1000 Metri: Un hotel abbandonato rivive per far ripartire la montagna

1000 metri è un sogno ad alta quota e un progetto per ridare vita a un borgo a cavallo tra mare e montagna. A Caprauna (CN), Loris Tisci ha ristrutturato un vecchio albergo abbandonato per trasformarlo in un progetto che accoglie famiglie, turisti e viaggiatori di passaggio, per mostrare loro tutta la bellezza e la tranquillità di questi luoghi immersi tra monti, boschi e nuove possibilità abitative.

Cuneo – Non possiamo dire che quest’anno e mezzo non sia stato difficile: un periodo scandito tra un “prima” e un “dopo”, per molti una sorta di bolla dove chiusure e limitazioni hanno messo in crisi il naturale scorrere del tempo. Ma oggi vi raccontiamo una storia che va controcorrente e che, in questo periodo di grandi interrogativi, ha cercato con impegno e determinazione di guardare sempre avanti per creare qualcosa di nuovo. È la storia di Loris Tisci e del suo progetto 1000 Metri che a Caprauna – piccolo paese di montagna dell’entroterra ligure ma ancora in territorio piemontese – sta contribuendo a rendere la sua borgata un luogo sempre più vivo e attrattivo.

Per spiegarvela bene, però, dobbiamo fare qualche passo indietro e trasportarci al 2017, in quel “prima” che ci sembra così lontano. In quell’anno un gruppo di artisti e professionisti avviò in questi luoghi montani il primo progetto di ripopolamento: il sogno era rendere Caprauna, all’epoca sempre più spopolata, un centro nuovamente vitale. Così, Luca Andrea Marazzini e Vittoria Bortolazzo, con pochi soldi in tasca, acquistarono dei vecchi ruderi per farne prima di tutto un luogo in cui vivere e poi uno spazio dove promuovere il recupero, coltivare terreni incolti e trasformare, insieme ad amici e volontari, questo borgo semiabbandonato tra i monti in un’isola unica e felice: l’Isola di Capraunica.

Poco dopo si unisce a loro anche Loris Tisci, che qualche anno fa ha deciso di comprare casa in questo piccolo paese diventando nuovo residente, con sua moglie e la sua bimba Sofia. Come l’amico Luca Marazzini in questo sogno ci ha sempre creduto e così ha deciso di recuperare un vecchio hotel, abbandonato da più di dieci anni, per trasformarlo in un nuovo progetto di accoglienza e invitare le persone a visitare questo piccolo pezzo di mondo dove la felicità è di casa. Come ci racconta, «negli anni ho sentito il bisogno di avviare un’attività che potesse rendere possibile la nostra vita qui. C’era una struttura che ci aveva colpito da parecchio tempo, un vecchio albergo che si chiamava “I Cacciatori”, ormai in stato di abbandono. Con l’avvento del Covid ci siamo attivati per prenderlo in gestione e iniziare questo nuovo progetto».

Così Loris si è rimboccato le maniche, ha partecipato e vinto un bando del Gal orientato alle nuove imprese nell’ambito del turismo, dando l’avvio ufficiale alla sua avventura, sempre appoggiato e sostenuto dall’associazione dell’Isola di Capraunica, da sempre compagna speciale in questo percorso.  Lo ha chiamato 1000 Metri, proprio come l’altitudine in cui si trova la piccola borgata Ruora che lo ospita.

«Il nostro paese conta 90 abitanti e negli ultimi anni sono state una ventina le persone che sono venute a vivere qua. Questo ovviamente ha anche creato un bisogno di servizi nuovi e diversificati dai pochi, pochissimi, che sono presenti ad oggi a Caprauna». Non solo turisti: 1000 metri vuole diventare un servizio dedicato prima di tutto al territorio, alle persone che qua vivono. Un’attività sociale, giovane e versatile dove tutti, grandi e piccoli, possono trovare il loro posto all’interno del progetto. La struttura ospita il bar e il ristorante/pizzeria, oltre agli appartamenti in affitto, ovvero case vacanze con cucina, camere e bagno dove poter passare giorni e settimane immersi tra boschi, torrenti e natura incontaminata. «Abbiamo messo a disposizione quattro appartamenti e un’intera struttura con giardino per le attività all’aperto. Il progetto ospiterà a breve una ciclofficina dedicata ai numerosi ciclisti che percorrono i sentieri turistici di queste terre per i loro itinerari e che qui potranno fare riparazioni e manutenzione della bicicletta. Abbiamo in programma di organizzare piccoli eventi culturali e artistici, attività di benessere come yoga e mindfulness, momenti dedicati alla musica come concerti e dj set, ma anche attività per i più piccoli come laboratori per bambini o un parco giochi attivo durante l’estate».

Loris si considera un “tuttofare” e grazie al suo lavoro manuale materiali di scarto e vecchi mobili abbandonati sono rinati e sono stati trasformati in tavoli, sedie e altri arredi. Poco comprato e molto ristrutturato. Tutto questo durante il passato inverno, quando, bloccato in casa e immerso nella pandemia, Loris ha fatto una scommessa con se stesso e si è dedicato a costruire, nella difficoltà, il suo pezzetto di futuro.

«Non è stato facile portare avanti le attività lavorative in quest’anno e mezzo ma far partire qualcosa di nuovo è per me un segno di speranza. Cerchiamo di offrire servizi nuovi e più comodità per chi vive nella borgata, dando alle famiglie la possibilità di tornare a vivere in questi luoghi. In fin dei conti, lo abbiamo visto già l’estate scorsa: nonostante fosse tutto bloccato, il numero di persone che passava di qua era progressivo in aumento, sintomo che le persone sentono sempre di più il bisogno di un posto dove stare a contatto con la natura».

1000 metri è un progetto appena nato ma è già animato da diverse persone che credono nel suo futuro. Ad esempio un giovane ragazzo del paese che è giunto a Caprauna durante l’inverno e che non se ne è più andato via. Così, grazie all’apertura dell’attività, è stato possibile per lui avere qui un lavoro garantito». O ancora: un gruppo di giovani ragazzi che avevano voglia di avvicinarsi a una vita rurale e di lanciarsi in un nuovo progetto turistico, lontano dalla dimensione dei ristoranti di riviera tipicamente liguri o dei grandi resort non troppo distanti da questi luoghi. Una vita di montagna, lenta e scandita dai ritmi della natura. Questo è 1000 metri ed è un sogno appena nato di cui siamo sicuri, torneremo presto a raccontarvi.

Buon inizio!

Fonte: https://www.italiachecambia.org/2021/08/1000-metri-hotel-montagna/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

La TERRApeutica, visioni e strumenti della relazione d’aiuto nel mondo che cambia

I cambiamenti e le crisi sociali, culturali ed ambientali degli ultimi tempi hanno portato all’insorgenza di nuove patologie e disagi che, per essere affrontati, richiedono nuovi strumenti. Da qui nasce l’idea di proporre il percorso “La TERRApeutica”, rivolto ai professionisti della relazione d’aiuto e a tutti coloro che vogliono intraprendere un percorso di conoscenza personale rispetto al proprio rapporto con il mondo che cambia. Sei appuntamenti rivolti a professionisti della relazione d’aiuto e a tutti coloro che vogliono interrogarsi rispetto al proprio rapporto con il mondo che cambia. Tra i docenti del percorso La TERRApeutica ci sarà anche Daniel Tarozzi che riporterà alcune delle storie dell’Italia che Cambia, esempio di benessere e trasformazione positiva di una situazione di crisi.

La presentazione si terrà il 14 aprile alle 11 presso la sala Polivalente F. Lavoratori di Recco, in provincia di Genova.terrapeutica

Il percorso, proposto dalla scuola di energetica Junghiana Hui Neng, parte dalla considerazione di diversi aspetti che sempre più caratterizzano il nostro tempo e risuonano nei cambiamenti feroci che la globalizzazione ha portato con sé:

– La perdita delle certezze legate al lavoro e ai suoi diritti: la sollecitazione continua di flessibilità e resilienza nonché la necessità di convivere in una crescente incertezza verso il futuro.

– I flussi migratori sempre più massicci, sia dal nostro paese verso paesi stranieri sia ingressi o tentativi di ingresso nel nostro paese da parte di persone provenienti dal sud del mondo

– I cambiamenti climatici consistenti, sintomi di un sistema diretto al collasso, carestie e guerre.

Sempre più persone, in questo scenario, manifestano disagi e patologie. Al contempo aumenta la tendenza individualista che determina chiusure e stili di vita sempre più volti alla protezione del proprio piccolo spazio che si percepisce costantemente minacciato dall’esterno, atteggiamento fomentato dalla comunicazione distorta dei media.1280_Business-People-Walking-Shadow

Di fronte a questo nuovo tipo di sofferenza i tradizionali canali di aiuto si trovano impreparati a fornire risposte efficaci. Sorge così la necessità di immaginare un percorso indirizzato a tutte le professioni di aiuto per integrare le proprie competenze con strumenti e modalità volti alla comprensione di questi nuovi segnali di disagio.

“Da diversi anni ormai – scrivono i promotori del percorso “La TERRApeutica” – a partire dal movimento che ci ha fatto incontrare e costruire Ca’du Neng, abbiamo introdotto nei nostri programmi didattici materie rivolte all’educazione e al rapporto con la vita rurale, non solo come vita ‘in campagna’ ma, soprattutto, come approccio interiore. Desideriamo interrogarci sulla nostra vita e sui sentieri a disposizione, lavorando per renderla più sostenibile, equilibrata, felice.

Pensiamo che un primo imprescindibile passo verso il cambiamento – prima di tutto personale e poi auspicalmente dei nostri clienti/pazienti/utenti tanto in percorsi terapeutici che in processi educativi, ma più semplicemente di chi ci è prossimo – possa essere rappresentato da:

– l’osservazione della natura e dei suoi cicli

– il recupero e la valorizzazione della relazione umana con l’ambiente visto come essere vivente da curare e rispettare
– l’acquisizione della consapevolezza del concetto che le risorse non sono infinite

– la ricerca di armonia ed equilibrio che tenga conto di tutte le differenze (umane e naturali)

– la conoscenza di esperienze positive già realizzate in Italia e nel mondo che vedono nel lavoro della terra una fonte inesauribile di benessere ed evoluzione (ad esempio orti urbani, transition town, eco villaggi, co-housing, cooperative di comunità, etc.).farming-future-good-hands-image

Destinatari di “La TERRApeutica” sono psicologi, psicoterapeuti, operatori sociali e sanitari, educatori, insegnanti, assistenti sociali, animatori di comunità, counselor, operatori di cooperative sociali. Il percorso si rivolge però anche a tutti coloro che vogliono intraprendere un percorso di conoscenza personale rispetto al proprio rapporto con il mondo che cambia.

Per saperne di più clicca qui o scrivi a scuola.huineng@gmail.com

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2018/03/la-terrapeutica-visioni-strumenti-relazione-aiuto-mondo-che-cambia/

WWOOF, agricoltura in condivisione. Intervista a Claudio Pozzi

Sostenere l’agricoltura naturale e condividere la quotidianità rurale alla ricerca di stili di vita in armonia con la natura. Questa l’idea da cui nasce l’organizzazione WWOOF. Per saperne di più abbiamo intervistato Claudio Pozzi, presidente di WWOOF Italia.orto_agricoltura

Condividere la quotidianità rurale alla ricerca di stili di vita in armonia con la natura. È questa l’idea da cui nasce l’organizzazione WWOOF. Per saperne di più abbiamo intervistato Claudio Pozzi, presidente di WWOOF Italia.

Vuoi presentarti? Quali sono state le tue esperienze e come sei arrivato a fare il presidente di WWOOF?

C’è un collegamento anche con la vostra storia. Risalendo all’indietro… nel 1993 sono diventato socio di MAG6, la cooperativa finanziaria di Reggio Emilia e poco tempo dopo in un momento in cui stavo collaborando con l’associazione ‘Piccole città dell’Italia centrale’ ho conosciuto Paolo Ermani e ho partecipato al primo corso su risparmio energetico ed energie rinnovabili del centro tedesco con cui lui collaborava a quei tempi ed abbiamo iniziato a collaborare sul progetto della casa mobile più che altro, che è stato il focus dell’attività di Paolo in Italia per diversi anni. Quindi collaboravo con MAG, con Paea che ancora non si chiamava Paea e sentivo l’esigenza di mettere in pratica uno stile di vita legato all’autosufficienza. Pur abitando in campagna non avevo a disposizione una terra neanche per fare un orto e quindi ero alla ricerca di un posto dove mettere in pratica questa passione. Fino a che non sono finito nel ’96 a collaborare in un podere qui nella provincia di Pisa dove si faceva già allora permacultura e fitodepurazione, insomma era un podere abbastanza sperimentale. In questo podere era nata una delle prime liste italiane di WWOOF che era un movimento internazionale. Le aziende ed i viaggiatori italiani che volevano partecipare facevano riferimento alle liste di altri paesi, quindi WWOOF Australia, WWOOF Germania, Inghilterra. Quindi Casolare Acqua chiara e parallelamente un’altra fattoria in Umbria all’insaputa l’uno dell’altro hanno iniziato a stilare una lista di piccole fattorie italiane. Erano liste veramente piccole: la lista di Casolare Acqua Chiara quando l’ho conosciuta contava 21-22 aziende, era addirittura scritta a mano perché i ragazzi che la gestivano erano contrario all’utilizzo dei mezzi elettronici. Uno dei miei ruoli all’interno del casolare Acqua Chiara oltre a curare l’orto ed ospitare i WWOOFers era quello di curare la crescita e la formalizzazione di questa associazione anche perché potesse dare lavoro a chi se ne occupava. Quindi l’ho curata e fatta crescere per due/tre anni fino a che grazie alla legge sul volontariato non sono riuscito a scrivere uno statuto e a formalizzarla. Nasce con un profondo spirito Mag tanto che tra i firmatari dell’atto costitutivo c’erano tre soci MAG che avevo coinvolto nel sottoscrivere l’atto costitutivo proprio perché mi dessero una specie di viatico da un punto di vista etico/formale. Chiaramente è stata una scommessa un po’ dura perché proprio per le esperienze associative che avevo vissuto fino a quel momento sapevo che fondare un’associazione fra persone che non si conoscevano fra di loro e che sono molto distanti fisicamente non sarebbe stato facile, tanto è vero che oggi dopo 16 anni devo dire che la maggior parte dei nostri soci ci percepiscono più come una società di servizi che non come un’associazione.wwoof_italia

A quando risale quindi l’atto costitutivo di WWOOF Italia?

L’atto costitutivo risale al ’98-’99, quando l’associazione aveva raggiunto un numero sufficiente a giustificare una polizza assicurativa, poi nel frattempo un altro passaggio è stato quello di conoscere le persone che stavano portando avanti il progetto CAES (Consorzio Assicurativo Etico e Solidale) ed affiancarle, contribuire in qualche modo al loro progetto presentandoli in MAG, cercando insomma di costruire rete intorno a loro perché poi comunque la polizza assicurativa era una cosa fondamentale per un’associazione come la nostra. Siamo ‘gemellini’ di Caes anche se non ci frequentiamo molto, ma non saremmo esistiti uno senza l’altro.

Quindi WWOOF Italia nasce ufficialmente nel 2000 e parte dal Casolare Acqua Chiara

Diciamo che nel 2000 l’esperienza del casolare Acqua Chiara era già finita, cioè la proprietaria ha deciso di venderlo, io ero già senza fissa dimora. Quindi diciamo che il movimento WWOOF Italia nasce anche dal Casolare Acqua Chiara ma poi nel 2000 il Casolare non esisteva giù più. In certi anni le cose si svolgono in maniera molto veloce. L’esperienza del casolare Acqua Chiara è durata due anni ma è stata intensissima per esempio.

Puoi darci qualche numero su WWOOF Italia? Quanti sono i soci? C’è stato un trend di crescita in questi anni?

Nei primi due anni, prima della formalizzazione, c’è stata un po’ ‘una forzatura’ nel cercare adesioni per raggiungere il numero che permettesse la nascita di un’associazione. In seguito abbiamo sempre cercato di crescere per passaparola: oltre il 90% delle nostre adesioni derivano da persone che hanno già fatto l’esperienza. Tendiamo a non promuoverci troppo: non è la crescita che ci interessa, siamo più orientati a crescere in consapevolezza, in qualità delle relazioni interne più che a crescere numericamente. L’importante è riuscire a pagare lo stipendio a chi gestisce l’ufficio e coprire le spese dell’associazione. Non siamo un’impresa che deve produrre sempre di più e non a caso abbiamo aderito anche al movimento per la decrescita. Quando abbiamo avuto qualche sbalzo di adesioni (può capitare un anno di crescere più del solito) a noi ha sempre creato qualche problema. Insomma devi sempre riadeguarti: da una gestione familiare stiamo cercando via di professionalizzarci, ma senza che questa professionalizzazione voglia dire estraniamento perché la nostra è un’associazione fondata sulla relazione umana. È chiaro che si parla di agricoltura e di questioni sempre pratiche, ma se non funziona la relazione tra le persone non funziona tutto il resto. Il nostro più grosso problema è quello di essere letti in maniera molto sintetica “io lavoro quanto pastasciutta mi dai” o viceversa “se io ti do un letto allora quanto mi dai”. Non è una forma di reciproco pagamento quello dell’ospitalità e del lavoro e questo è un messaggio difficile da far capire perché l’orecchio della gente va sul messaggio che circola più facilmente che è “c’è la possibilità di scambiare l’ospitalità con il lavoro”. Sì è vero, non potrebbe esistere l’esperienza se non fosse così però mangiare insieme, dormire sotto lo stesso tetto fa parte di una condivisione più ampia.wwoof_italia2

Nel momento in cui io sono una fattoria ospitante mi metto nella condizione di condividere il più possibile del mio stile di vita cercando di trasmettere agli altri le mie competenze, cercando di spiegare il perché ho fatto certe scelte piuttosto che altre, perché sono venuto a star qui, perché ho deciso di coltivare questo piuttosto che altro… Cerco di mettere a disposizione il mio luogo, le mie scelte, le mie competenze e perché no anche parte del mio tempo libero, per cui si può anche andare a bere una birra insieme in un posticino simpatico, andare a fare un bagno nel torrente, andare a visitare i dintorni. D’altra parte chi viaggia e va a visitare un’azienda non va lì per avere un tetto e del cibo che paga con il lavoro, non è quello il senso. Il senso è andare ad immergersi nel ritmo, nello stile di vita di una famiglia, di una comunità, di un’azienda perché curiosi di quello che succede lì e per la voglia di condividere e di conoscere e, perché no, di portare anche le proprie di conoscenze. Girano anche dei WWOOFers che hanno competenze, magari le hanno acquisite anche facendo i wwoofers.

Questo è lo spirito dell’associazione sia all’Italia che all’estero o ci sono delle differenze tra il circuito italiano e quello internazionale?

Noi ci concentriamo di più su questo aspetto educativo e di convivialità e non a caso abbiamo aderito a Reti semirurali, abbiamo aderito al movimento della decrescita anche se questa è un’adesione un po’ sulla carta, siamo soci di Mag6 e siamo soci di Banca Etica, cioè cerchiamo di trasmettere dei valori e delle opportunità ai nostri soci perché possano alzare lo sguardo e fare rete sul loro territorio.

Quali sono le caratteristiche richieste a chi vuole entrare a far parte dell’associazione?

Per quanto riguarda i viaggiatori (WWOOFers) la voglia di partecipare ai ritmi e allo stile di vita di chi ti ospita in campagna. Non sono richieste professionalità ed esperienze pregresse e non c’è un filtro su chi aderisce per viaggiare. Chiunque una volta compiuta la maggior età può aderire. Sulle aziende invece facciamo un po’ più di filtro per ovvi motivi perché vogliamo conoscerli, sapere bene qual è la loro motivazione. Abbiamo la possibilità di conoscere le aziende un po’ meglio mentre sarebbe impossibile poter conoscere 5000 viaggiatori che arrivano da tutte le parti del mondo prima di accettare l’adesione. È importante che leggano il regolamento e lo sottoscrivono.

E le aziende? Quali requisiti devono avere?

Di aziende ne abbiamo un po’ di tutti i tipi. Il movimento soprattutto quando era informale era formato in particolare da aziende che non erano aziende: aziende è un termine che noi usiamo forse perché non siamo riusciti ad inventarcene un altro, ma non è detto che chi aderisce sia effettivamente un’azienda agricola. Può essere anche qualcuno che ha un’abitazione nella quale tende ad autoprodursi l’olio, le verdure o altro senza farne un’attività professionale. A noi interessa capire quali sono le motivazioni che li spingano: se dicono ad esempio “ho bisogno di qualcuno che mi aiuta a raccogliere le olive” tendiamo a rispondere che forse WWOOF non è il posto adatto e che ci sono altri sistemi e altri modi. Cioè se la tendenza è quella a trovare manodopera a basso costo non ci interessa. Noi vogliamo trovare realtà aziendali o non aziendali, la certificazione ci interessa poco, ci interessa che la pratica sia di agricoltura naturale ma poi vogliamo che le persone abbiano voglia di ospitare e di vivere in convivialità con le persone che ospitano.wwoof_italia_4

Non pensi che il sistema adottato da WWOOF rischia di favorire lo sfruttamento del lavoro gratuito?

Noi stiamo molto attenti che questo non succeda, poi sono i viaggiatori che dovrebbero darci un feedback: se si trovano a disagio sono invitati a segnalarcelo. È successo che qualche azienda che non aveva dei comportamenti corretti è stata sospesa.

Tra i singoli iscritti ci sono delle tendenze? Ad esempio più uomini o più donne, più ventenni o quarantenni?

In linea di massima chiaramente la fascia più rappresentata è quella giovanile, dall’università in poi fino a 30 anni, ma girano anche pensionati o persone che usufruiscono del loro periodo libero per fare questo tipo di esperienza perché magari vogliono capire se la vita agricola fa per loro, o magari vogliono semplicemente entrare in contatto con questo aspetto della produzione agricola. A volte girano interi nuclei familiari, soprattutto all’estero dove è più facile che una famiglia riesca a prendersi un anno sabatico e poi quando rientra a casa non ha problemi a trovare un lavoro. Credo che ci siano più donne che uomini, non una prevalenza enorme comunque.

Cosa bisogna fare per aderire?

Per i viaggiatori: si va sul sito, si legge lo statuto, si paga la propria quota e in genere si entra. Per un’azienda si viene messi in contatto dove è possibile con il coordinatore di zona che visita l’azienda per capire se esistono i requisiti per l’adesione. Laddove il coordinatore non esiste ci penso io tramite interviste telefoniche.

Tu hai mai fatto il WWOOFer?

Non dentro la rete del WWOOF, l’ho fatto prima di conoscere il WWOOF. Il mio avvicinamento alla vita in campagna è stato da una parte facendo l’operaio in un’azienda agricola e nel tempo libero andando a collaborare con amici che avevano aziende biologiche nella zona dove risiedevo allora (andavo e aiutavo a potare, raccogliere, etc.). Da quando conosco il WWOOF ho avuto delle esperienze come ospitante quando ero in un’azienda agricola ma non avendone mai avuto una mia sono sempre state esperienze che sono durate due anni, due anni e mezzo.

Esistono dei circuiti analoghi al WWOOF?

Ci sono altre associazioni che non si occupano specificatamente di ospitalità in agricoltura, ad esempio c’è Workaway. Esistono dei circuiti internazionali ma vengono gestiti più come business. Noi stessi, a volte, quando ci sembra che un’azienda non sia molto adatta al WWOOF consigliamo di guardarsi intorno e di aderire ad altre associazioni che hanno un atteggiamento un po’ più libero.

Credi che il WWOOFing potrebbe essere applicato ad altri campi o è strettamente legato al settore agricolo?

La nostra organizzazione è nata per sostenere l’agricoltura naturale. A volte abbiamo pensato di aprire qualche situazione (magari non urbana) che più che agricoltura possa fare artigianato ma è rimasta poi un’idea sulla carta, non abbiamo spinto in questo senso. Da un certo punto di vista facciamo fatica a stare dietro alla nostra crescita perché dobbiamo trovare nuove persone che si impegnino e che ne condividano lo spirito, che imparino a lavorare in squadra, stare insieme. Non è semplicissimo.wwoof_italia9

Quante persone lavorano a WWOOF Italia?

Per WWOOF Italia lavorano: 1 lavoratore dipendente, 3 collaboratori a partita IVA, 3 consulenti amministrativi, 1 consulente legale ed 1 facilitatrice (per le riunioni). Inoltre vi sono i coordinatori locali, che come me sono volontari. Sicuramente il passaggio dal volontariato alla produzione sociale (avvenuto nel 2005) dunque per noi è stato essenziale perché ci ha permesso di stipendiare anche qualche socio.

Che tipo di visibilità mediatica sta avendo WWOOF Italia?

Si parla di WWOOF, ma noi non cerchiamo la visibilità.

Avete progetti in vista per il futuro?

Abbiamo deciso all’ultima assemblea di aumentare la quota partecipativa proprio per permetterci di sviluppare progettualità condivise. Ora ci sono dei progetti in corso che sosteniamo e riguardano da una parte la diffusione e formazione sulla questione della trazione animale in agricoltura, poi abbiamo contribuito alla campagna ‘Basta veleni’ portata avanti da una coppia di apicoltori piemontesi. Stiamo facendo inoltre un corso di formazione agli agricoltori sulla questione della riproduzione delle sementi di cereali e cercheremo di portare avanti sempre di più questi progetti. È chiaro che devono essere progetti di interesse collettivo e non del singolo.

Nel momento di crisi che stiamo attraversando molte persone e soprattutto molti giovani si stanno avvicinando all’agricoltura e stanno trovando impiego nel settore agricolo. Secondo te perché è importante che le persone si avvicinino all’agricoltura? Cosa ne pensi?

Io ritengo che questo sistema di sviluppo economico e di relazioni sociali sta implodendo. Se vogliamo raggiungere la sostenibilità dobbiamo per forza ritrovare un contatto con la terra.

Fonte: il cambiamento