Biodiversità e filiera agroalimentare, le nuove strategie dell’Unione Europea

Sono state ufficialmente lanciate la “Farm to Fork” e la “Strategia Europea per la Biodiversità al 2030”, che rappresentano un potenziale fattore di cambiamento per le politiche dell’Unione Europea in materia di natura e cibo e nella filiera agroalimentare. Un obiettivo da raggiungere attraverso una serie di azioni concrete come la riduzione dei prodotti chimici nell’agricoltura, la salvaguardia del 30% del territorio e dei mari, una sensibilizzazione sociale sulle criticità della produzione e del consumo eccessivo di carne (soprattutto in caso di allevamenti intensivi) e latticini. La pandemia ha portato con sé una scia di drammaticità che tuttora imperversa sul mondo intero. Ma il passato e l’attuale periodo di emergenza sanitaria, a molti, ha fatto comprendere ancora di più quanto sia stretto il rapporto fra uomo e natura. Anche in quest’ottica, la Commissione Europea si è adoperata per attuare delle politiche volte alla salvaguardia dell’ambiente: la prima mossa è stata la pubblicazione di una specifica tabella di marcia che impronterà l’azione politica dell’UE nei prossimi 10 anni in materia di biodiversità e di filiera agro-alimentare nell’ambito dell’European Green Deal. Come riportato in una nota del WWF, infatti, sono state lanciate il 20 maggio scorso la Strategia europea Farm to Fork (sulla filiera agroalimentare) e la Strategia Europea per la Biodiversità al 2030. Entrambe rappresentano un potenziale fattore di cambiamento per le politiche dell’Unione Europea in materia di natura e cibo e si articolano attraverso una serie di obiettivi e interventi virtuosi, come la riduzione dei prodotti chimici nell’agricoltura.

Gli obiettivi e le tempistiche

Uno dei primi passi che la Commissione Europea farà sarà quello di presentare il prossimo anno gli obiettivi vincolanti per il ripristino della natura dell’UE e di mirare alla salvaguardia del 30% del territorio e dei mari. Le operazioni in questione – che dovrebbero ultimarsi simbolicamente entro il 2030, come l’Agenda delle Nazioni Unite – sono sono alcune di quelle della Strategia per la biodiversità: «Il ripristino degli ecosistemi naturali – specifica il WWF – non solo contribuirà a risolvere la perdita di biodiversità, ma anche ad affrontare la mitigazione e l’adattamento ai cambiamenti climatici e permetterà di creare società ed economie resilienti». Per mettere in pratica una progettualità di interventi che rispetti le tempistiche è naturalmente fondamentale un investimento: «I 20 miliardi di euro all’anno da spendere per la natura menzionati nella strategia – specifica la più grande organizzazione mondiale dedicata alla conservazione della natura – devono essere destinati ad azioni finalmente concrete».

Le strategie

La strategia Biodiversità 2030 e la Strategia europea Farm to Fork (sulla filiera agroalimentare) dovranno viaggiare sullo stesso binario e quindi dovranno essere portate avanti insieme. Per quale ragione? Perché l’agricoltura è la principale causa di perdita di biodiversità in Europa. «I nuovi obiettivi, concreti e misurabili, per le filiere agricolo-alimentari – precisa il WWF – dovranno essere recepiti dagli stati membri all’interno dei propri piani nazionali per la PAC post 2020». L’organizzazione mondiale dedicata alla conservazione della natura evidenzia anche una criticità, ovvero come la Farm to Fork non affronti opportunamente le criticità della produzione e del consumo eccessivo di carne e di latticini. In pratica, così non si cambia davvero il comportamento dei consumatori e la transizione dall’allevamento intensivo di animali, nonostante il WWF, insieme ad altre ONG e a molti eurodeputati, avesse posto sotto i riflettori questa problematica che riguarda la salute dell’uomo e gli animali. Nessuna apparente falla, invece, sull’annuncio di una normativa comunitaria – da definirsi nel 2021 – nella quale si vieta che prodotti associati alla deforestazione globale vengano immessi nei mercati dell’UE.

I commenti di Ester Asin e Andreas Baumüller

«La Commissione Europea – ha affermato Ester Asin, Direttore dell’Ufficio Policy del WWF in Europa – ha dimostrato di essere pronta ad imparare dalla crisi sanitaria, proponendo azioni che possono trasformare in un rapporto sano il nostro rapporto malato con la natura. Questo atteggiamento lungimirante deve essere confermato e ulteriormente rafforzato nel Recovery Plan (RP) europeo. Chiediamo che il 50% del RP sia dedicato alla spesa per il clima e l’ambiente al fine di ricostruire economie e società più forti e resilienti». Alle sue parole hanno fatto eco quelle di Andreas Baumüller, responsabile delle risorse naturali per l’Ufficio Policy Europeo del WWF: «La prossima sfida per Ursula Von der Leyen sarà quella di creare in un vero e proprio Green Deal europeo, sostenuto dagli Stati membri e pienamente attuato».

Articolo tratto da: Journal Cittadellarte

Economia circolare, il 22 maggio l’Unione Europea adotta le nuove norme in materia di gestione rifiuti

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Le norme definiscono i seguenti obiettivi: entro il 2025 dovrà essere riciclato il 55% dei rifiuti urbani, entro il 2030 il 60% e entro il 2035 il 65%. Un altro obiettivo è fare in modo che entro il 2035 solo il 10 %, o meno, dei rifiuti urbani si riversi nelle discariche. L’UE si appresta ad adottare nuove norme in materia di gestione dei rifiuti, che prevedono obiettivi molto più rigorosi di riciclaggio dei rifiuti urbani e riduzione delle discariche, il 22 maggio, durante la Settimana verde 2018 dell’Unione europea. Si tratta del principale evento dedicato all’ambiente che si svolgerà dal 21 al 25 maggio e che quest’anno tratterà di come rendere più ecologiche le nostre città. Le norme renderanno il sistema europeo di gestione dei rifiuti il più avanzato al mondo e definiscono i seguenti obiettivi: entro il 2025 dovrà essere riciclato il 55% dei rifiuti urbani, entro il 2030 il 60% e entro il 2035 il 65%. Un altro obiettivo è fare in modo che entro il 2035 solo il 10 %, o meno, dei rifiuti urbani si riversi nelle discariche. La raccolta separata dei rifiuti organici diventerà obbligatoria entro il 2023. Queste norme aiuteranno le città a ridurre drasticamente i rifiuti, incrementare il riciclaggio e stimolare nuove idee di riutilizzo, diventando, così, campioni dell’economia circolare.

Città all’avanguardia

Poiché si prevede che l’80% dei cittadini europei vivrà in un’area urbana entro il 2020, la pressione ambientale sulle città sta crescendo rapidamente. Dai programmi per diventare città a zero emissioni di anidride carbonica alla pianificazione urbana sostenibile: numerose città, tra cui le Capitali verdi europeee le città Green Leaf dell’UE, stanno affrontando queste sfide. L’UE supporta continuamente la loro transizione con norme, strumenti e fondi.

La Settimana verde 2018 dell’Unione europea è l’occasione per scoprire come realizzare questo cambiamento.

Che cosa sta facendo l’UE

Attraverso eventi in tutta Europa e un’importante conferenza sulle politiche a Bruxelles, la Settimana verde dell’Unione europea presenterà gli interventi dell’UE a favore delle città e dei cittadini. La Settimana verde si aprirà ufficialmente il 21 maggio a Utrecht (Paesi Bassi) e si chiuderà il 25 maggio a Madrid (Spagna)Il vertice delle Città verdi europee si svolgerà a Bruxelles, dal 22 al 24 maggio. Uno degli argomenti principali in discussione sarà il modo in cui le norme dell’UE in materia di rifiuti, acqua e aria possono trovare più efficace applicazione, ad esempio attraverso l’Agenda urbana europea. Alcuni partenariati previsti dall’Agenda urbana, come quelli per l’economia circolare, la mobilità urbana e la qualità dell’aria, affronteranno questioni ambientali in modo specifico. Come porre la sostenibilità al centro dei processi di pianificazione delle città sarà un altro argomento di rilievo delle diverse decine di sessioni tematiche previste. Per aiutare le città a elaborare strategie urbane sostenibili, la Settimana verde vedrà il lancio del nuovo strumento Città verdi, che consente alle città di valutare le proprie prestazioni ecologiche e confrontarsi con altre città. Lo strumento è un serbatoio di informazioni per idee di pianificazione urbana verde e sostenibile. La sera del 23 maggio saranno annunciati i LIFE Awards, che premieranno i progetti LIFE più innovativi, interessanti ed efficaci nel campo della protezione della natura, dell’ambiente e dell’azione per il clima.

Partecipa al movimento

Molti cittadini stanno partecipando al movimento per città più sostenibili. A livello locale, le azioni ispirate al concetto di economia circolare stanno guadagnando terreno con l’apertura di repair café, un numero sempre crescente di iniziative per sostituire la plastica e interventi di giardinaggio urbano più numerosi. Partecipa alla Settimana verde dell’Unione europea recandoti agli eventi partnerche si svolgeranno in tutta l’UE, alla nostra conferenza di alto livello sulle politichea Bruxelles, al lancio a Utrecht, all’evento conclusivo a Madrid oppure on line tramite Twitter e la diretta Web.

Partecipa al movimento, assisti al miglioramento #EUGreenWeek

Fonte: ecodallecitta.it

 

 

Glifosato, via libera Ue per altri 5 anni. “Un regalo alle multinazionali”

Sì al glifosato per altri cinque anni. Così si è espressa la maggioranza degli Stati membri dell’Unione europea prorogando l’utilizzo dell’erbicida attualmente più utilizzato in agricoltura e classificato dallo Iarc come “probabilmente cancerogeno”. Tra i voti contrari quello dell’Italia. Dopo il mancato accordo del 9 novembre, una maggioranza qualificata degli Stati membri dell’Unione Europea ha prorogato per 5 anni l’utilizzo del glifosato. Hanno votato a favore Bulgaria, Repubblica Ceca, Danimarca, Germania, Estonia, Irlanda, Spagna, Lettonia, Lituania, Ungheria, Olanda, Polonia, Romania, Slovenia, Slovacchia, Finlandia, Svezia e Regno Unito. Contrari si sono dichiarati invece Italia, Belgio, Grecia, Francia, Croazia, Cipro, Lussemburgo, Malta e Austria e il Portogallo si è astenuto. La Commissione europea pubblicherà il rinnovo formale della licenza per il glifosato nell’Ue.

“Il voto odierno è un regalo alle multinazionali agrochimiche, a scapito di salute e ambiente. Bene comunque il voto contrario dell’Italia che ha dimostrato nuovamente di dare priorità alla tutela delle persone, e non al fatturato di chi produce e commercia il glifosato”, ha dichiarato Federica Ferrario, responsabile Agricoltura di Greenpeace Italia, commentando l’approvazione della proposta della Commissione europea sul rinnovo per altri cinque anni del glifosato.glyphosate_-certification_farming-field-1

La proposta della Commissione Ue, scrive Greenpeace in un comunicato, è basata su una dubbia valutazione del rischio sul glifosato, che afferma che non vi sono prove sufficienti su un legame della sostanza al rischio di cancro, nonostante l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC) lo abbia classificato come “probabilmente cancerogeno” per le persone. Allo stato attuale, continua l’associazione ambientalista, nessuno può affermare con certezza che il glifosato sia sicuro, specie dopo le rivelazioni che stanno continuando a emergere grazie ai cosiddetti “Monsanto Papers” e lo scandalo del “copia-incolla”, relativo a parti del rapporto dell’EFSA sui rischi dell’uso del glifosato copiate dalla richiesta di rinnovo dell’autorizzazione di Monsanto. Con il rinnovo della licenza dell’erbicida glifosato la Commissione europea e molti governi hanno “tradito la fiducia dei cittadini”, ignorando “gli avvertimenti di scienziati indipendenti, le richieste del Parlamento europeo e la petizione firmata da oltre un milione di persone che chiedono il divieto del glifosato”. Così la direttrice delle politiche alimentari di Greenpeace EuropaFranziska Achterberg ha commentato il voto con cui i paesi Ue hanno approvato la riautorizzazione del glifosato.

“Anche se solo per cinque anni, oggi si è persa l’occasione di sbarazzarsi di una sostanza pericolosa“, si legge in una nota diffusa da Friends of the Earth, mentre l’associazione Heal sottolinea che “il prezzo sarà pagato dalle future generazioni”.pesticides_field_guys_735_350-735x350

“La proroga di cinque anni per un erbicida sospetto di cancerogenicità – commenta Maria Grazia Mammuccini. Portavoce della Coalizione italiana StopGlifosato – è la negazione totale del principio di precauzione su cui sono nate le politiche di tutela ambientale e della salute dell’Unione Europea. Il comitato che ha esaminato la richiesta ha concesso la proroga soprattutto grazie al fatto che la Germania si è schierata a favore dei 5 anni. Una brutta pagina anche per il governo tedesco, che lascia pensare al fatto che dopo l’acquisizione di Monsanto da parte della Bayer, il governo di Berlino pensi alla protezione dell’ambiente e della salute in maniera nettamente più tiepida che in passato”. Secondo la Coalizione “il rinnovo dell’autorizzazione all’uso del glifosato per altri 5 anni rappresenta una autentica truffa ai danni dei cittadini europei e dell’ambiente”.

Per Slow Food, che fa parte della Coalizione StopGlifosato, “L’ambiente e l’Europa perdono un’occasione storica. Il voto mostra come la maggior parte dei governi europei non abbia rispettato il volere di oltre un milione di cittadini europei che aderendo all’European Citizens Initiative (Ice) intendevano eliminare l’erbicida dal sistema alimentare e dall’ambiente. Inoltre, il fatto che gli Stati Membri non fossero riusciti a raggiungere un accordo nei numerosi incontri precedenti potrebbe aver spinto la Commissione a decidere per il rinnovo. Unica consolazione quella che, mentre a livello politico si è deciso di continuare a impiegare il famoso erbicida, diverse città e stati hanno scelto autonomamente di restringere il campo di applicazione del glifosato, il principio attivo del diserbante Roundup della Monsanto”.

In Italia resta il divieto di uso del glifosato nelle aree frequentate dalla popolazione o da “gruppi vulnerabili” quali parchi, giardini, campi sportivi e zone ricreative, aree gioco per bambini, cortili ed aree verdi interne a complessi scolastici e strutture sanitarie, ma anche in campagna in pre-raccolta “al solo scopo di ottimizzare il raccolto o la trebbiatura”. È  quanto afferma la Coldiretti nel sottolineare gli effetti del decreto del Ministero della Salute in vigore dal 22 agosto del 2016 che non vengono modificati dalla decisione dell’Unione Europea di rinnovare per 5 anni la licenza di utilizzo. L’Italia deve porsi all’avanguardia nelle politiche di sicurezza alimentare nell’Unione Europea e fare in modo che – sottolinea la Coldiretti – le misure precauzionali introdotte a livello nazionale riguardino coerentemente anche l’ingresso in Italia di prodotti stranieri trattati con modalità analoghe come il grano proveniente dal Canada dove viene fatto un uso intensivo di glifosato proprio nella fase di preraccolta”.

Un principio che – continua la Coldiretti – deve essere ben evidenziato anche nell’ambito dell’accordo di libero scambio tra Unione Europea e Canada (CETA) dove al contrario si prevede invece l’azzeramento strutturale dei dazi indipendentemente dagli andamenti di mercato. Circa un miliardo di chili di grano – conclude la Coldiretti – sono infatti sbarcati lo scorso anno dal Canada dove viene fatto un uso intensivo di glifosato nella fase di pre-raccolta per seccare e garantire artificialmente un livello proteico elevato.

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2017/11/glifosato-via-libera-ue-5-anni-regalo-multinazionali/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni

Clima. Free e Kyoto Club: Ue ratifichi subito Cop21 di Parigi

“L’Italia deve attivarsi per ottenere una rapida approvazione formale dell’Accordo di Parigi da parte dell’Unione europea”Immagine

“L’Italia deve attivarsi per ottenere una rapida approvazione formale dell’Accordo di Parigi da parte dell’Unione europea. Chiedere un innalzamento degli obiettivi al 2030, in particolare, come richiesto dal Parlamento europeo, il target dell’efficienza energetica dovrebbe passare dal 27% al 40% e quello delle rinnovabili dal 27% al 30%. Raddoppiare nell’arco di un quinquennio gli investimenti per la ricerca nel campo delle energie pulite, un impegno assunto a Parigi insieme ad altri 19 paesi nell’ambito del programma “Mission Innovation”. Elaborare uno scenario di decarbonizzazione di lungo periodo per capire quali investimenti fare e quali invece evitare. Definire una strategia al 2030 individuando come e dove intervenire. Creare presso la Presidenza del Consiglio un coordinamento delle iniziative climatiche dei vari Ministeri”. Sono queste le proposte che ha illustrato Gianni Silvestrini, presidente del Coordinamento Free e direttore scientifico di Kyoto Club, durante il convegno dal titolo “Dopo la COP21. La firma dell’Accordo di Parigi e gli impegni dell’Italia e dell’Unione europea” che si è svolto questa mattina a Roma.

“Gli accordi sull’ambiente sottoscritti a Parigi e che sono in corso di ratifica in queste ore sono quanto di più significativo si sia mai fatto per contrastare i mutamenti climatici e per ridurre le emissioni climalteranti. Nonostante questo, sono ancora non sufficienti a garantire il contenimento entro i 2°C, e a dare la necessaria inversione di rotta sulle politiche energetiche. L’auspicio è che si possa passare a breve a gravare ogni prodotto del giusto costo derivante dall’impatto che produce sull’ambiente. Senza questo cambiamento non arriveremo mai ad azzerare gli impatti negativi delle attività umane sul nostro Pianeta”, afferma dal canto suo Simone Togni, presidente di Anev, l’associazione delle imprese del settore eolico.

“La rivoluzione energetica, che significa più rinnovabili, più generazione distribuita, più efficienza energetica, è già iniziata. In Italia abbiamo due possibilità: ‘fermarci qui’ o continuare a essere protagonisti del cambiamento. Le energie rinnovabili sono le uniche in grado di creare nuova occupazione e Pil e di rendere l’Europa più libera, perché più indipendente dalle importazioni di fonti fossili da Paesi prevalentemente non democratici o politicamente instabili. Senza modificare profondamente l’attuale sistema produttivo non sarà possibile mitigare il riscaldamento globale. Serve, quindi, una nuova politica energetica che favorisca l’utilizzazione di tecnologie e fonti energetiche a basse emissioni di CO2”, ha affermato il presidente di Assorinnovabili,Agostino Re Rebaudengo durante il suo intervento.

“Il premier ha recentemente affermato che intende portare la quota di rinnovabili elettriche al 50% della produzione nazionale entro la fine di questa legislatura.  Noi riteniamo che sarebbe importante raggiungere questo obiettivo entro il 2025, attivando tutte le misure necessarie e rimuovendo gli ostacoli che sono stati posti negli ultimi anni. Sin da subito si potrebbe anche introdurre la carbon tax come previsto dalla delega fiscale visto che l’attuale contesto di basso prezzo dei combustibili fossili rappresenta una congiuntura particolarmente favorevole. Le entrate potrebbero essere suddivise per ridurre il costo del lavoro, per affrontare la crisi dei migranti e per sostenere le tecnologie pulite”. Ha concluso Gianni Silvestrini alla fine del suo intervento. Al convegno del Coordinamento Free e di Kyoto Club hanno partecipato anche Ermete Realacci, Gianni Girotto, Anna Donati, Gb Zorzoli.

Fonte: ecodallecitta.it

L’Unione Europea all’attacco del cibo biologico

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Al Parlamento Europeo, nella Bruxelles ferita dagli attacchi terroristici, si discute delle normative che regolamentano agricoltura e allevamento biologico. Negli scorsi giorni sono emersi i dettagli delle revisioni dell’Europarlamento al testo della Commissione Europea; ora il testo rivisto passerà alla fase di concertazione fra Commissione, Parlamento e Stati. La tendenza che emerge è quella di un preoccupante allineamento del biologico al convenzionale. Innanzitutto il testo prevede che solamente gli erbivori possano mantenere il diritto di pascolare all’aria aperta e fra le proposte si trovano anche il taglio della coda, delle corna e la castrazione, soluzioni simili a quelle degli allevamenti industriali. Un altro nodo della questione riguarda i prodotti trasformati: finora la percentuale consentita di ingredienti non bio era del 5%, mentre la Commissione Europea aveva addirittura deciso di proibire in toto gli elementi convenzionali. Il Parlamento Europeo, al contrario, spinge affinché sia possibile utilizzare ingredienti convenzionali in mancanza di quelli bio. In questo caso gli ingredienti non bio possono essere eccezionalmente autorizzati. Uno degli aspetti più paradossali è l’intenzione di introdurre una norma secondo la quale i prodotti provenienti da Paesi extra Ue che, a causa di “condizioni climatiche e locali specifiche”, non rientrano nei parametri europei possano comunque avvalersi del marchio bio. Infine c’è il tema controverso della possibilità di coltivare nella stessa azienda prodotti convenzionali e prodotti biologici. La Commissione Ue aveva suggerito che si potesse fare solamente in una iniziale fase di riconversione dell’azienda agricola, ma il Parlamento ambisce a una deregolamentazione in tal senso. In Italia il biologico è cresciuto del 17% nel 2015 rispetto all’anno precedente, ma minarne i principi di fiducia sui quali si fonda la disponibilità dei clienti a pagare di più per mangiare più sano appare come una scelta difficile da comprendere e da digerire.

Fonte:  La Stampa

Stop TTIP Italia: fermiamo il trattato transatlantico di partenariato Usa-Ue

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Cos’è il TTIP

Il TTIP è un trattato di liberalizzazione commerciale transatlantico con l’intento dichiarato di abbattere dazi e barriere non tariffarie tra Europa e Stati Uniti per la gran parte dei settori economici, rendendo il commercio più fluido tra le due sponde dell’oceano. Un trattato molto delicato, negoziato in segreto tra Commissione UE e Governo USA fino alla fine del 2014 quando la società civile ha richiesto sempre più trasparenza, che vuole costruire un mercato unico tra Europa e Stati Uniti le cui regole, caratteristiche e priorità attualmente determinate dai nostri Governi e sistemi democratici, verranno fortemente condizionate da organismi tecnici sovranazionali a partire dalle esigenze dei grandi gruppi transnazionali. Il Trattato infatti prevede l’introduzione di organismi tecnici potenzialmente molto potenti e fuori da ogni controllo da parte degli Stati e quindi dei cittadini. Il primo, un meccanismo di protezione degli investimenti: Investor-State Dispute Settlement (in sigla: ISDS; traducibile in italiano come Risoluzione delle controversie tra investitore e Stato) consentirebbe alle imprese europee o USA di chiedere compensazioni economiche agli opposti governi qualora democraticamente introducessero normative, anche importanti per i propri cittadini, che ledessero i loro interessi passati, presenti e futuri. Un meccanismo rischioso che, se accompagnato da una definizione degli standard meno stringente, potrebbe mettere in discussione diritti acquisiti nonostante le rassicurazioni delle istituzioni europee, secondo le quali gli stessi non verranno abbassati. Un esempio riguarda gli standard agroalimentari, considerato che nei testi negoziali europei viene ribadito il ruolo centrale del Codex Alimentarius, l’organismo che fissa gli standard di qualità alimentare, dai residui di pesticida nei piatti all’uso di Ogm. Spesso i criteri usati dal Codex per la qualità degli alimenti sono più permissivi di quelli europei, e ogni variazione più restrittiva potrebbe essere considerata “distorsiva del mercato” e per questo sanzionata. La mancanza poi nei documenti ufficiali di ogni riferimento esplicito al “Principio di precauzione” è un ulteriore elemento di preoccupazione. Un altro organismo di cui viene prevista l’introduzione è il Regulatory Cooperation Council: un organo dove esperti nominati della Commissione UE e del ministero USA competente valuterebbero l’impatto commerciale di regolamentazione nazionale, federale o comunitaria. A sua discrezione sarebbero ascoltati imprese, sindacati e società civile. A sua discrezione sarebbe valutato il rapporto costi/benefici di ogni misura e il livello di conciliazione e uniformità tra USA e UE da raggiungere, e quindi la loro effettiva introduzione o mantenimento. Un’assurdità antidemocratica che andrebbe bloccata il prima possibile.banner-ttip11-1024x324

Fermiamo il TTIP
Il TTIP è ad un passo dalla sua approvazione finale. Solo una forte pressione dal basso potrà far capire ai nostri governanti ed europarlamentari che le persone non lo vogliono. Ottobre sarà un mese cruciale. Cosa può fare ognuno di noi per fermare la stipula di questo trattato?

  1. Informarsi: le informazioni non mancano di certo in rete, sui giornali e sulle riviste. Non fermiamoci alla prima opinione, cerchiamo di capire con più letture cosa sta succedendo.
    2. Firmare la petizione. Potete farlo comodamente online su https://stop-ttip.org/it/firma/ma sullo stesso sito potete scaricare il modello cartaceo di raccolta firme da stampare. Se non siete pratici con il computer fatevi aiutare, non fermatevi alla prima difficoltà!
    3. Partecipare alla mobilitazione internazionale di ottobre 2015. Dal 10 al 16 ottobre in tutta Europa e negli Stati Uniti è stata indetta una settimana di mobilitazione, resta informato sulle manifestazioni che saranno annunciate a breve nella tua città.
    4. Discutere e diffondere con amici e conoscenti la tematica del TTIP.

Per approfondire
Ecco alcuni siti web dove approfondire la tematica:
http://stop-ttip-italia.net/
https://stop-ttip.org/it

Stop TTIP Italia

Fonte : italiachecambia.org

Sprechi alimentari: l’Ue propone di togliere la scadenza a pasta, riso e tè

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L’Unione Europea è in procinto di rivedere le norme sulle etichette in merito alla scadenza dei prodotti alimentari. Questo quanto si apprende dai quotidiani italiani, all’indomani della riunione del Consiglio Agricoltura del 19 maggio a Bruxelles. Secondo fonti certe, tra i punti all’ordine del giorno della discussione di ieri, c’era anche quello di eliminare la scadenza di particolari prodotti alimentari, per evitare ulteriori sprechi. Sono 89 milioni le tonnellate di cibo che, ogni anno, i cittadini europei buttano nella spazzatura. In Italia, ogni famiglia spende mediamente 515 euro di prodotti alimentari che non consumerà mai e che andranno a finire in discarica. Sono messi peggio di noi i cittadini di Gran Bretagna e Svezia. A questo problema, la Comunità Europea avrebbe deciso di porre rimedio attraverso una modifica delle norme di etichettatura degli alimenti. Secondo alcune indiscrezioni apparse sui giornali tedeschi, diversi stati membri, tra cui Olanda e Svezia, starebbero spingendo per ampliare l’elenco di alimenti il cui termine minimo di conservazione non deve essere esplicitato in etichetta. Nella pratica, pasta, riso, tè, caffè e formaggio duro potrebbero vedere sparire la dicitura “da consumarsi preferibilmente entro” presente di norma nelle etichette e già non obbligatoria per aceto, sale e zucchero. Secondo gli esperti, se intrapreso, questo passo potrebbe evitare che i cibi vengano buttati via a causa della paura, da parte del consumatore, che non siano più buoni. Esiste infatti una confusione generalizzata relativa al “Termine Minimo di Conservazione”. Il Termine Minimo di Conservazione, quello che nelle confezioni è indicato con la dicitura “da consumarsi preferibilmente entro” indica infatti la data fino alla quale il prodotto conserva intatte le sue proprietà specifiche, organolettiche, gustative o nutrizionali. Non significa che oltre quella data sia pericoloso consumare l’alimento, ma che più ci si allontana dal termine, meno il prodotto mantiene intatti i suoi requisiti di qualità. La data di scadenza vera e propria riguarda invece quei prodotti, come i prodotti lattieri o caseari, che possono generare problemi se consumati oltre la scadenza indicata in etichetta. Qui la scritta riporta la dicitura “da consumarsi entro”. Decisamente contraria alla proposta Europea la Coldiretti che lamenta le possibili ripercussioni che una modifica del genere potrebbe comportare sulla qualità degli alimenti. Dichiara infatti: “Si tratta del solito tentativo dei paesi del Nord Europa di livellare il cibo sulle tavole europee a uno standard di qualità inferiore al nostro con la scusa di tagliare gli sprechi alimentari che nell’Unione europea hanno raggiunto il quantitativo record di 89 milioni di tonnellate di cibo”. Aggiungendo che, con la crisi, si è invece registrata una storica inversione di tendenza e quasi tre italiani su quattro (73%) hanno tagliato gli sprechi a tavola nel 2013, portando i consumatori a valutare meglio la qualità degli alimenti, prima di stabilire se buttarli o meno. Alla riunione del Consiglio Agricoltura siedono i ministri di tutti e 28 gli stati membri dell’Unione Europea. Sembra che a favore della proposta siano soprattutto Olanda e Svezia, con l’appoggio di Austria, Germania, Danimarca e Lussemburgo. Altri sarebbero schierati sul fronte opposto, o neutrali. Considerate le procedure e i tempi dell’Ue, oltre alla complessità della materia trattata, difficilmente si riuscirà a prendere una decisione nel breve termine. Tuttavia, è già qualcosa che l’argomento sia affrontato apertamente. Sul nostro blog abbiamo parlato abbondantemente di sprechi alimentari e scadenze degli alimenti. Se volete sapere entro quando gli alimenti possono essere consumati oltre la loro data di scadenza, potete leggere il nostro articolo: http://ambientebio.it/ecco-fino-a-quando-puoi-mangiare-i-cibi-scaduti/

(Foto: CarlMilner)

Fonte: ambientebio.it

PM10 2013: per la prima volta a Milano la media sotto i 40 mcg/m3

Qualità dell’aria e dati ARPA. L’assessore Maran conferma che nel 2013 per la prima volta Milano ha rispettato uno dei parametri dell’Unione Europea: 37 mcg/m3, la media annuale delle PM10, che per l’85% dipende ancora dal traffico. Controlli sui riscaldamenti aumentati del 25%. Positivo il progetto di riduzione del Black Carbon in AreaC377892

Una buona notizia sul fronte dello smog e confermata dal Comune, che avevamo già anticipato con i dati di inizio anno di ARPA Lombardia.  Nel 2013 la media annuale delle concentrazioni diPM10 è stata di 37 mcg/m3, inferiore quindi al valore limite UE di 40 mcg/m3: si tratta del valore più basso mai registrato a Milano dal 2002, come si vede dalla tabella allegata, grazie anche all’alta piovosità, ma non solo. “Per la prima volta la nostra città rispetta uno dei parametri richiesti dall’Unione Europea in materia di qualità dell’aria per la tutela della salute”, ha dichiarato l’assessore alla Mobilità e Ambiente Pierfrancesco Maran. “Un risultato raggiunto non solo grazie alle condizioni meteo, che sarebbero state addirittura più favorevoli in anni come il 2010, ma anche attraverso un’insieme di politiche per ridurre la congestione del traffico e di interventi per l’efficienza e il risparmio energetico”. I dati ARPA ed AMAT presentati il 22 gennaio in Commissione Ambiente mostrano anche come il 2013 sia stato l’anno con il minor numero di sforamenti (81) dal 2002. Pur trattandosi di un anno particolarmente piovoso, però, i giorni e l’accumulo di pioggia non sono stati tanti da giustificare da soli il calo record di concentrazioni che si è verificato: gli anni più piovosi, infatti sono stati il 2002 (che allo stesso tempo ha presentato, però, il livello di concentrazioni più alto del decennio, 166 mcg/m3) e il 2010 (quando i giorni di sforamento furono 85). A favorire questo importante calo, secondo il Comune, sono state anche le tante iniziative messe in campo: da AreaC al potenziamento dei mezzi, dall’estensione del BikeMi alla liberalizzazione del car sharing, infatti, le politiche di mobilità hanno portato Milano in pochi anni a scendere di ben 13 posizioni nella classifica sulla congestione del TomTom Traffic Index. Passando dall’11° posto del 2010 al 24° del 2013, Milano è stata, secondo questo indice di rilevamento, la migliore in Europa dal punto di vista della riduzione del traffico.
Riguardo le fonti responsabili dell’inquinamento da PM10, si conferma che a Milano per l’85% esso deriva dal traffico stradale e solo per il 15% dalle fonti fisse, come il riscaldamento. Diverso naturalmente il discorso per l’altro inquinante maggiore – gli ossidi di azoto (NOx) – e l’anidride carbonica (CO2), responsabile del riscaldamento climatico: qui i dati sono solo del primo semestre 2013, ma sul totale delle emissioni atmosferiche (traffico+riscaldamenti) sale il contributo delle fonti fisse, rispetto al traffico: il 50% viene dalle fonti fisse per gli NOx e per la CO2 il 70%.
Con riferimento alla zona di AreaC, sono stati forniti anche i dati di riduzione del Black Carbon, ritenuto dalla comunità scientifica un importante indicatore dell’inquinamento ‘di prossimità‘ che consente di valutare l’efficacia delle
politiche di regolamentazione del traffico, in termini di rischio sanitario locale e specifico: come si vede dal documento allegato, nelle zone (AreaC e Maciacchini) e nei periodi in cui il Black Carbon è stato monitorato, la riduzione in AreaC è del 30-40% rispetto alle aree più trafficate.  Anche sul fronte del risparmio e dell’efficientamento energetico, il Comune ha elencato le azioni avviate: la trasformazione graduale a gas naturale degli impianti più vecchi ancora in funzione in parte dei 600 edifici comunali e l’allacciamento al teleriscaldamento A2A di ulteriori 700.000 m3. Inoltre, una consistente campagna per i controlli sui riscaldamenti, che prevede il 25% in più di ispezioni rispetto alla media degli anni precedenti (con anche un risparmio di circa il 18%): al 31 dicembre 2013 erano già stati effettuati 7.200 interventi sui 12.645 previsti (57%). I controlli hanno permesso di portare alla luce circa un 40% di impianti non conformi alla normativa vigente, principalmente per questioni di manutenzione e gestione (indici di fumosità e condizioni di aereazione dei locali) e di intervenire d’urgenza con il sequestro dell’impianto, in collaborazione con la Polizia locale, in una ventina di casi che presentavano condizioni di imminente pericolo per la sicurezza domestica.
Infine, per accompagnare e informare i cittadini sui temi dell’efficienza, del risparmio energetico e della riqualificazione dell’edilizia, a fine ottobre 2013 il Comune di Milano ha aperto 9 Sportelli Energia, uno per ogni Consiglio di Zona, che hanno portato fino a 200 contatti in due mesi (nelle Zone 4, 7 e 8).

I dati della Commissione Ambiente del Comune [0,97 MB]

Fonte: ecodallecittà

Mare, l’allarme di Goletta Verde: un punto inquinato ogni 57 km di costa italiana

Le analisi di Legambiente confermano l’aumento dell’inquinamento delle spiagge italiane: c’è un punto inquinato ogni 57 chilometri di costa.foce-arno-pisa

Sono almeno 130 i punti inquinati dalla presenza di scarichi fognari non depurati sulle coste italiane,uno ogni 57 chilometri. E’ questo il triste bilancio dello studio condotto da Goletta Verde di Legambiente in questi ultimi due mesi, 60 giorni in cui gli esperti hanno girato il Paese in lungo e largo e effettuato 263 analisi microbiologiche in altrettanti punti costieri. Quasi il 50% dei punti monitorati negli oltre 7.400 chilometri di costa è risultato inquinato e oltre l’80% – parliamo di 104 punti costieri – è stato giudicato fortemente inquinato con picchi che presentavano una concentrazione di batteri fecali di oltre il doppio rispetto a quanto consentito. Tra le cause principali di questo aumento dell’inquinamento delle nostre acque ci sono la maladepurazione, le estrazioni petrolifere, l’abusivismo, il consumo di suolo costiero, le grandi navi e le bonifiche da attività militari. I punti più critici sono risultati essere le foci di fiumi, dei torrenti e dei canali, dove l’imbarcazione ambientalista ha rilevato il 90% dei punti critici. I 130 punti inquinati sono sparsi più o meno equamente in tutte le regioni costiere: 19 sono in Campania, 17 in Puglia, Calabria e Lazio, 12 in Sicilia e 11 in Liguria (11). E la situazione non più che peggiorare, in special modo nel Mezzogiorno. Come precisato da Legambiente,

Si rischia di perdere ben 1,7 miliardi di euro dei fondi Cipe destinati alla costruzione e all’adeguamento degli impianti che sono in scadenza a dicembre. Come se non bastasse, inoltre, ci prepariamo anche a far pagare ai cittadini italiani multe milionarie da parte dell’Unione europea per l’incapacità di gestire il ciclo delle acque reflue. Soldi che invece potrebbero essere investiti per aprire nuovi cantieri per la depurazione.

Giorgio Zampetti, responsabile scientifico di Legambiente, ha precisato che le soluzioni esistito, è l’impegno politico che manca:

Realizzare sistemi efficienti e moderni deve trasformarsi in una priorità nell’agenda politica italiana. E’ l’ennesima vergogna che questo Paese non merita. Non si tratta più soltanto di difendere fiumi e mari, vera grande risorsa di questa nazione, ma ne va dell’intera economia nazionale, buona parte della quale e’ basata sul turismo.

L’allarme acquista ancor più valore se consideriamo che tra i punti più critici emersi dall’analisi di Legambiente molti di questi vengono presi d’assalto dai bagnanti, ignari del reale livello di inquinamento delle acque in cui si immergono:

Il 35% dei punti presi in analisi, inoltre, risultano del tutto non campionati dalle autorità preposte anche se spesso questi tratti, pur trovandosi in corrispondenza di foci e canali, sono comunque frequentati da bagnanti. Motivo per cui è imperativo che le autorità introducano o intensifichino i controlli anche in prossimità di queste possibili fonti di inquinamento.

Fonte: Goletta Verde

 

Acque reflue urbane, la raccolta migliora in Europa, ma con troppe differenze da un Paese all’altro

Il 91% del carico inquinante proveniente dalle grandi città dell’UE beneficia di un trattamento più rigoroso, con un notevole miglioramento rispetto al 77% del 2008. Eppure, solo 11 delle 27 capitali sono dotate di un adeguato sistema di raccolta e di trattamento, nonostante l’obbligo risalga a vent’anni fa375908

Migliora, secondo i dati diffusi dall’Unione europea, ilsistema del trattamento delle acque reflue delle città europee, anche se rimangono differenze significative fra i diversi paesi. Nel periodo 2009/2010, il tasso di raccolta risulta molto elevato, con 15 Stati membri che raccolgono il 100% del loro carico inquinante totale. Tutti hanno mantenuto o migliorato i risultati già ottenuti, sebbene il tasso di conformità sia tuttora inferiore al 30% in Bulgaria, Cipro, Estonia, Lettonia e Slovenia. I tassi di conformità per il trattamento secondario sono in media pari all’82%, con un aumento di 4 punti rispetto alla relazione precedente. I tassi di conformità per il trattamento più rigoroso destinato a contrastare l’eutrofizzazione o ridurre l’inquinamento batteriologico che potrebbero avere ripercussioni sulla salute umana, sono, complessivamente, pari al 77%. L’Austria, la Germania, la Grecia e la Finlandia registrano una percentuale di conformità del 100%. La maggior parte (91%) del carico inquinante proveniente dalle grandi città dell’Unione europea beneficia di un trattamento più rigoroso, e ciò costituisce un notevole miglioramento rispetto alla situazione descritta nella relazione precedente (77%). Ma in un allegato della relazione, in cui si confronta la situazione delle 27 capitali europee, si lancia un monito: solo 11 delle 27 città sono dotate di un adeguato sistema di raccolta e di trattamento, nonostante il fatto che le norme siano state fissate piu’ di 20 anni fa (nel 1991).
Nel periodo 2007/2013, l’Ue ha contribuito a migliorare la situazione con fondi per 14,3 miliardi. Il migliore trattamento delle acque reflue e la minor quantità di scarichi di acque reflue non trattate nell’ambiente hanno consentito di migliorare la qualità delle acque di balneazione: se all’inizio degli anni’ 90, solo il 60% circa dei siti di balneazione vantava acque di qualità eccellente, oggi la quota e’ aumentata al 78%. Janez Potočnik, Commissario per l’Ambiente, ha dichiarato: “Il trattamento delle acque reflue è un test fondamentale per la società: Eliminiamo i rifiuti che produciamo o stiamo rovinando l’ambiente da cui dipendiamo? Sono soddisfatto di vedere che le tendenze vanno nella direzione giusta e sono lieto di constatare che l’azione della Commissione, che associa misure di sostegno finanziario a, se necessario, azioni legali, sta dando i suoi frutti a vantaggio dei cittadini europei”.
Leggi la relazione della Rappresentanza Italiana a Bruxelles

Fonte: eco dalle città