha precise caratteristiche:
•    Si riduce il tempo di lavoro, il consumo di energia, gli sprechi e i rifiuti;

•    Si rivaluta il proprio modo di vita a favore di un ritmo più lento e umano;

•    Si ripristina un’agricoltura sostenibile;

•    Si ricostruisce e riaggiusta ciò che già c’è;

•    Si riutilizza;

•    Si ricicla;

•    Si rinuncia al superfluo;

•    Si riconquistano il tempo e lo spazio per stare con se stessi e con gli altri;

•    Si reinveste su se stessi.

«Da questa riorganizzazione della società scaturiscono nuove opportunità lavorative in diversi ambiti – è ancora Ermani – come per esempio energie rinnovabili, bioedilizia, risparmio energetico,  risparmio idrico, settore artigianale (riparazioni), agricoltura biologica, informazione ambientale, medicina e alimentazione naturale. In realtà le attività utilizzabili ai fini del sostentamento e dell’espressione della creatività umana, secondo Ermani, sono tante quanti sono gli individui e forse addirittura quante sono le doti che ciascuna persona ha nel suo bagaglio culturale e psicofisico. L’uomo dovrebbe aprirsi alla sperimentazione lavorativa e scoprire i suoi talenti seguendo le proprie aspirazioni più vere e non indotte. Quando il lavoro diventa la materializzazione della propria aspirazione ecco che automaticamente viene meno il senso di fatica, di travaglio, di sforzo e alienazione. E questo accade ancor più se il lavoro è svolto in un gruppo o in una comunità dove si sta costruendo un presente e un futuro migliori per se e per gli altri».
Per un approfondimento sull’argomento utile la lettura del libro“Ufficio di scollocamento” scritto da Paolo Ermani e Simone Perotti e del libro “Pensare come le montagne” di Paolo Ermani e Valerio Pignatta.
Lunedì 31 marzo 2014, sempre presso il polo culturale Lombroso 16, in via Cesare Lombroso 16 a Torino alle ore 21 ci sarà la prossima conferenza dal titolo “Crescere in umanità:risveglio interiore e cambiamento sociale”. Il relatore sarà Roberto Mancini. Nel pensare di cambiare il mondo ciascuno di noi dovrebbe sviluppare una dose sufficiente di innocuità e dovrebbe essere disposto ad assumersi le proprie responsabilità e maturare la visione del bene comune.
Consulta il sito di Paea per conoscere i prossimi appuntamenti sull’Ufficio di scollocamento e i corsi al Parco dell’Energia Rinnovabile in Umbria.

fonte: il cambiamento.it

Pensare come le Montagne

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Ufficio di Scollocamento - Libro

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