CycloLenti in Portogallo: vivere e imparare a Tribodar

“Non è una gomma, non è una caramella ma allora che cos’è…?”. Vi ricorda qualcosa? Come lo slogan di questo famoso marchio di caramelle il posto in cui ci troviamo “non è un ecovillaggio, non è una fattoria, non è una comunità, ma allora che cos’è…?”.

“If you can walk you can dance…” recita una scritta appoggiata all’ingresso. Se puoi camminare puoi ballare e se puoi sognarlo allora puoi anche realizzarlo. È così che, dal sogno di Michael, belga, e Moabi, portoghese, nasce Tribodar, uno spazio di apprendimento non formale su più livelli:
– Sociale
– Vita di comunità
– Crescita personale
– Coscienza ecologica e sostenibilità

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Siamo ad un paio di chilometri da Nisa, nell’entroterra del Portogallo, e qui comprare un terreno non è caro, parliamo di circa €4.000 all’ettaro. Facciamo subito la conoscenza di uno dei membri di vecchia data: Gennaro, napoletano, è architetto ed è appassionato di costruzioni naturali. Proprio qualche giorno fa hanno finito di costruire l’ossatura di un’abitazione con tetto reciproco. Una tecnica in cui le travi si autosostengono tra loro. Affascinante! Durante la nostra permanenza contribuiremo principalmente raccogliendo, pulendo e inchiodando delle canne sul tetto. Per quanto possa sembrare tutto caotico qui la giornata è abbastanza organizzata. Due ore al mattino e due al pomeriggio sono dedicate al “lavoro”, poi tutto il resto del tempo è per sé. Ciò solo dal lunedì al giovedì. Inoltre, a turno, due volte a settimana, in cambio di frutta, si va ad aiutare una coppia di anziani a riporre l’invenduto del mercato nel furgone. Venerdì, sabato e domenica sono giornate completamente libere da impegni collettivi. Ci sono sessioni di yoga, massaggi, oguno può organizzare dei workshop, cerchi di comunicazione, e la domenica mattina ci si riunisce per definire a grosse linee la settimana che viene: ossia turni per cucinare e progetti da portare avanti! Di solito, se il numero lo permette, cucini una volta alla settimana e poi non te ne preoccupi più… due volte al giorno “dlin dlin dliin” è il campanellino, il piatto ti aspetta in tavola!. Ma il “dlin dlin” non è l’unico suono. Dei lunghi “ihhh ohhhh” si ripetono durante la giornata. È l’asinello, che insieme ai due inseparabili gattini, sono gli unici animali di Tribodar. È un cucciolo e necessita di compagnia. Tra tutti i volontari, cibo e carezze di certo non gli mancano. Una grande terrazza coperta e ombreggiata da una vite funge da cucina comune. Sono almeno tre i frigoriferi presenti… ma attenzione solo uno è quello funzionante, gli altri sono usati come degli armadi. In un angolo delle mensole contengono vestiti di tutti i generi. Si tratta dello spazio in cui ognuno può lasciarvi o prendere qualcosa.tribodar2

L’assortimento di nazionalità è sorprendente: scozzesi, canadesi, francesi, inglesi, olandesi, italiani e chi più ne ha più ne metta. È divertente vedere come ognuno si improvvisa cuoco per un giorno, ovviamente quando è un italiano a cucinare, è tutta un’altra storia!  Tribodar non ha un’attività economica fissa. Sebbene l’uso del denaro sia ridotto al minimo ci sono comunque delle spese. Gli introiti principali provengono dal Tribojam, il festival che organizzano una volta all’anno, e il contributo che i volontari a breve termine danno per sostenere le spese vive, come viveri e materiali vari. Sono organizzati con un sistema a scaglioni temporali. Più tempo rimani e più il tuo contributo economico si riduce, fino ad annullarsi. Passa dai 6€ al giorno la prima settimana, ai 5€ la seconda, 1€ se si rimane per un mese e nulla se si rimane per più tempo.  Nei mesi di settembre e ottobre sono in programma costruzioni di casette con tetto reciproco, quindi, chiunque fosse interessato  ad apprendere questa tecnica è il benvenuto.tribodar3

Prima di andare via, Gennaro, con forbici alla mano, e con molta pazienza,  soddisfa uno dei clienti più difficili dal barbiere: Marco. Un taglio qui e un taglio là e la testa riesce di nuovo a sentire il vento che passa tra i capelli.

A Tribodar una cosa è certa: nonostante ci sia un’organizzazione di base, qui non ci sarà mai nessuno che verrà a dirti cosa fare, tutto parte da te, tutto è semplicemente spontaneo.

 

Intervista ai membri di Tribodar

 

Com’è iniziato Tribodar?

Moabi: Tribodar è iniziato con un sogno. Io e Michael abbiamo ragionato a lungo sulle cose che ci piacciano e non. Dalle nostre conversazioni è emerso un punto fondamentale per entrambi, ossia che il sistema attuale di educazione si basa poco sullo sviluppo individuale della persona e ciò che lo rende felice. Questo ci ha dato la forza di creare un luogo in cui ognuno abbia la possibilità di imparare in un modo diverso.

Che cos’è Tribodar oggi? 

Michael: È l’inizio di una comunità e un centro d’apprendimento. Alcuni sono alla ricerca di modi di vivere sostenibili, altri vengono per vedere ed imparare ciò che facciamo. C’è chi viene per una settimana o due, chi per un mese, chi ci rimane. Questo costante movimento influisce molto sulla vita di comunità. Oggi siamo strutturati in modo che una persona nuova che arriva, anche se rimane per un breve periodo, possa velocemente capire come funziona, inserirsi e dare il suo contributo.

C’è stato un momento specifico nella tua vita in cui hai realizzato che il tuo sogno era realizzabile?
Michael: Sono cresciuto in un contesto abbastanza alternativo. Mia madre è un insegnante Steineriana e mio padre uno psichiatra convertito alla medicina alternativa e all’educazione spontanea. Credo di essere cresciuto con un gran senso di libertà che mi ha fatto realizzare che c’è assolutamente bisogno di un nuovo modo di fare la scuola. Uno dei motivi per i quali le persone si sentono bloccate nelle loro vite è perché ci sono delle condizioni non dette che fanno credere che non si è liberi di scegliere la propria strada.  Sin da bambino sei abituato a dover stare seduto, zitto e fare ciò che l’insegnante ti dice. Si cresce, ed è lo stesso all’università, infine entri nel mondo del lavoro e ancora una volta finisci col fare quello che il tuo capo ti dice di fare. Se non c’è nessuno che ti dice di fare diversamente allora non lo fai, ma soprattutto non sei preparato per farlo. Hai paura e ti blocchi. Per me era chiaro che avrei scelto un’altra via e già venti anni fa pensavo ad una soluzione che mi permettesse di non essere vincolato alle logiche della società moderna e così alla fine sono arrivato al concetto di comunità.tribodar4

Qual era la tua vita prima e come sei arrivato qui in Tribodar?

Gennaro: Qualche anno fa abitavo a Napoli e conducevo una vita del tutto comune. Ho una laurea in architettura e lavoravo tutto il giorno in ufficio per una grossa azienda che costruisce infrastrutture pubbliche. Non ero per niente soddisfatto e quindi ho lasciato il lavoro e sono  partito per il Sud America. Un lungo viaggio che mi ha cambiato la vita. Mi capitò di partecipare ad un progetto di permacultura in cui ho scoperto e studiato diversi tipi di costruzioni naturali. Da qui è nata la mia passione per questo tipo di costruzioni. Al termine del viaggio, con un amico d’infanzia, siamo venuti in Portogallo e ci siamo fermati a Tribodar. Qui ho avuto la possibilità di provare e sperimentare ed è così che oggi mi sono specializzato in costruzioni con legni tondi.

Elena: Vivevo a Berlino e una mia amica stava pensando di trasferirsi in Portogallo e unirsi a qualche ecovillaggio. La cosa mi ha incuriosito e ho deciso di accompagnarla, così solo per un mese. Berlino è fredda e l’idea di un po’ di caldo non mi dispiaceva. Sono arrivata a gennaio e dopo un paio di giorni ho pensato: “questo è il mio posto”. Così, ancora prima di ripartire, avevo già acquistato il biglietto per ritornare ad aprile, ed eccomi qua!

 

Che suggerimenti dareste a chi vuole intraprendere la stessa strada?

Moabi: Prima di tutto consiglierei di iniziare un qualsiasi progetto con un gruppo di amici e comunque in almeno cinque persone. Noi eravamo in due e con un bambino. È stata una bella prova. Inoltre è fondamentale, se si è un gruppo, che le idee e la visione siano ben chiare in modo che tutti remino nella stessa direzione.

Michael: Sicuramente una cosa che mi sento di consigliare è di non iniziare immediatamente un nuovo progetto, ma darsi il tempo di guardarsi intorno per conoscerne altri. In questo modo si ha la possibilità di:
– Valutare se unirsi a qualche progetto esistente o meno. Partire da zero è molto duro, soprattutto all’inizio, inoltre c’è troppa gente che vuole cominciare il proprio progetto e pochissimi che vogliono unirsi ad uno esistente. Se tutti facessero così non ci sarebbero più comunità ma solo tanta gente che vorrebbe crearne una.
– Imparare da altre realtà cosa ci piace e cosa non ci piace. Iniziare un ecovillaggio è un po’ come reinventare un nuovo mondo sotto diversi aspetti, quello sociale, economico, alimentare, edilizio, gestione dell’acqua e tanti altri. Sono tutte dinamiche abbastanza complesse già di per sè ed è quindi fondamentale fare dell’esperienza in tal senso per non ritrovarsi completamente spaesati.

Quali sono i progetti futuri di Tribodar?

Uno dei più grandi progetti è quello di iniziare una “scuola democratica”, ossia una scuola in cui i bambini e gli adulti possano imparare senza un programma predefinito. Guidati dai propri interessi piuttosto che da materie imposte, in completa libertà. Oggi sperimentiamo una sorta di educazione informale che si basa semplicemente sulla spontaneità.

Contemporaneamente vorremmo sviluppare una comunità su un’altro terreno qui vicino di nostra proprietà. Un posto in cui le persone possano vivere in armonia con la natura, ma soprattutto un’area più riservata in modo che i membri permanenti non debbano vivere nello stesso luogo in cui c’è il centro d’apprendimento. Infine vorremo sviluppare Tribojam, un festival che vede quest’anno la sua seconda edizione. Si tratta di un evento con dei nuovi concetti. Ad esempio non ci sono gruppi ingaggiati per suonare, ma tutta la musica è improvvisata. Inoltre proponiamo una serie di workshop sulla sostenibilità ambientale, libera educazione, crescita personale e così via.

 

Il sito di Tribodar 

Il blog CycloLenti 

fonte:  italiachecambia.org/

 

I borghi storici rinascono grazie all’albergo diffuso

Un “albergo” fatto di case, strade, ristoranti, negozietti, spettacoli, tutto pensato per creare comunità intorno al turista che non resta solo un turista ma si trasforma ben presto in un “attore attivo”. E’ la concezione che sta dietro ai cosiddetti “alberghi diffusi”, piccoli borghi storici che sono rinati nell’ottica di una rete di servizi per chi li vuole riscoprire. Un altro modo di fare turismo, un altro modo di vivere in comunità.albergo_diffuso2

Nell’ottica degli alberghi diffusi ci sono due finalità. La prima è quella di richiamare i turisti in piccoli borghi storici, capolavori modellati dalle tradizioni ma spesso sferzati dal tempo e dai ritmi moderni. La seconda è quella di ridare vita a comunità che altrimenti rischiano di estinguersi e di dilapidare il loro patrimonio di usi, tradizioni e architettura. E la cosa ha preso talmente piede che vede un’associazione nazionale degli alberghi diffusi che si fa carico di valorizzare questo approccio alla riscoperta dei tesori tutti italiani. Giancarlo Dall’Ara ne è presidente e ideatore e spiega come ormai tutte le regioni d’Italia, tranne il Molise, abbiano una normativa specifica sull’albergo diffuso. “Qualche problema ancora c’è, ma in 15 anni di lavoro siamo riusciti ad ottenere veramente molto. Le normative regionali non sono sempre perfette e molte Regioni si sono mosse in maniera indipendente l’una dall’altra, ma i risultati cominciano proprio a vedersi” spiega Dall’Ara. “Ogni albergo diffuso è una storia a parte. Ed è inevitabile visto che non si costruisce, ma nasce mettendo in rete l’esistente: le case, il gestore, la vita del borgo. Tanto per fare qualche esempio, un albergo diffuso ad Alberobello è composto da trulli, in Toscana da casali o palazzi medicei, in Romagna da casolari o antichi conventi e via così. C’è l’Ecovacanze Belmonte in Calabria, un grande sforzo collettivo, e le Costellazioni di Pietrapertosa in Basilicata; poi il piccolo centro storico di Termoli, che è tornato a vivere grazie ai due alberghi diffusi che vi operano, o il paese di Portico di Romagna nel quale risiedono appena 300 abitanti e dove quest’anno l’albergo diffuso ‘Vecchio Convento’ ha aperto tre nuove attività commerciali. Un altro esempio è il primo albergo diffuso dell’Irpinia, ‘Borgo di Castelvetere’, che ha ridato vita ai ruderi dell’antico castello. È proprio in questo modo che si riesce a frenare lo spopolamento dei borghi, rivitalizzandoli e valorizzandoli senza comprometterne l’identità e senza nuove colate di cemento”. In Italia, l’associazione riconosce 80 strutture che hanno i requisiti coerenti con il modello dell’albergo diffuso (l’elenco è nel portale www.alberghidiffusi.it). C’è poi un progetto di albergo diffuso in Spagna, a Ledesma, e se si guarda il panorama internazionale si capisce che il fenomeno interessa anche a molti altri Paesi. Una delle realtà che si propone come esempio in questo panorama è Borgo Soandri a Sutrio, in provincia di Udine (www.albergodiffuso.org). “È un progetto di sviluppo dove a integrarsi è l’offerta turistica del territorio ma anche e soprattutto i suoi talenti e i suoi valori” spiega il presidente, Enzo Marsilio. “Nell’ipotesi dell’albergo diffuso la vera essenza della proposta diventa una comunità che vuole condividere con gli ospiti la propria tipicità di una vita dai ritmi e dai sapori antichi”.albergo_diffuso3

Borgo Soandri, come tanti piccoli borghi e paesini, ha alle spalle una storia personalissima ma per tanti versi analoga a quella di altre piccole realtà simili. “Negli anni del boom economico, alla fine degli anni ’70 – prosegue Marsilio – quando la realizzazione di stazioni invernali rappresentava un modello di sviluppo turistico, un noto politico locale, Enzo Moro, all’epoca vicepresidente della Giunta Regionale, promosse la realizzazione di un comprensorio sciistico sullo Zoncolan, la montagna di Sutrio. Quando ai primi anni ’90 divenni sindaco di Sutrio, mi chiesi come potevo fare per coniugare una realtà artigianale quale era il mio paese con un progetto di sviluppo turistico. Si trattava di valorizzare il centro storico con il recupero della sua architettura tipica, e coinvolgere i residenti facendo in modo che assumessero un ruolo attivo.albergo_diffuso6

L’albergo diffuso aveva tutte le caratteristiche per fare al caso nostro e così avviai la realizzazione di un primo progetto. Oggi questo albergo diffuso ha quasi venti anni di vita e quanto di positivo ha rappresentato per il paese e la comunità è sotto gli occhi di tutti. Sutrio sta recuperando sempre di più la fisionomia di un borgo tipico e il progetto di recupero degli immobili è ancora in corso. Per tutto l’arco dell’anno c’è un flusso significativo di ospiti che animano e sostengono la vita economica e sociale del paese e ci sono attività e iniziative direttamente legate al turismo”. Ci sono anche le difficoltà e Marsilio non le nasconde, ma sono superabili. “Come la gran parte dei progetti integrati non sono di facile realizzazione. Gli elementi da far condividere e unire sono molti e soprattutto sono di natura culturale. Non è facile trasformare abitudini e mentalità per acquisire nuove conoscenze, propensioni e professionalità. Soprattutto quando protagonista di questo processo è la gente di montagna che notoriamente ha nel proprio DNA la diffidenza e la chiusura. Ora però Sutrio è diventata una comunità dove la gente, soprattutto i giovani, desidera vivere”.

Fonte: il cambiamento