Uranio impoverito in Siria: ecco cosa si rischia

Secondo il presidente dell’Anavafaf, Falco Accame, in un eventuale attacco americano potrebbero venire scaricate sulla Siria 84 tonnellate di uranio impoverito671356-543x350

L’Asia è sempre stato il “laboratorio” nel quale gli Stati Uniti hanno collaudato i nuovi armamenti. Le bombe nucleari di Hiroshima e Nagasaki nell’atto conclusivo della Seconda Guerra Mondiale, l’agente arancio, il napalm e altri agenti chimici in Vietnam poi, le armi con uranio impoverito in Kuwait e, successivamente, in Afghanistan e in Iraq. L’uranio ha lasciato un’eredità pesantissima, ma nonostante da oltre vent’anni i suoi effetti deleteri siano di dominio pubblico, il suo utilizzo continua a essere circondato da una cortina di fumo anche in virtù dei forti interessi economici che dalla sua commercializzazione vengono mossi. Ora che all’orizzonte si profila un nuovo conflitto nell’area mediorientale si torna a parlare del possibile impiego di armi con uranio impoverito. Secondo Falco Accame, presidente dell’Anavafaf (Associazione nazionale assistenza vittime arruolate nelle forze armate e famiglie dei caduti) ed ex presidente della Commissione Difesa della Camera, in caso di attacco da parte delle forze armate statunitensi potrebbero piovere sulla Siria fino a 84 tonnellate di uranio impoverito:

Ognuno dei 280 missili Tomahawk, che dovrebbero essere utilizzati, contiene infatti 300 Kg di uranio impoverito negli impennaggi. Inestimabili i danni alla popolazione per i prossimi decenni. Cosa si aspetta a mettere al bando questo tipo di armi?

Già cosa si aspetta a mettere al bando queste armi. Una risoluzione dell’Onu datata 1978 aveva proposta di bandirle. E chi fu a proporla? Proprio gli Stati Uniti d’America che successivamente non firmarono i protocolli e usarono questo materiale altamente contaminante nei conflitti degli anni Novanta e del primo decennio del nuovo millennio.

Fonte:  Ansa

 

Acque reflue urbane, la raccolta migliora in Europa, ma con troppe differenze da un Paese all’altro

Il 91% del carico inquinante proveniente dalle grandi città dell’UE beneficia di un trattamento più rigoroso, con un notevole miglioramento rispetto al 77% del 2008. Eppure, solo 11 delle 27 capitali sono dotate di un adeguato sistema di raccolta e di trattamento, nonostante l’obbligo risalga a vent’anni fa375908

Migliora, secondo i dati diffusi dall’Unione europea, ilsistema del trattamento delle acque reflue delle città europee, anche se rimangono differenze significative fra i diversi paesi. Nel periodo 2009/2010, il tasso di raccolta risulta molto elevato, con 15 Stati membri che raccolgono il 100% del loro carico inquinante totale. Tutti hanno mantenuto o migliorato i risultati già ottenuti, sebbene il tasso di conformità sia tuttora inferiore al 30% in Bulgaria, Cipro, Estonia, Lettonia e Slovenia. I tassi di conformità per il trattamento secondario sono in media pari all’82%, con un aumento di 4 punti rispetto alla relazione precedente. I tassi di conformità per il trattamento più rigoroso destinato a contrastare l’eutrofizzazione o ridurre l’inquinamento batteriologico che potrebbero avere ripercussioni sulla salute umana, sono, complessivamente, pari al 77%. L’Austria, la Germania, la Grecia e la Finlandia registrano una percentuale di conformità del 100%. La maggior parte (91%) del carico inquinante proveniente dalle grandi città dell’Unione europea beneficia di un trattamento più rigoroso, e ciò costituisce un notevole miglioramento rispetto alla situazione descritta nella relazione precedente (77%). Ma in un allegato della relazione, in cui si confronta la situazione delle 27 capitali europee, si lancia un monito: solo 11 delle 27 città sono dotate di un adeguato sistema di raccolta e di trattamento, nonostante il fatto che le norme siano state fissate piu’ di 20 anni fa (nel 1991).
Nel periodo 2007/2013, l’Ue ha contribuito a migliorare la situazione con fondi per 14,3 miliardi. Il migliore trattamento delle acque reflue e la minor quantità di scarichi di acque reflue non trattate nell’ambiente hanno consentito di migliorare la qualità delle acque di balneazione: se all’inizio degli anni’ 90, solo il 60% circa dei siti di balneazione vantava acque di qualità eccellente, oggi la quota e’ aumentata al 78%. Janez Potočnik, Commissario per l’Ambiente, ha dichiarato: “Il trattamento delle acque reflue è un test fondamentale per la società: Eliminiamo i rifiuti che produciamo o stiamo rovinando l’ambiente da cui dipendiamo? Sono soddisfatto di vedere che le tendenze vanno nella direzione giusta e sono lieto di constatare che l’azione della Commissione, che associa misure di sostegno finanziario a, se necessario, azioni legali, sta dando i suoi frutti a vantaggio dei cittadini europei”.
Leggi la relazione della Rappresentanza Italiana a Bruxelles

Fonte: eco dalle città

No Tav, LTF investe in pubblicità per spegnere il dissenso

Al rapporto Duran che rimandava al 2030 la valutazione della fattibilità della Tav, la Lyon-Turin Ferroviaire ha risposto con una campagna pubblicitaria sui principali quotidiani italiani e francesi 164376437-586x390

Visto che l’opinione pubblica non la si può comprare e visto che anche molti addetti ai lavori non hanno prezzo (come nella nota pubblicità della carta di credito), visto che ci sono politici per i quali il bene comune viene prima degli interessi privati, uno dei tanti mezzi che i gruppi di pressione hanno per contrastare il dissenso, ammorbidire gli addetti ai lavori e opporsi ai politici dissenzienti è sovvenzionare i principali strumenti capaci di creare consenso. La sovvenzione è totalmente legale, non c’è niente di illegale. Diciamo che consolida i rapporti di collaborazione. Diciamo che per il giornalista sarà più difficile parlare male della Tav, argomento che diventa sempre più teatro di uno scontro di pancia fra opposte fazioni che utilizzano slogan e dogmi fideistici invece dei numeri, i soli elementi utili a diradare la nebbia che viene alzata appositamente sul progetto da chi sa benissimo che la Tav, intesa come corridoio 5, non si farà mai. Non si farà perché il Portogallo ha rinunciato, perché la Spagna ha uno scartamento diverso rispetto all’Europa e perché la Francia ha fatto sapere – come riportato da EcoAlfabeta alcune settimane fa – che l’opera non è prioritaria e che se ne potrà riparlare fra 20-30 anni. Questo se si guarda a occidente, perché a oriente la situazione è ancora peggiore: la Slovenia sta cercando di smarcarsi da una crisi per la quale fino a pochi mesi fa si ventilava addirittura l’ipotesi di un salvataggio UE. Fine della storia, con buona pace dei sostenitori. Eppure l’opera continua a essere definita “strategica” anche da chi ha sotto mano i conti in rosso di Stato, regioni e province. Qualche settimana fa, dopo che il rapporto Duron ha rimandato di vent’anni l’opera, la Lyon-Turin Ferroviaire ha lanciato una campagna pubblicitaria intitolata “Siamo sulla buona strada” (“Nous sommes sur la bonne voie”), campagna per la quale si può ben usare l’aggettivo di strategica. Sono state coinvolte nove testate e i loro rispettivi siti: tre quotidiani nazionali francesi (Le Monde, Le Figaro e L’Equipe), un quotidiano locale francese (Le Dauphiné Libéré), tre quotidiani nazionali italiani (La Repubblica, La Stampa, Il Corriere della Sera) e due giornali locali della Valsusa (Luna Nuova, La Valsusa). La LTF non ha nascosto di voler “rispondere alle critiche, reagire in maniera forte” con la sua “campagna di informazione”.

Ma Daniel Ibanez che coordina il comitato francese che si oppone al progetto la vede piuttosto come una “campagna pubblicitaria” e si chiede

con quale diritto e con quale denaro una società incaricata di fare degli studi e di fornire rilievi tecnici per l’apertura di un cantiere fa pubblicità? 

Il diritto di farlo LTF ce l’ha, dal punto di vista giuridico. Il problema è che lo fa per un’opera che dovrebbe costare 26 miliardi di euro e si ritrova con le casse completamente vuote. Una cifra astronomica che fa certo scomparire la campagna da 350mila euro lanciata per rinsaldare la collaborazione con la stampa francese e italiana. È questa, secondo il sito TerraEco la cifra che sarebbe stata spesa per la campagna Sì Tav. Una stima della quale sono note solamente le cifre pagate ai quotidiani francesi (67mila euro a Le Figaro, 65100 euro a L’Equipe e 81000 euro a LeMonde) che qualche giorno dopo sono tornati a seguire con grande passione le vicende della Tav.

Fonte:  TerraEco

Europa, prima divoratrice mondiale di foreste

In meno di vent’anni, tra il 1990 e il 2008, i consumi europei hanno causato l’abbattimento di foreste in varie parti del mondo per un’estensione pari ad almeno 9 milioni di ettari. Ad essere riconosciuti come i principali responsabili della deforestazione sono i prodotti alimentari.foresta9_deforestazione

In meno di vent’anni, tra il 1990 e il 2008, i consumi europei hanno causato l’abbattimento di foreste in varie parti del mondo per un’estensione pari ad almeno 9 milioni di ettari, una superficie paragonabile a quella dell’Irlanda. Peggio ancora di Usa e Canada: siamo noi europei i primi consumatori di foreste al mondo. Un triste primato, registrato il 2 luglio dalla stessa Unione Europea nel rapporto “The impact of Ee consumption on deforestation”. Secondo il Wwf, “emergono prove inquietanti su come l’Unione importi prodotti derivanti dalla deforestazione in quantità superiore a quella prevista, nonostante il suo impegno a ridurre la deforestazione tropicale del 50% entro il 2020”. E dire che Bruxelles aveva promosso lo studio nel 2011 per contribuire a contrastare i cambiamenti climatici e la perdita di biodiversità a livello mondiale. Obiettivo: valutare l’impatto del consumo europeo sulla perdita delle foreste nel mondo. A quanto pare, i migliori boschi del pianeta li divoriamo alla velocità della luce: più che il legname, ci interessa il pascolo che si ottiene radendo al suolo gli alberi. L’analisi dell’Ue, spiega Alessandro Graziadei in un report su“Unimondo”, ripreso da “Megachip”, verifica le importazione di beni di consumo legati all’abbattimento delle foreste, soprattutto quelle di Amazzonia, Sud-Est asiatico e Africa. Noi di fatto “non importiamo legname, ma registriamo enormi consumi soprattutto di prodotti alimentari come carne, latte, caffè e tutti quei prodotti alimentari che trasformano definitivamente le foreste in pascoli o in piantagioni”. Prodotti alimentari, si legge nel rapporto, “che sono oggi riconosciuti come i maggiori responsabili della deforestazione”. Se è vero che la maggior parte delle colture e dei prodotti animali connessi con la deforestazione nei paesi di origine sono consumati a livello locale o regionale, precisa Graziadei, risulta però che negli ultimi 18 anni, nel mondo, sono stati esportati principalmente da paesi in via di sviluppo il 33% dei raccolti e l’8% del bestiame prodotti proprio grazie alla deforestazione. Di questi, l’Europa ne ha importato e consumato il 36%. Mentre, nello stesso periodo, i più limitati consumi di Usa e Canada hanno complessivamente causato l’abbattimento “solo” di 1,9 milioni di ettari di foreste. Tutta l’Asia orientale, compresa la Cina e il Giappone, è responsabile dell’abbattimento di 4,5 milioni di ettari.9deforestazione

Per il Wwf, inoltre, le stime sul peso europeo nella deforestazione sono caute, e andrebbero riviste al rialzo, tenendo conto anche delle importazioni legate a prodotti tessili e servizi vari. “L’aumento dei consumi di colture come la soia, l’olio di palma e prodotti connessi, così come il consumo di carne, sono la causa principale della deforestazione nelle aree tropicali”. Alla luce di questi dati – sostiene Dante Caserta, presidente di Wwf Italia – le autorità europee “devono agire subito”. Dello stesso avviso anche Chiara Campione di Greenpeace: “Se la nostra impronta forestale continuerà a crescere e l’Europa non cambia subito rotta rischiamo di compromettere l’intero ecosistema: dovremmo cominciare a dare il buon esempio, eliminando la deforestazione per la quale siamo direttamente responsabili”. Surreale la risposta della Commissione Europea, massima responsabile della catastrofe economica che sta mettendo alla corda tutto il Sud Europa, con la più spietata politica di rigore mai attuata nella storia: greci, spagnoli, portoghesi e italiani possono pure affondare nella disperazione, mentre perle foreste Bruxelles è disponibile a giocare la sua immagine,  impegnandosi per misure concrete in materia di sviluppo sostenibile. “È chiaro che se l’Unione Europa vuole tornare ad atteggiarsi a prima della classe in campo ambientale – rileva Graziadei – deve mettere mano ad alcune delle questioni evidenziate nello studio, come ad esempio l’impatto del settore alimentare, le abitudini di consumo e una migliore informazione e sensibilizzazione presso consumatori e industriali”. E qui si scende sul terreno del ridicolo: la stessa Commissione Europea che impone agli Stati il pareggio di bilancio, senza alcuna trasparenza sulle proprie decisioni centrali, sul futuro delle foreste annuncia addirittura “un’ampia consultazione pubblica via web per raccogliere i pareri aggiuntivi in tutta l’Unione con l’obiettivo di raccogliere ulteriori suggerimenti e di valutare criticamente future iniziative politiche”. Propaganda a parte, ricorda “Unimondo”, tra i problemi reali sul tappeto c’è quello dei biocarburanti, che ora costituiscono circa il 5,7% delle miscele di benzina e gasolio, ma dovranno arrivare al 10% entro il 2020 sfruttando per l’operazione un terreno agricolo più grande del Belgio. “I biocarburanti dovrebbero esser amici del clima, ma solo in teoria”. Coltivare piante per biocombustibili “richiede trattori, macchinari, concimi, pesticidi e soprattutto nuove terre sottratte alle foreste o alle coltivazioni alimentari”. In questo caso, un terreno agricolo “grande più del Belgio” da trovare in qualche parte del mondo sarà “adibito a ‘sfamare’ le vetture europee, e i poveri del mondo tireranno ulteriormente la cinghia”. Inoltre, “i terreni coltivati saranno ulteriormente ampliati a spese delle foreste”. La direttiva Ue ora in vigore raccomanda che non vengano incentivati biocarburanti prodotti distruggendo le foreste, “ma è probabile – sottolinea Graziadei – che i biocarburanti cresciuti su terreni freschi di deforestazione non prenderanno la strada dell’Europa, lasciando inalterato il risultato planetario”. Ma allora, come contrastare questo modello consumistico? Le associazioni ambientaliste preoccupate per questa ingombrante leadership europea non hanno dubbi: “O proseguiamo in una autodistruttiva deforestazione, o mettiamo energie e volontà politica in una lungimirante decrescita felice”. Magari, appunto, meno drammatica di quella – feroce – imposta dalla Troika ai ‘prigionieri’ dell’Eurozona.

Articolo tratto da LIBRE

Fonte: il cambiamento