Riscaldamento globale e viticoltura: i vigneti si spostano sempre più a Nord

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Il riscaldamento globale sta trasformando la viticoltura garantendo ottime annate a latitudini impensabili fino a qualche decennio fa. Sta succedendo a Vinland, una terra leggendaria che deve la sua toponomastica all’arrivo sulle sue coste dei vichinghi, alcuni secoli prima di Cristoforo Colombo. Secondo alcuni storici e climatologi tra il 1000 e il 1200 d.C. le temperature in Europa e nel Nord America erano di un grado superiori a quelle attuali e consentivano la viticoltura a latitudini elevate. Le ultime notizie sulle rotte navali vichinghe verso Vinland risalgono al 1121, poi le temperature diminuirono, ponendo fine alle coltivazioni. In questi ultimi anni, però, il global warming sta riportando indietro di un millennio il clima e le coltivazioni e non sono a Vinland. Anche i viticoltori inglesi festeggiano in questo 2015 una produzione maggiore e di qualità migliore. “La produzione di vino dipende fortemente dal clima. La terra è importante ma il clima è decisivo. Quello che cerchiamo di fare qui è produrre vino in condizioni climatiche che permettano la maturazione delle uve ma siano abbastanza fresche da mantenerne fragranza, complessità ed eleganza”, spiega Chris Foss, direttore del Dipartimento di viticoltura al Plumpton College, nell’Inghilterra meridionale, primo e unico del suo genere in Gran Bretagna. A sud e nella fascia mediterranea il global warming genera problemi nella produzione vinicola, soprattutto in quei luoghi caldi destinati a diventare più torridi e asciutti. Una situazione che riguarda anche il nostro Paese e pone i viticoltori di fronte alla necessità di modificare l’irrigazione e selezionare nuove varietà e vitigni.

Fonte: Askanews

 

I cambiamenti climatici spingono vigneti e uliveti sempre più a Nord

Gli uliveti sono arrivati a Sondrio, mentre al sud si inizia a coltivare frutta esotica. Frutti esotici come banane e avocado nel Sud Italia, ulivi che crescono nella provincia di Sondrio e, ancora, vigneti a 1200 metri di quota e a due passi dal massiccio del Monte Bianco. È il risultato dei cambiamenti climatici e del riscaldamento globale, dei termometri italiani che hanno fatto registrare nove dei dieci anni più caldi della storia dal 2000 a oggi: dopo il 2014 che è stato il più caldo di sempre ci sono 2003, 2007, 2012, 2001, 1994, 2009, 2011, 2000 e 2008. Coldiretti nel padiglione “No farmers no party” dell’Expo ha messo in mostra negli scorsi giorni i frutti delle coltivazioni che i cambiamenti climatici stanno spingendo più a Nord. Il caldo ha fatto aumentare di un grado la media dei vini italiani e in alcuni casi ha addirittura costretto i viticoltori a una precoce vendemmia: Ma è cambiata anche la distribuzione geografica dei vigneti, tanto che a Morgex e a La Salle, in Valle d’Aosta, non lontano dal massiccio del Monte Bianco, ci sono i vitigni più alti d’Europa che producono le uve tardive per il Blanc de Morgex et de La Salle Dop. Anche gli ulivi – sotto attacco della Xylella in Puglia – stanno dando ottimi frutti nel Nord Italia, non soltanto sul Lago di Garda – che sfrutta da lungo tempo un microclima favorevole -, ma addirittura oltre il 46esimo parallelo, in provincia di Sondrio, a latitudini e altezze prima impensabili. La coltivazione degli ulivi nella provincia di Sondrio è passata in dieci anni da zero a circa diecimila piante, su quasi 30mila metri quadri di terreno. La metà della produzione italiana di pomodori arriva dalla Pianura Padana, mentre in Sicilia, più precisamente a Giarre, ai piedi dell’Etna, viene coltivato l’avocado, un frutto tipicamente tropicale. A Palermo si riescono a produrre le banane. I cambiamenti climatici, però, non creano soltanto opportunità, ma possono essere degli ostacoli: gli esiti del riscaldamento sulla stagionatura dei salumi, sull’affinamento dei formaggi e sull’invecchiamento dei vini sono imprevedibili e per molti prodotti tipici il rischio di estinzione non è poi così remoto. Ecco perché l’adattamento al riscaldamento globale è una delle principali sfide per continuare a “nutrire il pianeta” in maniera sostenibile ed adeguata.

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Fonte:  Coldiretti

Foto | Mazzocco

Vino e viticoltura industriale. L’importanza di bere consapevolmente

Sostanze tossiche, inquinamento dei vigneti, scempio paesaggistico e perdita di biodiversità. Questi i principali problemi legati alla viticoltura industriale nelle mani di grandi aziende e spesso guidata da interessi speculativi. L’alternativa però esiste ed è rappresentata dai vini bio e biodinamici, o semplicemente naturali.

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L’abitudine, che soprattutto in Italia ancora si mantiene, di bere un bicchiere di vino a tavola, se da un lato esprime un aspetto legato alla tradizionale dieta mediterranea che consente di utilizzare importanti polifenoli e sostanze antiossidanti, dall’altro si scontra con un scandaloso capovolgimento di gestione vitivinicola che ha portato le grandi aziende ed i grandi interessi speculativi a servire sulla tavola un cocktail di sostanze tossiche ben etichettato e ben pubblicizzato. Se da un lato inizia a prevalere l’idea che l’alcool è comunque nocivo per la salute, dall’altro si sottovaluta la presenza di residui tossici derivati dai maltrattamenti chimici che i vigneti industriali subiscono in campo e che i mosti ricevono in cantina. Senza tralasciare lo scempio paesaggistico che la viticoltura industriale ha causato anche nei comprensori più belli e rinomati, serve capire che puntualmente ogni 15-20 giorni i vigneti non certificati bio vengono trattati con insetticidi ed anticrittogamici che penetrano nel grappolo al fine di proteggerlo da qualsiasi attacco parassitario, distruggendo chiaramente anche gli insetti ed i microrganismi utili. Senza avere pietà neanche per la salute di chi con queste sostanze entra in contatto quotidianamente non solo irrorando i vigneti, ma subendo nelle proprie stesse abitazioni una invasione sempre più accentuata di areosol tossici, nei comprensori vitivinicoli più densamente popolati quali il Veneto ed il Friuli sono spesso gli stessi Sindaci responsabili della mancanza di misure cautelari.

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Se l’attenzione si concentra spesso sull’anidride solforosa utilizzata per non far andare un vino all’aceto, nessuna attenzione è posta sulla politica che se n’è ormai da tempo andata all’aceto, per cui si stanziano miliardi di euro per non far crollare le vendite di un prodotto che ormai è tossico e si destinano “incentivi di livello tale da invogliare i produttori non competitivi ad abbandonare la viticoltura”. Così negli anni è stata distrutta la meravigliosa biodiversità presente nella nostra penisola riducendo le diverse centinaia di varietà di uve da vino ad un solo centinaio oggi ammesso per la vinificazione. Che vergogna assistere all’espianto obbligatorio dei vecchi vitigni e vedere il territorio invaso da vitigni francesi che si ammalano più facilmente ed appiattiscono il gusto dei nostri rossi e meravigliosi bianchi. In Toscana ad esempio contro gli 83 vitigni con cui è concesso di vinificare, sono per fortuna conservati e descritti al livello regionale ben 130 varietà di altre uve mentre altre ancora, a serio rischio di estinzione, sono presenti nei comprensori più incontaminati. Alla scomparsa della biodiversità ed all’inquinamento dei vigneti e dei relativi comprensori si aggiunge la discutibile attività portata avanti dall’enologia mondiale che con additivi e manipolazioni chimiche consente al vino finale di appiattirsi su un gusto definito dai manuali bouquet, che risente tra l’altro dei disastrosi interventi in campo che si cerca di tamponare chimicamente in cantina.

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Non serve citare i nomi delle innumerevoli molecole che si utilizzano per far partire una fermentazione che potrebbe essere naturale (se non si fossero sterilizzati i vigneti) e per pilotarla verso i risultati voluti, conservabilità in testa, con i soliti parametri bidimensionali dell’acidità e del volume alcoolico, dal mantenimento del colore e dell’assenza di residui sul fondo, dall’allontanamento dello ossigeno e dei microrganismi ed al mantenimento di un certo grado zuccherino. Basta dire che sono tanti e che nell’ultimo rapporto Pesticidi nel Piatto 2012 di Legambiente l’allarme per il multi residuo (fino ad 8 residui tossici rilevati nei campioni di vino) e i suoi effetti sulla salute risulta pesante con il vino regolarmente contaminato in ogni regione. Possiamo fermarci per oggi. In alternativa suggerisco di assaggiare vini bio e biodinamici o semplicemente naturali, in cui la fermentazione parte spontaneamente con i lieviti presenti in campo per poter assaporare qualcosa che esprime il clima, il terreno in cui un vitigno viene coltivato, l’aroma del vitigno stesso e soprattutto l’arte secolare dei nostri più attenti vignaioli. Li troverete in ogni comprensorio italiano. Lasciamo all’industria il problema delle cantine piene di un prodotto omologato difficile da piazzare anche a parenti ed amici. Il vino genuino esiste e non si può che innamorarsene, è un’emozione che parte dalle papille olfattive, si mostra come una favola già davanti agli occhi, canta in bocca mentre si sofferma sotto la lingua ed esplode nel palato, senza scandalizzarsi se lo si versa in mano per sentirne col tatto tutta la sua piacevole fragranza, anche se è la mente il sesto senso per cui è stato prodotto dai tempi dei tempi.

Fonte: il cambiamento

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