Abdul, l’uomo che protegge la foresta

Circa 40 anni fa Abdul Kareem comprò cinque acri di terra in un’area disabitata di Kasargod, nel distretto di Malabar, nel nord del Kerala, in India. Poi ha comprato altra terra, fino ad arrivare a oltre 30 acri e ha piantato molto alberi. Lì ha fatto crescere e ha custodito la sua foresta, un inno alla natura.abdulkareem

Faceva l’agente di viaggio ed era lontano cinque giorni a settimana; in un primo momento aveva pensato che quel terreno gli sarebbe servito per trovare un po’ di relax tra uno spostamento e l’altro. Abdul Kareem ha comprato prima cinque acri, poi è arrivato a oltre 30, ha piantato alberi e ha trasformato quella terra in una foresta vibrante. Mano a mano che la sua foresta cresceva, allo stesso modo cresceva in lui l’amore per quella vittoria della natura. «Prendersi cura della natura è la principale missione della mia vita» afferma Abdul, che oggi ha 68 anni. E’ nato in un villaggio vicino al mare, dove c’erano solo colline e giungla. Da bambino fantasticava sulle foreste  e quando ha comprato quella terra brulla e rocciosa, che a fatica permetteva alla vegetazione di crescere, è riuscito a vederci ciò che sarebbe diventata. «Ho lasciato che la foresta crescesse da sè» spiega. Nessuna irrigazione né fertilizzati, nessuna interferenza umana. In pochi anni è cresciuta una vegetazione fitta e verde con circa 300 specie di piante. Sono arrivati gli uccelli e hanno diffuso i semi ovunque. Quando ci si mette piede, sembra di entrare in un santuario, ha detto Roshan Shah, uno scrittore che è stato ospite di Abdul. Tutt’intorno a quegli ettari di verde i terreni sono coltivati intensamente e forse è anche per questo che così tante specie animali hanno trovato rifugio proprio tra gli alberi di Abdul, dagli uccelli ai serpenti, dai mammiferi agli insetti. E c’è acqua pura, rigenerata grazie al rigenerarsi dell’ambiente. La temperatura all’interno della fitta vegetazione è la più bassa dell’intera regione e proprio nel cuore della foresta c’è un piccolo cottage dove Abdul vive con la moglie. Quest’uomo buono e generoso permette ai vicini di attingere alle sorgenti sulla sua terra e di cogliere frutti e foglie per ricavarne medicamenti. «Un giorno mi ha fermato il proprietario di una catena di hotel – spiega Abdul – voleva comprare la mia terra e costruirci un albergo con un resort ayurvedico. Offriva un’enorme somma di denaro e mi avrebbe anche permesso di restare qui, ma ho rifiutato». Si è ricordato di quanto valga l’esempio e di quanto valga anche un solo pezzo di foresta per ispirare l’inversione di rotta di cui c’è assoluto bisogno.

Fonte: ilcambiamento.it

Dai cambiamenti climatici ai disastri naturali, ecco l’ambiente nel sondaggio Ipsos Mori 2014

Global Trends 2014 è il sondaggio globale di Ipsos Mori che analizza diversi temi, tra cui anche l’ambiente. Ecco i risultati su ciò che si pensa nel mondo di cambiamenti climatici, tasse e ricicloglobal-trends-2014

E’ una grande e ambiziosa indagine statistica globale quella appena presentata da IPSOS MORI e che prende in considerazione le risposte raccolte su un campione di intervistati nel settembre del 2013. Tra i tanti argomenti sottoposti c’è anche l’ambiente. Ecco di seguito le domande e le risposte, davvero sorprendenti in tanti casi. Gli argomenti spaziano dai disastri naturali, ai cambiamenti climatici (con qualche trabocchetto per gli scettici del clima) al riciclo. Le risposte tracciano profili complessi ma anche una grande voglia di parlare di ambiente.

Ambiente e disastri naturaliipsos-mori-ambiente-disastri-naturali

La prima domanda che riguarda l’ambiente è stata fatta a 16030 adulti on line, di cui 1000 in Gran Bretagna (il campione è il medesimo per tutte le domande):

Stiamo andando verso i disastri ambientali se non cambiamo le nostre abitudini rapidamente?

Ebbene, i cinesi ne sono convinti per il 97 per cento degli intervistati a fronte degli più scettici americani che pensano sia possibile appena per il 57 per cento. Gli Italiani invece ci credono per l’84 per cento, con Francia (75 per cento), Spagna (70 per cento), Belgio (73 per cento), Germania (75 per cento) e Svezia (65 per cento); più scettica la Polonia (59 per cento) con Gran Bretagna (59 per cento).

Troppa confusione sull’ambienteipsos-mori-confusione-ambiente

 

La domanda è complessa e richiede una risposta di pancia:

Sono stanco di questo trambusto intorno all’ ambiente

Curiosamente i più stanchi sono i brasiliani (55 per cento) che evidentemente dopo i Mondiali Brasile 2014 consumati tra disastri ambientali di ogni genere inclusa la sempre più rapida deforestazione amazzonica che è costata la vita a 20 ambientalisti, si dicono oltre il limite di sopportazione sulle questioni ambientali. Gli italiani si dicono stanchi per il 19 per cento, confermando un grande interesse verso le questioni ambientali mentre solo gli indiani (51 per cento) condividono il sentimento di stanchezza con i brasiliani.

Aziende e ambienteipsos-mori-attenzione-aziende-ambiente

La domanda è diretta e le risposte sono sorprendenti:

Le aziende non prestano sufficiente attenzione all’ambiente.

Ebbene sono proprio i cinesi a essere quasi totalmente d’accordo, almeno nel 93 per cento delle risposte; segue la Turchia (86 per cento) con Argentina e Italia che per l’83 per cento sono d’accordo con il fatto che le compagnie non siano attente all’ambiente. I giapponesi si dicono d’accordo per il 45 per cento il che lascia perplessi considerato che nel 2011 c’è stato il disastro di Fukushima nel 2011.

Il ricicloipsos-mori-riciclo

Qui non c’è una domanda ma un’affermazione:

Provo a riciclare per quanto posso

e si dice d’accordo il 92 per cento dei cinesi seguiti da canadesi e belgi (entrambi con 88 per cento), australiani (87 per cento) e poi da turchi, britannici e italiani (tutti all’86 per cento>). I meno virtuosi o forse i più onesti nelle risposte sono i giapponesi (65 per cento) e i russi (60 per cento) che probabilmente ammettono di non essere troppo attenti al riciclo.

Tasse e ambienteipsos-mori-ambiente-tasse

Veniamo alla nota dolente delle tasse con la domanda:

I governi usano la questione ambientale come scusa per aumentare le tasse.

Ne sono convinti il 73 per cento degli spagnoli e il 72 per cento dei francesi. Mentre appena il 44 per cento degli italiani lo pensa! Credo sia un dato sorprendente che ci dice quanto invece gli italiani siano consapevoli di cosa siano le tasse e di dove vadano a finire e di quanto sopratutto la questione ambientale nel nostro Paese sia ignorata.

Scettici se ci siete uscite fuoriipsos-mori-cambiamenti-climatici-scettici

Veniamo alla domanda che dovrebbe stanare gli scettici:

Anche gli scienziati sulla questione ambientale non sanno di che cosa stanno parlando

Ebbene i cinesi per il 75 per cento e i giapponesi per il 67 per cento ne sono convinti. Fa strano quel 58 per cento di tedeschi che crede che nemmeno la scienza abbia le idee chiare sulla questione ambientale mentre udite udite, appena il 36 per cento degli italiani è d’accordo. Ha fiducia nella scienza, almeno sulle questioni ambientali, il 55 per cento dei nostri compatrioti.

Cambiamenti climaticiipsos-mori-cambiamenti-climatici

 

Veniamo alla domanda cruciale sui cambiamenti climatici riservata agli scettici:

I cambiamenti climatici a cui stiamo assistendo sono un fenomeno naturale che si manifesta ciclicamente.

Ebbene ne sono convinti indiani (52 per cento con un 42 per cento che si dice non d’accordo), americani (52 per cento) e cinesi (51 per cento), ovvero gli stessi che a ogni conferenza sulle azioni da intraprendere per contrastare i cambiamenti climatici a livello globale fanno saltare gli accordi. Ora sappiamo bene perché.

Cambiamenti climatici causati dall’uomo

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Veniamo alla domanda trabocchetto:

I cambiamenti climatici a cui stiamo assistendo sono causati largamente dal comportamento umano.

Pazzesco, ma il 93 per cento dei cinesi si dice d’accordo a cui seguono l’84 per cento degli italiani e degli argentini. Restano scettici gli americani (54 per cento) e i britannici (64 per cento) e questa è la prova del nove del perché le Conferenze internazionali sul clima potranno fallire ancora per molti anni.

Global Trends 2014 è l’elaborazione di un ampio sondaggio condotto da Ipsos MORI: oltre16mila interviste condotte fra il 3 e il 17 settembre 2013, 20 paesi del mondo coinvolti, un “panel” statistico composto da un pubblico di cittadini e consumatori attivi sul web e fortemente connessi. Il progetto, molto ambizioso, fotografa lo stato dell’arte su una serie di comportamenti e tematiche di rilevanza mondiale (dall’ambiente alla salute, dall’attivismo politico ai brand). E si propone di lanciare il dibattito su quel che sarà in futuro.

Fonte: ecoblog.it

La peste del ventunesimo secolo e le due medicine

Sonia Savioli si dedica alla terra da 27 anni; semina, raccoglie e ha compreso come la chimica non serva alle piante, anzi faccia danno. E le piante sono un po’ come guardarsi dentro, da un seme crescono la nostra biologia, i nostri equilibri, la nostra anima e i nostri corpi. Nemmeno a noi fa bene la chimica, conclude Savioli. E ci propone questa sua riflessione sull’importanza del terreno, sia quando è “terra” sia quando è “uomo”.medicina_industriale

Uno dei grandi tabù del nostro tempo è la medicina “industriale”. Possiamo chiamarla così? Dato che è nelle mani di poche grandi industrie multinazionali, le quali condizionano le politiche sanitarie dei governi, le informazioni (e le menzogne) dei media ufficiali, le ricerche pubblicate (o non pubblicate) sulle riviste scientifiche ufficiali, i corsi universitari e l’ascesa o la caduta di carriere mediche, direi che possiamo chiamarla così.

La medicina industriale sta alla medicina naturale come l’agricoltura industriale sta all’agricoltura biologica. D’altra parte, ambedue si occupano di creature viventi: l’agricoltura e la medicina industriale unicamente per trarne profitto economico e, in ambedue i casi, il profitto principalmente della grande industria. L’agricoltura e la medicina naturale, escludono la grande industria (tutto ciò che è naturale pare essere incompatibile con la grande industria) e, benché chi ci lavora debba cercare di portarsi a casa la pagnotta, ambedue le attività hanno come presupposto filosofico, ideologico e morale, la necessità di mantenere o ripristinare la salute e la forza, l’equilibrio e il benessere delle creature a loro affidate. La medicina e l’agricoltura industriale hanno presupposti e obiettivi completamente differenti: vogliono sterminare i nemici degli organismi di cui si occupano; organismi che considerano imperfetti, deboli e inetti; nemici che vedono nella natura che ci circonda e nella nostra stessa natura: virus, batteri e predisposizioni genetiche. Natura di cui facciamo parte, della cui sostanza siamo composti e ci nutriamo. Virus e batteri che ricerca avidamente e combatte indefessamente (a furia di antibiotici somministrati anche per una sbucciatura al ginocchio, noi si diventa immunodeficenti e i batteri antibiotico resistenti). “Koch aveva ragione: il microbo è niente, il terreno è tutto”, lo disse persino Pasteur, convertitosi alla realtà poco prima di morire. Da ventisette anni semino, pianto, raccolgo e posso vedere con i miei occhi come la “medicine chimiche” non servano alle piante quando terreno e clima non sono adatti a loro. Grazie al cambiamento climatico e al riscaldarsi del pianeta, in questa zona già piuttosto arida di Toscana parecchi tipi di piante da frutto un tempo coltivati si sono estinti. Non sono serviti a nulla i pesticidi usati dagli agricoltori industrializzati. Il rimedio trovato dagli altri è stato quello di ricercare e piantare vecchie cultivar, specie più adatte a sopportare caldo, aridità, gelate più tardive. Piante più forti e rustiche, in grado di sopportare e difendersi. La medicina industriale combatte la malattia attaccando ciò che all’interno del nostro organismi ci sta danneggiando, senza domandarsi il perché, senza occuparsi delle cause, senza valutare le conseguenze delle sue “cure”. Al vertice della medicina industriale ci sono le grandi industrie multinazionali; quelle a cui dobbiamo colpi di stato, sfruttamento a livelli schiavistici nel terzo mondo e tentativi sempre più pressanti di importarlo anche in Europa, distruzione dei mari e delle terre, falsificazioni di ricerche scientifiche. Per tali industrie della medicina ogni ammalato è un cliente, ogni sano è un cliente perso. Ma potenziale. L’interesse di chi guadagna miliardi (e potere) distruggendo l’ambiente e la salute è di continuare a distruggere; l’interesse di chi guadagna miliardi (e potere) vendendo medicine è di non prevenire e di non guarire la malattia, ma di “curare” il cliente in modo che sopravviva (non importa come) il più a lungo possibile. Come possono le industrie multinazionali voler eliminare le cause delle malattie? Nel novanta per cento dei casi sono loro le cause: i loro rifiuti tossici, i loro cibi industriali, i loro pesticidi irrorati nei campi e sui nostri cibi, i loro trasporti su gomma e per mare e per cielo che impestano l’aria e producono il riscaldamento globale, il loro petrolio e la loro plastica sparsi per ogni dove… E come possono industrie multinazionali che prosperano economicamente, oltre che per merito di tutte queste cause di inquinamento e malattia, anche per merito di medicinali elargiti a malati cronici, che sono ormai la maggioranza dei malati, desiderare il proprio drastico ridimensionamento e la propria estinzione come industria globale? Perché questo comporterebbe “curare il terreno”. Ed ecco a chi oggi ci affidiamo per mantenere o ripristinare la nostra salute; ecco perché il potere medico è tabù indiscutibile; ecco chi istruisce, consiglia, “aggiorna” i nostri medici curanti, i nostri pediatri.

La medicina è industria e merce e pretende di essere più che una scienza: una religione dogmatica e indiscutibile.

Secondo l’Associazione degli Anestesisti i morti per errori medici in Italia sono 14.000 l’anno (quattordicimila!). C’è chi contesta questo dato. affermando che sono molti di più, ma noi ci atterremo alla stima più bassa, dato che ci sembra già mostruosa. Eppure l’infallibilità di tale scienza rimane un dogma, metterla in discussione è tabù. I medici che ci si provano vengono ostracizzati, minacciati, diffamati, infamati. E così, se una buona percentuale di medici meno ottusi ha qualche dubbio, se lo tiene per sé. I medici che scelgono le terapie naturali sanno che per loro le difficoltà saranno molto maggiori, i guadagni molto minori. Se poi scelgono di contestare la medicina industriale, vuol dire che sono degli eroici combattenti decisi a vender cara la pelle con il solo scopo di difendere un avamposto. In attesa di tempi migliori.

Primo, non nuocere.

Nel  quattordicesimo secolo in tutta Europa imperversò la peste. Morì la gran parte della popolazione, più nelle città che nelle campagne. In alcune città morì il 90% degli abitanti.

La peste è un batterio.

Batteri e virus sono apparsi sulla terra qualche miliardo di anni prima di noi, pare, e sono incommensurabilmente più numerosi di noi. Il buon senso e la logica dovrebbero dirci, e la medicina naturale ritiene, che qualsiasi organismo si sia sviluppato in seguito sul nostro pianeta non possa che essere in grado, in condizioni normali, di difendersi egregiamente da essi. Se e quando è necessario difendersi. Lo scopo della medicina naturale, quando il nostro organismo non è in grado di reagire in modo efficace a un’eventuale attacco, dovrebbe essere quello di aiutarlo sì a difendersi, ma soprattutto di ripristinare l’equilibrio e la forza del nostro sistema immunitario, e di eliminare le cause che hanno portato a tale squilibrio. E’ ovvio che un fitoterapeuta o un omeopata (né alcun altro tipo di medico) non possono ripristinare l’equilibrio e le “condizioni normali” a Taranto o a Caserta, a Porto Marghera o sotto una linea dell’alta tensione. Questo era il compito della medicina preventiva, questo era il significato che le si dava negli anni ’60 e ’70, quando tanto se ne parlava: denunciare e combattere le cause delle malattie, le condizioni nocive di lavoro, l’inquinamento ambientale, l’avvelenamento dell’aria, dell’acqua, della terra. Oggi per “medicina preventiva” s’intende che ti fanno una TAC perché hai mal di testa, senza nemmeno visitarti. Poi le scorie radioattive delle TAC vanno nella cava di Cerignola, alla faccia del prevenire.

Ma quali erano le “condizioni normali” nel quattordicesimo secolo in Europa?

La Civiltà Occidentale attraversava un periodo particolarmente fiorente e prospero. Infatti la borghesia cittadina si era ormai impadronita delle campagne e stava sviluppando a tutto spiano le forze produttive. I contadini non dovevano più produrre per il proprio sostentamento e per quello del padrone, come negli arretrati tempi feudali. Dovevano produrre per il padrone e per il commercio del padrone, e per sé stessi se ce la facevano. Il commercio del padrone, che adesso era un mercante della città, richiedeva un tale sviluppo della produzione, che molti contadini, non riuscendo a “svilupparsi” così in grande e così celermente, lasciavano le campagne e fuggivano nelle città. Dove potevano lavorare come operai e servi per gli stessi mercanti che li avevano affamati e sfruttati fino all’osso nelle campagne, o potevano mendicare e morire di fame. Vi ricorda qualcosa? Un po’ più in grande, magari: oggi le nostre campagne sono i continenti del cosiddetto Terzo Mondo; abbiamo arraffato le loro terre, i contadini espropriati e affamati sono corsi a riempire le città vivendo nelle bidonvilles e lavorando per una scodella di riso, per un tozzo di pane nelle fabbriche che producono per conto delle multinazionali euro nordamericane. Ma non è che la storia si ripeta. E’ semplicemente la stessa storia di dominio che va avanti e si espande in Impero Globale.

Ma torniamo alla peste e vediamo se è tutta colpa del batterio.

Nella fiorente seconda metà del 1300 a Siena, per esempio, vivevano più di 50.000 abitanti. Come adesso. Adesso però il Comune di Siena occupa una superficie che si è moltiplicata di parecchie volte. Allora quei 50.000 e passa abitanti se ne stavano ammucchiati dentro le antiche mura di una città senza fogne né acquedotto. A Milano, all’interno delle mura medievali, c’erano 200.000 persone; a Firenze 120.000. In tutte queste città gli abitanti erano di parecchie volte superiori a quelli che adesso occupano lo stesso spazio. Tutti i loro escrementi quotidiani venivano gettati nelle strade, tutti i loro rifiuti di qualsiasi genere marcivano sotto il sole o si mischiavano alla pioggia colando per ogni dove. Sotto il sole estivo tutto marciva allegramente e la puzza della città si sentiva a chilometri di distanza.

C’è da meravigliarsi se gli umani di quei tempi e di quei luoghi attribuissero il contagio pestifero ai miasmi di quell’aria mefitica? Sicuramente respirarla non era salutare.

C’erano poi le concerie, le tintorie per i tessuti (l’industria e il commercio fiorivano): liquami che riempivano i  terreni intorno alle mura, percolavano nelle falde. Migliaia di miserabili, che lavoravano in quelle tintorie e concerie, vivevano ammassati in tuguri che oggi in quelle stesse città sono utilizzati come sottoscala o cantine, dove non arrivava mai un raggio di sole, dove un’umidità fatta soprattutto di fetidi liquami impregnava suolo e muri. E pagavano una pigione. In compenso i ricchi mangiavano carne tutti i giorni, ma i ricchi abitavano nelle città e la carne d’estate in quelle cloache ci metteva poco a imputridire. Anche per questo le spezie erano così preziose e i piatti del tardo medioevo così speziati.

Quello che il fatidico batterio trovò sul suo cammino furono quindi popolazioni stremate dalla fame e dallo sfruttamento. Trovò gente già mezza morta: di fame, di fatica, di putredine in cui viveva, dei cibi putridi che mangiava; oltre che di paura, disperazione, terrore e rabbia. Perché la lotta di classe infuriava in tutta Europa, come appare logico, e infuriavano in tutta Europa le guerre del capitale per impadronirsi dei mercati. Entrando in una di quelle “belle” città, calpestando immondizie ed escrementi in tutte le fasi di marcescenza e respirando i loro miasmi, sfiorando muri intrisi di umidità che non asciugava mai, c’era da meravigliarsi che gli abitanti fossero ancora vivi. Forse si stupì anche il batterio e decise che erano i posti giusti per darci dentro.Morirono i poveri e morirono i ricchi. L’unico vero vantaggio della ricca borghesia era poter fuggire in campagna, nelle loro proprietà e domini: perché si vide subito che la peste aveva una preferenza spiccata  per le città in particolare, e poi per i borghi che erano città in miniatura. Penso che oggi la nostra situazione abbia molte somiglianze con quella della Grande Peste. Anche se non buttiamo più orina ed escrementi e rifiuti in mezzo alle strade.  Tra parentesi: non si sa bene se la gente allora morisse tutti di un tipo di peste, di più tipi di peste, di più tipi di malattie. I nostri rifiuti li buttiamo più in là, sono molto più pericolosi di quelli medievali, ci ritornano indietro comunque. Cosa troverebbe allora il “nostro” batterio? Ammesso che riesca a sopravvivere ai “nostri” rifiuti: abbiamo fiumi batteriologicamente puri, zone di mare batteriologicamente pure, sicuramente anche terre batteriologicamente pure: i batteri non sopravvivono ai nostri rifiuti e liquami. E infatti, mentre fino a 50-60 anni fa si moriva quasi esclusivamente per infezioni: polmonite, tifo, difterite, dissenteria e così via, oggi  in Occidente si muore soprattutto di malattie autoimmuni: le malattie autoimmuni sono quelle in cui il sistema immunitario attacca il proprio stesso organismo. Come se dall’organismo stesso venisse la minaccia. Cancro, leucemia, sclerosi multipla, artrite reumatoide, colite ulcerosa, lupus eritematoso, asma allergica… Le malattie autoimmuni sono una reazione di difesa che cerca i nemici al proprio interno. Ma non è quello che fa anche la “medicina industriale”? Negli USA tagliano mammelle per prevenire il cancro. Dunque non è certo del batterio che dovremmo preoccuparci, tanto più che coi nostri antibiotici sempre più micidiali (è indispensabile che lo siano, dato che ormai hanno selezionato batteri antibioticoresistenti) li sconfiggeremo certamente. Ma forse di qualcosa dovremmo preoccuparci. Ci sono tanti tipi di peste. La nostra peste magari nascerebbe dalle discariche di rifiuti tossici. Quelle illegali già scoperte costellano tutta l’Italia: Trentino, Brianza, La Spezia, Veneto, Toscana, Ciociaria, basso Lazio, Pescara, Molise, Campania, Puglia, Aspromonte, Crotone, Catania…. dai campi alle cave, dalle massicciate ferroviarie e stradali alle fondamenta di ospedali e scuole. Poi ci sono gli inceneritori e le tossiche ceneri che vengono mischiate con il cemento e con l’asfalto. E i cibi? Noi non mangiamo cibi putridi, magari qualcuno è anche batteriologicamente puro, come l’acqua clorata. Mangiamo cibi geneticamente modificati, plastificati, addizionati di sostanze chimiche, imbevuti dei veleni dell’agricoltura industriale, raffinati fino a perdere ogni sostanza. Nelle città respiriamo gas di scarico, cioè benzina bruciata.

I bambini di oggi, nella forsennata lotta della Medicina Industriale contro virus e batteri,  rischiano di ricevere fino a 40 vaccinazioni prima di diventare adulti.

Sui vaccini i pareri tra le due medicine sono discordi (come su quasi tutto). La medicina naturale li considera, nel migliore dei casi, un rischio per l’efficienza e l’equilibrio del sistema immunitario. Se avesse ragione, dopo le 30 o 40 vaccinazioni il sistema immunitario sarebbe come un pugile suonato. E in ultimo, per dare il colpetto di grazia, sono arrivati i telefoni cellulari: pochi giorni fa l’associazione dei pediatri ha sconsigliato i telefonini per i bambini sotto i dieci anni. Alla buon’ora! Perché cuociono i loro teneri cervelli. I cervelli adulti sono un po’ più coriacei e ci vuole più tempo per la cottura. In Italia i tumori infantili aumentano del 2% all’anno. In Italia ci sono 57.000 ammalati di sclerosi multipla, 1800 in più ogni anno; la sclerosi multipla si manifesta perlopiù tra i 29 e i 33 anni; paesi record sono USA e Canada. Gli ammalati di artrite reumatoide sono in Italia 330.000, la maggior parte tra i 35 e i 40 anni; 100.000 giovani, soprattutto tra i 15 e 30 anni sono ammalati di colite ulcerosa o del Morbo di Crohn. Ecco cosa troverebbe oggi il nostro batterio: un’umanità avvelenata, debilitata, isterilita, la cui salute è minacciata da tutto ciò che fa, che respira, che beve, che mangia e, nell’accelerata fulminea del progresso, anche da ciò che ascolta e che fa frizzare cervello, timpani, nervi acustici e bulbi oculari. Le avvisaglie della prossima peste, batterio o non batterio, ci sono tutte, comprese la paura, la frustrazione, la disperazione che colpisce soprattutto le giovani generazioni. Cosa aspettano allora i medici?Cosa dovrebbe fare oggi una categoria di persone che per mestiere ha scelto di occuparsi della salute umana, di fronte alle minacce all’ambiente che mettono in discussione la vita intera? Di fronte a uno stile di vita autodistruttivo? Non toccherebbe a loro lanciare l’allarme alla collettività, alle istituzioni e anche ai singoli pazienti? Interrogare e interrogarsi, denunciare, combattere, prendersi le responsabilità che competono al medico: anche di fronte agli interessi delle grandi industrie, comprese quelle farmaceutiche. Quanto perderà di fiducia e credibilità la categoria dei medici, quanto sarà vista con sospetto e disprezzata, se viene meno al suo ruolo in questa battaglia? E quanto invece potrebbe fare di buono, di utile, di importante, usando la sua scienza e la sua autorevolezza per preservare, prevenire, riconquistare la salute degli esseri umani, che non può prescindere da quella della terra che abitiamo e che ci dà da vivere.

Fonte: il cambiamento.it

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I neonicotinoidi non uccidono solo le api: pericolosi anche per gli esseri umani

Due insetticidi neonicotinoidi possono avere effetti dannosi anche sul sistema nervoso umano: a dirlo è la European Food Safety Authority (EFSA). Dunque, non sono pericolosi solo per le api.api

I neonicotinoidi incriminati sono l’acetamiprid and l’imidacloprid, che secondo i dati raccolti dall’Efsa risulterebbero neutorossici per l’uomo. Il panel di esperti che ha lavorato sulla questione ha anche sollecitato che vengano definiti criteri sulla base dei quali rendere obbligatori studi specifici per l’autorizzazione di queste sostanze, comprese strategie per valutare il potenziale neurotossico di tutti i neonicotinoidi. Il parere dell’Efsa era stato richiesto dalla Commissione Europea dopo una recente ricerca comparsa sulla rivista scientifica PlosOne che attestava proprio effetti sul sistema nervoso. Gli esperti Efsa hanno concluso che l’acetamiprid e l’imidacloprid possono avere effetti negativi sullo sviluppo dei neuroni e sulle strutture cerebrali danneggiando funzioni come l’apprendimento e la memoria. Il parere conclude affermando che gli attuali livelli di esposizione potrebbero non essere adeguati per garantire protezione e quindi dovrebbero essere ridotti; si sollecitano anche ulteriori studi. Per quanto riguarda le api la tossicità è ormai ampiamente dimostrata. L’Italia è stato il primo paese a sospendere l’impiego per la concia delle sementi con un divieto temporaneo, gli altri Paesi sono andati avanti in ordine sparso fino a quando la Commissione Europea nel 2012, ha chiesto ad Efsa di esprimersi. Il parere ha sollecitato il divieto d’uso almeno sulle colture più sensibili come mais e colza (arrivato nel gennaio 2013) ma le sostanze prese in esame erano state solo tre (clothianidin, imidacloprid e thiamethoxam).

Fonte: il cambiamento

Cani, perché intuiscono quello che stiamo per fare

L’intelligenza canina e la capacità di comprendere il comportamento umano sono il frutto di una selezione naturale, ma anche di un lungo cammino fatto insieme109948517-586x390

L’uomo indaga da millenni il comportamento dei cani ed è da essi a sua volta indagato, scrutato e compreso. Il legame fra uomo e cane è antico ed è stato favorito dalla capacità di questi ultimi di digerire gli amidi che ha dato loro la possibilità di essere addomesticati. Ora, una ricerca condotta dall’Abertay University di Dundee, ha gettato una nuova luce sui legami emotivi e di affetto che si creano fra l’uomo e il cane. La ricerca è durata 18 mesi su 24 cani divisi in tre gruppi: 1) addestrati, 2) addestrati domesticamente, 3) randagi. Il team di lavoro coordinato dalla docente Clare Cunningham ha scoperto che la capacità di prevedere i nostri comportamenti non è solamente innata, ma si accresce di generazione in generazione. Il comportamento dei cani si fa, dunque, più raffinato. I cani hanno accettato gli uomini come loro partner sociali, grazie al processo di addomesticazione e, per questa ragione, hanno affinato, sempre di più, la capacità di interpretare il loro comportamento. Ma l’aspetto più sorprendente e meno indagato è che queste abilità possono essere trasmesse da una generazione a quella successiva, con un progressivo miglioramento delle capacità di comprensione. Lo studio mostra come la risposta agli ordini sia svincolata dall’addestramento, ma connessa al grado di familiarità che il cane ha con il proprio padrone. Come si è giunti a questo “patto” fra uomo e animale? Da una parte con una selezione naturale che ha provocato un’evoluzione genetica, dall’altra con un percorso comune che ha permesso ai cani di perfezionare queste abilità con l’esperienza. Se un cane ci riporta un bastone non è una questione di addestramento, ma una questione di affetto, un legame emotivo su cui la scienza non potrà, comunque, mai dirci abbastanza.

Fonte:  The Telegraph

 

L’uomo e l’ambiente: 500mila anni di follia in 3 minuti e mezzo

Il genio di Steve Cutts per raccontare la (d)istruttiva storia di quello che l’uomo ha chiesto e continua a chiedere alla natura. Un corto d’animazione che diventa operetta morale

Steve Cutts è un eclettico blogger ed artista londinese che spazia dalla pittura alla scultura, dall’illustrazione all’animazione. Quello che Ecoblog vi propone quest’oggi è un video dalla forte tematica ecologista, intitolato Man. Pubblicato il 21 dicembre 2012 su Youtube, questo video è diventato un vero e proprio caso ottenendo oltre 5.211.000 visualizzazioni sulla principale piattaforma video al mondo e più di un milione di play su Vimeo. Il tema centrale di questo splendido corto è l’ambiente. L’uomo arriva sulla Terra e la prima cosa che impara è la violenza verso gli altri esseri viventi. Dall’atto gratuito si passa all’utilitarismo. L’uomo utilizza la pelle dei serpenti per fare degli stivali e le pellicce per coprirsi dai rigori del freddo, poi inizia a uccidere gli animali per i motivi più futili: per divertimento, per oggetti di lusso. Lo stupro nei confronti della natura continua con foreste di alberi che vengono trasformate in altissime colonne di fogli di carta. In un progresso autodistruttivo scandito dal Peer Gynt di Edvard Grieg, l’uomo, inconsapevole dei danni che procura alla Terra, continua incessante la sua marcia cementificando tutto il cementificabile. Lasciamo agli utenti di Ecoblog la sorpresa del beffardo epilogo, consapevoli del fatto di come un video di questo genere sia più potente, dal punto di vista della comunicazione, di qualsiasi campagna o pubblicità progresso di stampo tradizionale. L’animazione è un’arte giovane e vitale che trova nella forma del corto la sua espressione più efficace. In poco più di tre minuti e mezzo, Cutts ci mette di fronte all’assurdità dei nostri comportamenti. E il male più grande non sembra tanto essere l’errore quanto la perseveranza nello sbagliare. Una perseveranza che rischia di fare dell’uomo, il folle re di un regno inutile.

Fonte:  Youtube

“L’uomo è responsabile del riscaldamento globale in atto”, IPCC conferma

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Il riscaldamento globale è in atto e l’uomo è il principale responsabile dei cambiamenti climatici. A confermarlo è l’ultimo rapporto sul clima dell’IPCC (Intergovernmental panel on climate change) presentato venerdì scorso a Stoccolma. Secondo il rapporto molti dei cambiamenti osservati dal 1950 a oggi sono senza precedenti su una scala temporale che va dalle decine di anni ai millenni. Oceani e atmosfera si sono riscaldati, la quantità di neve e ghiaccio è diminuita, i livelli dei mari si sono alzati e sono aumentate le concentrazioni di gas serra in atmosfera. Tra 1880 e 2012, la temperatura media della Terra, ossia quella della superficie degli oceani e delle terre emerse combinate insieme, è cresciuta di 0,85 gradi Celsius. Per il livello del mare l’intervallo di tempo è lievemente differente, tra 1901 e 2010, e l’aumento in questo caso è di 19 centimetri. Secondo il rapporto il cambiamento del clima è causato dalle attività umane al 95-100 per cento o comunque è “estremamente probabile”. In base al rapporto, dal 1750 a causa dell’uso di combustibili fossili, agricoltura e deforestazione, la concentrazione atmosferica dei tre principali gas serra è aumentata e il record è stato raggiunto dalla CO2 che ha segnato un 40 per cento. Il rapporto spiega inoltre che entro questo secolo, le temperature aumenteranno fino a un massimo di 4,8 gradi Celsius e il livello del mare salirà da un minimo di 26 centimetri a un massimo di 82 centimetri. Ognuno degli ultimi tre decenni, inoltre, è stato più caldo di quello precedente e, in generale, più caldo di qualsiasi periodo negli ultimi 1400 anni. In particolare, il primo decennio del XXI secolo è stato in assoluto il più caldo dal 1850. Alla luce del nuovo report dell’Ipcc (Intergovernmental panel on climate change), Greenpeace chiede “ai governi di agire subito sui cambiamenti climatici”. Il report, secondo l’associazione, “mette in allarme su un intensificarsi degli impatti, ma mostra anche che si può ancora agire per prevenire gli effetti più disastrosi”. “L’unica risposta sensata ai segnali allarmanti che ci manda il Pianeta è l’azione immediata. Purtroppo chi è entrato in azione si trova ora in galera in Russia, mentre i responsabili del caos climatico sono protetti dai governi di tutto il mondo”, ha affermato Andrea Boraschi, responsabile clima di Greenpeace, riferendosi ai 30 attivisti e membri dell’equipaggio della Arctic Sunrise agli arresti. “Per salvare il clima e garantire un futuro ai nostri figli – prosegue – l’unica strada percorribile è quella delle energie rinnovabili. L’era dei combustibili fossili va definitivamente archiviata”. “La buona notizia di questo documento – dice ancora Greenpeace – è che abbiamo ancora una possibilità per scegliere il nostro futuro. Se i governi rispettano gli obiettivi che si sono dati e per i quali non si stanno impegnando come dovrebbero, se avviamo veramente la rivoluzione energetica nel segno dell’efficienza e delle rinnovabili, allora possiamo farcela”.

A.P.

Fonte: il cambiamento

Vivisezione e sperimentazione sugli animali: i crimini dell’ uomo contro la natura

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Immaginate di vivere rinchiusi in una gabbia senza alcun controllo su ogni aspetto della vostra vita. Senza il potere di decidere cosa mangiare, come spendere il vostro tempo, o se avere o non avere un compagno o dei figli.

Sareste disposti a passare la vostra vita in questo modo?

Prigionieri senza essere colpevoli di alcun crimine, perché questa è la vita di un animale in laboratorio. Deprivazione, isolamento e miseria. E non illudetevi che in Italia o sotto la benemerita UE, possa essere differente..

Nei soli U.S.A. oltre alla deprivazione a cui sono costrette le cavie, la legislazione autorizza l’uso di metodi disumani come avvelenamento, isolamento, annegamento, uso di droghe, danni al cervello e mancata somministrazione di cibo.

Nessun esperimento non importa quando doloroso e banale è proibito:

Gli antidolorifici non sono utilizzati. Anche quando le alternative all’uso degli animali in laboratorio sono disponibili, la legge non richiede che essi siano usati, e purtroppo non lo sono quasi mai. Gli Animali vengono infettati con malattie che non avremmo mai potuto e dovuto contrarre, come i topi che sviluppano tumori grandi quando il loro intero corpo, gatti che vengono di proposito accecati, ratti che vengono sottoposti a chirurgia, e il cranio dei primati viene aperto per conficcare elettrodi all’intero. E alla fine di tutte queste terrificanti, malsane e dolorose procedute gli animali vengono di nuovi rinchiusi in gabbia, senza antidolorifici per lenire la loro sofferenza. Molti video ci narrano di come queste povere creature temano ogni persona che si avvicini alle sbarre della loro prigione. Senza sapere se verranno trascinati per subire un iniezione, un operazione chirurgica o la morte.

Immaginate di vivere rinchiusi in una gabbia senza alcun controllo su ogni aspetto della vostra vita.

Senza il potere di decidere cosa mangiare, come spendere il vostro tempo, o se avere o non avere un compagno o dei figli. Sareste disposti a spendere la vostra vita così? Prigioni senza essere colpevoli di alcun crimine, perché questa è la vita di un animale in laboratorio. Deprivazione, isolamento e miseria. Nei soli U.S.A. oltre alla deprivazione a cui sono costrette le cavie, la legislazione autorizza l’uso di metodi disumani come avvelenamento, isolamento, annegamento, uso di droghe, danni al cervello e mancata somministrazione di cibo. Nessun esperimento non importa quando doloroso e banale è proibito: e gli antidolorifici non sono richiesti. Anche quando le alternative all’uso degli animali in laboratorio sono disponibili, la legge non richiede che essi siano usati, e purtroppo non lo sono quasi mai.

Gli Animali vengono infettati con malattie che non avremmo mai potuto e dovuto contrarre,

Come i topi che sviluppano tumori grandi quando il loro intero corpo, gatti che vengono di proposito accecati, ratti che vengono sottoposti a chirurgia, e il cranio dei primati viene aperto per implementare elettrodi all’intero. E alla fine di tutte queste terrificanti, malsane e dolorose procedute gli animali vengono di nuovi rinchiusi in gabbia, senza antidolorifici per lenire la loro sofferenza. Molti video ci narrano di come queste povere creature temano ogni persona che si avvicini alle sbarre della loro prigione. Senza sapere se verranno trascinati per subire un iniezione, un operazione chirurgica o la morte.

Nessun animale è immune dalla sperimentazione:

Primati, cani, ratti, gatti, conigli, pesci e gatti sono solo alcuni degli animali di rutine che vengono resi cavie inermi ed impotenti.

Tratto da peta.org

Sfortunatamente noi tutti “beneficiamo” di questi esperimenti. Ogni prodotto, ogni sostanza dedicata all’ uomo deve essere necessariamente testa sugli animali. Questo è un dato di fatto. Quindi se vogliamo veramente combattere anche la vivisezione con le sue crudeltà, dobbiamo essere disposti a rinunciare al nostro stile di vita consumistico e abbandonare l’ ipocrisia che alberga nel cuore di ognuno di noi.

Alessandro Di Coste

Fonte: naturopatiaonline

 

Alle Hawaii i pesci mangiano plastica: i rischi per l’uomo

Nelle isole Hawaii il 19% dei pesci catturati presenta residui plastici nell’organismo. Risalendo la catena alimentare potrebbe danneggiare anche l’uomo 88613690-586x374

Uno se le immagina come isole ricolme di frutti e fiori, oasi di natura incontaminata, sfiorate appena dal progresso. Nulla di tutto ciò: alle Hawaii i pesci mangiano plastica e tali quantitativi plastici ingeriti dai predatori, sarebbero in grado di mettere a rischio la salute dell’uomo. Un’equipe di ricerca ha analizzato il contenuto dello stomaco di 600 pesci catturati nel corso degli ultimi sei anni, scoprendo come in sette specie di predatori su dieci siano presenti residui plastici. Non tutti, però, sono colpiti dal ”fenomeno” allo stesso modo: i ricercatori hanno infatti trovato plastica nel 19% dei pesci catturati. La specie con la maggiore quantità presente nello stomaco è l’Opah, conosciuto anche come Pesce Luna, mentre altre specie quantitativamente più numerose, sono risultate meno esposte, su tutte i tonni. Gli effetti dell’ingestione di plastica sulla salute di questi pesci predatori e sugli esseri umani che se ne nutrono restano ancora incerti, ma i risultati dello studio non lasciano dubbi sulla gravità del fenomeno:

I pesci lungo tutta la catena alimentare ingeriscono nel corso della loro vita una qualche forma di inquinamento da plastica,

rilevano i ricercatori americani. Il problema non è limitato all’oceano Pacifico. In un recente rapporto dell’agenzia federale dell’Ambiente tedesca e della Commissione Ue, è stato reso noto come tre quarti della spazzatura che si trova in mare sia plastica, tra cui soprattutto teli, buste e cassette per il pesce di polistirolo. Ovviamente dal fenomeno non si salva neanche il Mediterraneo in cui, come riporta lo stesso studio, la quota di rifiuti di plastica presenti supererebbe l’80%. Qualche anno fa Legambiente aveva addirittura lanciato l’allarme per l’insorgenza, al largo dell’Isola d’Elba, di una vera e propria isola di rifiuti di plastica simile – anche se di superficie inferiore – al più noto Pacific TrashVortex oceanico. Una volta entrata nella catena alimentare, la plastica arriva anche sulle nostre tavole. Una ricerca dell’Università di Siena ha fatto notare che micro particelle di plastica – con uno spessore di meno 5 millimetri, derivate dalla degradazione di rifiuti plastici – interferiscono con le capacità riproduttive delle balenottere. Che sono mammiferi, proprio come l’uomo. Il problema  – al quale è dedicato un lungo capitolo del documentario Trashed – non può più essere relegato a livello locale: è, a tutti gli effetti, un’emergenza globale.

Fonte:  Ansa

Per l’Oms l’ H7N9 virus dell’aviaria è il ceppo più mortale tra le influenze

Dopo il caso di influenza aviaria a Taiwan, l’Oms rende noto che il virus H7N9 è il più mortale tra le influenze conosciute.influenza-594x350

Un primo caso di contagio da influenza aviaria è stato ufficialmente dichiarato a Taiwan e così il virus H7N9 lascia i confini della Cina. Per l’Oms si è di fronte a uno dei virus influenzali più mortali. E’ stato dunque confermato a Taiwan il primo caso di influenza aviaria del ceppo H7N9 che ha contagiato un uomo di 53 anni che lavorava nella città su Suzhou che dista a circa 1h e 30 da Shanghai. I sintomi si sono presentati mentre era a Taipei 3 giorni dopo la sua partenza da Shanghai, lo scorso 9 aprile, così come riferito dal Centro di controllo epidemiologico di Taiwan, precisando che si trovava già in uno stato critico. Che il virus potesse lasciare i confini della Cina era apparso immediatamente possibile alle autorità sanitarie a causa dei frequentissimi spostamenti con Taiwan dove tuttavia si cercherà di contenere la sua diffusione nell’isola. Precisa l’Oms però che la sua possibile trasmissione da uomo a uomo non è stata ancora accertata. Keiji Fukuda, direttore generale per la sicurezza sanitaria e uno degli esperti che sta studiando il caso aviaria in Cina, ha però detto: Anche se il ceppo H7N9 nel focolaio corrente ha un tasso di mortalità inferiore fino ad oggi, è sicuramente uno dei virus influenzali più letali che abbiamo visto finora. Secondo l’ultimo bilancio presentato oggi a Pechino dall’Oms, sono state contagiate 108 persone di cui decedute 22. Sono dunque in corso le indagini sulle possibili fonti di infezione e serbatoi del virus. Fino a quando non sarà stata identificata la fonte di infezione, si prevede che ci saranno ulteriori casi di contagio umano in Cina. Finora, non ci sono prove di trasmissione in corso da uomo a uomo. Su invito del Servizio Sanitario Nazionale e della Commissione di pianificazione familiare della Cina è stato convocato un team di esperti che visiteranno le zone colpite da influenza aviaria A (H7N9) in Cina, al fine di fornire raccomandazioni sulla prevenzione e il controllo della malattia.

Fonte: Les Echos, WHO