Nelle Langhe un Barolo biologico e di qualità

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Monforte d’Alba, nel cuore delle Langhe, la cantina Josetta Saffirio ha scelto di percorre una strada alternativa nella produzione del Barolo: trattori più leggeri per non compattare troppo il terreno, riduzione dei prodotti chimici usati nei vigneti, utilizzando solo quelli ammessi dall’agricoltura biologica, un sistema di packaging sostenibile, una corretta gestione dei rifiuti. La vendemmia 2015 nasce sotto i migliori auspici, grazie al clima favorevole dei mesi estivi e fra le soluzioni adottate dalla cantina Josetta Saffirio vi è l’utilizzo di rame e zolfo che non entrano nel ciclo linfatico e consento all’azienda vitivinicola – che produce 30-35mila bottiglie l’anno e possiede 5 ettari di vigne – di ottenere la certificazione di sostenibilità EcoProWine. La cantina si trova a Monforte d’Alba, uno degli undici comuni di produzione del mitico vino Barolo, inserito nel contesto paesaggistico che un anno fa è stato dichiarato patrimonio mondiale dell’Umanità. Fra le buone pratiche messe in atto da questi coltivatori attenti all’ambiente vi è, per esempio, l’erba tra i filari per ridurre l’erosione provocata dalle acque superficiali.

“Siamo partiti per esigenze di salute. Perché con i prodotti che utilizzavamo dell’agricoltura tradizionale stavamo male, io non riuscivo più ad andare nel vigneto. Poi siamo andati avanti. E a maggior ragione abbiamo percorso questa strada quando ci sono nati i figli”,

spiega la titolare Sara Vezza Saffirio che ha ricevuto in eredità i terreni da sua nonna Josetta. Una scelta “green” che si spera possa fare scuola.

Fonte:  Askanews

Foto Davide Mazzocco

Vendemmia green: ecco la ricetta per un vino a basso impatto ambientale

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Anche in ambito vitivinicolo cresce l’attenzione degli operatori verso la sostenibilità, con maggiori risultati in termini di qualità. Un esempio d’eccellenza di questa strategia arriva dalla Cantina Josetta Saffirio a Monforte d’Alba (CN), nel cuore delle Langhe. Qui la vendemmia 2015 si tinge di “verde” grazie alle buone pratiche adottate per ridurre l’impatto ambientale della produzione del vino: dai trattori più leggeri per non pesare troppo sulla terra alla riduzione dei prodotti chimici usati nei vigneti, dal packaging sostenibile alla corretta gestione dei rifiuti.  “L’andamento stagionale fin qui favorevole e i rilievi che si stanno facendo inducono all’ottimismo sulla qualità del prodotto di quest’anno. A favorire tale situazione anche un cambiamento del modus operandi in viticoltura: al diserbo chimico sta subentrando sempre più la lavorazione meccanica per il controllo delle infestanti e la lotta ai parassiti avviene attraverso l’utilizzo della lotta integrata che vede notevolmente diminuito l’uso dei fitofarmaci”. Il quadro tracciato di recente da Coldiretti Piemonte conferma un orientamento che va diffondendosi anche in ambito vitivinicolo: la parola “qualità” fa rima con “sostenibilità”. Un esempio d’eccellenza di questo connubio arriva da Monforte d’Alba (CN), paesino nel cuore delle Langhe, dove la vendemmia 2015 si tinge di “verde”. Qui si trova la Cantina Josetta Saffirio, azienda vitivinicola che da tempo applica una filosofia di produzione orientata al green e al biologico. Sono tante la buone pratiche adottate da questa cantina per ridurre l’impatto ambientale del vino: dai trattori più leggeri per non pesare troppo sulla terra alla riduzione dei prodotti chimici usati nei vigneti, dal packaging sostenibile alla corretta gestione dei rifiuti speciali.

Rispetto per la terra

Il cambiamento dell’approccio in viticoltura non poteva che partire dal rispetto dall’elemento in cui le piante affondano le loro radici, la terra. E così, al posto di mezzi molto pesanti, la Cantina Josetta Saffirio ha scelto di utilizzare trattori prototipo più leggeri per non pesare troppo sul suolo, allo scopo di preservarlo. Questa, tuttavia, è solo una delle azioni adottate dall’azienda agricola per il rispetto dei campi: in parallelo viene eseguita una lavorazione non profonda del terreno prima della messa a dimora delle piante e, allo stesso tempo, si procede all’inerbimento totale del filare che riduce l’erosione delle acque superficiali.

Riduzione dei prodotti chimici usati nei vigneti

Il rispetto del terreno passa anche dalla riduzione dei prodotti chimici usati nei vigneti: un nuovo modo di concepire la lotta contro le malattie della vite rispetto al passato, quando a farla da padrona erano i fitofarmaci. Oggi, per il contrasto delle patologie delle piante, sempre più operatori scelgono di utilizzare solo prodotti ammessi in agricoltura biologica. Lo stesso ha fatto la Cantina Josetta Saffirio: a garantire questo impegno c’è la supervisione della CCPB per la Certificazione Biologica, a cui si aggiunge l’adesione della cantina a Tergeo, progetto europeo sostenuto dall’Unione Italiana Vini per la qualificazione delle soluzioni tecnologiche e gestionali in materia di sostenibilità nel settore vinicolo. Pochi mesi fa, infine, la cantina ha ottenuto la certificazione di sostenibilità EcoProWine.

Imballaggi a basso impatto ambientale

Un vino a basso impatto ambientale non poteva prescindere da un packaging concepito partendo dalla riduzione degli imballaggi. Il risultato finale è una bottiglia di vino con vetro più leggero (riciclato al 90%), tappo più corto e una confezione con meno cartone. Questo packaging green è frutto di una scelta accurata di partner, possibilmente a km zero, che condividono la filosofia perseguita dalla cantina: per le etichette è stata scelta Fasson, certificata FSC, per i tappi Amorim, da sempre impegnata nel rispetto dell’ambiente, e per le capsule Ramondin, che utilizza vernici all’acqua. Una scelta che si traduce in un risparmio sia per l’ambiente che per il consumatore.

Gestione corretta dei rifiuti

Ultimo, ma non per importanza, il capitolo degli scarti agricoli. Contenitori, olio esausto e batterie dei mezzi di lavoro: sono tutti rifiuti speciali che se non vengono gestiti in modo corretto, possono rappresentare un pericolo per l’ambiente. Per questo motivo, la Cantina Josetta Saffirio si è rivolta a “Cascina Pulita”, un consorzio specializzato che offre un servizio completo di raccolta, stoccaggio, smaltimento e valorizzazione degli scarti agricoli.

Chi è Josetta Saffirio

L’azienda agricola Josetta Saffirio ha sede a Monforte d’Alba in provincia di Cuneo nel cuore delle Langhe. Frutto di una tradizione che si tramanda dall’inizio del Novecento, l’azienda produce un vino Barolo premiato due volte con i “Tre Bicchieri” (annate ’88 e ’89) e con numerosi riconoscimenti internazionali. Oltre al Barolo, l’azienda agricola produce anche Nebbiolo, Barbera d’Alba e Rossese Bianco. Negli ultimi anni, l’azienda agricola ha intrapreso un percorso di rinnovamento nel segno della sostenibilità che la rendono un vero e proprio laboratorio di produzione vitivinicola a basso impatto ambientale.

Fonte: agenziapressplay.it

Josetta Saffirio, quando la produzione vitivinicola è sostenibile e al femminile

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Un’azienda vitivinicola al femminile, una filosofia di produzione orientata al green e al biologico. È la strada scelta dalla Cantina Josetta Saffirio di Monforte d’Alba (CN), che celebra il passaggio di testimone dalla quarta alla quinta generazione nel segno del ridotto impatto ambientale. Tante le azioni virtuose che fanno dell’azienda un laboratorio di sostenibilità: dalla riduzione dei prodotti chimici usati nei vigneti a prototipi di trattori più leggeri per rispettare la terra, dalla corretta gestione dei rifiuti speciali a un impianto fotovoltaico che produce il doppio dell’energia necessaria alla cantina. E in futuro la realizzazione di un bioparco.  “La donna, il vino, la sostenibilità”. È il titolo scelto dalla Cantina Josetta Saffirio di Monforte d’Alba (CN) per celebrare il passaggio di testimone, dalla quarta alla quinta generazione, in questa azienda tutta al femminile che si rinnova perseguendo una filosofia di produzione orientata alla sostenibilità e al biologico.

Amore per la terra

“Essere contadino significa avere una grande responsabilità: l’eredità che ci è stata lasciata e quella che lasceremo ai nostri figli” sottolinea Sara Vezza, titolare dell’azienda e figlia di Josetta Saffirio. “Da sempre la nostra azienda, a totale gestione familiare, ha sentito di appartenere al territorio. Una responsabilità che si tramanda da padre a figlio, da generazione a generazione”. La Cantina ha tradotto questa filosofia con azioni concrete che rispettano il territorio: dalla riduzione dei prodotti chimici utilizzati in vigneto alla lavorazione non profonda del terreno prima della messa a dimora delle piante, dall’inerbimento totale del filare che riduce l’erosione delle acque superficiali all’utilizzo di trattori prototipo più leggeri per non pesare troppo sulla terra, allo scopo di preservarla.

Laboratorio di sostenibilità

Oggi l’azienda agricola si presenta come un vero e proprio laboratorio di produzione vitivinicola a basso impatto ambientale. La cantina è stata progettata in modo da essere integrata nel paesaggio rurale e ridurre lo scambio termico con l’esterno. L’isolamento è stato fatto usando del sughero naturale. Per quanto riguarda il fabbisogno energetico, dal 2010 è attivo un impianto fotovoltaico da 20 kW, che produce il doppio dell’energia che serve per la cantina. Ciò consente di ridurre le emissioni di CO2 di 13 tonnellate all’anno. L’azienda, inoltre, fa parte del consorzio ‘Cascina Pulita’ che ritira e gestisce tutti i rifiuti (olio esausto, batterie, contenitori di fitofarmaci) provenienti dall’azienda.

Prodotto a basso impatto

Anche il prodotto finale della cantina è concepito nel segno della sostenibilità. La scelta dei fornitori è stata fatta in base alla condivisione della stessa filosofia, optando per partner possibilmente del territorio: per le etichette è stata scelta Fasson, certificata FSC, per i tappi Amorim, da sempre impegnata nel rispetto dell’ambiente, e per le capsule Ramondin, che utilizza vernici all’acqua. Massima attenzione, inoltre, alla riduzione degli imballaggi: vetro più leggero (riciclato al 90%), tappi più corti e meno cartone. Una scelta che si traduce in un risparmio per l’ambiente e per il consumatore.

Presto un bioparco

Il percorso di sostenibilità intrapreso dalla Cantina Josetta Saffirio è controllato da enti terzi. “Siamo sottoposti alla supervisione della CCPB per la Certificazione Biologica e facciamo parte delle venti aziende italiane pilota nel progetto Tergeoprogetto dell’Unione Europea sostenuto dall’Unione Italiana Vini per la qualificazione delle soluzioni tecnologiche e gestionali in materia di sostenibilità nel settore vinicolo” afferma Sara Vezza. La titolare dell’azienda annuncia infine il nuovo progetto in cui è impegnata: “Stiamo lavorando alla realizzazione di un parco, dove regnano le specie autoctone di fauna e flora, con l’obiettivo – conclude Sara – di avvicinare le scuole al mondo e alla cultura del vino e ridurre ulteriormente la nostra impronta ecologica”.

Chi è Josetta Saffirio

L’azienda agricola Josetta Saffirio ha sede a Monforte d’Alba in provincia di Cuneo nel cuore delle Langhe. Frutto di una tradizione che si tramanda dall’inizio del Novecento, l’azienda produce un vino Barolo premiato due volte con i “Tre Bicchieri” (annate ’88 e ’89) e con numerosi riconoscimenti internazionali. Oltre al Barolo, l’azienda agricola produce anche Nebbiolo, Barbera d’Alba e Rossese Bianco. Negli ultimi anni, l’azienda agricola ha intrapreso un percorso di rinnovamento nel segno della sostenibilità che la rendono un vero e proprio laboratorio di produzione vitivinicola a basso impatto ambientale.

Ulteriori informazioni sul sito: www.josettasaffirio.it

Fonte: agenziapressplay.it

Cambiamenti climatici: i cibi che rischiano di scomparire

Mais, fagioli, caffè, cioccolato e vino sono alcuni dei cibi che rischiano di scarseggiare qualora i cambiamenti climatici persistano con questa intensità. L’Arca del Gusto di Terra Madre ha portato all’attenzione del pubblico il problema della tutela dei cibi e dei piatti tipici a rischio di scomparsa. Ma i cambiamenti climatici stanno avendo pesanti conseguenze anche su cibi che vengono prodotti su vasta scala. Secondo David Lobell, direttore del Center on Food Security and the Environment alla Stanford University, sostiene che ci saranno colture che diventeranno impraticabili nonostante la possibilità di spostamento a differenti latitudini:

L’agricoltura è molto sensibile al clima, e gli effetti già evidenti. Se non è la fine del mondo è abbastanza per iniziare a pensarci.

Determinanti sono l’aumento della Co2, la scarsità d’acqua, le vertiginose oscillazioni delle temperature e una maggiore instabilità delle condizioni meteo: elementi che, per esempio, stanno creando notevoli problemi anche alla colture del nostro Paese, con effetti che incidono pesantemente sul prezzo della spesa. Ecco quali sono i principali alimenti che rischiano di scomparire.

Mais e animali che se ne nutrono

Il riscaldamento globale e la siccità sono i principali nemici della coltivazione del mais, cereale la cui crescita diminuisce del 7% per ogni grado di temperatura in più. E il mais è anche uno dei principali ingredienti dei mangimi per il bestiame, una sua carenza potrebbe far aumentare il costo della carne in maniera sensibile.

Caffè
Un fungo infestante soprannominato “ruggine del caffè” sta mettendo in pericolo le coltivazioni sudamericane e africane, con una probabile “migrazione” in Asia.

Cioccolato
Anche la coltivazione del cacao patisce i cambiamenti climatici e la materia prima potrebbe presto scarseggiare facendo lievitare i prezzi delle barrette.

Frutti di mare

Con l’aumento dell’anidride carbonica nelle acque marine, cresce l’acidità degli oceani e si indeboliscono i gusci delle ostriche e ai crostacei costretti a “migrazioni” forzate.

Sciroppo d’acero

In Canada è il dolce nazionale, ma gli aceri da zucchero patiscono la mancanza di gelate e sono seriamente a rischio.

Fagioli
Altamente proteici e diffusissimi in America Latina e in alcune zone dell’Africa i fagioli sono sensibilissimi ai cambiamenti climatici e a causa degli sbalzi di temperatura la resa dei raccolti può diminuire del 25%.

Ciliegie
Per molte persone questo frutto rappresenta una vera delizia, ma necessitano di notti fredde per crescere al meglio: se ciò non avviene e la fioritura è tardiva l’albero produce meno frutti.

Vino
La viticoltura soffre i cambiamenti climatici e attualmente l’area maggiormente colpita dal fenomeno sembra essere l’Australia: gli studiosi pensano che il 75% della terra attualmente coltivata potrebbe diventare inadatta alle coltivazioni entro il 2050. Idem per la California dove il calo potrebbe essere del 70%.159692455-586x391

Fonte:  Slow Food

© Foto Getty Images

Sicurezza alimentare, sequestrati 312 ettolitri di vini senza tracciabilità

Il sequestro è avvenuto a Montepulciano, a opera del locale Comando Stazione, dopo un controllo stradale effettuato nel periodo della vendemmia

Un maxi-sequestro di 312 ettolitri di vino di varia tipologia, ma appartenente alla denominazione Nobile di Montepulciano di origine controllata e garantita (DOCG), con indicazione geografica tipica IGT Toscano e Cortona DOC, è stato effettuato dal locale Comando Stazione presso un’azienda vitivinicola di Montepulciano. Il sequestro si è reso necessario a causa dell’assoluta mancanza di tracciabilità documentale dei vini detenuti e pronti alla vendita nello stabilimento enologico. Ai titolari dell’impresa sono state comminate sanzioni amministrative poiché è emerso che l’azienda aveva trasferito grandi quantitativi di vini provenienti da vigneti iscritti a diverse denominazioni protette, senza che venisse emesso alcun documento ufficiale di accompagnamento o che venissero riportate le dovute annotazioni sui registri vitivinicoli. Il Corpo Forestale dello Stato di Montepulciano, oltre alle numerose violazioni delle norme vitivinicole (fra cui la mancata informazione sul contenuto dei vasi vinari), ha rilevato alcune irregolarità di tipo igienico-sanitario e urbanistico per le quali sono state informate le Autorità competenti. All’origine del sequestro un controllo su strada effettuato nel comune di Montepulciano dal Corpo Forestale: in quella occasione gli ispettori hanno trovato un carico di uve rosse proveniente da vigneti radicati nel territorio: i successivi controlli in cantina hanno permesso di accertare le irregolarità nella gestione dei vini detenuti. L’infrazione è stata scoperta poiché, durante le settimane della vendemmia, il Corpo forestale dello Stato ha attivato nella zona una campagna di controlli finalizzata a verificare la movimentazione su strada dei prodotti vitivinicoli.FRANCE-WINE-VINEXPO

Fonte:  Corpo Forestale

© Foto Getty Images

Brunello di Montalcino, sequestrati 160 mila litri tarocchi del vino più frodato al mondo

Vino modesto venduto come pregiato Brunello di Montalcino: la frode è stata rivelata dalla Guardia di Finanza di Siena. Il Brunello di Montalcino è probabilmente uno dei vini più pregiati al mondo e come tale è anche il più contraffatto. Proprio oggi la Guardia di Finanza di Siena ha scoperto l’ennesima frode: 160 mili litri di modesto vino, con 2350 contrassegni di Stato, pronti per essere imbottigliati sotto l’etichetta prestigiosa di Brunello di Montalcino. La GdF fa sapere che a essere coinvolto è un nome eccellente, un enologo particolarmente famoso e collaboratore di varie aziende agricole. Ci piacerebbe conoscere il nome ovviamente.4935635161-89bd4391d2-z

In effetti le frodi ai danni di uno dei vini più pregiati dell’Italia sono numerose, consideriamo che una bottiglia di Brunello di Montalcino si piazza sul mercato americano mediamente a 75 dollari e su quello inglese anche a 100 sterline e dunque l’affare per i frodatori diventa interessante. Vittima illustre di una delle tante frodi anche Andrea Bocelli, il nostro tenore più famoso al mondo e proprietario con il fratello di una tenuta in Toscana a Lajatico, in provincia di Pisa dove produce con la famiglia da 300 anni 25.000 bottiglie ogni anno di Sangiovese, Cabernet e Malvasia. Suo malgrado si è visto vittima di una truffa milionaria. Le indagini che sono diverse nell’ultimo anno, nascono sopratutto dalle segnalazioni, sia di cittadini sia del Consorzio del Brunello di Montalcino che sono praticamente sempre vigili nel segnalare le non conformità dei vini che passano dai loro palati.5867696401-5b12d3b737-z

Nel caso dell’imponente sequestro di 30 mila bottiglie, tra cui quelle delle famiglia Bocelli e 10 mila di Brunello di Montalcino avvenuto lo scorso maggio, emerse chiaramente che tutta la truffa era stata messa in atto lontano dalla zona di produzione di questo nobile vino che ricade nel territorio senese. Ebbe a dire il Presidente del Consorzio del Brunello di Montalcino Fabrizio Bindocci:

E’emerso in modo evidente ed inequivocabile la totale estraneità dei produttori e del territorio. Tutta la vicenda si è svolta lontano da Montalcino ed ha visto protagonisti personaggi che nulla hanno a che vedere con il mondo del vino ed il territorio della DOCG. E’ stata messa in piedi una filiera con l’obiettivo di sfruttare in modo fraudolento la fiducia creata in questi decenni da chi ha puntato molto sulla qualità e trasparenza. Persino l’etichetta del vino messo in commercio è di pura fantasia così come è stato inventato di sana pianta il nome dell’azienda che ovviamente non ha nessun legame con il territorio. “ La vicenda danneggia non solo noi, come grande marchio internazionale del vino, ma tutta la produzione italiana di qualità.5868992354-d6ecd1c980-z

Il Brunello di Montalcino è una delle DOCG italiane e viene prodotto in Toscana in provincia di Siena nel comune di Montalcino e è probabilmente uno dei vini che ha maggiore longevità assieme al Barolo. Il vitigno è il medesimo del Sangiovese ma a variare è la qualità del terreno in cui la vite si sviluppa. Dunque essendo prodotto di punta del Made in Italy subisce veri e propri attacchi che sono comunque nella maggior parte dei casi sventati proprio a tutela del buon nome e della qualità di questo superlativo vino.

Foto | Meindert Van D @ FlickrMegan Cole @ FlickrMegan Cole @ Flickr

Fonte: ecoblog.it

“In Italia il comparto vetro è tenuto in piedi dal vino”, intervista al presidente di CoReVe Franco Grisan

Nel 2013 il 35% del vetro immesso al consumo è stato del comparto vinicolo, dove il vetro riciclato è oltre il 90%. L’intervista di ECO al Presidente del Consorzio Recupero Vetro Ing. Franco Grisan. Come va la raccolta differenziata, il problema delle “frazioni estranee” nel vetro, i progressi tecnologici nel riciclo e un po’ di storia del vuoto a rendere378321

Presidente Grisan, com’è andato il vetro nel 2013 in Italia, sia come immesso al consumo che come raccolta differenziata?
Non abbiamo ancora i dati definitivi, ma si può anticipare che per l’immesso al consumo il quadro generale è stato difficile, forse il solo comparto alimentare ha risentito un po’ meno. I consumi interni sono stati uguali o inferiori agli anni precedenti. Se l’industria del vetro tiene, è soprattutto grazie all’industria vinicola. Nel 2013 il 35% del vetro immesso al consumo è stato del comparto vino e nelle vetrerie che producono queste bottiglie il vetro è riciclato oltre al 90%.
Riguardo tutta la raccolta differenziata degli imballaggi in vetro, si conferma un’Italia a due velocità, anche se il sud sta inseguendo. Al nord la media è di 39 kg per abitante,16,4 kg quella del sud (Puglia al 13,7, Campania 22,4). Nel sud c’è però un aumento medio dell’8%. C’è ancora un problema “regole della raccolta”, molti cittadini non hanno le idee chiare, riceviamo ancora molto materiale inquinato da frazioni estranee al vetro. In sintesi: il sud migliora, ma c’è bisogno di più attenzione dai cittadini e più informazione da parte dei Comuni.

Quali sono gli errori più comuni nella raccolta differenziata degli imballaggi in vetro? Si fanno di più in alcune zone rispetto altre?

Noi dovremmo trattare solo imballaggi in vetro, ma spesso siamo costretti a raccogliere anche frazioni estranee, come il vetro cristallo. Ecco il perché della nostra ultima campagna, “Bottiglia vasetto, binomio perfetto”, quella con testimonial il geologo Tozzi. Il cristallo crea problemi alle vetrerie, il danno che subiamo con un bicchiere di cristallo è alto. Altro problema è la ceramica (come le tazze e tazzine buttate nel vetro) perché fonde ad una temperatura superiore al vetro. Se anche dei rottami in ceramica sono immessi nei forni per produrre la miscela del vetro, nel passaggio alla goccia, che poi diviene bottiglia, la ceramica rischia di restare in forma di microgranuli nel vetro della bottiglia, rendendola più fragile.

Ma perché è così dannoso il cristallo?

Faccia conto che un posacenere di cristallo rovina un intero camion di vetro (30 tonn vetro). E’ il problema non è la nocività del piombo, ma precise norme che dicono che il vetro da imballaggio non può contenere piombo, dovremmo cambiare le norme per accettare il cristallo. Nella situazione attuale non si può conferire insieme al vetro. Il cristallo è molto più pesante, brillante e sonoro, ma non è facile da distinguere dal vetro, quindi il problema c’è. Ecco perché in questa fase storica noi diciamo “solo bottiglie e vasetti, cioè imballaggi”.

Quindi tutto il resto (vetro non imballaggio, cristallo, ceramica) andrebbe nell’indifferenziato?
Sì, noi stiamo discutendo in questi giorni con ANCI, perché i Comuni indichino chiaramente dove mettere questi materiali. Veritas (l’azienda servizi ambientali di Venezia) lo fa. In realtà – allo stato attuale dell’organizzazione del riciclo – quei materiali dovrebbero andare negli inerti (gli scarti provenienti da lavori di costruzione e demolizione) o nell’indifferenziato. 
Qual è il valore del vetro a tonnellata sul mercato e quello che riconoscete ai Comuni?

Il vetro è soggetto ad asta in base a due variabili: il rapporto domanda-offerta sul mercato in quel momento; la posizione geografica, perché la maggior parte delle vetrerie è al nord, seguendo l’industria alimentare, soprattutto quella vinicola (Veneto, Piemonte, Friuli). Quindi il rottame vetro che si raccoglie al sud vede aggiungersi il costo del trasporto, ecco perché il prezzo delle aste al sud è inferiore. Il dato medio delle aste del 2013 è stato di 12,7 euro/tonnellata, un valore molto lontano rispetto al nostro corrispettivo medio ai Comuni, 30/32 euro a tonnellate, con punte di 40 euro per la prima fascia. Il corrispettivo serve a coprire gli extra-costi dei Comuni e come vede il Consorzio riconosce un valore che è circa 3 volte il valore di mercato del vetro. Nel 2013 CoReVe ha restituito ai Comuni l’82% dei ricavi del Consorzio:direttamente, tramite convenzioni con i Comuni o i delegati per il ritiro dei rifiuti di imballaggio in vetro raccolti, quindi del materiale “grezzo”; indirettamente, tramite convenzioni locali con vetrerie e gestori delegati titolari di impianti di trattamento del vetro per la consegna del rottame “pronto al forno” che, rispondendo al regolamento UE noto come “end of waste”, viene riciclato in vetreria.

La raccolta congiunta vetro bianco è colorato è sempre un problema?

Sì. Infatti molti vini bianchi stanno passando al vetro colorato (o verde), proprio perché più semplice da ottenere dal rottame misto (vetro verde più bianco). Ora però la tecnologia ci sta aiutando, ci sono macchine che vedono il pezzo di vetro colorato e lo separano. Sono macchine elettroniche, che usano telecamere, in grado di selezionare il tipo di vetro e anche la ceramica.

Qual è il vostro impianto più moderno?

L’azienda Vetreco, presso Supino (Frosinone), in funzione da fine 2013. E’ il più recente dei nostri impianti, il primo di elevato livello nel centro-sud, che era sguarnito di impianti di trasformazione (il che condannava il rottame del sud ad essere trasportato al nord). La Vetreco ha impianti di selezione per colore e di separazione di ceramica e cristallo.
Di recente abbiamo parlato di casi di restituzione del cittadino degli imballaggi in plastica, a fronte di buoni sconto Vede possibili casi simili nel vetro o un ritorno in Italia del “vuoto a rendere”?

Il vuoto a rendere è sicuramente “l’origine del vetro”, basta ricordare le bottiglie del latte (che pesavano moltissimo!). Ma ormai il sistema si è evoluto verso “contenitori a perdere”: sono più comodi e oggi la bottiglia in vetro pesa molto di meno di una volta. Ci sono altri problemi connessi al “rendere”: il vetro reso deve subire dei lavaggi, che implicano problemi ambientali di depurazione delle acque; il “rendere” aveva un senso quando l’industria delle acque minerali aveva bacini di consegna locali e limitati e si poteva accollare i costi di ritorno delle bottiglie.
Le do un numero significativo: negli anni ’90 300 milioni di bottiglie di acqua minerale a rendere sono state “barattate” con 6 miliardi di bottiglie di plastica “a perdere”; questo è stato il processo. A Torino si è tentato di reintrodurre il “rendere” del latte, con delle bottiglie molto belle e resistenti, ma il cittadino non seguiva l’operazione, non riportava le bottiglie. Teoricamente sarebbe un processo più sostenibile, ma poi sul piano pratico non si riesce a realizzare.
di Stefano D’Adda

 

Fonte: ecodallecittà

 

Il vino fa buon sangue, i pesticidi no

“Reclusi in casa, nella zona del vino Prosecco Superiore DOCG”, la denuncia di Paolo Subiaco da Treviso.pesticidi_elicottero

Vivo ai piedi delle colline della pedemontana trevigiana, una zona tanto incantevole quanto invivibile, nel periodo da maggio ad agosto in cui vengono fatti i trattamenti fitosanitari. È un territorio in cui da sempre esistevano le vigne in collina coltivate a Prosecco, ed i campi in pianura coltivati a mais. Ora, da quasi 10 anni, con l’estensione della zona DOC a tutta la pianura, hanno piantato vigneti ovunque, anche in zone molto umide dove la lotta alla peronospora impone pesanti trattamenti con pesticidi spesso tossici e molto tossici. Parlando con altre persone della zona scopro che sono in molti ad avere mal di gola, irritazione cutanee, tachicardia e asma. Guardo avanti pensando a quale sarà il nostro futuro, dopo aver perso nell’ultimo anno mia madre, mia suocera e la mia prozia, tutte a causa del cancro: casualità? L’azienda sanitaria della zona, l’ULSS 7, riscontra negli ultimi 3 anni un aumento preoccupante dei malati oncologici, da un malato ogni 22 abitanti nel 2009, ad un malato ogni 18.5 abitanti nel 2012; eppure questo è un territorio composto da piccoli paesi, poco industrializzati e con un moderato traffico di autoveicoli. Preoccupato, cerco su PubMed le pubblicazioni medico-scientifiche sui pesticidi, constatando che ci sono più di 6000 studi in cui viene stabilita la correlazione fra pesticidi e cancro, e non solo: i pesticidi sono spesso i responsabili di disfunzioni ormonali specie alla tiroide, sviluppo puberale precoce, diminuzione della fertilità maschile, aumento abortività e gravidanza extrauterina, disturbi autoimmuni, deficit cognitivi, iperattività, patologie neurodegenerative. In Francia il morbo di Parkinson è riconosciuto come malattia professionale per gli agricoltori. Al mattino apro le finestre della camera osservando il sole che risplende sulle colline, ma scorgendo anche agricoltori già impegnati nell’irrorazione delle vigne, in tuta bianca con mascherina a doppio filtro combinato per proteggersi dall’inalazione di polveri e vapori. A quel punto richiudo le finestre sperando di poter arieggiare la camera il giorno successivo. Ma il giorno successivo un rumore annuncia l’arrivo dell’elicottero, pronto a spargere i prodotti fitosanitari direttamente dal cielo. Nelle schede tecniche dei prodotti fitosanitari viene spesso raccomandato di non entrare nel vigneto nelle 48 ore successive all’irrorazione, ma ogni angolo verde qui è stato trasformato in vigneto, cosicché le case, scuole e gli asili si trovano in mezzo ai vigneti! Quindi, secondo le prescrizioni dei fitofarmaci, nel periodo delle irrorazioni tutti gli abitanti qui, soprattutto mamme e bambini, dovrebbero indossare la tuta bianca con mascherina a doppio filtro. È questa la vita che abbiamo sognato per noi e per i nostri figli? Oppure dovremmo ignorare il problema, sperando in futuro di non vivere l’esperienza del tumore?

Fonte: il cambiamento

Dumping, la Cina chiude le porte ai vini italiani

Guerra di dazi fra Italia e Cina: la decisione di imporre dazi ai pannelli solari cinesi rischia di ripercuotersi sul vino italiano che rappresenta ormai l’8% del mercato enologico di Pechino1586165771-586x389

È guerra di dazi fra Italia e Cina, più che altro una legge del taglione: l’Unione Europea impone i dazi ai pannelli solari provenienti dalla Cina? E allora la Cina risponde con un’indagine tesa a comprendere se i vini importati dall’Europa e, in particolar modo, dall’Italia stiano arrivando a un prezzo e in una quantità congrui. Minacciando l’export verso Oriente della produzione enologica italiana. Il vino italiano che alla fine degli anni Novanta rappresentava l’1% del mercato cinese, si assesta attualmente intorno all’8% con un giro d’affari che sfiora ormai gli 80 milioni di euro. Inutile dire come la decisione del Governo cinese appaia pretestuosa sin dalla tempistica, visto che i dazi ai pannelli solari sono scattati proprio ieri, 6 giugno, portando la quota dall’11,8% al 47,6%. Pechino accusa l’Unione Europea di fare dumping e il presidente francese François Hollande ha già chiesto, in tempi relativamente brevi, una riunione dei 27 Stati Membri affinché la Commissione Europea

arrivi a una solidarietà di punti di vista da parte dei ventisette.

L’indagine aperta dalla Repubblica popolare Cinese sui vini europei va seguita con la massima attenzione ma non ci deve spaventare, perché il prezzo dei nostri prodotti non è frutto di sovvenzioni o aiuti all’esportazione,

ha spiegato il ministro delle Politiche agricole, Nunzia De Girolamo, che ha sottolineato come la tutela dell’agro-alimentare sia una delle priorità del Governo Letta.

Soltanto negli ultimi dodici mesi le esportazioni di vino made in Italy in Cina sono aumentate del 15% e nel bimestre gennaio-febbraio 203 la spesa per le nostre bottiglie è aumentata del 41,5%. La Cina è il quinto consumatore di vino al mondo dopo Stati Uniti, Italia, Francia e Germania. E l’Italia è il Paese che ha saputo cogliere al volo le occasioni del mercato cinese, con un vero e proprio boom negli ultimi cinque anni: + 300% in quantità, + 400% in valore.

Fonte: Agronotizie

 

Cambiamenti climatici, il vino emigrerà verso nord?

Sapevate che fino a un secolo fa l’Algeria era il maggior produttore mondiale di vino? Che un vino del New Jersey è “statisticamente indistinguibile” da un vino francese? E (ma questa è più facile) che la Cina fosse il paese dalla più rapida crescita vinicola? Cose che dipendono, anche, dai cambiamenti climatici.8447360068_0b8a6a9a1e_b-586x394

Nel marzo 2013 è stato pubblicato su PNAS(Proceedings of the National Academy of Sciences) questo studio relativo all’impatto dei cambiamenti climatici sul vino (sulle vigne in senso agricolo): entro il 2050 fino all’86% delle aree europee del Mediterraneo dove ora si produce vino potrebbe non essere più adatta alle viti a causa delle modifiche che subirà il clima. I risultati mostrano con chiarezza come le estati sempre più calde e gli inverni sempre più gelidi stiano mettendo a rischio forse IL prodotto per eccellenza del made in Italy: il vino. Il fenomeno, viene da sè, interesserà tutto il pianeta: la California, oggi terra di eccellenti vini (sopratutto bianchi Chardonnay e rossi Cabernet Sauvignon e Syrah) arriverà a perdere fino al 60% dei suoi vitigni, così come il Cile (-25%) ed Australia (-70%), ma è il Mediterraneo che subirà i danni maggiori. Se da un lato del mare nostrum l’avanzata del deserto negli ultimi 100 anni ha completamente cancellato la produzione vinicola nordafricana, dall’altro il vino conosce oggi una nuova, splendida ed eccellente giovinezza; un periodo che però è messo a serio rischio dai cambiamenti climatici, che potrebbero spazzare via fino all’86% dei vitigni dei paesi del Mediterraneo europeo. Se al di là dell’Atlantico l’area del Parco di Yellowstone diventerà il territorio più produttivo entro i prossimi 50 anni (oggi non c’è nemmeno un vitigno): lo spostamento verso nord delle terre da uva potrebbe portare gli americani ad impiantare vitigni fino ai confini con il Canada, nello Yukon (un tempo famoso per la neve, il ghiaccio ed i cercatori d’oro). Questo fenomeno è mostrato chiaramente nella mappa qui sotto.

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In altre zone del pianeta invece potrebbe diventare impossibile continuare con la produzione vinicola: spostandosi ai poli, le terre da vino di Sud Africa, Cile ed Australia si assottigliano sempre di più e potrebbero scomparire del tutto. In Europa dramma che interesserà sopratutto Italia e Spagna, che potrebbero arrivare a perdere oltre la metà dei loro vitigni preziosi, ma la tendenza è ormai già incline ad andare verso nord. L’aumento delle temperature aumenta il contenuto zuccherino negli acini aumentando la gradazione del prodotto finale e diminuendone l’acidità: ciò implica necessariamente una sostanziale modifica negli aromi, rendendo più complessa (a palati esperti e non) ed incerta la degustazione (e diminuendo la produzione). Questo potrebbe avere conseguenze dirette anche sul mercato dei vini, rendendo competitivi vitigni che prima erano considerati di bassa lega (come quelli americani o, fino a qualche anno fa, quelli sudafricani oggi molto apprezzati). Un problema che si è cercato di affrontare già da tempo, ad esempio impiantando ceppi più resistenti o introducendo nuovi metodi di irrigazione. Ma è poco ciò che il produttore può fare di fronte al cambiamento climatico in atto:

In questo scenario le produzioni si sposterebbero più a nord. In nord Europa le aree vinicole aumenteranno del 99%, in Nuova Zelanda del 168 e nel nord America del 231.

si legge nello studio.

Fonte:  Conservation International