Una comunità nella Natura che ha preso vita durante la pandemia

Daniela e la sua famiglia sono in viaggio da tempo per sperimentare nuovi stili di vita, liberi e nomadi; poi è scoppiata la pandemia. Come a volte accade, la crisi è diventata un’opportunità e il piccolo gruppo ha scoperto un villaggio in mezzo alla Natura dove trascorrere la quarantena e praticare la vita comunitaria.

 “Insieme di persone unite tra loro da rapporti sociali, linguistici e morali, vincoli organizzativi, interessi e consuetudini comuni: comunità nazionale, cittadina; agire nell’interesse della comunità; comunità umana, la società degli uomini, il consorzio umano; comunità di affetti, la famiglia”.

Questo è il significato generale che troviamo sul dizionario della lingua italiana alla voce Comunità. L’immaginario che si crea intorno a questo termine, oggi più che mai, rimanda la maggior parte delle persone a un bisogno insoddisfatto di condivisione e calore, a contesti lontani e non quotidiani, resi ancora più distanti dalla spaccatura sociale causata dall’isolamento forzato dopo gli ultimi accadimenti mondiali.

Dalla cima di una collina, ecco la terra che ci ha ospitato durante la quarantena, vicino a Odemira, Portogallo.

Se ritorniamo al significato proprio del termine, comunità è un concetto molto ampio e può riguardare ogni gruppo di persone che sceglie consapevolmente di dichiarare come comuni dei valori e delle pratiche di vita, e lavorare insieme per portarle avanti e rispettarle. Un condominio ospita potenzialmente una comunità; un quartiere, una squadra di lavoro, una scuola, un gruppo sportivo, un insieme di persone che condividono un progetto o una passione, sono terreni fertili per coltivare il senso di comunità. Ma da dove si comincia a costruire un progetto comune, soprattutto quando si parla di comunità di vita quotidiana? Identificare il progetto e i valori sui quali fondarlo è sicuramente il miglior punto di partenza. In questo primo passo è insita la necessità individuale e familiare di avere ben chiaro quale sia il proprio progetto di vita e su quali valori vuole essere fondato, step fondamentale per poi confrontarsi con gli altri, accettarne le differenze e trovare compromessi e soluzioni, dove possibili. Questo primo gradino, che sembrerebbe il più semplice, è tuttavia molto delicato: conoscere se stessi, i propri bisogni, lavorare per portare alla luce la propria visione di vita richiedono un lavoro di introspezione profonda. Io e la mia famiglia, per scoprire noi stessi, siamo andati alla ricerca della nostra visione con un camper, in giro per il mondo.

Le intense esperienze condivise insieme hanno unito grandi e piccoli, creando un clima di genitorialità condivisa.

Sembra paradossale pensare di fare il primo passo verso la costruzione di una comunità abbandonando il tessuto sociale nel quale si vive e girare il mondo, liberi da qualsiasi vincolo con altre persone. Invece questa scelta ci ha permesso di scoprire cosa davvero ci fa battere il cuore, cosa ci fa vivere sereni, cosa per noi è superfluo, cosa è fondamentale. Ed è successo che, più ci sentivamo a nostro agio nella vita on the road, più i nostri incontri con altre famiglie si facevano frequenti, e più eravamo attirati da persone che avevano scelto una vita simile alla nostra. Scegliere è la strada per trovare il proprio cammino. Lo scorso autunno, scegliendo di lasciare definitivamente le quattro mura che ci legavano al territorio lombardo, abbiamo deciso di dare spazio alla vita che sentivamo corrispondesse ai nostri valori e l’abbiamo seguita. E più le davamo spazio, più la nostra visione si palesava ai nostri occhi e nelle nostre vite.

Il nostro cammino, che ci ha condotto in Portogallo passando per Francia, Spagna e Marocco, si è incrociato nuovamente con quello delle famiglie con cui sentivamo di avere un legame profondo e, spontaneamente e senza forzature, gli avvenimenti vissuti insieme ci hanno condotto su un sentiero comune.

Appena sapute le restrizioni portoghesi per arginare l’epidemia covid, cerchiamo di trovare soluzioni per poter stare insieme, in luoghi isolati dell’Algarve e vicino all’oceano, che purtroppo si sono dimostrate non conformi alle leggi decise dalle istituzioni statali. Mentre eravamo in riva al mare, con amici vecchi e nuovi, su una bellissima spiaggia dell’Algarve, siamo stati travolti dallo tsunami della pandemia mondiale, che ci spingeva ad allontanarci uno dall’altro e a trovare ognuno una casa in affitto o a tornare ai nostri paesi di origine, per rispettare le normative sulla quarantena. In un momento in cui le istituzioni mondiali chiamavano all’isolamento, noi abbiamo deciso di stare uniti, di cercare un luogo adatto per poter passare la quarantena tutti insieme, trovando rifugio in un grande terreno di un amica tedesca. Proprio lì, in una stupenda radura tra i boschi del distretto di Odemira, abbiamo cominciato a sperimentare cosa volesse dire vivere come una comunità, come un piccolo villaggio, condividere spazi, tempi e progetti. Le assemblee in cerchio sono state un altro passo fondamentale per confrontarci ed esprimere visioni generali su ciò che desideravamo, e a prendere decisioni riguardanti la vita quotidiana, come l’orto comune e lo spazio per i bambini. Ma ancora più importante è stato, giorno dopo giorno, ascoltare noi stessi e gli altri, chiedendoci se ciò che stavamo vivendo corrispondeva a ciò che volevamo per noi e la nostra famiglia; le risposte sincere che ci siamo dati hanno portato a separare la nostra strada da una famiglia con cui non condividevamo lo stesso progetto di vita e, al contempo, hanno rafforzato la coesione con quelle a noi affini. Il passo successivo dopo la quarantena è stato affittare un terreno insieme, dove proseguire il cammino verso il nostro progetto di comunità: un gruppo spontaneo di persone libere, amiche, che non ha doveri o progetti comuni obbligatori, ma condivide il calore dello stare uniti.

Donne, mamme, compagne, amiche, sostenitrici della comunità, camminano insieme sulle radure nel distretto di Odemira, Portogallo. Crescere insieme e imparare quotidianamente uno dall’altro, aiutarsi a vicenda, sorreggersi, costruire un piccolo villaggio in mezzo alla natura, che le sia rispettoso, una cucina comune e uno spazio di apprendimento per i bambini e le bambine, sono le basi su cui abbiamo deciso di lavorare insieme; il resto sarà un fluire di energie, volontà e sincronicità, in cui tutto è possibile e niente è forzato. Chi fosse interessato a seguire il nostro viaggio di vita può trovare informazioni e contatti sul sito www.sentierinontracciati.com oppure su facebook sulle pagine Il mandala acchiappasogni e sul profilo personale Daniela De angelis. Fonte: https://www.italiachecambia.org/2020/07/comunita-natura-durante-pandemia/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

Montmélian, il villaggio più “solare” delle Alpi francesi

montemilian

Da circa trent’anni Montmélian, un piccolo villaggio della Savoia, ha deciso di scommettere sulle energie solari. In questo comune delle Alpi francesi, infatti, vi sono ben 2000 metri quadrati di pannelli solari su una popolazione di 4.000 abitanti. Una rete di recettori fotovoltaici e termici che gli sono valsi una reputazione internazionale. Béatrice Santais, sindaco di Montmélian sottolinea come la scelta lungimirante dei suoi predecessori sia stata il frutto di “una volontà politica, dei politici che credono e investono”. Secondo lei “investire nel solare, nella ristrutturazione degli edifici e della loro funzionalità energetica è un impegno che paga”.

La conversione all’energia solare è cominciata nel 1983, quando il sindaco dell’epoca fece installare i pannelli solari sulla piscina comunale. Fu accusato di essere un sognatore, un megalomane, un pazzo scriteriato visto che, all’epoca, questo tipo di tecnologia era agli albori. Quando, però, si tirarono giù i conti della spesa energetica e si constatò che era stato risparmiato il 74% sulla cifra della bolletta dell’energia anche i più scettici furono conquistati. “Si tratta di tecnologie destinate a penetrare sempre più il nostro quotidiano. Ma servono laboratori sperimentali per presentare queste realtà operative e dimostrarne l’efficacia. Qui ci troviamo in presenza di un ciclo virtuoso che ci permette, alla luce della realtà, di proporre concrete innovazioni”, ha spiegato Christian Schaeffer, responsabile della formazione e delle valutazioni all’Istituto di energia solare che si trova a una ventina di chilometri di distanza e che utilizza la costruttiva esperienza di Montmélian come un vero e proprio laboratorio a cielo aperto. Fra i progetti per l’immediato futuro vi è quello di realizzare un’eco quartiere in cui il solare coprirà l’80% dei bisogni energetici, grazie alla tecnologia delle reti di calore sviluppata soprattutto nel Nord Europa. Anche perché, è bene ricordarlo, non stiamo parlando di un villaggio del Sahara o della penisola arabica, ma di un paesino situato sulle rive dell’Isère, nel cuore delle Alpi Francesi.

Fonte:  Montmélian

Ecco come un piccolo villaggio rurale della Germania ha costruito l’autonomia energetica

Turbine eoliche, pannelli FV e un impianto a biogas hanno migliorato le condizioni di vita del piccolo centro dell’ex DDR e dimezzato i costi dell’energia

Le energie rinnovabili hanno cambiato il volto di Feldheim, piccolo villaggio dell’ex Germania est, rendendo la comunità locale completamente autonoma e migliorandone le condizioni di vita. La prima turbina eolica è arrivata a Feldheim nel 1995; una compagnia locale di energia rinnovabile, la Energiequelle ha colto il potenziale di sviluppo ed ha realizzato un parco eolico di 43 turbine e 74 MW, fornendo un reddito extra agli agricoltori che hanno affittato i terreni. In seguito sono arrivati i 284 pannelli fotovoltaici installati in un ex campo militare sovietico nei pressi del villaggio (2,4 GWhall’anno), oltre a un impianto a biogas in comproprietà tra Energiequelle e la comunità locale. L’aspetto più interessante è forse tuttavia la costruzione di una rete elettrica da parte degli abitanti, dopo che non aveva voluto vendergli la propria. In questo modo la filiera energetica è ora completa  e gli abitanti hanno potuto ridurre le loro bollette alla metà della media tedesca. Guardate l’immagine qui sotto, tratta da Google maps della campagna intorno a Feldheim: le pale eoliche convivono con la produzione agricola senza alcun impatto significativo sull’ambiente e con le adeguate manutenzioni e sostituzioni potranno provvedere energia al villaggio per i decenni e i secoli futuri. Guardate ora più sotto uno scenario un po’ diverso.Turbine-eoliche-Feldheim-Germania-620x360

Qui sotto siamo invece in North Dakota, la patria del fracking per la ricerca di shale gas e shale oil . La campagna è costellata di piattaforme per l’estrazione di gas e petrolio, senza contare le strade di collegamento, i 28000 km di oleodotti con centinaia di perdite di greggio nell’ambiente e le ferrovie dove a volte i treni deragliano ed esplodono (qui siamo poco ad est della CanAm highway, poco lontano dal museo dedicato agli esploratori Lewis e Clark). Qui i pozzi si esauriscono in fretta e nel giro di qualche decennio le multinazionali se ne andranno, dopo aver ben spremuto tutte le risorse, inquinato le falde acquifere, contaminato i terreni e usurato tutte le infrastrutture.

Quale strada vogliamo seguire nel nostro paese?Fracking-North-Dakota-presso-CanAm-highway-Lewis-Clark-Museum-620x424

Fonte: ecoblog

Anavra, il villaggio greco senza disoccupati

159001256-586x389

 

Anche grazie alla green economy, un piccolo borgo della Tessaglia diventa un modello di sviluppo, in controtendenza rispetto a quanto accade in Grecia. Nella nostra epoca di crisi le favole non sono quelle di mirabolanti trasformazioni da rospi a principi: anche le fiabe, con la recessione, subiscono i loro tagli e talvolta diventa incredibile quello che fino a una decina d’anni fa, magari, era la norma. È lo scotto che il nostro mondo paga al benessere irreale degli anni Novanta e della prima metà degli anni Zero. Dicevamo che ciò che era ordinario può diventare straordinario. Per esempio la storia di Anavra, un piccolo paese di 500 abitanti della Tessaglia dove lo tsunami che ha travolto tutta l’economia greca è stato percepito solamente come un’eco lontana. Gli abitanti dichiarano un reddito fra i 30mila e 150mila euro l’anno, merito del lavoro certosino del sindaco (anche se lì si chiama presidente della comunità) Dimitris Tsoukalas che nei primi anni Novanta è giunto in questo borgo privo di acqua corrente e strada e in sedici anni da “presidente della comunità” ha creato un modello di sviluppo sostenibile da far invidia a tutta Europa. Tsoukalas ha creato un modello economico cooperativistico fra gli abitanti, attirando i giovani e scommettendo sulla green economy. Gran parte dei residenti sono allevatori con metodi biologici, ma importanti risorse economiche arrivano dalla collaborazione fra i residenti e un parco eolico che permette di vendere energia e ricavare soldi da destinare alla comunità. Le pale installate sul monte Orthris che domina Anavra produce energia elettrica per 13mila famiglie e fa entrare nelle casse pubbliche tra i 50 e i 100mila euro l’anno. E la disoccupazione è a zero. Niente male per un paesino di 500 abitanti.

Fonte: Greek Reporter

 

Il villaggio tedesco che si stacca dalla rete perché è diventato energicamente indipendente (SI PUO’ FARE)

timthumb

 

Un paesino tedesco si è reso indipendente dal resto della Germania, almeno per quanto riguarda l’energia. Parliamo di Feldheim, appena 150 anime, circa 90 km a sud di Berlino. A rendere possibile ciò, il vasto campo di 47 mulini a vento che domina questo piccolo villaggio, situato in un ambiente tranquillo e pastorale. Il capo dei pompieri locali, Thomas Glück, ha affermato che dopo Fukushima la città è stata inondata da giapponesi che cercano di studiare il loro metodo. Ma oltre ai mulini, ci sono i pannelli solari lungo il bordo della città. I residenti hanno dato un contributo di 3000 euro per costruire la loro rete elettrica nel 2010, dando loro il controllo completo sui prezzi elettrici, i quali sono il 30% in meno rispetto alla media nazionale, con prezzi fissati mediante riunioni. L’utilizzo dell’energia prodotta viene gestita dai residenti stessi che devono bilanciarla e si applicano sanzioni in caso di sovra-sfruttamento. TEDESCHI DA PRIMATO: Wildpoldsried in Baviera: il villaggio super-mega-rinnovabile che produce il 321% di energia in più!

Esistono altresì cabine per la ricarica delle auto elettriche. Per quanto concerne il riscaldamento delle case invece, viene utilizzato un impianto di biogas che brucia gas utilizzando gli scarti agricoli. E’ previsto un impianto biogas in ogni edificio della città. Questa indipendenza economica ha anche portato posti di lavoro e benefici economici a Feldheim, dopo il crollo dei prezzi del grano che ha messo in ginocchio la comunità agricola locale. Peraltro, i residenti non sono stati neppure disturbati dagli odori provenienti dalla fabbrica di produzione di biogas. Certamente, va sottolineato come questo splendido modello non possa funzionare in tutto il mondo, poiché il suo segreto è la disponibilità di rifiuti agricoli, ampie distese di terra, e, last but not least, l’estrema motivazione dei cittadini. Comunque, resta una grande speranza per un futuro migliore e in fondo possibile.

 

Fonte: tuttogreen